SCIENZE
Osservare il rischio di CVD in piccole porzioni di comunità Uno studio dell’Università di Pittsburgh valida un modello computazionale per analisi statistiche con precisione di scala locale
C
on quanta precisione e quanta efficacia le popolazioni cosiddette sintetiche, cioè le popolazioni che imitano statisticamente le popolazioni reali nelle caratteristiche e nella distribuzione della malattia, possono essere definite attraverso dati reali e analitici? E quanto queste popolazioni artificiali - che sono rappresentazioni computazionali microscopiche e semplificate della popolazione effettiva, senza informazioni di identificazione personale - sono utili nella progettazione e nel targeting degli interventi? Sono le domande da cui è partita una recente ricerca [1] sviluppata presso il Dipartimento di Politiche della Salute presso l’Università di Pittsburgh - Graduate School of Public Health, in Pennsylvania. Al termine dello studio, i cui risultati sono stati pubblicata su JAMA Network Open, gli autori hanno segnalato che una popolazione artificiale costruita attraverso una modellizzazione spazialmente esplicita riesce a stimare adeguatamente il rischio di
malattia e le implicazioni degli interventi necessari. Il caso specifico utilizzato dal team di ricerca per sviluppare lo studio riguarda il rischio cardiovascolare (CVD). Quello della definizione per via computazionale della popolazione è un campo estremamente importante per l’indagine scientifica contemporanea. La valutazione dell’associazione tra i determinanti sociali della salute, cioè i fattori la cui presenza modifica in una direzione o nell’altra lo stato di salute della popolazione [2], e le malattie croniche richiede l’accesso a informazioni di livello individuale che raramente sono disponibili per popolazioni ampie. Ecco perché, ricordano gli autori della ricerca, le popolazioni artificiali sono una possibile alternativa a questo scopo. In esse, le vite individuali simulate sono completamente ipotetiche [3]. Il gruppo guidato da Robert J. Frankeny e Mary G. Krauland, dell’Università di Pittsburgh, e da Josh Lewis, del Dipartimento della © SciePro/www.shutterstock.com
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Il Giornale dei Biologi | Settembre 2020