SCIENZE
Le api potrebbero curare il tumore al seno La melittina, componente principale del veleno d’api, ha dimostrato eccezionale efficacia nel combattere le forme più aggressive di cancro della mammella
di Giada Fedri
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ià nel 1859, Charles Darwin nel suo celeberrimo trattato “Le origini delle specie”, analizzava la complessa rete di interazioni tra la flora e la fauna e affermava che se le api si fossero estinte, alcune piante sarebbero diventate molto rare oppure scomparse del tutto [1]. Successivamente nel 1901 Maurice Maeterlinck nel suo famosissimo testo “La vita delle api” [2] stimava che centomila varietà di piante scomparirebbero se le api non le visitassero, e che probabilmente dobbiamo proprio a loro la comparsa e la sopravvivenza della nostra civiltà. Ad Albert Einstein è stata attribuita la frase “Se le api scomparissero dalla terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”, ora, che l’abbia detto davvero o no, sta di fatto che giocano un ruolo essenziale negli ecosistemi. Come principali impollinatori sono responsabili del 35 per cento della produzione di cibo a livello globale: secondo l’UNEP (United Nations Environment Programme) delle 100 colture da cui dipende il 90 per cento della produzione mondiale di frutta e verdura, 71 sono legate al loro lavoro di impollinazione e, solo in Europa, ben quattromila diverse colture crescono grazie alle api. La stessa pratica, svolta artificialmente, costerebbe circa 265 miliardi di euro all’anno. Come se tutto questo non bastasse, tutti sanno che le api hanno anche la straordinaria capacità di produrre ottimi alimenti come miele e propoli, ma in pochi conoscono l’altro dono che hanno in serbo per noi: il veleno e le sue eccezionali potenzialità terapeutiche. La storia del veleno d’api come rimedio naturale
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Il Giornale dei Biologi | Settembre 2020
ad ampio spettro è stata sempre avvolta da un alone di profondo mistero, che si cercava di sviscerare già in tempi antichi. Il primo riferimento al veleno d’api risale al 500 a.C., veniva già descritto in un antico trattato di medicina tradizionale Cinese, lo Hungdi Neijing, e più tardi, nel 300 a.C., Aristoltele nella Historia Animalium, nel descrivere l’anatomia delle api e la loro organizzazione sociale, fa più volte riferimento alle straordinarie proprietà di questo veleno [3]. Nel corso dei secoli, è stato largamente utilizzato dalle civiltà cinesi, indiane, egiziane, babilonesi e greche per trattare diversi disturbi tra cui la calvizie, il dolore reumatico e la gotta [4]. Viene sintetizzato dalle ghiandole secretorie delle api operaie (Apis mellifera) e dell’ape regina con funzione difensiva, è una miscela idrolitica liquida, incolore e inodore. E’ composta principalmente da peptidi e ammine biogene tra cui melittina, apamina, adolapina, peptide di degranulazione dei mastociti, fosfolipasi, ialuronidasi, fosfatasi, glucosidasi, serotonina, istamina, dopamina, noradrenalina e adrenalina [5], [6]. Gli enzimi fosfolipasi e ialuronidasi sono i principiali responsabili della tossicità del veleno, della risposta immunitaria e delle reazioni allergiche [7] che si scatenano successivamente alla puntura da parte dell’ape. Le principali azioni farmacologiche del veleno sembrano essere dovute alle attività della melittina e dell’adolapina, principali autrici dell’azione antinfiammatoria, svolta tramite l’inibizione dei mediatori dell’infiammazione (citochine, TNF2, COX-2, NO,