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Un po’ fatalista, un po’ spavaldo, (ancora) poco conosciuto e tanto credente. Recita per il cinema e la tv, scrive canzoni, produce musica e non esclude che, un domani, potrebbe esprimersi su una tela o con una macchina fotografica. Danilo Arena vuole emozionare
UN GIORNO VINCERÒ IL DAVID DI FIORENZA BARIATTI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI LUCA ROSCINI
«IO SONO un talento». E lo dice così: tranchant, perentorio, deciso ma con tono che pare quasi beffardo. L’affermazione è di Danilo Arena, 27 anni, attore, nel cast della terza stagione della serie Il Cacciatore (Rai) con la regia di Fabio Paladini e protagonista del corto L’oro di famiglia di Emanuele Pisano. «C’è un confine sottilissimo tra la sincerità e la spavalderia, tra l’umiltà e l’avere la consapevolezza di chi si è: conosco bene le mie potenzialità; sono sincero, non sono certo un ipocrita». E spiega: «Il mio talento è un dono, non dipende soltanto da me bensì da una sorta di sistema energetico che neppure io conosco. Mentre studiavo nelle accademie ho capito, studiato e appreso le lezioni, il procedimento è utile alla recitazione ma il talento è un’altra cosa: sta nel Dna, mi è stato dato da Dio. Parola di credente». DI MESTIERE ATTORE, «principalmente e “per sempre”, e poi anche cantautore. Di fatto penso che la mia indole sia riprodurre
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un frammento di vita, reale oppure inventata: io ricreo, porto in scena, sono un artista. Scrivo e canto canzoni (in autunno uscirà il suo primo album, Parlarti di me, prodotto da Max Gallesi, ndr) ma potrebbe anche accadere che un domani qualcosa, uno scatto naturale, mi spinga a prendere in mano una macchina fotografica». Nel frattempo Arena recita per emozionare: «Mi rivolgo alla gente semplice, umile, quella che, come si dice “tira avanti”. Cioè coloro che per amore dell’amore mette al mondo quattro figli anche se non se lo può permettere, come ha fatto mio padre. Ammiro chi vive di piccole grandi cose, di sogni e di arte. Ed è proprio mio padre (in gioventù cantava e ballava, la madre faceva parte di un gruppo folkloristico, ndr) la mia “spinta”». CHE COSA SI ASPETTA dal futuro? «Vorrei stare bene, trovare “un centro” in grado di farmi accettare quello che accade. Anche se già oggi riesco comunque a dire “non sono entrato in quel progetto?” Beh significa
S T Y L E M AG A Z I N E
che non dovevo fare quel progetto. Certo, ci sto male. Ma sono consapevole del fatto che faremo quel che è scritto. Ci credo veramente». «IN QUESTA CARRIERA non si sa dove si arriva: ci si butta in un punto interrogativo. Dopo Il Cacciatore sono entrato in un vortice che mi ha destabilizzato: è stata un’interpretazione che mi ha riempito tanto e grazie alla quale ho messo negli occhi di quel personaggio la “fame” che avevo e che ho tuttora ma si è preso tutta l’energia e poi mi ha “svuotato” (da questa esperienza nasce l’album, ndr). Quel momento ora è passato e adesso sono pronto per un’altra parte che, sono sicuro, arriverà. Perché io, lo so, vincerò un David di Donatello. Non interpreterò cento film, farò quelli che dovrò fare; l’importate è farli bene. Aspetto un regista che mi dia l’opportunità di rappresentare un personaggio “pesato”, una interpretazione che richiede fatica. La sofferenza fa crescere, la sofferenza forse è arte pura. Ringraziando Dio».