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«Porto le mie problematiche. Le espongo, le vivo in maniera naturale e ne parlo, senza paura, il modo migliore di superare problemi, la mia mini missione». Il rapper Highsnob dedica il suo flow, applicata al racconto che più gli frutta stream e follower: ansie e vita vissuta
MILLE VITE PERSE, COME NELLA PLAY DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI LUCA ROSCINI
A SANREMO ha spaccato,
per somma insoddisfazione degli hater, con il pezzo (cesellato per anni) Abbi cura di te. Lo guardi come a dire «Che ti credi, Battiato?» e Michele Matera ti dedica un ghigno e arcua il nome d’arte tatuato in grassetto tondo sull’arcata sopraciliare: Highsnob. «Sono arrivato con la testa giusta. So come funziona questo business. Non ho nulla da insegnare, al massimo posso iniziare a dare qualche consiglio. Tipo: gestirsi da soli, saper fare tutto, e imparare dagli altri. Mai perdere tempo quando sei in studio, mai gingillarsi col telefonino mentre altri prendono decisioni: ecco, stare sempre attento a quel che fanno gli altri». Le parole sono misurate, la modalità scelta è confessionale: «Sono sempre stato molto timido. E ho sempre avuto necessità di sfogarmi facendo cose». «MIO PADRE, MARINAIO che stava sempre via: vedevo i quadri che dipingeva e mai lui. Ma lo sentivo: cantava, suonava. Verso gli otto, nove anni, quando avevo un walkman e zero soldi, se scendevo giù dai nonni a Vallata, in Irpinia, cercavo
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i vu cumprà con le cassette tarocche; con diecimila lire ti portavi a casa un po’ di musica, gli 883, cose così; non potevi ascoltare il cd prima, te lo compravi. Fare musica? Non c’era modo. Le basi, i beat, le produzioni non le faceva nessuno; oggi è facile per tutti. Cercavo produttori a destra e a manca, verso il 2008». PERIODO DA GRAFFITARO «Imbrattavo muri prima di quell’anno. Poi ho deciso di dedicarmi alla musica: parlavo di certi miei problemi legati all’ansia. Un amico mi ha dato dei beat di produttori americani: ho registrato dieci tracce su cd, e iniziato a fare sul serio. E poi, ho conosciuto Samuel Heron. È stato un incontro davvero fondamentale: lavoravo in cantiere, e quando vedevo questo ragazzino gli dicevo: “Ehi, andiamo a Milano”. Beh, quello è partito prima di me, io l’ho raggiunto un mese dopo. Voleva fare robe da solista e aiutarmi a fare le mie: ma io ho spinto per fare un progetto insieme. Abbiamo fondato i Bushwaka e dopo tre mesi avevamo un contratto. È stata la mia grande fortuna, perché lui aveva tot anni meno di me ma era
S T Y L E M AG A Z I N E
molto più avanti di me come testa, e attitudine al lavoro: paradossalmente ho imparato a lavorare da un inesperto. Non sapeva la cose, ma aveva metodo, “cazzimma”, e diceva cose come: “Se ci mancano soldi per il videoclip saltiamo cene, e regali, tipo i 100 euro della nonna per il compleanno, li mettiamo nel video di Boom Shakalaka”. Quello con cui siamo partiti e abbiamo preso coraggio». Anche per dividersi. SENZA COMPETIZIONE «non ti evolvi: Michael Jordan, uno dei miei idoli, in quel doc su Netflix parlava dell’importanza di trovare nemici che non esistono. Avendo giocato a basket lo so bene; volevo fare carriera da cestista, poi ho picchiato un arbitro ed è finita lì. Mi son trovato in mezzo alla via. La mia realtà è diventata più cruda. L’ansia c’è da sempre, mia madre dice che dopo l’incidente non sono più lo stesso: auto accartocciata, da quel giorno lì piangevo e facevo casini. Mi si creava l’ansia, non vedevo prospettive, futuro. “Come farò?” mi chiedevo; “Sono condannato”. Però sai, io sono una miniera di idee. E il destino è un pezzo già scritto».