Prince sulla copertina della rivista musicale Rolling Stones dell’aprile del 1985. Nel 1984 l’artista aveva ottenuto il successo mondiale con Purple Rain, raggiungendo contemporaneamente la prima posizione nelle classifiche dei singoli, degli album e dei film. Prima di lui c’erano riusciti solo i Beatles. Il film omonimo vinse anche l’Oscar per la miglior colonna sonora con canzoni originali (photo © www.today.it). ma allo stesso tempo ne è il protagonista perché ne sta uscendo. Si muove, la sua immagine è sfocata, si lascia alle spalle la band e tutti i simboli di tour passati, i palchi e le insegne luminose, ma allo stesso tempo li mette in primo piano. Musica al centro di tutto. Un disco che comincia col brano omonimo, capolavoro nel capolavoro, un punto di svolta, una nuova strada. La musica è minimale e complessa, sa di blues e funk e di sintetico, viene fuori quasi tutta da un synth Fairlight. Il riff di tastiera principale, i bassi non sono frutto di programmazione, ma sono tutti presi dall’archivio dei suoni campionati di default. Lo spoken word contribuisce a renderla ipnotica e seducente. Il resto lo fa il testo che tratta di olocausto nucleare, povertà, AIDS e diseguaglianze razziali nell’era Reagan. Un brano che anche nel video segna un deciso focus sulla sua essenza perché il testo e il ritmo sono messi in scena attraverso una rappresentazione
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grafica essenziale, non ci sono trucchi o distrazioni. Il disco poi inizia a correre tra momento di intimità, divertimento, sesso e ovviamente amore, attraverso filtri musicali che spaziano dal solare rock‘n’roll di Play in the Sunshine, al rap di Housequake per poi arrivare al soul di The Ballad of Dorothy Parker, solo stando nel primo lato del primo disco. Si ricomincia con It, che sta di diritto tra classici del genio di Minneapolis, muovendosi tra synth e chitarra elettrica in una dinamica perfetta di alternanza e commistione. L’ottimo esercizio di pop psichedelico di ispirazione beatlesiana di Starfish and Coffee precede il raffinato jazz di Slow Love, agli antipodi della carnale Hot Thing, funky ed elettronica in un modo così personale che ha fatto scuola per la generazione a seguire. Ma oltre a innovare sa anche mettere in pratica le influenze più importanti come la ricchezza melodica di STEVIE WONDER in Forever In My Life.
Il secondo disco parte con il pop di U got the Look, cantata in duetto con SHEENA EASTON, interprete scozzese con cui aveva già collaborato in precedenza. Troviamo invece le tracce dell’alter ego femminile Camile nei giochi vocali che si snodano lungo il fresco R’n’B di If I was Your Girlfriend. Se Strange Relationship è un altro gioiello pop, I Could Never Take the Place of Your Man è un altro giro di rock’n’roll dove è però chiara la matrice jam da cui è nata. Nei quasi sette minuti del brano, si succedono parti strumentali e cantate in misura uguale, svelandosi in una varietà che racconta di improvvisazione. L’ultimo lato si apre con la preghiera gospel elettrificata di The Cross, per poi esplodere in It’s Gonna Be a Beautiful Night, ibrida e viva tra live e studio. La conclusiva Adore si colloca tra le più iconiche canzoni di Prince, sensuale tra fiati e falsetto, chiude un disco immenso in maniera magistrale unendo soul e new jazz. Quello che è chiaro e prezioso di questo album, uscito nella seconda metà di un decennio spesso furbo e ingannevole, è la forte identità artistica del suo autore. Prince ha codificato un suo linguaggio, fatto di autogestione e tecnica. Perché il suo talento è grande ma non gli basta, così lo studio di registrazione è un altro strumento per sperimentare e realizzare, non solo un mero luogo di cronaca analogica o digitale. Un’emancipazione che porta in questa occasione all’avvio di un progetto fondamentale nella sua vita e nella discografia da lì a venire: Paisley Park, un complesso di studi di registrazione e sale prove dove scrivere, sviluppare e registrare audio e video, in totale indipendenza. “Sign O’ The Times” rimane ancora oggi a distanza di più di trent’anni un disco imprescindibile, non solo riferendosi alla produzione di Prince. Un album in cui convivono soul, funk, jazz, pop ed elettronica in un modo così intenso e perfetto che lo rendono un modello assoluto per molti imitatori, qualche bravo discepolo e pochi eredi del piccolo grande principe di Minneapolis scomparso purtroppo nel 2016. Giovanni Papalato Nota A pagina 110, photo © Lucio Pellacani.
Premiata Salumeria Italiana, 3/21