Intervista a ELENA VALLORTIGARA, Carabiniere scelto dell’Arma dei Carabinieri e campionessa italiana di salto in alto
Saltare ...oltre il limite Tu sei una delle saltatrici azzurre che hanno superato i due metri nel salto in alto, nel 2018 a Londra. Prima però, ho letto nella tua biografia che hai avuto diversi problemi fisici, quali operazione a una caviglia, degenerazione dei dischi lombari, infiammazione al tallone del piede di stacco. Che significato ha avuto raggiungere questo traguardo per te che ti sei portata dietro tutte queste difficoltà? Dopo aver superato i due metri, tra le altre cose, mi sono detta: “avevi ragione, hai fatto bene a continuare a crederci”. Ho messo in pratica ciò che avevo sempre pensato di poter fare, ma che spesso avevo anche messo in dubbio. Vivo di sogni, non di illusioni, e pensare di essermi “presa in giro” mi metteva parecchio in difficoltà. È stato uno dei momenti in cui mi sono sentita più orgogliosa di me stessa. È stato fondamentale avere il supporto e il sostegno del mio Gruppo Sportivo, la Forestale prima e i Carabinieri dal 2017, che mi hanno permesso di continuare a provarci e hanno sempre creduto in me. Hai mai temuto che in seguito a degli infortuni, non avresti più avuto la possibilità di allenarti o di partecipare a gare? Assolutamente sì, per anni ho passato più tempo infortunata e gareggiando una/due volte all’anno, che in condizioni normali. Ad un certo punto non mi ricordavo più nemmeno cosa provassi saltando bene e gareggiando. Ma la nostra mente è potentissima e al momento giusto tutti quei dubbi sono diventati invece sicurezze. Ho letto che sei seguita dal tecnico Stefano Giardi. Com'è lavorare con lui? Come ha contribuito la vostra collaborazione al tuo percorso? È con lui che ho raggiunto misure importanti e che ho ritrovato sicurezza in me stessa e continuità nei miei risultati. È la persona più limpida, sincera e di cuore che conosca, oltre che appassionata e dedita al suo lavoro. Per me è fondamentale circondarmi di belle persone, ho bisogno di sentirmi al sicuro nei rapporti più stretti e quello tra allenatore e atleta è sicuramente uno di questi. Pensi che lo sport abbia agito, nel tuo caso, come terapia per una ricostruzione atletica e per una ricostruzione psicologica? Assolutamente sì. Lo sport, soprattutto se vissuto intensamente, è un concentrato di vita, sia per le esperienze che permette di vivere, sia per il costante confronto con se stessi. L’atletica è stata parte importante nella costruzione del mio carattere e continua ad esserlo in modo sempre diverso.