Intervista a TODOR PANJKOVIC, pensionato, sopravvissuto in guerra
Dall'Ex-Jugoslavia a Belgrado: ferite che non si cancellano Dove vivevi prima che scoppiasse la guerra? Prima della guerra ho vissuto per anni con i miei figli e mia moglie in una piccola città dell’attuale Bosnia. Poi per un periodo molto breve abbiamo vissuto a Sarajevo e dopo ci siamo trasferiti a Belgrado, dove abito ora tuttora. Da quel momento in poi siamo rimasti qui. È stato appena prima dell’inizio della guerra. Io, mia moglie e mio figlio eravamo riusciti ad ottenere la cittadinanza serba prima che essa scoppiasse, mentre mia nuora e mia figlia no. Loro avevano la cittadinanza bosniaca e quindi anche lo status di rifugiate. Com'era la situazione in Jugoslavia appena prima della guerra? Come sempre, quando c’è una situazione di crisi. I problemi dal punto di vista economico erano molti. Nei giornali e in televisione c’erano costantemente brutte notizie, le tensioni crescevano, iniziavano a rafforzarsi gruppi molto nazionalisti che prima non avevano nessuna importanza. Le persone sbagliate cominciavano ad avere sempre più influenza sulle decisioni. In questo tipo di situazione tu non vuoi credere che una cosa del genere stia accadendo proprio a te. Un esempio di questo è anche la pandemia del Coronavirus. Le persone non vogliono che la loro vita, le loro abitudini, la loro libertà vengano limitate. E quindi laddove ci sono i segni tu non vuoi vederli fino a che non scoppia tutto. Ma se non si è previdenti ci si ritrova in una situazione che poi è peggiore. È per questo che ho portato la mia famiglia a Belgrado, dove per quanto brutta, la vita era molto meno pericolosa che a Sarajevo. Quali sono state le maggiori difficoltà? È difficile parlare di maggiori difficoltà. I soldi erano pochi, si cercava di tenere unita la famiglia. Mia nuora era venuta a stare a Belgrado. I suoi genitori vivevano a Sarajevo, dove la situazione era addirittura peggiore. Lei è riuscita a prendere l’ultimo aereo, dopodiché hanno blindato la città, a impedire entrate e uscite c’erano cecchini. Io posso dire di aver avuto vicina tutta la famiglia, ma per lei è stato molto più difficile. Stava spesso con noi, quando non studiava o lavorava, ma la preoccupazione era grande per chi aveva lontano. E queste cose durano tanto, tanti anni, durante i quali sei costantemente in ansia per cosa succederà il giorno dopo. Non riesci a goderti i momenti più ordinari, che capisci essere i più belli, perché vivi in una perenne agitazione. Durante questi anni è nato mio nipote, e non siamo riusciti ad apprezzare il momento come sarebbe stato giusto, perché invece di avere comuni preoccupazioni, la nostra era di scappare nei rifugi quando Belgrado è stata bombardata. La cosa più brutta è che il tempo passa e si vive alla giornata cercando di ricavarne il meno peggio possibile. Ma passano gli anni e quei momenti non tornano più. Questo per me ha avuto un’importanza relativa, ma ha bruciato