Come ti sei fatta bella... ALESSANDRA REDAELLI Scrittrice, giornalista, critico d’arte
Povera Milano, così duramente colpita insieme alla sua regione da questa pandemia che ha messo in ginocchio il mondo. E poi bistrattata, reietta. Non te lo meriti.
cato anche Palazzo Reale con le sue mostre, il Museo del Novecento con la nostra storia artistica più recente, la Pinacoteca di Brera, magari, con la sua pittura antica.
Ma ne uscirai presto. E tornerai al tuo splendore.
E se avanza del tempo – perché no? – anche l’Hangar Bicocca e la Fondazione Prada. Perché l’arte contemporanea non ce l’hanno solo loro. Perché qui noi, nel regno di Miuccia, abbiamo un paio di Damien Hirst, un Jeff Koons e un’opera di Mona Hatoum che meritano; per non parlare dell’architettura di Rem Koolhaas, poi, che fa loro da cornice. E speriamo che qualcuno abbia loro suggerito, tra un salto da Prada e uno da Louis Vuitton, di mettere la testa dentro quel cortiletto, di lato, su via Torino, e di entrare in Santa Maria presso San Satiro. Per rimanere a bocca aperta davanti al capolavoro illusionistico di Bramante. Gratis. Anche senza un sacchetto griffato da portare via.
Ti hanno sempre dipinta come una città fredda, ma la verità è che non lo sei. I tuoi quartieri, i tuoi scorci più autentici, quelli che sono stati risparmiati da quel fenomeno urbano che per certi versi sta rendendo uguali tutte le città del mondo (le stesse catene di ristoranti e di bar, gli stessi negozi di abbigliamento, dalle grandi firme al mass market), offrono angoli di accoglienza e di eccellenza unici, solo tuoi. E lì ancora qualcuno lo trovi che parla la “tua” lingua, e che ti indica il “prestinè” o che ti dice che i “ghisa” sono appena passati, e che se non ti fermi troppo a lungo, un’occhiata alla tua macchina la dà lui. E poi come ti sei fatta bella, Milano. Quando sono nata, la mia zona, quella che ancora oggi resta “mia”, era quasi periferia: si sentiva il treno passare, l’atmosfera di quartiere era tangibile. Ora anche qui sono fiorite le architetture eleganti che ti hanno resa famosa nel mondo. Che hanno cambiato il tuo orizzonte (quello che i più “à la page” chiamano skyline). Ti guardavo dalla terrazza di una baita in alto, sopra Brunate, una domenica subito dopo la fine del lockdown. Il palato solleticato da selvaggina e polenta, i sensi attutiti da un bicchiere di rosso corposo. Fuggita anch’io, insieme ad altri milanesi, dalle tue vie che in quei mesi avevamo vissuto come una prigione. Era una giornata limpida, e a un certo punto, in lontananza, ho visto una selva di grattacieli strani, attorcigliati, piegati come da un vento misterioso. Eri tu, con questa tua nuova faccia così internazionale, così glamour, con i tuoi edifici griffati che arrivano al cielo. Il Duomo non si vedeva più. Quello che una volta era il tuo simbolo si era ridotto a una capannuccia poco più grande di quella in cui aveva trovato rifugio la Sacra Famiglia. La tua Madonnina ora piantonata da questi watussi di cristallo e di cemento. Quella Madonnina che una volta, tanto tempo fa, era stato il limite oltre il quale non si poteva costruire. Mi hai fatto uno strano effetto. L’orgoglio, certo, per questo tuo nuovo volto così elegante e raffinato: la bellezza impeccabile di una modella pronta per entrare in passerella con la sua falcata da pantera. Ma anche un pizzico di nostalgia per quella che eri. Oggi ci sei anche tu, Milano, tra le città più amate dai turisti. Ci stiamo abituando anche noi a vedere le frotte di americani con la faccia rubiconda e i pantaloni fantasia che sciamano per le tue vie. E che magari si sorprendono per la puntualità e l’efficienza dei tuoi mezzi pubblici, visto che l’ultima volta che erano stati in Italia, a Roma, era stata tutta un’altra musica. Ripartono carichi di sacchetti griffati, con gli occhi scintillanti, un po’ stanchi, ma felici. E speriamo che nel loro girovagare abbiano toc30 | Lettera a Milano
Lettera a Milano | 31