LETTER TO MILAN

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Grattacieli strani, contorti, sfidano le leggi gravitazionali. Sono rifugi costosissimi, esibizioni di potere, non adatti alla gente comune.

In lontananza salgono al cielo le costruzioni di CityLife. Ridotta copia dei grattaceli mondiali che spazzano l’atmosfera come i pettini nei capelli.

Qui le distanze sono verticali, irraggiungibili con le scale. Si misurano in piani di ascensore. Milano europea, Milano mondiale. Anche questa nuova Milano vista da terra è una utopia. Una bella scenografia dalle pareti riflettenti il verde e le montagne.

Piccole esibizioni di potere umano guardati dai monti innevati.

Ora passa una sola persona, con una mascherina sul volto… Siamo tutti a casa. Alla sera i condomini sono pieni di luci. Domani non si lavorerà. Covid 19.

«La nonna mi diceva…», trapasso delle esperienze degli anziani, capaci di fronteggiare gli eventi, come risorti, a custodia dei nipoti, dei figli. Bocciato. Frenato. Scomparso. Tutto è denaro, esperienze sorpassate, abitudini differenti. Scienza e tecnica. Geneticamente modificato. Non danno statistiche delle nascite. Quanti nuovi percorreranno l’avventura della vita? Quanti boschi, foreste, animali, acque, campi, si rigenereranno, a dispetto delle distruzioni.

«No non siamo saliti, e poi siamo rimasti bloccati in casa». Strane situazioni, di chi non si muove più. Un piccione cammina, cammina lungo il marciapiede del condominio, unico abitante in cerca di briciole. Balconi milanesi che fioriscono di giallo, osservati, unico sfogo di chi non esce da casa. Balconi che vivono la giornata, immagazzinati di mobiletti, scope, attrezzi, pattumiere e parabole.

Quanta vita, vitalità, voglia di fare è ancora accesa, come un tizzone, entro questa metropoli, unica al mondo, come compressa ma non sopita, come tranquilla ma non dormiente, come imbrigliata entro le case ma sempre reattiva ai richiami solidali. “Milan, col cœur in man…”

Balconi che nella giornata di sole si popolano come le spiagge al mare, e in quelle di pioggia si popolano di visi dietro i vetri. Milano silente, muta. L’operosa Milano trattiene a fatica la irrequeta voglia di fare, di andare, di costruire. Passano giorni. Soli a pregare davanti allo schermo. A credere, senza momentanea eucarestia che la vita c’è, ed è vera. Milano delle ricette inviate, degli inviti a cena virtuali, dei soccorsi impossibilitati a soccorrere. Sirene di autoambulanze, appelli, solitudini, malattie, decessi. Bombardamenti di informazioni che portano alla depressione di un popolo attivo, insuperabile per creatività, ingegno, capacità di risorse proprie. Popolo millenario, vaccinato dalle guerre e dalle pestilenze, dalle carestie e dai cataclismi, popolo che non si arrende all’invisibilità. Milano dei parchi vuoti dove ostinatamente gli alberi fioriscono ancora, gemmano e si rivestono di foglie. Non sono virtuali, non sono alberi finti. Sono ancora popolati da uccellini, insetti, vermi, che non vediamo.

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