LETTER TO MILAN

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Ti do del tu MILO DE ANGELIS Poeta

vetrine cercano di esorcizzare quella nebbia da sempre legata all’immagine invernale della città (anche se ora non la si vede più neppure in periferia). Con me ti sei dimostrata sempre città accogliente, cara Milano, e hanno fatto da collante le grandi feste, il Natale con le sue artistiche luminarie, le fiere, in particolare quella degli Obej Obej in occasione della ricorrenza del patrono sant’Ambrogio, il Carnevale e la sfilata dei carri, tutte occasioni per un giro di svago in centro con gli amici e per bere una cioccolata calda. Insomma, mia cara Milano, con i tuoi ambienti e la tua dinamicità ti sei legata al mio cuore, mi hai dato tanto in termini professionali e relazionali, per cui posso dichiarare che io ho bisogno di te, ma anche tu hai bisogno di me, del mio impegno di cittadino, della mia amicizia. E con questa consapevolezza sarai sempre la mia bella e generosa città adottiva, bella come la Madonnina che tutti ci guarda, ci protegge e ci consola dalla guglia più alta del Duomo.

Ti do del tu, come sempre, e ti parlo come si parla a una donna, una donna amata che ci accompagna da una vita intera, la più fedele di tutte le donne. Di una donna così si ama tutto: i silenzi, i segreti, le ferite, il dolore, tutto ciò che sappiamo di lei e anche quello che non sappiamo con precisione ma che intuiamo per istinto. E tu, Milano, sei una donna piena di ferite e di segreti. La ferita costituisce la tua essenza. Appartieni alla stirpe delle città distrutte, quelle che vengono frantumate in continuazione dalla storia e poi rinascono dalle loro ceneri, portando però un trauma misterioso dentro le sue pietre. Era il 1162 quando Federico Barbarossa ti rase al suolo e da allora le distruzioni si moltiplicarono fino alle bombe del 1943 e a quella di piazza Fontana. Anche il segreto costituisce la tua essenza, corrisponde ai tuoi interni meravigliosi, ai giardini che nascondi gelosa, ai tuoi cortili, al tuo pudore e al tuo piangere, che non è mai esibito ma è trattenuto e velato, avviene sempre dietro le quinte e non conosce il lamento fatto in piazza, come in tutte le creature che abbiamo scelto. Sei avvolta nell’ombra, Milano, e la tua zona d’ombra mi è cara, ancora più della tua anima illuminista. Certo, sei la città del Verri e del Beccaria, la città dell’impegno sociale e civile. Ma sei anche la città della Scapigliatura e della pallida giostra di poeti suicidi, di Delio Tessa e di Alberto Savinio, la città del trauma e della fiaba, la città di Franco Loi, che ancora adesso si aggira di notte nei prati di Città Studi e canta le interminabili partite di calcio e la nostra infinita giovinezza. A proposito di Città Studi, devo dire che è una parte di te a cui anch’io sono legato profondamente e ogni volta che passo dalle parti del Parco Lambro e della sua leggendaria montagnetta, qualcosa mi scuote nell’origine, come se lì e soltanto lì fosse cominciata la vita autentica, come se in quei poveri campetti polverosi fossero incise le linee del nostro nome e del nostro destino. Milano, la tua periferia è un mondo. Non è solo periferia di qualcosa, non è solo periferia rispetto a un centro. Tutto il Novecento ci mostra che la Breda, la Falk, la Marelli, il tuo cuore industriale, non sono meno importanti di piazza della Scala. La tua periferia ha molte forme e molti volti. C’è la tua periferia storica: Baggio, Affori, la Bovisa. C’è la tua periferia sperimentale e legata alle Avanguardie, come QT8 o la Bicocca. C’è una periferia di vasti spazi, come San Leonardo o la Comasina, dove ho ambientato certe scene di solitudine, certe passeggiate silenziose e tossiche. Altre scene di solitudine affollata, piena di luci e di bar avevano bisogno di quartieri gremiti, fitti di voci e negozi. Per esempio via Pacini o viale Monza o le multisale dell’hinterland, i tuoi non luoghi, carichi di presente senza storia, di gesti alienati e seriali, che duemila persone compiono nello stesso spazio e nello stesso giorno. Quando ho cominciato a insegnare nel carcere di Opera, verso la fine degli anni Novanta, ho scoperto una parte di te che avevo sempre sottovalutato, ho scoperto che sei davvero una città d’acqua, come diceva Stendhal tanto tempo fa. Ho visto le tue risaie in via Selvanesco o al Parco Sud, ho passato interi

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