E anche nel contesto della fabbrica si imponevano differenziazioni e gerarchie che mettevano le donne in posizione di subalternità salariale e sociale. Parti delle aristocrazie operaie e del proletariato politicizzato guardavano con difidenza l’ingresso delle donne viste come concorrenti sul posto di lavoro o esseri inferiori. In generale, con tutta l’approssimazione che ne consegue, a fronte di una dinamica economica che tendeva a creare una popolazione salariata omogenea, fatta di individui sradicati dalle classiche collettività familiari e comunitarie per essere inseriti nelle nuove collettività della produzione dove il lavoro femminile equivaleva65 a quello maschile, le differenze di genere (come parallelamente succede con quelle di “razza” ed “etnia”) potevano funzionare da dispositivi gerarchici di stabilizzazione poichè frammentavano la possibile unità d’azione delle classi oppresse. In effetti la ine della guerra e il ritorno dei soldati alle case fu segnato da un forte processo di rilusso66, da una smobilitazione femminile ovunque rapida e brutale e un ritorno alla precedente divisione del lavoro sessualmente differenziato. Si doveva realizzare una rapida reintegrazione degli ex combattenti, traumatizzati dalla lunga e anonima guerra di trincea e spesso desiderosi di ripristinare il vecchio ordine delle cose, garanzia di un pur limitato e microscopico dominio paternalistico familiare.
2.7.1. Le donne di Alba Trentina “Alba Trentina”, sin dagli anni della guerra, racconta una donna chiusa nel suo ruolo familiare, di corredo all’universo maschile di mariti, igli e fratelli, custode del focolare domestico. Lo strazio, l’infelicità e il martirio delle donne trentine, durante la guerra, sta tutto nel loro essere «madri senza igli, senza patria, senza casa»67. Sono donne eroiche a modo loro, degne delle ave/patriote del 1859, ricamatrici di bandiere per Garibaldi, «sempre ugualmente grandi, sempre forti, sempre italiane, senza esaltazioni inutili, senza fremiti ingiustiicati, ma vigili, energiche, intrepide, eroine sempre»68. Oppure queste donne sono “volontarie trentine69” che «con squisito senso di gentile 65
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Equivaleva o addirittura superava quello maschile se un ispettore di fabbrica francese ha potuto scrivere in un rapporto del dopoguerra che, pur di uscire dalle miserie del lavoro domestico, le donne si dimostravano più celeri e capaci dei maschi nei lavori ripetitivi e non qualiicati, cosi fondamentali per l’industria fordista. Cfr. F. theBaud, La Grande Guerra: età della donna o trionfo della differenza sessuale? in g. duBy e M. perrot, Storia delle donne. Il Novecento, a cura di F. Thebaud, ed. Laterza, Bari 1992, p. 78. Ivi, p. 75. nigritella, Palpiti italiani di donne trentine, in “Alba Trentina”, I/4 (1917), p. 153. Ibidem. Sarebbe interessante scoprire quante possano essere state le volontarie trentine considerando che nei tre anni e mezzo di guerra i volontari trentini nell’esercito italiano, cittadini dell’impero, furono più di 800.
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