so gesto rimpiangendo il suo mondo relegato nella Cripta dei Cappuccini. Rossaro guarda questo requiem mostrando una pietà relativa, ponendo a confronto il destino dei regnanti con quello dei popoli, dei vinti con quello dei vincitori, destinati a diventare protagonisti di un’epoca nuova, resa vittoriosa dal sacriico iscritto nella provvidenza che, come per Manzoni, a lungo andare regola gli eventi e i destini delle persone. Fra le tombe di Francesco Ferdinando e di Rodolfo, entrambi ricordati dal sacerdote anche nei “Notturni trentini”20, «dorme inalmente il più sventurato di tutti, Francesco Giuseppe I, sul cui capo si rovesciò tutta la tempesta che doveva abbattere la vecchia stirpe asburgica», glossa in effetti la pagina. «Qui Timo del Leno si fermò immobile e pensoso. Nulla aveva da chiedere, molto aveva da dare: pietà ed oblio! [...] Lì, al cospetto di quelle tombe Timo del Leno fu scosso da un senso di umana indulgenza e davanti alla storia che fece giustizia, chinò il capo e venerò in silenzio»21.
1.2. La formazione cattolica Da questa testimonianza la “conversione” di don Rossaro non appare connessa esplicitamente agli orrori della guerra appena conclusa. L’atto che dovrebbe issare la riappaciicazione si mostra appunto un gesto di «umana indulgenza», nella convinzione di una storia che «fece giustizia»: perlomeno per ciò che il sacerdote ritiene giustizia, come avremo occasione di veriicare. Il monumento dove giacciono gli Asburgo, anche simbolicamente, perpetua il loro oblio nella penombra sotterranea, dove anche la memoria si acquieta in un passato da chiudere, mentre la monumentalità nuova, quella trionfante della vittoria, doveva elevarsi fuori terra, per superare l’individualismo elegiaco e divenire celebrazione collettiva, emblematico messaggio apogeo, anche nella disposizione topograica22. Fabrizio Rasera, cui dobbiamo alcune interessanti osservazioni in merito23, ha cercato di esplicitare questa problematica posizione del sacerdote roveretano, ritenendola un prodotto del tempo e di una storia personale e familiare: quella degli zii garibaldini ad 20
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A. rossaro, Notturni trentini, in “Alba Trentina”, III /78 (1919). Gli undici Notturni, riportati anche nel Canzoniere, sono editi in occasione del terzo anniversario della morte di Cesare Battisti e raccontano in versi elegiaci il travaglio del Trentino sotto il giogo dell’Austria. Nelle composizioni V e VI Rossaro fa appunto riferimento alle tombe degli Asburgo nella cripta dei Cappuccini. Ivi, pp. 36-39. Cfr. I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, a cura di M. Isnenghi, ed. Laterza, Bari 1997, pp. VIII-IX. Si veda anche in Baldo, La memoria della grande guerra cit., p. 7. F. rasera, Il prete della Campana. Per un proilo politico di don Rossaro. in Il treno della pace. Da don Rossaro a Padre Zanotelli. Un percorso storico, a cura del Comitato delle Associazioni per la Pace e i Diritti dell’Uomo, Publiprint, Mori, 1992.
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