1.9. Verso la seconda guerra mondiale Per una storia più personale di Antonio Rossaro dopo il 1924 può essere ancora d’aiuto il citato “Albo storico della Campana dei Caduti”. Si tratta di pagine meno uficiali rispetto ai discorsi e agli scritti pubblici del sacerdote, capaci quindi di proporci il personaggio negli entusiasmi e nelle dificoltà, di fronte alle quali comunque non si arrende. Come ancora riporta Fabrizio Rasera, nelle annotazioni quotidiane si palesano i contrasti, le incertezze, le pene che si accompagnano a un attivismo che non si lascia mai scoraggiare. Per quanto riguarda i rapporti con le autorità cittadine e con l’opinione pubblica, si mostra spesso insofferente nei confronti della fauna di gerarchetti locali e in particolare degli uomini messi a capo del municipio e di un’opinione pubblica cittadina rappresentata come criticona e supericiale, incapace di essere all’altezza delle idee di grande respiro e le cui critiche gli «appaiono come le fatue e improduttive chiacchiere di quelli che chiama i “menarrosti” da caffè»160. L’immagine dell’autore che i due volumi manoscritti ci trasmettono è piuttosto quella di un cavaliere solitario che procede per la sua via a dispetto delle ostilità e delle insidie, come il Parzifal messo in scena a Rovigo161. Questo anche in relazione al clero tradizionale, anche se via via sostanzialmente orientato o quantomeno assai più tiepido verso il fascismo. Se come egli attesta la sua carriera ecclesiastica fu sbarrata a causa dell’eccessiva laicità delle idee, appare evidente che il rapporto con molte personalità della Chiesa non poteva essere stato idilliaco162. «Forse non era uno di quei sacerdoti che stanno eternamente inginocchiati davanti all’altare, ma partecipava sempre con grande amore alle solennità religiose della città e ricordo di averlo trovato molte volte in Biblioteca con il Rosario in mano e l’ho sentito parlare agli ammalati col cuore ed esortarli a fare della loro sofferenza un atto di offerta a Dio», riporta comunque Chiocchetti163. D’altro verso la sua igura di prete non sembra però ininluente, in quanto gli permette di essere un punto di riferimento, un elemento di mediazione all’interno di una comunità asimmetrica e ricca di tensioni. Il prete roveretano diventa infatti carismatico interlocutore di uomini, donne, bambini, umili e potenti. Non sappiamo in verità molto a questo proposito, ma è lecito pensare che il suo cristianesimo e l’insegnamento del suo maestro Murialdo possa aver fatto da paravento all’espressione di una cultura più alta, anche a proposito di un irredentismo che sappiamo soprattutto patrimonio degli studenti e delle classi sociali borghesi. 160 rasera, Il prete della campana cit., p. 25. 161 Cfr. Ibidem. 162 Si veda la pagina riportata nell’Albo storico del 28 dicembre 1939, nella quale Rossaro riferisce di essere stato considerato sempre «una pecorella nera, e dato il suo aperto atteggiamento d’italiano, non fece mai carriera nel mondo ecclesiastico». 163 ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p. 8.
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