POMPEI II - VERSIONE ITALIANO

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FLAVIO RUSSO has becn studying military architecture and military history in genera! for the past thirty years, focusing especia lly on military technology. He writes for severa! national special interest magazines.

In addition to his numerous scientific publications, he is a lso the author of the following volumes:

La difesa costiera del Regno di Napoli dal XVI al XIX secolo, Roma, 1989.

Dai sanniti all'Esercito Italiano: la regione fortificata del Malese, Roma 1991.

La difesa costiera del Regno di Sardegna dal XVI al XIX secolo, Roma 1992.

Festung Europa, 6 giugno 1944, Roma 1994, (co-au thor)

La difesa costiera del Regno di Sicilia dal XVI al XIX secolo, tomo 1 e Il, Roma 1994.

La difesa delegata, Roma I 995.

Ajfustame11to di due pezzi da 16 appartenenti alle artiglierie della frontiera maritti11ia, Capua 1995.

Guerra di Corsa, tomo I e Il, Roma 1996.

La difesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma 1999.

La difesa dell'arco alpino , (co-author) Roma l 999.

Faicchio, fortificazioni sannite e romane, Piedimonte Ma tese 1999.

Trenta secoli di fortificazioni in Campania , Piedi mon te Matese 1999.

Ingegno e paw-a Trema secoli di Fortificazioni in Italia, I, De m, volume Roma 2006.

Parole e Pensieri, coautore, Rivista Militare , Roma 200 I.

Le torri anticorsare vicereali napoletane, Piedimonte 2001.

La difesa costiera dello Stato dei Presidi, Roma 2002.

Tormenta, venti secoli di artiglierie meccaniche, Roma 2002.

Le torri vicereali anticorsare della Costa d'Amalfi, Centro Stud.i di Storia e Cu ltura

Amalfitana, Samo 2002 .

Aspe/li militari della pesca del corallo, Roma 2002.

Faicchio, I 2-13-14-15 Ot1obre 1943. Piedimoate Matese 2003.

L ·artiglieria delle Legioni, Poligrafico deUo Stato, Roma 2004.

79 d. C. Rotta su Pompei. indagine sulla scomparsa di un Ammiraglio, (co-author), Rivista Marittima, Roma 2004.

89 d.C. Assedio a Pompei. La dinamica e le tecnologie belliche della conquista si/lana di Pompei, (co -author), Flavius Edizioni, Pompei 2005.

ll Corallo nel gioiello etnico di Marocco e Algeria, in the series Le vie del Corallo, (co-au thor) , Electa Napoli, Quarto 2005.

Indagine sulle Forche Caudine. Immutabilità dei principi dell 'ane militare, (co-author) Rivista Militare. Roma 2006.

Tormenta Navalia, Rivista Marittima, Roma 2007.

FLAVIO Russo - FERRucc10 Russo

POMPEI!

Rotta verso la Trasformazione

i Contributi Dimenticati

della Tecnolog1·a Navale Romana

Questo volume è stato realizzato per conto della COMPONENTE MARITTIMA DEL COMANDO ALLEATO DI NAPOLI in tiratura limitata e fuori commercio.

Ne sono Autori per la parte relativa al testo ed alle ricerche storiche Flavio Russo; per la parte relativa al progetto grafico, alle ricostruzioni virtuali ed al! 'apparato iconograjìco in generale Ferruccio Russo; per le tavole tecniche ortogonali Gioia Seminario.

Le illustrazioni ed i disegni, quando non diversamente precisato sono degli Autori o della COMPONENTE MARITTIMA DEL COMA ND O ALLEATO DI NAPOLI.

La traduzione è stata curata da Jo Di Martino.

© 2007

Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata

a tutti i marinai, donne e uomini, che hanno operato ed operano nella COMPONENTE MARIITJMA DEL COMANDO ALLEATO DI NAPOLI (ALLIED CC MAR NAPLES) ed alle sue dipendenze sin dalle lontane origini (1953) e con diverse denominazioni (AFMED e NAVSOUTH)

PRESENTAZIONE

La maggior parte degli storici - scriveva il Comandante Alfred Tbayer MA HAN nel 1890 nel libro ' 'L'influenza del Potere Marittimo nella storia.. - non ebbe mai soverchia dimestichezza con le cose marittime.

Ma anche egli trascurava un aspetto fondamentale delle Marine e cioè l'in!luenza che esse hanno sempre esercitato nella evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle conquiste tecnologiche.

E' infatti indubbio che le marine hanno svolto un ruolo primario anche se spesso sottaciuto e dimenticato, nel consolidamento del concetto stesso di progresso.

Questo è pa1ticolarn1ente vero per il Mediterraneo nel cui ambito, sin dall'antichità , si svilupparono i più intensi scambi commerciali e culturali tra i diversi popoli che vi si affacciano, con un'influenza massima sul resto del mondo a quel tempo conosciuto al momento del consolidamento dell'impero romano.

D'altra parte, al pari di tutte le infrastrutture dì scambio anche iI MediteJTaneo fu luogo di razzia e di grassazione, nella fattispecie la pirateria. Paradossalmente, proprio quando la marina da gue1Ta imperiale romana non ebbe più flotte nemiche da contrastare iniziò per lei l'incessante e non meno impegnativo compito di garantire la sicurezza delle rotte mercantili per il contrasto di O!o,'Tii attività e tratftco considerato illegale. Per oltre tre secoli le unità della Flotta Romana, con base principale a Miseno, incrociarono su tutti i mari conosciuti senza interruzione di continuità.

Da Gibilte1Ta al Mar Nero, dal Mar Adriatico al Mar Rosso e Arabico, ogni specchio d'acqua, ebbe assicurata la sua sicurezza grazie ad una continua vigilanza garantita dalla combinazione di un capillare sistema di comunicazione e di avvistamento costiero e dalle caratte1istiche più avanzate di cui godevano le navi di Roma nei confronti di tutte le altre unità mi l itari. L'area in cui quella flotta operava coincide, in buona sostanza, con quella in cui oggi si concentra l'interesse e le att ività dall'Opera.:ione Active Endeavow; che ha quale missione il contrasto della minaccia terroristica nelle acque internazionali del mediterraneo. Analoga coincidenza si osserva tra la sede del comando della flotta Pretoria con quella di Nisida sede del Comando della Componente Marittima delle Forze Alleate.

ln ambito marittimo da sempre, il tennine sicurezza si presta ad una ce1ta ambiguità d'interpretazione potendosi riferire, in tutte le possibil i combinazioni, alla nave ed a.Ile s ue rotte ma anche al modo di preve-

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nire o contrastare le offese nemiche e alla ricerca del modo migliore per minimizzare gli effetti dei risc hi ambientali cui sono esposti i mezzi navali. Questa distinzione e le relative esigenze di salvaguardia sono ben evidenziate dalruso di due termini di satèty e security presenti nella lingua inglese. Ovvio, pertanto, che per soddisfare questa duplice esigenza si siano da sempre sfruttate le più avanzate tecnologie applicandole secondo modalità sempre innovative.

li più recente esempio di stretto legame tra una esigenza di sicurezza da soddisfare, una possibile soluzione tecnologica da adottare ed un modo innovativo di applicarla all'ambiente maiittimo , è rappresentato dal Automatic Identification System. Esso rappresenta l'equivalente marittimo del sistema di identificazione utilizzato dagli aeromobili civili, e da poco obbligatoriamente imbarcato su tutte le navi mercantili di stazza superiore alle 300 tonnella te. Questo sistema ha fatto fare un grosso passo in avanti all'operazione Active Endeavour passato da "Platforrn based" a "Network based". Collegato alla catena GPS (Global Posi t ionìng System - sistema di posizionamento su base satellitare, a copertura globale e continua, gestito dal dipartimento della difesa statunitense), l' AIS fornisce in tempo reale i dati di posizione e gli elementi circa l'identità dell ' unità su cui è installato.

Queste infonnazioni , relative a circa 7000 navi al giorno che si muovono in Mediterraneo, vengono poi analizzate e valutate automaticamente attraverso un sistema esperto definùo come Maritime Safety and Security Information System. I software dell ' MSSIS forniscono in tempo reale a l lanni circa ogni eventuale comportamento sospetto, focalizzando su di essi l'attenzione delle unita aeromarittime NATO . TI sistema quindi agisce, con effetto moltiplicatore sulle capacità di sorveglianza del Comando di Nisida, riproponendo, dopo 2000 anni, su base e l ettronica, il sistema di avvistamento utilizzato dai romani.

A partire da questa applicazione tecnologica inizialmente finalizzata ad esigenze di "safety", l'Oper-azione Active Endeavom ha rappresentato il banco d i prova per realizzare in campo marittimo e nella esecuzione di una operazione reale, quello che nella NATO è definita come la "trasfo1mation" ovvero la capacità di innovare profondamente l'intero processo a partire dal modo con cui Lma operazione viene concepita e realizzata in tutti i suoi aspetti. E quindi. anche circa le modalità di impiego dei mezzi di superficie, subacquei ed aerei. Ciò, senza escludere la stessa organizzazione della Centrale Operativa Marittima del Comando della Componente Marit-tima delle Forze Alleate di Napoli in cui pe r la prima volta, il personale delle "Operazioni" lavora accanto a quello della branca "Jnfonnazioni'' e "Intelligence".

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Dal suo avvio nell'ottobre del 2001 , l'operazione

Active Endeavour ha continuato ad evolversi con progressi sostanziali in tlltti i settori e con un sempre più ampio coinvolgimento di nazioni non-NATO. Oggi coinvolge anche quattro nazi on i partner, Russia, Ucraina, Israele ed Albania. le quali hanno formalmente accertato di fornire supporto all'attività NATO mediante lo scambio di informazioni e/ o con l'apporto di Unità militari di superficie.

In totale, oltre 30 nazioni forniscono dati aggiornati al sistema MSSTS, parte dei quali provenienti da sistemi basati a teITa e parte fomiti da unità di superficie, aeree e subacquee appartenenti a Paesi che si affacciano sull'oceano Pacifico, Atlantico cd Indiano.

Questo secondo volume della serie "Pompei" 1• destinato a raggiungere un altrettanto ampio pubblico internazionale. ci propone con grande efficacia ciò che della tecnologia, i cui sviluppi almeno in parte ancor oggi ci avvaliamo, ebbe origine sulle Unità della flotta romana e soprattutto ben si presta a rappresentare lo sforzo dell'uomo in tutti i tempi per rendere il mare ed il suo utilizzo più sicuro.

11 testo e le immagini tracciano un quadro accurato ed avvincente dj un gran numero di innovazioni tecnologiche scaturite in quel contesto e per quelle finalità

Con grande originalità Flavio e Ferruccio Russo, sollecitando la nostra curiosità su quegli apporti della tecnologia navale almeno in parte dimenticati, li hanno organizzati facendo riferimento ai quattro elementi fondamentali: fuoco, aria, terra ed acqua ai quali gli Antichi attribuivano l'origine dell'universo.

Molti di quegli appotti sono ancora una realtà imprescindibile della nostra quotidianità . Il fenomeno essendo simi le a quanto accaduto per il linguaggio, rende sensato considerare quest'opera una sorta di dizionario etimologico della tecnologia, con i suoi riscontri più significativi preservati dal Vesuvio nel 79 d.C.

Dopo aver letto questo libro sarà più facile per tutti ravvisare nelle esigenze della navigazione uno dei maggiori stimoli al progresso tecnologico. Ma sarebbe grave errore considerarlo limitato al solo scopo della Difesa, essendo in ultima analisi la inderogabile ricerca della Sicurezza, in tutte le sue accezioni, il primario bisogno dell'Umanità.

I- 79 d.C. Rotta su Pompei - indagine sulla scomparsa di un Ammiraglio - dicembre 2006.

Roberto Cesaretti Ammiraglio di Squadra Comanda111e - Componente Afariflima del Comando Alleato Napoli
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PREFAZIONE

Flavio e Ferruccio Russo, dopo i loro ultimi volumi sulla tecnologia militare dell"antichità e sulle vicende della morte di Plinio il Vecchio sul litorale stabiano durante la tragica eruzione del 79 d. C., su alcuni aspetti dei quali abbiamo da tempo collaborato, pubblicano ora, con una splendida veste editoriale e un ricchissimo appartato iconografico, che comprende le puntuali ricostruzioni di Ferruccio Russo, una organica opera sulla tecnologia greca e romana, quale non era mai stata finora neppure tentata in Italia. Infatti. per comprendere quale fosse lo sviluppo tecnologico del l'età classica si era costretti a rivolgersi o a sintetici, e talvolta erronei, lavori realizzati in occasione della Mostra Augustea della Romanità, in epoca fascista, o ad opere di carattere generale, oppure a contributi e volumi vari in francese, inglese e tedesco su specifici aspetti, oppure a recenti sintesi assai sommarie e poco illustrate.

Quale sia l'interesse del pubblico e degli studiosi per tali problematiche è dimostrato dall'interesse e dal successo suscitati da mostre recenti come quella Homofaher presso il Museo Archeologico nazionale di Napoli e quella sulla tecnologia militare romana ad Isernia e Altilia-Sepino, nonché ai recenti Convegni e pubblicazioni in Francia e Germania.

La stessa divisione della materia trattata nei 4 elementi empedoclei dimostra quanto Roma debba alla scienza greca, e che i Romani abbiano per lo più applicato su più vasta scala e con fini diversi principi e acquis izioni già maturati nella Grecia classica ed ellenistica.

Per la prima volta i testi letterari tecnici pervenuti sono messi in stretta relazione con la documentazione archeologica ed iconografica, e ìl campionario dei soggetti esaminati è assai vasto e approfonditamente esaminato.

Le cognizioni e Le realizzazioni tecnologiche dei Greci e dei Romani stupiranno il lettore di questo libro, non tanto perché esse non siano state ormai superate dalla scienza moderna, in continua evoluzione, ma perché in esse egli vedrà le radici della nostra storia e della nostra civiltà.

Il punto di vista di un esperto in vari campi garantisce una chiara e corretta divulgazione, e sono certo che i lettori apprezzeranno questo sforzo nel con-

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tempo di analisi e di sintesi di una materia così vasta e difficile , e finora non sufficientemente indagata, e credo accoglieranno questa opera con lo stesso favore ed entusiasmo col quale io l'ho vista concepire e crescere, l'ho discussa con gli amici Autori, ed ora la presento.

Mario Pagano

Soprimendente per i Beni Archeologici del Molise

Pro.fèssore alle Università del Molise e Suor Orsola di Napoli

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PREFAZIONE

Non posso cominciare a sc1ivere queste poche righe senza dire con chiarezza che mi sono sentito onorato dalla richiesta degli Autori di scriverle; se avrete la pazienza di leggerle fino alla fine, il motivo sarà evidente.

Da alcuni anni sento l'esigenza di parlare agli allievi che frequentano le mie lezioni. di almeno un po' di Storia dell' [ngegneria. Non credo si possa avere una ''cultura tecnica" se si ignora quanto è stato fatto nel campo da coloro che ci hanno preceduto. La cultura, in qualunque campo, consiste nel comprendere e non solo nel saper fare. Dunque credo fennamente sia necessario sapere come nei secoli si è arrivato a comprendere un fenomeno ed a concepire una applicazione di quanto si era compreso; credo poi sia doveroso insegnarlo alle nuove leve di studiosi e trasmettere loro i I gusto per le realizzazioni tecniche del passato.

Ebbene: questo libro risponde magnificamente a questa esigenza

Viviamo in un tempo nel quale si è facilmente portati a credere che la nostra generazione abbia inventato e scoperto quasi tutto, gli Autori ci mostrano che non è così. Allora lasciamoci guidare dagli Autori in questo viaggio particolare. Nel leggere ci stupiremo nell'apprendere quanto fossero geniali gli scienziati / ingegner i/ait igiani di due millenni or sono, e di come avessero brillantemente risolto tanti problemi con i mezzi a loro disposizione. Poi apprenderemo di realizzazioni la cui concezione è di una modernità sorprendente e molti di noi dovranno ricredersi sulle idee che probabi lmente avevano del passato.

Per la mia fo1111azione professionale, dovrei forse dire che ho trovato particolannente interessante la parte che riguarda i meccanismi e le macchine: ma non è stato così : ogni argomento è stato interessante e mi ha stupito. Molto piacevolmente stupito: questa è la espressione esatta; non solo dal punto di vista tecnico-scientifico perché in questo lavoro c'è di più. Non voglio anticipare nulla di quanto leggerete ma desidero citare una frase degli Autori che mi è pa1iicolarmente piaciuta:

l'avanzamento in conclusione non deve immaginarsi per scatti improvvisi di cervelli singolari: non è mai esistito nella storia un unico genio, inventore di tutto, ma una sterminata teoria di artigiani e di ingegneri, di .fìloso.fì e di scienziati. di pe1feziona10ri e di sperimentatori testardi che, non

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fermati dalle innumerevoli sc011fìtte ma esaltati dai rari successi. hanno costruito, giorno dopo giorno la nostra odierna comoda realtà.

E continuano a farlo con il medesimo entusiasmo.

Gli Autori, io credo. parlano anche di se stessi e della loro passione per le loro ricerche; questo è il senso del libro e questo è quello che, in sintesi. occorre trasmettere ai giovani se vogliamo che la loro preparazione sia cultura piuttosto che erudizione.

Uno degli Autori di questo libro è un'ingegnere che mi ha insegnato parecchie cose, una di quelle che mi è piaciuta di più è stata quella che "ingegnere·' deriva da una radice sanscrita che ha il significato di "generare, dar vita"

Non c'è dubbio che questo libro sia un parto degli Autori e nel senso più bello di questo tem1ine: Essi hanno profuso nelle pagine la loro passione ed il loro amore per quello su cui svolgono le loro ricerche e di cui ci raccontano. Anche competenza, certo, su questo non c"è dubbio ma, più ancora, passione ed amore. Allora: giudìcare da un punto di vista tecnico il loro lavoro e presentarlo è relativamente facile, ma farlo per l'altro aspetto è impossibile. Per gli aspetti tecnici e per quanto si può apprendere, il libro ha, immagino, un prezzo di copertina; per le altre cose, gli Autori ci chiedono di accettare questo loro dono

Cesare Rossi

Ordinario di Meccanica Applica/a al/e Macl hine Facoltà dì Ingegneria - Università di Napoli "Federico Il"

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PREMESSA

Nella precedente ricerca, tesa a ricostruire le ultime ore dell 'anuniraglio Plinio il Vecchio, sono affiorate alcune incongruenze nella lettera del nipote. Dalle sue parole, ad esempio , s embrerebbe implicito l"impicgo di telegrafi ottici e, più in generale, di una tecnologia avan z ata ma ignorata dalla coeva pubblici s tica. Non mancano, però, le s ue tracce ed allusioni proprio nelle pagine del grande naturalista, ovviamente rievocate con l'abituale laconicità che i Romani riservavano all'a rgomento. Per loro quasi una so1ia di tabù culturale, come lo è stato per noi fino a non molto tempo fa ogni riferimento alla sessualità , scritto o iconico.

Da tale strnna reticenza ha preso l'avvio questa nuova indagine , tesa ad accertare l'effettivo livello tecnologico vigente all'avvento dell'Impero. Gli ambiti archeologici in ltalia abbondano. eppure nessuno è parso valido allo scopo, ad eccezione di Pompei ed Ercolano , e non per l 'abbondanza dei reperti che ci hanno restituito ma per la modalità della loro perdita. A differenza di qualsiasi altro sito dove ciò che torna alla luce è soltanto ciò che venne abbandonato, o perché ormai rottame o perché ormai giubilato e comunque non senza l'asporta z ione di quanto ancora riciclabi le, ai piedi del Vesuvio riaffiora la quotidianità nella sua interezza.

Da oltre due secoli , le pazienti mani degli scavatori hanno dissepolto una vastissima testimonianza della vita dei Romani, inten-ottasi trag icamente quanto improvvisamente. Un immenso repertorio di utensi l i, di attrezzi, di congegni e di impianti finito , in poche ore, dalla pienezza dell ' uso alla fossilizzazione nelle scorie vulcaniche. Variante umana cd urbana del! 'ing lobamento nell'ambra di tanti in setti o nel ghiaccio di tanti mammife r i Nella fattispecie fossili guida di una tecnologia dimenticata e cancellata

Per evitare il rischio, semp re in agguato per ricerche del genere, di ravvisare realtà tecniche anacronistiche si è ricorso a un triplice vaglio. L'interpretazione di qua lsia s i reperto non è stata considerata probante senza una men z ione, sia pur laconica, nelle fonti e ne l le raffigurazioni Tre l ivelli di riscontri, archeo logico, lettera r io e iconico per non cadere nella fantarchcologia.

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Flavio Russo li Cavallo di Troia, Vaso Funebre, c. 670 a.C., Museo Archeologico di Mykonos, Grecia.

LA SCINTILLA DIVINA

COSTRUZIONE E DISTRUZIONE: TL RUOLO DEL MARE

li Mediterraneo è 1itcnuto il vero catalizzatore della civiltà occidentale e della sua evoluzionetecnologica. La facilitazione che consentì gl'incontri e, soprattutto. agli scontri ne fu il presupposto: un mare ba1iccntrico, sia pure solo parzialmente. ai margini di tre continenti, assurge a loro stradainterna perantonomasia. Una trada priva di salite e di strettoie, di limiti di carico e di usura, di ostacoli e di ban-iere; una strada geometricamente più breve e fisicamente più veloce. Mezzo ideale per gli scambi e i commerci. Ma, per la tessa ragione, altrettanto ideale per le incursioni, per le razzie e. più in generale.per le guerre!· on èaffatto casuale che la nostrapiù antica composizione letteraria, I Jliade, riguardi l'assedio ad una città posta a controllo di uno stretto vitale cd una pletora di potentati marittimi: intuibili le motivazioni, al di là del romantico pretesto! Anche il mitico cavallo di legno, per restare ancora alla guerra di Troia, stando ad Omero, altro non poteva e sere che una coppia di scafi congiunti, una grossa botte formata assemblando due carene e is andole su quattro zampe. All'interno del suo fasciame, in assoluto ilenzio, un temerario equipaggio attese per un'intera giornata il momento opportuno per fuotiuscire nelle tenebre.

Già da queste chelet1iche osservazioni emerge il ruolo tecnologicamente trainante della cultura navale, specie di quella finalizzata alla guerra. Giu tamentc da più autori è tato osservato che:"a livello degli strumenti la guerra sul mare aveva nondimeno delle esigen::eproprie, irriducibili a quelledel combattimento di terra. Di qui alcune conh·addizioni fra l'originalità tecnica delle attività marittime e la loro subordinazione diprincipio alle atlil•ità ten-estri- contraddizioni che emergeranno con clziare:::!a dallo studio delle navi da guerra, delle flotte militarie delle tattichenavali."!) Tn pratica, a conti fatti, dando per scontata detta originalità tecnica se ne deve perconseguenza ravvisareun ruolo trainante in ogni comparto civile, primo fra tutti il militare. ll perché poi di tale preminenza deriva dalla tipologia precipua della guerra navale

Adifferenzadegli scontri sullaterra, infatti, i combattimenti sul mare non furono mai una sommatoria di duelli contemporanei fa schiere di uomini: furono invece scontri fra mezzi contrapposti e fa gli stessi e le forze della natura. Acqua, fuoco, terra e aria entrarono sempre in maniera preponderante in quella epica sfidaumana: bisognavagalleggiare sulla prima, guardarsidal secondo, non perdere di vista la terza e non privarsi mai della quarta!

L'alternativa era, in sostanza, quanto si tentava di infliggere all'antagoni ta, al nemico esoprattutto alle suenavi: affondarle,incendiarleo disperderle, annegandone gli equipaggi! Per ciascuna finalità adeguati mezzi, sempre più complessi e sofisticati, perattuarla o per scongiurarla. La tecnologia si evolse dalla semplice costruzione degli scafi alloro sofisticato armamento,nell'accezioneletteraria del tenrune. Dalla cienza delle costruzioni navaliaquella delledistruzioni sulmare. nelle forme più variegate.

Perquanto 1ipugnante possa sembrare, sin dalla notte deitempi, la vera molla del progresso tecnologico è stata la guerra in ogni sua manifestazione. In particolare più che la dinamica costruttiva ad essa ce11amente connessa, e basti in

I.Alfrcd"\l"obcl.

merito pensare alle flotte, alle strade, alle macchine di tutti i tempi, alle massicce produzioni di equipaggiamenti e strutture. è la dinamica distruttiva che ne ha amplificato vistosamente gli sviluppi e accelerato gli avanzamenti. A voler essere ancora più precisi l'ambito precipuo di gran parte delle innovazione tecnologiche più avanzate èquello connesso con la guerra sul mare. In essa, piùche mai. per conseguire il ucce o, ieri come oggi. sono condizioni necessarie il coraggio e l'abilità ma non sufficienti. dal momento cbe senza un adeguato supporto tecnico non bastano: a conforma il ruolo del radar neJJ'ultimo conflitto.21

Anche in età classica si poteva ce11amente fare a meno dei sistemi di comunicazione a di tanza fra le navi, ma chi ne disponeva godeva di vantaggi straordinari! Si pot va ignorare l'apporto d'una razionale pompa di evacuazione, ma spesso co tava la perdita della nave! Si poteva abbordare il nemico non disponendo di artiglierie elastiche, ma se questo le aveva, avrebbe respinto I.a manovra con gravi perditc!3)

Basilari perilprogresso la muiade di derivazioni che quelle soluzioni inne carono persino in ambiti lontani. Ed è enza dubbio interessante osservare che proprio la vela, al di là del suo impiego nella navigazione, va ritenuta il più arcaico motore primario, la prima macchina che consentì all'uomo di sfruttare una fonte energetica naturale per le sue esigenze. Fonte energetica alla quale, ironia della sorte, con crescente frequenza tiamo attingendo, tentando di alleviare il nostro Ìlnmenso fabbisogno!

Una tecnologia avanzata le cui premesse sono spesso in quella remota navale. Tanto per esemplificare prima che lo ·tretto di Corinto fosse tagliato, intorno al VH ecolo quando Roma era ancora un aggregato di capanne, fu costruito il Diolkos. Si trattava di una pista basolata di circa 7 km, che unjva il mare Ionio con l'Egeo. Due profonde incisioni parallele, in sostanza un binario, correvano per la sua intera lunghezza: in es.e giravano le spesse ruote dei massicci carrelli suiquali si caricavanole navi pertrasferirle da un mare all'altro. Una strada olidis ima, che precorre di quasi quattro secoli le mitiche arterie consolari, ma soprattutto una preme sa che preconizza con quasi due millenni e mezzo d'anticipo la ferrovia!

Per la navigazione e per il suo controllo, quindi, si svilupparono e pe1fezionarono mezzi, stmmenti e congegni che sistematicam nte confluirono dapprima nella tecnologia militare propriamente detta, e successivamente nella civile. A confermarlo la stretta affinità vigente fra le artiglierie elastiche e le costruzioni navali. Paranchi e verricelli, bozzelli e funi 1it011e, arpionismi ed incast1i scorrevoli, sono tutti componenti del repertorio marittimo. competenze dei ma tri d'ascia. Nessuna meraviglia, allora, che molte lanterne a vento riaffiorate a Pompei siano identiche a quella raffigurata sulla Colonna Traiana, sospesa a poppa della nave ammiraglia. Tecnologia militare che ricompare, più o meno metamorfo ata, nei grandi edifici pubblici, nelle industrie imperiali, nelle ville ru tiche e nelle residenze civili.

Volendo approfondire il perché del ruolo traente della guerra e delle distruzioni conseguenti, le ragioni sono molteplici e variegate, tutte però riconducibili a un'unica o ervazione. Se per costruire una qualsiasi opera militare, quale un ponte o una nave, si dispone di risorse e di tempo, per distruggerla, invece, occone farlo rapidamente, con la minima spesa e con il minor nume-

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2. Scorcio dei resti del Diolkos. 3. Veduta dd canale di Corinto.
1 TRODUZlONE
4. Ripresa satellitare dell'area dello !:ilreuo di Corinto.

ro di uomini! Obiettivo in teoria estremamente facile da effettuare ma. in pratica, terribilmente complesso da conseguire persino ai più modesti livelli. Tale comunque da scatenare l'intelligenza. Posta così la questione, e trascurando l'implicito cinismo, non stup isce che il sommo tiibuto alle capacità intellettuali umane, il famosissimo premio Nobel, sia stato istituito dall'inventore della dinamite, reso ricchissimo dai pingui proventi del suo esplosivo ideale per i più svariat i usi, primo fra tutti quello militare. 4 l Né stupisce che la fusione nucleare controllata dell'idrogeno, esito perseguito come traguardo energetico dell'umanità, a livello esplosivo sia già da oltre mezzo secolo impiegata nella bomba H. 5 > Forse è proprio questo ordigno, che più di ogni altro aderisce alla delineata esigenza della massima distruzione nel minimo tempo e con il minimo coinvolgimento, più di ogni altro potrebbe fornire all'umanità un futuro! 6)

Distruggere nelle modalità accennate, perciò, si è sempre confermato la sfida primaria per la mente umana nel!' ambito della sfida spietata che è la guerra. Una sfida nella sfida 7l, di specializzazione nel la specia lizzazione da cui ne è sempre derivata la massima spinta all'evoluzione tecnologica civile e pacifica.

DAL GRECI AJ ROMAM

Posta in questi termini la questione, per delineare una sia pur schematica descrizione dei presupposti storici della tecnologia occorre indagare presso la potenza che più di ogni altra curò l'istituzione militare: Roma. In particolare gli aspetti tecnici meno divulgati, e perciò meno noti, utilizzati dal suo esercito, in ten-a e in mare, in guerra e in pace e, soprattutto, da esso cooptato da ogni compagine con cui entrò in contatto. Pertanto, in coincidenza con l'avvento del!' Impero, la tecnologia militare romana si può, a giusta ragione, reputare la s intesi delle più avanzate nozioni scientifiche e tecnologiche concepite, elaborate e verificate in qualsiasi angolo del bacino del Mediterraneo. Patrimonio culturale destinato a rievocarsi teoricamente e a riproporsi solo larvatamente nel successivo millennio, fio quasi ali 'invenzione della polvere pitica, e che poi sarebbe diventato la premessa per la ripre sa della cultura moderna.

La ragione della precisazione va ravvisata in un precipuo aspetto della mentalità romana, evidenziato in molteplici saggi e pubblicazioni: la sua preclusione alla mera specu lazione intellettuale 8), all'indagine scientifica pura, allo studio sistematico che, invece, caratterizzò quella greca. Si tratta, ovviamente, di sco lastiche generalizza zioni ma che non vanno rigettate del tutto, cogliendo ahneno in questo caso un aspetto essenziale della questione. I Romani, infatti, e di ciò ebbero sempre non solo esatta percezione ma anche un vero compiacimento, evitarono di cimentarsi con problemi astratti e s i concentrarono, in vece, sulla più efficace risoluzione dei concreti, lasciando agli altri la formulazione delle ipotesi e delle regole che poi magari impiegavano. Non ebbero, e forse in questo insiste la spiegazione della loro grandezza, alcuna invidia verso la genialità creativa, peraltro non apprezzata nella sua essenza, al punto da riconoscerla volentier i anche alle menti servili. Non per questo, però, le reputavano meno umili, non vergognandosi di sfrnttame i vantagg iosi apporti, innanzitutto nel settore militare e poi in quello civile.

Di ce1to: ' 'i migliori ingegneri del! 'antichità fì,rono tuttavia i Romani ... [Ma} il Romano rimase sempre, nel! 'animo, wz agricoltore. Non aveva una mentalità scientijir.:a e la maggior parte della sua scienza è greca o ispirata ai Greci. Persino la Roma imperiale mostra la rozzezza e il senso pratico del contadino. I Romani disprezzavano e temevano la scienza pura, che sembrava loro una perdita di tempo [Tuttavia] i Romani si curavano almeno della scienza applicata. Erano mediocri biologi ma attenti osservatori della natura, cattivi matematici ma buoni ingegneri; non dettero alcun importante contributo all'astronomia ma riformarono il calendario.

Pe,jìno nel campo militare i Romani non fecero invenzioni importanti. La scienza era apprezzata solo quando dava risultati concreti e utili allo stato. I Romani non ebbero la pazienza degli scienziati ellenistici. che cercavano di scoprire le leggi della natura: furono invece grandi giuristi e abili politici che promossero le scienze solo in quanto fossero d'aiuto delle funzioni pubbliche". 9)

In poche parole furono degli ottimi ingegneri privi però di ogni preparazione teorica, per cui si limitarono a perfezionare e utilizzare le altrui scoperte e invenzioni, a patto che fossero rispondenti alle loro esigenze del momento. Emblematicamente: "è fuor di dubbio che i Romani ebbero ingegneri migliori dei Greci: però gli ingegneri romani non possedevano una prepara:::.ione scient(fìca, e quel poco di matematica che era necessario ali 'esercizio della loro professione poteva venire applicato nella pratica anche se mancava un 'autentica comprensione

20 l.NTRODUZION E

della teoria. Del resto anche tra gli stessi Greci era molto ridotta la percentuale della popolazione impegnata nella ricerca scientifìca o comunque dotata di una preparazione scientifica e raramente i Gred ~ji-uttarono a .fìni pratici le loro conoscenze scient[/ìche: l'unica ecce::ione era costituita dalle arti belliche "_IO) Volendo esemplificare quanto delineato . a nessun generale romano interessò mai di lasciare una rinomanza storica per la sua genialità tecnica dimostrata in una qualche invenzione, o per la sua capacità speculativa confennata da una qualche costruzione di fondamenta le interesse pubb lico. Anche quando ne avrebbe avuto il pieno merito ed il conseguente diritto. non reputò tale fama neppure lontanamente paragonabile a quella guadagnata sul campo di battaglia, spesso in scaramucce insignificanti. La conferma, se mai ve ne fosse bisogno. la si può cogliere nella notorietà dei singoli comandanti di ogni episodio militare, indipendentemente dalla sua rilevanza o dal suo esito. Per contro l'assoluto anonimato avvolgeva chi progettò e realizzò le superbe strade che favorivano quelle iniziative o i congegni che ne agevolavano i successi, o anche le primitive reti di te letrasmissioni che garantivano la continuità dei rapporti. Silenzio assoluto sui tantissimi arsenali e cantieri navali che approntarono e amrnrono per secoli le flotte da g uerra. Silenzio assoluto persino sui criteri e sui dùigenti della produzione standardizzata delle grandi fabbriche di a1111i in grado di equipaggiare eserciti di diverse dec ine di migliaia di uomini, tanto per menzionare un settore che di sicuro dovette coinvolgere un enorme numero di dipendenti e ingoiò per l'intera durata dell'Impero immense quantità di denaro pubblico. Buio totale nelle fo nti sia letterarie che iconiche d i qualsiasi natura ed a qualsiasi livello.

La tecnica in genera le, e quella militare e nava le in particolare. non suggestionava né coinvo lgeva il pensiero romano, per cui non innescava alcuna emulazione, né forniva alcuno spunto per gli atiisti. Dal momento che serviva andava con-servata, cioè salvata, esattamente come si faceva per i servi, conservati soltanto perché da sfruttare in ogni lavoro, non a caso definito servile. Il d ivario imperante fra libero e scbfavo si manifestava pienamente fra liberale e meccanico, fra scienza e tecnica, fra conoscenza e applicazione. Già, del resto i Greci avevano determinato una rigida separazione fra le due realtà, per cui l'applicazione pratica di una conclusione scientifica, non suscitava alcun disprezzo soltanto quando avveniva sotto forma ludica.l ll Un giocattolo molto complesso e, da l nostro punto di vista, ricco di promesse sfortunatamente tradite: fu ta le, ad esempio, la turbina a vapore di Erone, che non andò ma i oltre la mera curiosità. Con i Romani, pmtroppo, quell'atteggiamento mentale si aggravò ulteriormente saldandosi col suddetto disinteresse scientifico. Logico, allora, che: " .. .per Seneca le invenzioni contemporanee, l'uso dei vetri trasparenti, del calorifero sono tutte opera dei più vili schiavi. di menti esperte, penetranti se vogliamo. ma non certo grandi menti. di menti elevate, come d'altra parte è vile tutto ciò che può ricercare il corpo chino, lo spirito rivolto alla terra. Queste invenzioni sono opera del raziocinio, non dell'intelletto: tutta questa abbondanza d 'invenzioni superflue assoggetta /'anima al corpo. divenuto da schiavo padrone"

Ad una cosi esplicita repulsione non fece mai riscontro u n altrettanto netto rifiuto della tecnica e della tecno l ogia, come accen nato, ma anzi è facile e significativo constatare sistematicamente il contrario. Le ville romane, dotate

5 6 22
J1,rrnODUZION E
5. Lasira ùi vetro provenienti da Ercolano. Misura ca. cm 50 X 40. 6 Idem. Misura ca. cm 40 X 60. 7. Ruderi di villa romana con ipocausro.
.'
2)

dei più sofisticati confort, quali ad esempio i più evoluti sistemi di ri fornimento idrico o di riscaldamento, appartennero spesso a famosi generali o agli imperatori più coinvolti nelle campagne belliche. non di rado ai confini dello sterminato impero. E non certo soltanto per le loro ingenti ricchezze, ma per la loro migliore percezione di quanto tecnologicamente utile era già esistente nelle varie regioni assoggettate. Personaggi con eminenti ruoli istituzionali dai quali sarebbe stato lecito attendersi un'austerità di abitudini e che si mutarono. invece, dapprima in una sorta di collettori tecnologici e poi di esaltatori e divulgatori. Il che non modificò minimamente la viscerale disistima verso gli artefici di quelle invenzioni e la tecnica in generale, di cui peraltro non si sforzarono mai di comprendere, al di là della mera funzionalità, quanto metteva loro a disposizione.

In merito è stato giustamente osservato che la relativa letteratura: "latina rende onestamente riconoscimento all'apporto degli autori delle altre civiltà verso cui è largamente tributaria. Tecnico mediocre. il latino sente il bisogno di appoggiarsi s ugli altri almeno quanto quello di manifestare la propria erudizione Si nota qui subito il carattere del tutto particolare di questa letteratura. Si tratta , più che di una tecnologia propriamente detta, del! 'inserimento di norme tecniche in un 'organizzazione generale". 13)

Un perfetto esempio di quanto delineato si coglie nel X libro del De architectura di Vitruvio, una sorta di trattato enciclopedico sull'architettura romana. In esso il celebre autore, vissuto in età augustea ed a suo dire ingegnere nelle legioni di Cesare, si sofferma a descrivere le macchine di uso corrente in ambito civile e militare. L'enunciazione delle artiglierie elastiche, però, è talmente pedante e al contempo talmente lacunosa ed approssimata circa le loro componenti essenziali, da far motivatamente dubitare sulla sua qualifica professionale. Lacune che, solo accettando quanto esposto, si possono giustificare in un ingegnere militare che per giunta si avvale di tenninì greci per anni impiegate da oltre due secoli nell'esercito romano. Del resto è di certo emblematico constatare che in generale i Romani non fomirono:"a/cun contributo allo sviluppo della tecnologia militare fino autore del De rebus bcllicis (IV secolo d. C.J. Ancora questo autore usa solo termini greci per tutte le macchine belliche". 14 )

24
8 INTRODUZIO:--JE
8. La falciatrice meccanica romana chiamala m//11 1.

9 Ponte romano a tre livelli situato nel sud del la !-'"rancia nel dipartimento del Gard. Alto 111 49 e lungo 275 fa parte dell'acquedotto del Gardon e trasportava 20.000 mc al giorno. Costruito da Marco VepsianoAgrippa sotto

Augusto

I O. Interno dell'acquedotto con dimensioni di m 1,80 di altezza per 1.20 di larghezza con pendenza del lo 0.4 %o.

Giustamente diversi studiosi hanno ravvisato nei Romani gli Americani dell'antichità: discepoli scrupolosi e zelanti nell'applicare le poche nozioni apprese, praticanti so lerti e acuti nel perfezionarle in tutte le possibili applicazioni e, sopratt utto, sufficientemente ricchi per poter tollerare un eccessivo empirismo

Non a caso:"tra i loro grandi uomini, i romani non annoverano nessuno scienziato di fama, così come, per ragioni probabilmente identiche, 11011 ehhero 11ess1.m tecnico di genio ... Essi sanno curare/ 'esecuzione, se non addirittura la r(fìnitura, ma non si perdono in minu::ie e ragionano poco; e i loro successi sono una serie di successi individua/i, da cui 11011 si risale alle vere cause. Dei meccanici di Alessandria essi hanno preso le realizzazioni ma non lo spirito ... ". 15 l Attratti ce11amente dal mondo della scienza, ma non tanto da sobbarcarsi la fatica di un serio e sistematico studio, i Romani si limitarono ad accettare le conclusioni dei Greci. magari quelle più estreme e scarsamente dimostrate, ma senza dubbio le più fascinose per mentalità acritiche e infantili. peraltro, tramite riassunti e prontuari. Le vere difficoltà: "si incontrano quando si cerca di stabilire la portata effettiva del debito contralto dai Romani nei conji·onti dei Greci per quanto riguarda i vari campi della tecnologia enormemente maggiori di quelle in cui ci si imbatte quando si cerca di accertare le linee di trasmissione della scienza teorica dalla Grecia a Roma. T teorici sono intellettuali che mettono per iscritto i loro pensieri. e di conseguenza lasciano tracce inequivocabili dei loro debiti nei confronti di altri: ma agli ingegneri e ai meccanici non interessava minimamente il modo in cui aveva avuto origine, ne/l'uso quotidiano, una tecnica, uno strumento o un utensile. Sappiamo comunque che i Romani ricorrevano di Ji ·equente a tecnici greci per i lavori più complessi. come ad esempio la costruzione di macchine d'assedio o di acquedotti". 16)

Questo almeno nelle fasi d'approccio con una disciplina tecnica, salvo poi portarla ai limiti estremi delle sue potenzialità, una volta verificatane l'efficace rispondenza. Certamente i tecnici greci seppero molto prima dei romani procedere alle levate plano-altimetriche di precisione, indispensabili per la costruzione dei lunghi acquedotti. Ma furono solo i tecnici romani che da un determinato momento in poi li realizzarono sistematicamente in tutto il loro Impero, senza alcuna incertezza e con minimi costi. Ambiguità che può reputarsi anche una delle singolari peculiarità della tecnologia per cui: "è un errore ritenere che, tra i popoli del mondo antico.

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9 1NTR0Dl.JZ10NE

l'abilità nella meccanica. nelle arri e nei mestieri rispecchiassefedelmente le loro capacità intellefluali La storia della tecnologia corrispond<:! in poco o nulla a quei modelli di evolu ::.io11e graduale. di ritardi e di risvegli che siamo abituati a osservare nella storia della cultura dei primordi. del }vfedioevo e del Rinascimento". 11 l Sensato, pertanto, concludere che nonostante i ritardi di apprendimento. la limitata comprensione nei confronti della scienza pura, il disinteresse verso la teoria e per contro la forte propensione allo sfruttamento pratico di procedimenti, strumenti e uten sili, il trasferimento della tecnologia dalla società greca a quella romana avvenne in maniera netta ed ampia grazie soprattutto alresigcnze militari. In definitiva una sorta di osmosi pilotata e mirata da entrambe le parti.

DINAMICA DELLA TEC;I/OLOGIA MtUTARE

Come in precedenza più volte evidenziato, lo stimolo e la finalità primaria per l'evolversi della tecnologia furono di tipo militare e navale. Ovviamente non tutti gli studiosi concordano su questa conclusione, pur ammettendo il molo primario svolto dalla guena in generale e da quella su l mare in particolare. Per essi:"/a tecnica e/ 'ingegneria non ji(J'ono gli unici.fattori che contribuirono allo sviluppo della scienza. né la scien=a fu l'unica fonte della tecnica, a parte le esperienze pratiche. Ambedue i campi sono intimamente connessi con Ie altre attività umane, concorrono al loro progresso e insieme ne rraggono alimento, in un reciproco scambio. Ambedue possono ricevere impulso dalla guerra, ma non bisogna dimenticare che i risultati cosi acquisiti appartengono al ristreffo campo dell'arte militare e che le nuove armi, o altre invenzioni ottenute ad alti costi e con gran dispendio, avrebbero potuto essere.fatte in tempo di pace con molto minor spesa ... ". 18>

11 ragionamento esposto nella citazione, anche a voler ignorare l'invalidante avrebbero potuto esser fatte, assurdo in ambito storico, ba un errore di fondo: supporre che la tecnologia e l'ingegneria abbiano avuto un coinvolgimento con il mondo militare limitato alle sole anni o ai congegni similari. La realtà, invece, è di gran ]unga più ampia e variegata investendo l'intero apparato produttivo, in ogni suo snodo dal momento che l'istituzione militare è una sorta di piccola società completa di tutte le funzioni della maggiore. Volendo esemplificare, anche la comunissima scatoletta di cibo, è un 'invenzione stimolata e sperimentata per disporre in guerra di razioni alimentari a lunga conservazione, facili da trasportare e pronte per l'uso. In quanto tale è la logica evoluzione delle razioni di bordo studiate per le lunghe crociere oceaniche, non altrimenti effettuabili.

Certamente la relativa tecnologia sarebbe, prima o poi, pervenuta ad un identico risultato, indipendentemente dalla esigenza militare, ma fu quest'ultima a precederla come nella quasi tota I ità degli altri casi. li suo ruolo trainante poi diviene preminente, e non potrebbe essere altrimenti, nella elaborazione di nuove armi e delle tante loro strette derivazioni civili. Non a caso infatti:"da quando la scienza esiste, la tecnologia militare è sempre stata una motivazione e un 'applicazione importante. In particolare la meccanica elaborata intorno al Seicento e la meccanica ellenistica appaiono collegate con le principali applicazioni militari delle due epoche, cioè armi da jìwco e catapulte. Nel primo caso la meccanica non può intervenire su/l'energia impressa al proiettile (che dipende da una reazione chimica che sfugge alla scienza quantitativa dell'epoca) e gli scienziati s i concentrano sul moto del proiettile. E· ben noto, injàtti, che la scoperta delle leggi del moto dei gravi fu stimolata in modo essenziale dal problema di determinare le traiettorie dei proiettili. Ali 'epoca delle catapulte, invece, il proiettile è spinto da una forza di natura elastica, che può essere calcolata e mod[fìcata con i metodi scientifici del/ 'epoca. Anche se non è chiaro perché non vi.fosse un interesse a studiare la traiettoria del proiettile (ma siamo certi che non vi fosse?), la lettura delle opere ellenistiche di tecnologia militare dimostra che la meccanica archimedea aveva importanti applicazioni alle armi da getto. La rilevanza della scienza per la tecnologia militare realmente usata è provata non solo dall'efficacia delle armi progettate scientificamente, ma anche dal.fiorire della trattatistica sulla tecnologia militare. Evidentemente le conoscenze elaborate dagli scienziati non potevano essere usate dai costruttori se non attraverso l'uso di trattati specialistici. Nonostante l'evidente riservatezza di tali argomenti, sappiamo di vari trattati, in particolare sulla costruzione di armi da getto (belopoeica) e sulla costruzione di macchine per assedio (poliorcetica) " 19)

I trattati tecnici inerenti alla tecnologia militare, non mancavano nell'antichità classica, come del resto non mancano attualmente ricerche sulla storia della tecnologia militare e civile. Finora sono stati pubblicati tanti testi da poter riempire intere biblioteche: in molti casi si tratta di opere pregevolissime e di assoluta serietà, con interpreta-

28 l.NTRODUZIO\JE

11. Particolare dell'arco di Costantino. Fregio presente sul lato settentrionale. L'arco. costruito per commemorare la vittoria di Costantino su Massen7io a Ponte M ilvio del 28 ottobre 312. l'u inaugurato nel 315 o nel 325.

12. N'avi da guen-a romane in combattimento: forse si tratta della battaglia navale di Azio. I scc. a.C. Collezione privata del Due de Medinaceli, Madrid.

zioni e valutazioni spesso di rilevante spessore. Alcuni di essi, poi, basano le loro deduzioni sulle realizzazioni greco-romane, proprio sulle suddette fonti che integrano e correlano con i reperti iconografici pervenutici a vario titolo, da quel contesto storico. Procedura senza dubbio efficace ma che. purtroppo, deve destreggiarsi fra l'abituale franm1entarietà dei trattati pervenutici, per giunta privi sempre dei grafici esplicativi, e l'oggettiva difficoltà di comprendere le immagini. In me1ito agli scritti va osservalo che: fa gravità della distruzione delle opere ellenistiche è stata spesso nel passato sottovalutata. in base alla ottimistica teoria che quelle sopravvissute.fossero le migliori. Si era pensato che la civiltà classica avesse tramandato alcune operejòndamentali che erano riuscite a includere le conoscenze contenute negli scritti perduti. Purtroppo questa visione ottimistica si è rivelata destituita dijòndamento. I lavori migliori, infèitti. non possono salvarsi grazie a un meccanismo automatico di selezione naturale in presenza di un generale regresso della civiltà La selezione dei posteri ha privilegiato le compilazioni o, in ogni caso, gli scritti che usavano un linguaggio ancora comprensibile nella tarda antichità e nel medioevo, quando la civiltà era regredita al livello prescientijìco ". 20l Quanto ai rilievi dell'epoca, quale che ne sia il tipo, giustamente è stato osservato che: "devono essere considerati con cautela, in quanto vi è un problema tecnico: solitamente queste immagini soffrono l'appiattimento bidimensionale che gli artisti del! 'epoca non sapevano superare e dunque risultano difficilmente dec[frabili. Si pensi, ad esempio, alla questione delle imbarcazioni, delle quali possediamo una grande quantità di raffigurazioni, ma nessuno oggi potrebbe affermare con precisione come erano .fèitte le architetture superiori delle navi antiche; si pensi anche alla groma che, nota attraverso il rilievo fi111ebre di un agrimensore eporediese, non.fu mai compresa nella sua tipologia fino al ritrovamento, avvenuto a Pompei nel I 912, delle parti che la componevano''. 21 >

Le difficoltà d'interpretazione, alle quali si sommano quelle imputabili allo scarso realismo per l'aberrazione prospettica innanzi accennata, sono ulteriormente accentuate dal soggett ivo dimensionamento delle figure; per meglio dire, dalla grandezza convenzionale assegnata alle figure, animate e inanimate, e che è fatta spesso variare nella medesima rappresentazione. Un oggetto, un congegno, un individuo non hanno nel contesto iconografico, quale che sia, un preciso rapporto rigidamente prospettico, né vagamente prospettico, ma le loro dimensioni sono fortemente discrezionali e mutano in base alla rilevanza che, a parere dell'ai1ista, svolgono nell'evento. Una gru, ad esempio. può risultare molto più piccola del carico che sta sollevando se quest'ultimo è costituito da una preziosa opera d'a11e, o da un emblematico elemento costruttivo, o da un dettaglio preminente della scena riprodotta in questione. E, solo per mera aderenza realistica, vengono inseriti alquanti particolati, più o meno completi e più o meno esatti, che per noi, non di rado, costituiscono l'aspetto fondamentale. Ma anche per le loro proporzioni sussiste la medesima convenzione, oscillando in base alla rilevanza che a giudizio dell'esecutore assolvono nel congegno. Rilevanza, sia detto per inciso, che può accrescersi per la loro recente introduzione, per la loro sperimentata efficacia o, persino, per il loro esorbitante costo, criteri comunque non necessariamente riconducibili alla preminenza meccanica che vi possiamo cogliere.

Il 30
lNTRODGZIONE

I 3 Roma. Co lonna Traiana. dettaglio delle macchine collocate davanti a ll e mura di Sarmizegerusa, capitale di Dcccbalo. A tutt'oggiditali macc h ine non è stara individuata alcuna interpretazione.

Una categoria iconica a parte, peraltro molto nutrita e variegata, è quella concernente oggetti e congegni a noi del tutto ignoti. dei quali non siamo in grado di spiegare né la funzione né la finalità . E' questo il caso ad esempio di alcune eccezionali raffigurazioni di unità navali da guerra dotate di un gran numero di enormi torri verosimilmente per artiglierie: difficile coglierne con precisione le precipue caratteristiche, ma emblematica la loro esistenza.

Non di rado questi oggetti non identificati, una sorta di UFO del passato. compaiono su monument i di straordi naria noto1ietà, mai sottratti . neppure per breve tempo, alla vista Volendo anche di ciò fornire un sign ificativo esempio, è il caso di alcune macchine belliche raffigurate su l la Colonna Traiana 22 > di cui non si dispone della benché minima allusione scritta e le cui interpretazioni sono a tutt'oggi assolutamente inefficaci e prive di fondamen to.

Per la verità, talvolta, e per circostanze meramente fortuite, si è giunti alla risoluzione di tali enigmi archeologici, ponendo termine a l mistero: ma nella maggioranza dei casi ciò non é stato possibile e vi sono scarsissime speranze di poterlo fare.

Simi le concettualmente alle immagini indefinibili, anche le tracce enigmatiche, che pervenuteci spesso in gran numero e con caratteristiche sostanzialme nte costanti, non sono state ancora decifrate in maniera soddisfacente. Tali, sempre per esemplificare, i piccoli solchi evidentemente destinati alle ruote dei carri, dei quali alcuni fra i più prec isi si trovano persino a Pompei, da non confondere, però, con le diso rdinate e casuali tracce da usura lascia te sul baso lato . Emblematica la rete d i rotaie siffatte presenti a Malta, fatte risalire al Il millennio a C. ed il cui svi luppo attinge varie centinaia d i chilometri

L E I NCONGRUENZE D EL L' ATTUA LE P UBBLI C IS TI CA

Assodato che serie ricerche sulla tecnologia antica non mancano , sembrerebbe del tutto inutile proporne una ennesima sull'argomento. Inevitabilmente finirebbe per sovrapporv isi e, per ovvia conseguenza, r iproporrebbe osservazion i già esposte. Anche restringendo l'indagine al solo settore militare, già individuato come pilota del! 'intera evoluz ione tecno logica civile. per le ragioni accennate e che verranno esaminate in seguito, i l rischio resta immutato.

Ad inficiare, però. l'obiezione apparentemente sensata, interviene un appo1to dinamico, stranamente ignorato: i tanti e continui rinvenimenti archeologici che restituiscono reperti inusual i, in particolare e per ovvie ragioni ne ll e città di Pompei e di Ercolano . non di rado incompresi o fraintesi e che potrebbero riguardarsi come la variante tridimensiona le delle raffiguraz ioni en igmatiche cui prima s i è accennato. Il loro inc rementarsi per il proliferare degli scavi, se da un lato ha ampliato la quantità di oggetti necessariamente da ricondursi alla quotidianità, dall'a ltro ha moltip licato il già vastissimo ambito di quelli misteriosi. Dal momento che ogni rea l izzazione umana, specie se comp lessa e costosa, deriva da u na s tri ngente razional ità, è innegabile che alle loro spalle vi sia stata una tecnologia a noi del tutto ignota e insospettata. Il che induce, proprio per la rilevanza di ta li rinveniment i, a un approccio più correno, a una interpretazione logica, non essendo più possibile ritener li semp re delle s ingolari ed estemporanee stranezze. E le conclusioni sovvertono, non di rado, risul tati onnai acclarati e scontati, rendendo perciò non solo auspicabile un lavoro del genere ma, persino, necessario. Utile, soprattutto, per l'elaborazione delle sintesi storiche che troppo spesso si confc1mano assurde e inattendibi l i pe r non aver tenuto nel debi to conto gli appo1ti de ll a tecnica.

32
lNTRODUZlO:-.JE

Un contesto cronologico sviluppatosi e protrattosi fra il IV secolo a.C. ed il I d.C., in buona parte coincidente con l'età ellenistica, che fu per questo un periodo ricchissimo di intuizioni e di sofisticate premesse tecnic he, poi svanite nelle tenebre che avvolsero la civiltà dopo la tragi ca disso luzione dell'Jmpero occidentale Ed è per lo meno significativo osservare che, nel corso del Medioevo, fu sempre data per scontata la superiorità assoluta de lla t ecno logia di epoca classica, vera età dell'oro della scienza e de ll a meccanica. I riferimenti fin troppo esp l iciti. sebbene misteriosi, non mancano . Scriveva ad esempio Ruggero Bacone ( 12 14-1294), nella sua Epistola de secretis operibus questo significativo brano:" é possibile costruire macchine per navigare senza rematori così che le grandi navi,jluviali e marine, possano muoversi controllate da un solo uomo più velocemente che sefòssero piene di uomini. Parimenti potrebbero farsi carri non tirati da alcun animale, che procedano con incredibile velocità, come crediamo siano stati i carri falcati con i quali combattevano gli antichi. Si potrebbero poi costruire macchine per volare, nelle quali u.n uomo siede girando un congegno grazie al quale ali art{ficiali battono l'aria, come in un uccello che vola. Inoltre si potrebbero fare strumenti che siano piccoli in sé, ma che siano sufficienti a sollevare e abbassare pesi enormi. la cui utilità è insuperabile

Si potrebbe anche .facilmente realizzare una macchina con la quale un uomo solo può 1rascinare a sé mille uomini contro la loro volontà e attrarre anche altri oggetti. Si potrebbero anche costruire macchine per camminare nel mare. nei Jiumi, scendendo sul fondo senza pericolo per il co,po. Alessandro Magno le usava per vedere i segreti del mare, come racconta l'as1ro11omo Etico. Ques1e cosefurono wstruite e sono state costruite ai nostri tempi. com 'è certo,· tranne per la macchina per volare, che io non ho visto, né ho conosciu -

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14. Foto aerea obliqua dcgl i scavi di Ercolano. 15. Ruggero Bacone.
15 INTRODUZIONE
16. Foto aerea obliqua degli scavi di Pompei.

to chi l'abbia vista; ma c onosco 11110 studioso che ha trovaLO il modo di progertare questo co11geg110" 23l Emblematico il riferimento ad Alessandro Magno. quasi un implicito riconoscimento della cultura ellenistica che, forse, sottintende qualcosa di più. Non può, infatti, essere una co incidenza il riferimento alle immersioni subacquee del mitico sovrano alunno di Aristotele, e l'esatta descrizione lasciataci da quest'ultimo della campana pneumatica usata per scendere sui fondali marini! Di quanti congegni già di impiego corrente in età ellenistica in seguito furono perse, completamente, le tracce? Quante test imonianze della loro effettiva esistenza sopravvissero fino al Medioevo, fornendo spunto agli ingegneri rinasc imentali per macchine del tutto inutili e non spiegabili? Quanto lo stesso Leonardo da Vinci testimoniò di quel passato, che finì confuso come profezia del futuro?

Negli stessi anni, intorno al 1230, Roberto Grossa testa esponeva a sua volta, nel De Iride, quest'altro brano:''/e parti principali [dell 'oLtica] sono tre . .. la terza parte [quella della r(frazione} presso noi [Latini} rimase fìnora totalmente sconosduta. Sappiamo, tutravia , che Aristotele se ne occupò , che per la sua sottigliezw è molto più difjìcile delle ultre e che per la profondità dei fenomeni considerati fu di gran lunga la più mirabile. infatti questa parte dell'ottica, se perjèttameme conosciuw, ci mostra il modo in cui possiamo Jàr apparire vicinissime le cose molto lontane, grandi le cose vicine piccolissime. e grandi a nostro piacere le cose piccole lontane ... " 24 )

Quasi superfluo ogni ulteriore commento dei due brani: a quale stimolo, infatti, vanno ascritti anche volendone minimizzare il contenuto tecnologico? Una vacua esaltazione dell'intero repertorio delle invenzio n i fantastiche o una enigmatica conclusione. dopo la lettura di antichi codici? In un caso o nell'altro ent r ambe le ci tazioni pa1Tebbero , in ultima ana lisi, scattu-ire da un antesignano romanticismo, da un eludere le asprezze del tragico e miserabile presente, rifugiandosi in un mitico passato! Ma potrebbero, a ltresì , costituire l'estremo retaggio di una memoria tecnica svanita definitivamente soltanto dopo l'avvento della rinascita. Un po' quello che accade alla p iccola fiamma di una candela all'accendersi di un faro!

De l resto l'ipotesi è condivi sa, a differenza della conclusione. dal momento che:"una tecnologia in molti casi superiore a quella disponibile medievale era realmente esisrira e l'ammirazione per tale tecnologia si riaccende soprattutto nelle epoche e negli ambienti in cui si recuperano opere classiche: è plausibile che di questa tradizione ri fosse il ricordo di antiche conoscenze. la circostanza che alcuni autori medievali potrebbero aver a1'11to accesso a opere oggi non disponibili accresce l'interesse della loro testimonian=a ma la dif!i1sa contaminazione degli eventuali elementi con base reale c011 elementi di altra natura, spesso magici, ne rende difjì.cile I 'uso". 25 )

• , 17 36
17. Stampa del XVI sec c he raffigura r inunersione di Alessandro Magno in una campana pneumatica. 18. Busto di Aristotele cuswdico al Musco del Louvrc. Parigi.
lt\:T ROD UZTOl'\E
19. Merid iana egiziana di tipo tascab ile .

Quale che sia stata 1'esatta origine del! 'innegabile curiosità , alla stessa sembrano obbedire pure alcuni disegni leonardeschi altrimenti inspiegabili per il loro anacronismo tecnologico. Per quale ragione, ad esempio, se non per la curiosità di verificare graficamente un antico codice, il grande artista si sarebbe impegnato a disegnare baliste e mangani , in uno scorcio storico dominato dai moderni cam10ni di Carlo VIl1? 2 6) Come supporre che la sua speculazione, abitualmente reputata presaga di un futuro remoto, di fronte a quei mostri della più avanzata tecnologia militare si sarebbe trastullata con artiglierie clastiche, di arcaica concezione? Perché escogitare un elemento tanto complesso quale la catena a maglie piane, per una funzione talmente marginale da richiederne poche maglie soltanto , se non per una malcelata emulazione di una soluzione cinematica appena riesumata da un oscuro e remoto passato? Come eseg uire tante minuziose tavole anatomiche essendo vietata la dissezione? Di una almeno sappiamo la fonte, che a sua volta fu forse di seconda mano , provenendo da qualche codice alessandrino: la celebre ta vola relativa al feto nel grembo materno è la riproduzione speculare di un 'identica raffiguraz ione tratta da un manoscritto islamico del XIII secolo! 27 >

L ' accuratezza dei disegni e la precisa assonometria non si conciliano affatto con una elaborazione progettuale e, implicitamente confermano la derivazione da ignoti codici. E sempre nella stessa direzione sembrano condurre pure alcune definizioni di magico, applicate a tecniche , strumenti e congegni sicuramente esistenti nell'antichità classica e persi nell'alto medioevo. Magiche furono le grandi muraglie megalitiche, che per la sbalorditiva enom1ità e l'inusitata preci-

38 I I J ,i, ·I 20
INTRODUZIONE , "": ----- ·-
20. Raffronto fra un codice arabo del XIII sec. (a sinistra) e una pagina tratta da un codice di Leonardo da Vinci (a destra) custodito presso la Royal Library al Windsor Castle.

sione dei conci vennero attribuite a squadre di fate o a schiere di demoni: ma si trattava del faticoso risultato della prima tecnica antisismica della storia!

Magiche furono pure le rozze lenti d'ingrandimento. che i Romani ben conoscevano e coITentemcntc usavano per cauterizzare le ferite o per accendere il fuoco come ricorda acciden talmente Plinio. Fenomeno quest'ultimo che spaventava più di ogni altro i rari possessori di quei cimeli , per non parlare della loro capacità di ingrandire!

Magiche furono ancora le lanterne che proiettavano su di un muro una tenue immagine, grazie a lastre dipinte ed a lenti convesse. Pur essendo già note ai Romani, come attestano alcuni significativi reperti, per tradizione se ne attribuisce l'invenzione sul finire del XV secolo, al solito Leonardo da Vinci. Purtroppo , la riscoperta di quegli antichi manoscritti e la venerazione quasi religiosa di cui furono oggetto, non di rado ne hanno provocato la definitiva scomparsa, insieme alle nozioni in essi contenute e sopravvissute, sia pure in modo latente tino ad allora. li disgraziato evento è facile da ricostruire: quei codici, proprio per il loro intrinseco valore. vennero gelosamente custoditi insieme ai preziosi e ne seguirono la sorte nei ricon-enti saccheggi. Reputati però dalle rozze soldataglie di nessun valore , finirono nei roghi del bottino invendibile o dispersi accidentalmente. Si spiega forse così l'assurdo avvicendarsi fra il miracoloso riapparire dei trattati ellenistici, tradotti e copiati sul finire del XV secolo, e il loro successivo svan ire.

LE INCONGRUE NZE DELLE INTERPRETAZIONI

Un discorso radicalmente diverso, va fatto circa la conservazione dei repe1ti archeologici, connessi a vario titolo alle suddette diment icate tecniche e tecnologie. Tale positivo esito, che nella grande maggioranza dei casi non restituisce che scarsi e malconci frammenti, anche così può considerarsi una sorta di miracolo. Le concause che lo determinano per l'azione distruttrice dell'uomo, sono persino più var iegate e molteplici cli quelle da cui dipende la fossilizzazione. Il che ha finito per operare una selezione alla rovescia: le pa1ti più resistenti e inerti, ovvero quelle meno ingegnose ed evolute, quando prive di evidente valore materiale e non riciclabili, sono sopravvissute e ci sono pervenute magari fortemente alterate. Le più delicate e comp lesse, in vece, si sono dissolte completamente non lasciando alcuna traccia Volendo fare un paragone paleontologico. quanto pervenutoci potrebbe equipararsi a l rin venimento delle ossa più spesse e corte di un enonne scheletro, le meno eloquenti circa le precipue caratteristiche del1'organismo di appa1tenenza. Sono appunto di questa tipologia i famosi UFO del passato i quali, dopo le suddette dispersioni, già deleterie, provocano le ancor più deleterie approssimate identificazioni. Il perché di questa ultima gamma di erTori si spiega agevolmente: molti attuali riconoscimenti risentono dell'apparente somig li anza dei reperti con odierni congegni, per lo più completamente estranei.

La sommaria procedura di identificazione determina, però, arbitrarie definizioni che spesso frustrano i necessari approfondimenti relegando, o per meglio dire, seppellendo con targhe en-ate gli strani oggetti nei depositi museali. Ma fortunatamente non sempre le cose sono andate così; lo testimonia l'esempio che segue: nel 1902 alcuni pescatori di spugne recuperarono a largo dell'isola di Antìkythera, o di Cerigotto, nel mar Egeo, dei corrosi frammenti rnetallici. 28) Alcune ruote dentate che si intravedevano fra le concrezioni , li fecero ritenere i

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2 1 Ritratto su vetro rinvenu to a Pompei.
INTRODUZION E
22. Muraglie in opera poligonale a '-!orba. Latina.

resti ossidati di una sveglia, persa in mare anni addietro. Dopo mezzo secolo, e per un puro caso, il professor Darck de Solla Prince capì trattarsi di una macchina del II-I secolo a.C., che dopo un ventennio di studi interpretò come un calcolatore astronomico meccanico, senza dubbio il congegno più sofisticato e complesso finora ritrovato. Suo tramjte si potevano calcolare i cicli lunari, prevedendo perciò anche le maree. E, ancora una volta, il vertice archetipale della tecnica concerneva un'esigenza nautica!

R ISERVATEZZA E TABÙ

TI settore che più è vittima di difficoltà e vuoti ricognitivi è quello inerente alla tecnologia militare e, per vari ordini di ragioni, sopratt utto di quella navale. Il perché della precisazione insiste sulla totale dissoluzione che gli scafi delle navi da guerra hanno subito nel mare: non avendo a bordo alcun carico, il loro fasciame affondato non ha beneficiato delle protezione passiva! Insignificanti gli apporti derivanti dall'archeologia subacquea in materia. che rende ancora più impenetrabile la congiura del silenzio nel settore. I Romani , infatti , come tutti gli altri popoli dell'antichità, nutrirono al riguardo un meticoloso riserbo, premessa del futuro segreto militare: forse scaturiva dal non vo ler condividere la gloria di una v ittoria con stupide macchine, forse dal non saper le descrivere adeguatamente. Agli scrittori, infarti, difettava la competenza tecnica e ai tecnici quella letteraria: quanto ai lettori , difettando di entrambe, neppure se ne accorgevano. Pertanto si può concludere che la:''te cnolo~ia ha sempre costituito un argomento riservato ... Nei regni ellenistici la riservatezza sui procedimenti tecnologici era.fàvorita dal controllo sulle principali produzioni esercitato dai sovrani e, nei casi del! '/;,gitto e della Mesopotamia. dal/ ·antica tradizione del controllo esercitato dalla casta sacerdotale sulle produzioni riservate ai tem-

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23 Frammenti del verricello dello scorp ione rinvenuto a Cremona. 24. Frammento del calcolatore di Antikyihera.
l:'-JTRODUZIONE o5 10 20 centimetri
25. Ricostruzione del verricello dello scorpione di Cremona.

pii: 1111 sistema lasciato sopravrivere dai Tolomei 11ei co11/i·o111i delle industrie indigene. ma affiancato da sistemi diversi di conLroLlo nelle comunità greche. Non è quindi sorprendente che non si sappia quasi nulla, per esempio. sulla tecnica delle.fornaci o della tessitura o sui procedimenti usati per la produzione di profumi o di particolari qualità di vetro. ln questa situa::ione non possiamo ritenere che Tlltfa la tecnologia ellenistica rilevante sia documentata ne/Le poche fonti rimasteci".29>

Va. a questo punto. chiarita quella che può sembrare una palese contraddizione: come si concilierebbe la suddetta riservatezza, quando non vera e propria segretezza, con la redazione e la diJTusione. in discreto numero di copie. dei trattati specialistici in precedenza più volte ricordati? Se nelle loro righe viene spiegata con dovizia di particolari e di dettagli e soprattutto, con una meticolosa attenzione al dimensionamento esatto dei componenti, presupposto del loro ottimale funzionamento, come suppoITe proprio a carico degli stessi un geloso silenzio?

La 1isposta è ben nota a chiunque si sia cimentato con lo s t udio o la traduzione di tali remote fonti che, giova ripeter lo, ci sono pervenute per lo più muti le e gravemente frammentate . I rispettivi autori, pur non evitando affatto spiegazioni pro Iisse, vaname nte saccenti e, a volte, persino oziose, omettono invece basilari dettagli. In pratica non forniscono i dati esecutivi di alcune componenti essenziali, senza delle qua l i l'arma non può in a lcun modo funzionare. Vitruvio, ad esempio, nel suo leggenda1io X Libro, trattando della costruzione delle baliste e delle catapu lte, si perde in pedanti tabelle di conversione, in meticolose proporzioni relative al dimensionamento del basamento ma nulla prescrive circa il dispositivo d i scatto e il congegno di caricamento. senza dei quali era assurdo cimentarsi nel lavoro. Sappiamo perciò il numero di rego li occorrenti per l'affusto le loro esatte lunghezza, larghezza e spessore, il tipo di incastro d'adottare, dettagli non solo marginali ma anche inilevanti e ininfluenti su l funzionamento! Non abbiamo per contro la benché minima idea sulla soluzione adottata per mettere in tensione le matasse elastiche tramite la corda arciera, né di come venisse liberata al l 'istante del tiro. Essendo ridicolo presumere al riguardo

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26. Raffigurazione dei componenti metallici della cheiroballistra di Erone tratti dal ms. M-Codex Parisinius illler s11pplu111e11ta Greca 607 (foll. 56R-58V). Bibliod1èque Nationale. Paris.
INTRODUZIONE
27. Barra d'accoppiamento superiore di una catapulta paliutona rinvenuta nella provincia di Gomca. Romania. Museo Cluj.

28. Ved uta di una de lle porte della ricostruzione del campo legionario di Saalburg. Gennania

29. Illu s tra7ione tratta da un c odice medie vale ranigurnnle uno scontro navale con utiliZ7 0 del lanc iafiamme.

una dimenticanza, peraltro stranamente analoga pure in Filone di Bisan z io e in Bitone, bisogna concludere che tali informazioni fossero notificate esclus ivamente. e in maniera riservata, ai soli addetti alle fasi avan zate del montaggio, magari oralmente e s otto un rigidissimo vincolo del silenzio. Probabili, in ta l caso. due fasi lavorative ben distinte , e forse anche distanti. di cui la prima relativa all'approntamento delle componenti struttura li, in sostanza carpenteria , la seconda relativa ai gruppi motopropulsori di siffatte anni. congegni da non divulgare. Simile, peraltro, la nostra ignoranza anche nella propulsione nava le: non sappiamo , infatti, né alcun autore si è mai dilungato al riguardo, cosa intendessero per nav i quinqueremi, esaremi o po l iremi!

L'apice in materi a di segretezza si attingerà, e le fonti non mancano di sotto linearlo, con il cosiddetto fuoco marino. terribile miscela incendiaria. impiegata pe r almeno orto secoli dalle navi da guerra biza n tine Del piroforo non si conosce nemmeno quanto basta per poterne ve ri ficare l'esatta composi z ione: infrange re quel segreto strategico comportava la mo11e. Possibile, invece, eludere il divieto , anche per motivi d'ordine produttivo, camuffando la ricetta , infarcendola di componenti superflui e deleteri, in grado di inibi re o lim itare fortemente l'esatta reazione. E' assurdo, infatti, credere che quanti avessero dimestiche z za con quei micidiali miscugli, po tessero seriamente credere che fosse determinante la presenza di intrugli alchemici quali , tanto per 1icordarne alcuni, la coda di rospo o il sangue di drago!

Anche questo secondo sistema di segretezza. ovviamente con i debiti adattamenti, sembra aver trovato applicazione nei trattati costruttivi delle antiche macchine da guerra e artiglierie La sua percezione non appare immediata, ovvero di tipo preventivo, ma a posteriori , di tipo conclusivo. ln altre paro le si comprende a co se fatte, quando i ri s ultati deludenti lasciano intuire delle deficienze attuative. Nel testo, infatti, erano aggiunte componenti meccaniche inutili o appena sproporzionate, sebbene apparentemente co ngrue e corrette. A1 momento della verifica funzionale, la macchina non rispondeva alle aspettative fornendo prestazioni scarse e per giunta irrimediab ili. Ne conseguiva, ne l migliore de i casi, un vergognoso discredito del costruttore, sufficiente a far lo desistere dal riprovarci per l'intera es istenza!

LE PROT ES I T ECN OLOG I C H E

A coinvolgere a ttivamente l'is tituzione militare nel progresso della tecnologia contribuivano , notevolmente. due sue peculiari caratteristiche. La prima potrebbe definirsi di tipo specu lativo, essendo i corpi tecnici de ll e legioni a prendere contatto con tutte le innovazioni, nelle quali si imbattevano durante le campagne di conquista La seconda di tipo adeguat ivo, essendo proprio quelle stesse compagini a realizzare le infrastrutture delle di verse grandi bas i che suppo1iavano l'avanzamento delle conquiste.

La prassi, comunque, è scarsamente ricordata in modo esplicita: in nessun trattato militare, ad esempio, viene descritto il p rocedimento adottato dalle officine legionarie per

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JJ\:TR0DUZ10J\E

30. Alcilia, Campobasso. R1costm?ione di scorpione romano basata sul reperto rinvenuto ad AmpuriasinSpagna.

32. Frammento di mauone con impresso il nome della legione chelo produsse.

produrre tubature di piombo o valvole di bronzo, mattoni o tegole. Né, peraltro, si ricorda in alcuna maniera che fì.l quello un impegno prima rio delle legioni, in ogni angolo dell'Impero. Solo grazie alla presenza dei rispettivi marchi cd emblemi legiona1i. impressi su ogni singolo manufatto, se ne è acq uisita contezza.

E con lei il dato più significativo di una cospicua e variegata produzione militare - industriale di avanzata tecnologia del tutto estranea al combattimento o per lo meno apparentemente tale, dal momento che essendo la guerra uno sforzo totalizzante e condotto ai limiti delle potenzialità, un qua lsiasi appo,to contribuiva al successo

Occorrevano braccia di forza prodigiosa per scagliare più lontano lance più lunghe e pesanti di quelle nemiche, gambe agilissime e instancabili per correre più velocemente e p iù a lungo di quelle de l nemico. e per raggiungerlo e per fuggirlo. E ancora servivano orecchie in grado di percepire il mi11imo bisbiglio alla massima distanza. occhi tan to acuti da scorgere al limite dell'orizzonte e voce tanto poderosa da sovrastare il clamore della mischia. ln pratica, non potenJosi mutare la fisiologia del guerriero, occorrevano adeguate protesi, ciascuna delle quali idonea a frustrare quelle limitazioni, in maniera progressivamente mig l iore. Carri, artiglierie, mani di feno, sistemi di segnalazione, ma pure accampamenti confortevoli, ospedali razionali, porti sicuri ed ancora strade, acquedotti, imbarcazioni e gru costituirono soltanto alcune delle più vistose tappe di tale spasmodico ed incessante sforzo militare, mirante a superare I 'avversa1io.

La rincorsa tecnologica fu così innescata e ai robusti guerrieri si affianca rono i pensosi tecnici che, copiando la natura, carpendone i segreti fisici, osservandone i fenomeni fornivano le suddette protesi, macchine più o meno complesse destinate ad infrangere le limitazioni natura l i. Nate per lo più per esaltare le potenzialità distruttive, rapidamente, dopo l'iniziale debutto e le successive migliorie, finirono per esaltare soprattutto le potenzialità produttive. Ideali, in ultima analisi. per attenuare la fatica brutale, per neutralizzare le barriere fisiche, per aumentare le risorse: in breve per rendere meno sofferta e preca1ia l'esistenza.

Le protesi nate per la guerra divennero presto non so l o comodissime ma anche indispensabili per mantenere la pace, per il benessere e per la civi ltà. L'ingegneria militare che stava alle loro spalle si ritagliò così un ruolo duplice. ma sempre fondamentale nella vicenda umana. Sarà senza dubbio il suo coinvolgimento che condurrà alla bomba atomica, ma sarà anche il suo coinvolgimento che eliminerà la schiavitù e la fame. almeno laddove vige.

Delle soluzioni tecnologiche archetipal i alle spalle di molte delle attuali, la ricerca che segue fornisce un quadro inedito, pur essendo condo tta in un ambito per lo piu noto sebbene sistematicamente frainteso e margina l izzato. Vo lendo a sua volta evitare suggestioni da fuorvianti somiglianze, estremamente de leterie per le sintesi storiche, si avvale di verifiche simulate al calcolatore. Le macchine. i congegni e gli strumenti che compaio n o, perciò, sicuramente esistettero e funzionarono a lungo, ragione non ultima della mancanza di loro esplicite tracce. Un doppio vaglio, qu indi, tra fonti e verifiche, tra reperti e macchine, tra ricostruzioni e funzionalità, non di rado concluse con un riscontro concreto mediante modelli in grandezza naturale concezione precipua del l 'arcbeologia sperimentale.

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lNTRODUZlONE

UN MINIMO DI CH I AREZZA: SCOPERTE ED INVENZIO~I

Giustamente è stato osse1vato che: /a storia della conquista della natura da parte de/1·uomo è la storia delle sue scoperte e invenzioni più che delle sue a::ioni politiche. La sua conoscenza della natura e la sua.fìlosojìa della vita ne hanno determinata la prassi. Progredendo nella conoscen::a di quel che oggi chiamiamo scienza applicma, egli rafforzava il suo dominio sulla natura. ili nessun campo dell 'alfività umana possiamo, con maggior proprietà parlare di evoluzione. Nel mondo dello spirito idee e dogmi sono sorti e tramontati. ma la conquista umana della natura è stata ascesa coslante".30J

A voler essere pignoli è proprio nello sfruttamento delle risorse della natura, piuttosto che nel suo dominio, utopico traguardo, risoltosi spesso in catastrofi, la vera ragione della conflitrualità in ogni epoca. Quando le fonti energetiche non erano conosciute. fu l'esigenza di braccia servili a muovere la cupidigia e prima ancora, la fertilità spontanea dei ten-eni a incentivare le conquiste. In un caso e nell'altro aggredire e resistere innescarono l'esigenza di armi e fortificazioni, e i suggerimenti si colsero proprio nella circostante natura. dai denti dei grossi carnivori, al carapace delle testuggini.3 1) Il processo, apparentemente scontato e rapido, in realtà fu estremamente complesso e duraturo, poiché anche:"i/ più semplice strumento,fatto con un ramo spezzato o una pietra scheggiata, è i/frutto di una lunga esperienza, di prove e d'errori, d'impressioni osservate. ricordate e confrontate.L'abilità perfarlo è stata acquistata mediante osservazione, ricordo ed esperimento. Può sembrare un 'esagerazione, ma è tuttavia vero che ogni sh-umento è un concretizzarsi di scienza. Perché è un 'applicazione pratica di esperienze ricordate, confrontate e raccolte, dello stesso genere di quelle che sono sistemate e riassunte nelle formule, descrizioni e regole scientifì-che".32 )

Si originavano così le invenzioni il cui continuo moltiplicarsi e costante diversificarsi fonnarono l'archivio culturale della tecnologia, presupposto di base per la sua evoluzione. Pe1tanto:· 'ogni scoperta e invenzione, ogni osservazione ed esperimento aggiungeva qualcosa al complesso del sapere. Un dato o u11a tecnica possono rimanere inutilizzati per anni e sembrare dimenticati, ma il loro ricordo rimane efà parte della sempre crescente eredità sociale" .33)

Sempre più spesso i già labili confini tra scoperta ed invenzione, tra creazione ed ideazione, tendono nella nostra odierna realtà a confondersi, a dissolversi l'uno nell'altro dando origine a qualcosa di indistinto e di ibrido. Sappiamo tutti, perfettamente, che scoprire significa letteralmente sollevare il velo che nasconde un qualcosa alt1imenti evidente nella sua concreta rea ltà . Accezione che, in maniera figmata, s uggerisce le prees istenza dell'oggetto, sia pure in man iera mimetica. Discorso antitetico a quello del! 'invenzione da invenio che, invece, definisce il trovare con l'ingegno quindi l'ideare, il generare quasi, i l dare a lla luce qualcosa fino a quel momento inesistente, sia in modo esplicito che implicito.

Tuttavia non si può negare che nel verbo inventare sussiste anche il senso di ritrovare, cioè di riconoscere qualcosa che, magari parzialmente, esiste in diverse realtà separate e distinte. L'invenzione, pertanto, sarebbe una s01ta di identikit, composto con pezzi reali e concreti, fino ad asswnere una autonoma identità. Ben diverso il caso della creazione che implica il formare dal nulla, sia in senso materiale che spiritua le, aspetto quest'ultimo simile alla elaborazione de li 'ingegno, almeno secondo il nostro standard. Per g]j antichi, invece, tale affinità non esisteva affatto: ingegno derivava certamente dal vocabolo genio, questo a sua volta da una radice che ancora è evidente in italiano; é la medesima del verbo generare o dei vocaboli origine, genealogia, genitale, ginecologia, ecc., tutti in qualche modo attinenti alla nascita fisica: de1ivano, infatti, dal sanscrito gene= partorire, mettere al mondo, dare alla vita un esser che non esiste sino a quel momento!34)

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lNTRODL'ZJONE
32. Statua della panoriente.

33 ( a, allo d, I ro1a in un bassorilic, o di Gandhara.

34. William-Adnlphc Rougucreau (1825-19051 H omer 1.md /,i, Guide I 874

E qui alla fine i tennini assumono la loro esarta distinzione. poiché se tecnica è a1te spinta ai limiti delle capacità manuali e protessionali. ingegneria è capacità speculati\ a. spinta al limite della creazione del nuovo. In entrambi i casi non si tratta di scienza pura ma della sua applicazione. In definitiva. è elaboraLione di conoscenze empiriche e deduttive. finalizzate o comunque utilizzate per la costruire realtà diverse e diversamente utili e proprio perciò lontanissime dalla purezza delle scienza.

MECCA ~ l CA I:: MACC lll ~E

Forse fu questa pregnante diversità che impedì. dapprima agli antichi Greci quindi ai Romani e poi ai l oro epigoni, fin quasi ai nostri giorn i, di apprezzare in pieno l'apporto dei tecnici superando ideologici disprezzi. ll preconcetto dispregia tivo con cui fu riguardata l'ingegneria, infatti, dipese daJJ'equipararc il lavoro manuale, quale che ne fosse la tipologia e la finalità. a una prestazione meramente muscolare, quindi socialmente servile. Disprezzo che ancora si manifesta nella diversa stima per il camice bianco e la tuta blu, indipendentemente dal ruolo di chi !"indossa.

Circa la meccanica è facile rintracciarne l'etimologia nel tem1ine greco mècha11é = strumento per.fare o compiere. Ma pure in questo caso la radice più antica è quella sanscrita mahate - accrescere. rendere grande, da cui anche mag' man maestà, grande=:::a. jòrza. ln altre parole un 'entità artificiale e innaturale, capace d'incrementare vistosamente la forza, la produzione, la crescita. Concetto che, per grandi linee. si attaglia perfettamente alle famose protesi. quindi alle macchine ed alla nostra meccanica in generale. Più dettagliatamentc:"prima che la mèchané intesa come disciplina che spiega le norme che determinano il.funzionamento 111ecca11ico di certi disposith·i divenga oggetto di studio. con questo termine si indicano pre,•alentemente asfli=ie e stratagemmi messi in atto per portare a buon jìne un ·a:::ione. comprese quelle in cui l'uomo ricorre alla costruzione di qualcosa o all'uso di oggetti quotidiani per conseguire deter111inati scopt'. 35) Significativamente per a lcuni autori va considerato quale vero:"111ani/es10 della tecnica costruLtiva di questo periodo l'episodio del grande cawdlo di legno che consente ai Greci di porre fine alla guerra di Troia ... E· in rela=ione di quesri techìtai che il vocabolo mèchané ·scende sulla terra· e entra nel linguaggio ad indicare l'espediente. l'azione ingegnosa e sorprendente nel suo esirofìnale. Sono questi i personaggi dotati di que/1 'astu:::ia che i Greci de.fìnisco110 métis. la facoltà di escogitare mcchanaì con cui volgere a proprio vantaggio sirua:::ioni critiche. Tutti i sig11(/ìcati positivi e negativi del termine sono già presenti nei resti 0111erici: per trasporrare il cavallo dentro la città 1·e11gono applicale delle ruote , ofio le :::ampe e il collo riene cinto da.fùni per il traino. la gigantesca cos1ru:::io11e racchiude in sé tutti i contenuti della meccanica nascente: l'assemblaggio ragionaro dei pe::::::i. la macchina. la l''IJ.an; intesa come f 'astu-:::.ia che permerte ai Greci di entrare Diversi ,eco/i più rardi, conservando tutti i significati del termine greco. il gigamesco disposiril o sarà definito machina anche dai Latini "36> Del resto ancora oggi tale accezione si coglie nel verbo italiano macchinare e più ancora in macchincdone tcnni ne che definisce un inganno, un 'astuzia, un tradimento.

33 32
Tt\. TROD L LIOt\. E

35 L·lmpe ro Ro mano a l la sua mas s ima e spansione.

36. Ottaviano Augusto

Parlare perciò di tecnologia meccanica non può ridursi al mero ambito che nel!'immaginario collettivo pullula di rotismi dentati , catene cinematiche. leve , pulegge, cinghie e ferraglie variegate! Significa, invece, allargare l'indagine alle macchine elaborate dall'ingegno, ovvero ai congegni che in un determinato arco storico comparvero, si perfezionarono e si usarono per accrescere la produzione , per aumentare le risorse, per alleviare la fatica. Scopo raggiunto impiegando energie esterne naturali o razionalizzando lo sfruttamento di quelle muscolari, avvalendosi certamente di ruote dentate e catene cinematiche, ma anche di strumentazioni delicate e precise. di attrezzature sofisticate e complesse e di studi assidui e approfonditi.

Tornando ali 'ambito della ricerca e tenendo conto della sua limitazione al contesto romano, l'intervallo cronologico preso in esame spazia fra il l s ecolo a.C. ed il llI d. C. Tn pratica coincide con la fase espansi va del l'età imperiale , caratterizzata dal lungo periodo di stabilità militare. politica ed economica successivo alla mo1te di Augusto. li perché della scelta dell ' intervallo deriva da una serie di concause agevolanti , fra le quali l'abbondanza delle fonti e dei reperti archeologici. Proprio in merito a quest'ultimi è stata assolutamente determinante e preminente l'immensa mole di oggetti, strutture, raffigurazioni e procedure di cui il Vesuvio in una lontana giornata estiva del 79 d.C. si appropriò violentemente e in poche ore, restituendoceli diciassette secoli dopo. Una sorta di tragico fotofìnish di Pompei, Ercolano e Stabia nella pienezza della loro vita quotidiana, e nella ricchezza delle loro risorse materiali e tecnologiche . Opportunità del tutto priva di analogie nel corso della storia e, pertanto, basilare per indagini del genere. Basterebbe da sola per il materiale della ricerca, se non fosse che in quello stesso scorcio storico , alcune migliaia di chilometri più a nord, la realtà de ll'Impero implicava sussidi tecnici, poderosi, variegati e tipicamente militari.

Una estrinsecazione anch'essa della tecnologia romana di epoca imperiale, ma del tutto diversa: a testimoniarla i tanti bassorilievi celebrativi, le tante fortificazioni con i relativi armamenti. Una quantità di indicazioni e di reperti che due millenni di vandaliche devastazioni, di distruzioni e di degrado non sono riusciti a cancellare del tutto. Affiorano così dai vari angoli degli estesissimi limites , armi, oggetti e strumenti più o meno noti , più o meno riconoscibili, più o meno chfari: molti altri però sfuggono comp letamente alle nostre indagini tecniche.

Per i Greci tèchné definiva qualsiasi arte, intesa però non come espressione della sensibilità creativa quale noi oggi la intendiamo, ma come semplice capacità professionale o mera abilità di mestiere, accezione ana loga a quella di artigiano o tecnico. Anche in questo caso, a voler rimontare più indietro, troviamo che la radice tak, in sanscrito tak-s aveva il significato generico di fare, jàbbricare, produrre, costruire. voce di cui si trova una estrema traccia nel vocabolo architetto. dove archi, sta per arei , superiore o primario , e tetto per costruttore o tecnico: alla lettera un più assonante arcitecnico.

Posta così la questione la tecnologia altro non è se non la scienza che studia tutte le abilità professionali, tutte le capacità artigiane , tutte le potenzia1ità di mestiere; in ultima analisi

35 54
l'.'ITRODUZ IONE

3 7 Ales sandro 'vl agno 38. L'Imp e ro rnnqu i~t a to da Ale ss andro Magn o a ll a sua mass ima es pa ns ione

potrebbe definirsi la sommatoria di tutte le competenze alle spalle della produzione ottimale Patrimonio culturale che a s ua volta trae origine dalla prolungata ripetitività e affinamento precipui del lavoro artigiano. li tecni c o tù perci ò I" artefice che producendo sistematicamente un dctenninato bene . lo rese sempre migliore , più duraturo e progressivamente meno costo s o. Che a ben guardare significa r iduzione dei tempi di reali z zazione e dei quantitati v i dei materiali impiegati, cardini della rivoluzione industriale.

CRON OL OG IA REL ATJ VA

Come appena accennato la ve loci tà di avanzamento della evoluzione tecnologica non fu costante, né meno che mai si trattò di un processo monotòno , ravvisandosi alquanti scatti improvvisi , intervallati da lunghi periodi di s tasi , s e non addirittura di regresso . Anche sommarie correlaz ioni con la cronologia storica evidenziano il ruo lo catalizza tore, spesso persino propulsore , giocato dagli e venti bellici in qualunque epoca. Emblematica l'esperienza del secondo conflitto mondiale. quinquennio iniziato con i biplani di vimini e tela e concluso con gli aerei a reaz ione, scandito dalle fiammate delle bombe e chiuso dal lampo nucleare. Balzo che co n ferma quanto delineato, ma che per il passato è molto meno facile da riscontrarsi. La lontananza temporale , infatti. ha compresso le tappe, dissolvendone i picchi fondamentali e finendo perciò per mimetizzarle nel tradizionale progresso.

Di queste, senza alcun dubbio, quella manifestata s i in con seguenza dell'impresa di Alessandro Magno, va conside rata una delle maggiori e, nonostante la sua effimera durata, fu di gran lunga la più gravida di apporti. Un vivido bagliore

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I NTRODU ZIO NE

39. Il mondo secondo Eratostene.

esauritosi nell'arco di pochi decenni, sul finire del IV secolo a.C., ma il cui riflesso rimase per diversi secoli, non a caso definiti dalla storia come età ellenistica. 11 perché di tale fenomeno deve esse relazionato alla genesi stessa della sua nascita ovvero all'epica impresa del Macedone e alla sua concezione culturale. Non a caso già nel corso del regno paterno era stato dato un grande spaL:io allo studio delle discipline scientifiche. le sole reputate capaci di esaltare le potenzialità militari ed economiche. Non a caso era stato scelto per suo pedagogo, Aristotele che finì per infondere nel giovane allievo la sua stessa sete di conoscenza. li caso o il destino fecero poi il resto.37)

Il ritrovarsi, a un determinato momento della sua vita, a capo di un immenso impero esteso su tre continenti e fra due oceani, a cavallo tra Occidente ed Oriente, fra le estreme propaggini della cultura cinese, indiana , egiziana e greca, costituì per Alessandro e per gli scienziati al suo seguito, un'occasione irripetibile. Quasi la totalità delle opere umane , materiali, artistiche e culhirali poterono così essere rilevate, apprese ed assimilate da quella so1ia di collettore etnico. Molte di quelle innovazioni tecnologiche si confermarono, in brevissimo volgere, imprescindibili per il controllo e la gestione dell'immenso impero e delle sue complesse articolazioni. Pertanto:"nei tre secoli che incominciano nel 330 a. C., le frontiere della civiltà furono ulteriormente portate innanzi jìnché una zona continua di Stati che conoscevano la scrittura si estese dall 'Arlantico al Pacifico. La nuova economia, .finora realizzata soltanto nel Mediterraneo orientale, giunse a dominare l'Europa atlantica e l'Asia anteriore, e al! 'ultimo trovò nel! 'impero romano espressione politica per l'unità che creò. Questo risultato fu raggiunto in due tappe principali.

Nella prima, i greci stessi, sotto al guida di Alessandro di Macedonia, ereditarono l'impero persiano come organismo e.ffìciente, estendendo l'economia della polis fino all'Indo e allo Jaxarte. Nello stesso tempo i Siracusani.fondavano un impero greco più piccolo in Occidente (sotto Gerone), mentre i Romani stavano unificando l'Italia secondo linee greche piuttosto che orientali e ampliando la sfera della nuova economia a spese dei Fenici di Cartagine. Nella seconda tappa i Romani, avendo vinto i Greci in Italia e in Sicilia, s'annetterono 1'impero cartaginese e lentamente assorbirono l'antica Grecia e i suoi nuovi appannaggi dell'Oriente, e portarono l'Europa barbarica con lafòrza delle armi nel sistema economico mediterraneo Le conquiste di Alessandro aprirono l'Asia al commercio greco e alla colonizzazione greca ... Attraverso questa nuova provincia un particolare dialetto greco fu compreso ovunque, cosicché le idee potevano circolare -e circolarono - liberamene. L'unità del mezzo di scambio. nuove strade, porti e/ari migliorati e navi più grandi.fàcilitarono relazioni e trajjìci. L'unità politica e monetaria creata da Alessandro non doveva invero sopravvivergli [non così] 1'unità culturale "38 J

Con la morte di Alessandro il tanto proficuo contatto instaurato fra i due continenti e le rispettive civiltà, mondi fra loro completamente e reciprocamente ignoti, si richiuse. Quella sorta di tunnel spazio-temporale si dissolse completamente, sopravvivendo soltanto l'esilissimo itinerario della seta, e si arrestò del tutto ogni scambio tecnologico. Si spiegano, forse, in tal modo tante singolari coincidenze tra la civiltà orientale e quella occidentale, affinità che non di rado sembrano tradire una matrice comune e un leggero sfalsamento cronologico. Occorreranno oltre quindici secoli perché un nuovo contatto, fosse lentamente riattivato.

La preziosa eredità di Alessandro, però, non scomparve altrettanto drasticamente ed irrimediabilmente a cominciare dal suo edificio statuale che si ruppe in

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1:-JTRODUZfONE

una serie di frammenti più o meno grandi. più o meno importanti a seconda delle capacità e della sensibilità dei suoi rispettivi dinasti, ciascuno dei quali mantenne per quanto possibile le stesse impostazioni. Tra questi sp iccano per rilevanza e cultura i Tolome i, cui toccò l'Egitto e ai quali si devono la mitica biblioteca di Alessandria il Museo e l'annessa scuola, vertice del sapere scientifico dell'antichità. Simile, sebbene di entità complessiva minore anche la cultura degli Attalidi, che ebbe il suo centro di studio e di irradiamento in Pergamo e nella sua biblioteca. E se scuola alessandrina è sinon imo di sapere, quello di carta pergamena è s inonimo di codici e di libri!

Un parere parzialmente diverso ipotizza, invece, che:"i Greci che si trasjèrirono in Egirto e in Mesopotamia all'epoca delle conquiste di Alessandro vi trovarono un livello tecnologico superiore al proprio. la cosa è del resto del tutto naturale. Trattandosi, sia per la Grecia classica sia per l'Egitto e la Mesopotamia. di civiltà hz cui lo sviluppo della tecnologia avveniva essenzialmente per lenta accumulazione, i millenni durante i quali le civiltà egiziana e mesopotamica avevano accumulato conoscenze empiriche trascrivendole e tramandandole le avevano res e insuperabili. a meno di un salto di qualità metodologico.

Le tradizioni delle civiltà più antiche. con le quali da secoli erano stati in contatto, avevano sempre attirato l'interesse dei Greci. Non a caso l'inizio della matematica ellenica era attribuito a Talete e a Pitagora, di entrambi i quali s i diceva che.fossero stati in Egitto (e di Pitagora anche in Oriente). Ma ora il contatto divenne molto più stretto. I Greci trasferirisi nei nuovi regni sorti dalla conquista di Alessandro dovettero gestire e controllare economie e tecnologie più sviluppate. alle quali non erano abituati, con la guida dei raffinati metodi dianalisi razionale sviluppati negli ultimi secoli della loro tradizione culturale. In questa situazione nacque la scienza". 39 )

L 'e llenismo incentivò il primo grande balzo culturale, evento che sembrava promettere un immediato ed ina1Testabile sa lto tecnologico e che, solo in parte.

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40. Pianta dell'antica Alessandria. 41. Busto di Pitagora.
40 OITACOM8,S T:\fTRODUZIO'.\JE
42. Busto di Talete.
,.,,,·
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E.LEUSIS Pl/1/N

riuscì a mantenere in numerose realizzazioni comunque geniali. Ma anche per una concreta attua7.ione. per il pieno estrinsecarsi delle potenzialità occorse l'avvento di un altro immenso impero, quasi che la dimensione politica grandiosa. risultato di un altrettanto grandioso apparato militare, fosse la dimensione istituzionale adeguata per un vistoso progresso tecnologico. Non per questo mutò, però, la tradizionale s uperiorità del gueniero e delle sue peculiarità, in ambiti sociali appena scalfiti da quegli apporti.

La scienza e la tecnica restarono, e non poteva essere diversamente, un mero ausilio dell 'a1iig ianato e del tecnico la cui produzione avanzata continuò ad essere la militare. E chiunque se ne occupò a qualunque titolo, senza essere al contempo lui stesso uomo di guerra, non godette di stima né di apprezzamenti etici. Certamente ben pagato, certamente ricercato, restò però disprezzato perché lavoratore manuale , perché meccanico, perché tecnico, perché prossimo ai compiti degli schiavi, in una società dove solo la guerra costituiva l 'occupazione dignitosa del libero, restando ·servili' tutte le altre fom1e varie di attività.

DISPREZZO O SUPERFLUJT À DELLA TECNICA?

Per alquanti studiosi della storia della tecnologia, al grandioso salto che la meccanica applicata effettuò tra il IV ed il ru secolo a.C., fece seguito un rigido blocco che impedì, non so lo il prosieguo delle eccezionali premesse, ma anche il definitivo abbandono delle rispettive promesse. Al riguardo:"rutte le soluzioni eccetto qualcuna concordano. A.Aymard poneva la questione in termini semplici:<< Nel cuore de/l'antichità, in una civiltà, quella ellenistica, furto era approntato per una trasformazione progressiva e tuttavia radicale delle condizioni quotidiana Ma questa trasformazione non si è verifìcata. L'ingegnosità impiegata ad utilizzare le proprietà della materia e a dominare le grandi forze naturali, per combattere il nemico o per divenire curiosi e ingenui, ha praLicamen/e lasciato il posto ali ·indifferenza, quando questo sfruttamento e questa perizia avrebbero potuto con1ribuire a diminuire la miseria e lafaticajìsica degli uomini Così non è per ignoran za che l'antichità ha peccato. ma per rifìuto »

Così dunque si sarebbe ver(fìcato un arresto del pensiero tecnico, quando questo avrebbe avu10 a disposizione tutti gli elementi per un 'importante evoluzione . Questo blocco potrebbe essere sfato dovuto sia a una reazione negativa difronte al lavoro manuale, di fronte ad alcuni aspetti della vita materiale, sia ali 'esistenza della schiavitù .. .".40)

In breve, secondo quanto citato, parere che vanta molte adesioni, l'ampia disponibilità di mano d'opera a bassissimo costo, anzi per una bizzana credenza a costo zero, avrebbe impedito di adottare so luzioni meccaniche alternative, sia già esistenti, sia di apposita invenzione. Ragionamento solo apparentemente sensato e perciò non condivisibile in alcun modo, soprattutto per la fin troppo banale semplificazione economica. Profitti immensi a costi insignificanti, vale a dire l'ideale per qualsiasi economia: con un minimo di buon senso è facile tuttavia ristabilire la plausibilità del comparto lavorativo e comprendere che la suddetta asserzione è grossolanamente una completa idiozia. A I di là della citata rilevanza numerica degli schiavi, peraltro tutta da verificare se relativa ad uomini giovani e robusti nel pieno della vigoria fisica, non può trascurarsi il dettaglio che in una economia servile, proprio quel tipo di merce aveva un rilevante costo di acquisto e, per intuibili ragioni, un costo non irrilevante di mantenimento.41 >

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INTRODUZIONE
4.3. Bassorilievo raffigurante du~ scllia\ i che manovrano un torchio a vite.

Quando si effettua l'analisi del rapporto costi benefici, occorre tenere conto dd fatto che la schiavitù fu determinata dall'eccedenza di quanto prodotto dallo schiavo rispetto a quanto consumato, rapporto che in meccanica si definisce rendimento positivo. L'approccio, però, quando riferito alla epoca imperiale o quando collocato alla base dell'economia servile romana. o supposta tale. non è più tanto linearn e semplice. Occorre infatti tener conto di molti più fattori di quelli innanzi ricordati e della conco1Tenza del lavoro libero. Tentare, perciò, di ricavare parametri di rendimento e di convenienza dal lavoro coatto nell'antichità, come da quello estorto nei tanti lager, in particolare in quelli nazisti, è assolutamente fuorviante perché del tutto errato. 1 moderni aguzzini, infatti, avevano per finalità primaria l'eliminazione tramite l'e sasperata fatica fisica dei loro schiavi, che peraltro non compravano, e non ce1to rutile economico che ne derivava. Questo, se mai, andrebbe reputato una sorta di effetto collaterale, un rimborso spese dello stenninio. In quanto tale non può neppure paragonarsi allo sforzo estorto un tempo dagli animali e tratto oggi dalle macchine, essendo la loro morte o distruzione comunque un grave danno.

Se non aizzato da fanatiche motivazioni ideologiche lo sfruttame nto del lavoro servile doveva restare i1manzitutto compatibile con la sopravvivenza dello schiavo, altrimenti sarebbe comunque costato troppo per riuscire competitivo con la produzione, sia pure inferiore, che non lo massacrava. Senza contare che, a differenza dei nazisti presso i quali non esisteva un libero mercato interno dove porre in vendite le loro disgraziate vittime, ve ne erano molti nella società classica, per cui gli schiavi oltre ad un teorico valore di mercato avevano, comunque, un concreto mercato di cui tenere conto. Anche quando guerre spietate ne producevano in enorme numero, il loro costo non era affatto irrilevante, né il costo del loro mantenimento diminuiva. Significativamente molti possidenti erano pronti ad accaparrarsi i fuggiaschi, senza eccessivi scrupoli sulla loro provenienza, non di rado persino di condizione libera.42)

Pw·e trascurando questa innegabile precisazione, il lavoro servile aveva un costo affatto irrilevante anche per l'epoca, dovendosi pur sempre dar da mangiare agli schiavi, corresponsione di poco inferiore alla giornata dei libe1i lavoratori. E' certamente emblematico al riguardo che alcuni imperatori contrastarono la diffusione delle macchine ma mai quella degli schiavi, per evitare il crollo della richiesta di mano d'opera libera.

Vespasiano proibì l'istallazione di una potente gru, giustificando il rifiuto con la perdita di lavoro, e quindi di reddito, per le classi umi! i. Pertanto, lo scarso rendimento del la voro servile , il costo degli schiavi e quello del relativo mantenimento, per non parlare del loro ammortamento, finivano per renderne la prestazione persino più costosa di quella libera! Ben presto nelle miniere il lavoro tornò libero: i soli forzati erano dei condannati a mo1te, variante antica degli ebrei per i nazisti. Del re sto, con cinico ragionamento, quando un libero operaio moriva sul lavoro, il proprietario perdeva solo la frazione di giornata residua: se invece fosse stato un suo schiavo il danno era di gran lunga maggiore. Infine, se da un libero si potevano estorcere rendimenti esasperati con il miraggio della paga. nel caso degli schiavi si doveva 1iconere alle punizioni, che non potevano andare oltre un certo limite rischiando altrimenti di inabilitarli .

Ce1iamente gli oziosi patrizi disprezzavano i tecnici e si disinteressavano della tecnologia, ma non per questo non si avvalevano del loro apporto, atteggiamento in sostanza simile a quello odierno di tanti possidenti che disprezzano il denaro ma vivono di rendita. Spesso poi furono proprio gli oziosi patrizi a scrivere

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TNTRODUZIONE
44. Ricostruzione di una grande gru romana.

maggio,mcntc, come sono gli odierni possidenti a comparire più frequentemente nelle cronache mondane, dando perciò la sgradevole sensazione della loro preminen za sociale. [n entrambi i casi si tratta di minoranze, prive di seguito e consenso, in società freneticamente interessate ad incrementare rentità della produzione e dei relativi utili, migliorandone costantemente i mezzi e gli utensili. Neppure va escluso che l'ostentato disprezzo verso le rea lizzazioni tecniche fosse in realtà un atteggiamento intellettuale per apparire originali o un modo per evitare di doversi cimentare con la loro comprensione.

Se la pubblicistica scientifica e più ancora quella di argomento tecnico, quale che ne fosse il livello, ebbero una ampia produzione e diffusione nella società romana non fu per semplice curiosità o per steri le ammirazione. Meno che mai quando a farsene promotori furono gli stessi sovrani . il cui coinvolgimento scaturì sempre da concrete motivazioni. ln altre parole , dietro quelle iniziative culturali si devono, necessariamente intravedere dei vantaggi, sia in ambito economico che in quello militare.

Non meno assurdo attribuire alla mancata meccanizzazione il perdurare della schiavitù. Ritenere lo schiavo una fonte energetica primaria, un docile motore privo di alternative meccaniche, trova una palese smentita nella constata zione che furono proprio le società schiaviste quelle che di più stimolarono la produzione di macchine E' innegabile che vi furono maggiori progressi tecnici in Egitto, dove abbondava la schiavitù, che non in lsraele dove invece era rara. Come pure se ne ebbero a Roma in maniera superiore nel periodo antecedente a quello delle frequenti emancipazioni. per non parlare dei massicci affrancamenti nel corso delle invasioni barbariche, periodo di risaputo regresso. Ma forse l'esempio più probante perché meglio conosciuto è quello degli Stati Uniti d'America 43 l, dove la tratta dei neri fa da sfondo al grande progresso tecnologico. Errato, qui ndi. rapportare la meccanizzazione mancata alla schiavitù, come più in generale diminuirne la portata e la potenzialità .

LA MECCA N IZZAZ IONE MANCATA

Assodato che da una promettente premessa sembra essere derivato soltanto un modesto sviluppo, appare sensato almeno cercare di stabilire le concrete potenzialità della tecnica che gli antich i Greci prima ed i Romani poi, non vollero o non seppero ulteriormente sviluppare. Che cosa rifiutarono realmente? Cosa li bloccò? Stranamente, anche al riguardo, esistono opposte conclusioni, ciascuna delle quali non priva di fondamento.

Un esempio illuminante è esposto a sostegno della prima, secondo il quale la famosa:"eolipila di Erone di Alessandria non poteva condurre logicamente alla macchina a vapore. Questa è nata dalla conoscenza scientifìca del vuoto. della condensazione, della pressione atnzo4èrica. tufle nozioni di ctd i greci non potevano disporre. E/orse questo è anche esempio di una cattiva interpretazione dei testi ... La mancanza di una dinamica nel sistema scientifico dei greci, del resto. os tacolò c onsiderevolmente lo sviluppo della meccanica tecnica ".44}

Tn definitiva, la tecnica greca:"non ha ancora i caratteri che defìniscono ai nostri occhi l'intelligenza tecnica, e che sono le basi del suo dinamismo. La tecnica mal si lega alla scienza. Ignora il pensiero sperimentale.

Per non avere elaborato le nozioni di legge naturale, di meccanismo .fìsico e di art(fìcio tecnico, essa non dispone del quadro concettuale che potrebbe assicurare il progresso". 4 5)

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45. Eronc <r A kssandria.
TNTRODUZIONE
46. L·colipila di Erone.

47. lllu:.trazione tratta da un codice medievale raffigurante un planetario basato sugli studi di Tolomeo.

48. Il mondo :,ccondo Tolomeo

A sostegno della tesi opposta, sì osserva e sempre in merito alla eolipila, che:·'le macchine a ,·apore moderne 11011 sono o,ffc11to indipendenti. come si è portati spesso a credere, dalle macchine ellenistiche, ma ne discendono attraverso un filo conrinuo. Le descrizioni di EroneJitrono intensamente studiare._ji-a gli altri. da Leonardo da Vinci; la possibilità di s.fi·uttare il vapore come.fòrma di energia motrice.fu poi riconsiderata da GB.Della Porta nei Pncumaticorum libri tres (1601), basati sulla Pneumatica di Erone. La prima macchina a vapore effettivamente costruita in epoca rnoderna sembra sia stata descrilla nel 1615 da Salomon de Caus e serviva ad azionare unafòntana omamentale a intermittenza: la dipendenza da Erone era evidentemente così jòrte da indicare anche l'uso di tali macchine".46\

Dal che la seconda conclusione:"si legge in genere che gli scienziati greci avevano sviluppato la statica ma non la dinamica. Essi conoscevano cioè le condizioni di equilibrio, ma 11011 le leggi del moto dei corpi. Queste qff'ermazioni lasciano l'impressione che gli antichi scienziati, grazie alla foro natura con te mplativa, si dilettassero a osservare corpi in equilibrio, guardandosi bene dallo smuoverli [ la realtàJ mal si concilia con questa impressione". 47)

Pertanto, stando alla suddetta ipotesi, che per molti aspetti appare più convincente, non esisterebbe alcun blocco tecnico ma semplicemente il ridimensionamento della ricerca, o per meglio dire della sua notorietà, dopo la conquista dei Romani. Ne seguì la sostanziale permanenza della tecnologia di base, ormai entrata nella fruizione corrente ed un più nascosto sviluppo di quella avanzata . Infatti, quello che stupisce di più, ma non sappiamo con che attendibilità, è appunto la constatazione che i livelli scientifici noti ai Romani in età augustea sembrerebbero gli stessi dell'ultimo scorcio dell'Impero, se non superiori. In pratica o ltre mezzo millennio di sostanziale stasi, tranne alcuni perfezionamenti delle a1tiglierie, peraltro sempre da ascriversi a ingegneri greci. Dando per buona l'osservazione, le ragioni del fenomeno sono senza dubbio, come per tutti i grandi eventi umani, molte e concomitanti. Sicuramente vi fu l'atteggiamento di disprezzo ve r so il la voro manuale e verso la tecnica. come del resto per ovvia simmettia verso la steri le conoscenza dei dotti di professione. Ma ciò deve attribuirsi, piuttosto, alla mancata interdipendenza fra le due fasi, teorica e pratica, intuizione ed esperienza, che finì per condannare entrambe alla ster ili tà. La tecnica da sola non ebbe la capacità di superare gli ultimi ostacoli che s i frapponevano a li' innesco di una piena meccanizzazione e la scienza non trovò interessante aiutarla a superarli e forse non ne ebbe nemmeno la capacità.

li blocco a questo punto diventa il classico collasso sul filo del traguardo, mito

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TNTRODLiZIONE

peraltro tanto caro ai Greci. I loro allievi e successori, ottimi sotto tutti i punti di vista per serietà ed applicazione ma estremamente mediocri per capacità speculative autonome. non potettero superare il diaframma. Si limitarono, si fa per dire, solo a migliorare quanto appreso e quanto compreso accenn1andone al massimo le potenzialità. Il dover amministrare e governare un impero di dimensioni inusitate agì da stimolo ma non accrebbe di molto la conoscenza complessiva, se non per successivi apporti dalle popolazioni conquistate.

Pertanto:"si è parlalo di hloc<.:0 delle tecniche greche. Se si riprendono tutti i testi che si sono così .\pesso citati, li si potrebbero applicare ali 'epoca romana che 11011 ha conosciuto né innovazione notevole né macchinismo sviluppato e ciò anche in epoche in cui le ragioni invocate a spiegazione, schiavitù o disprezzo del lavoro manuale. non esistevano più o almeno avevano molta meno forza. Quesro, anche malgrado il miglioramento di determinate condizioni materiali (ricchezze naturali infìnitamente più abbondanti).

Occorre quindi invocare altre cause, di più difficile individuazione. Ce 11 'è una che viene subilo alla mente: in nessun modo i romani hanno fatto.fare progressi alla scienza, perlomeno alle scienze da cui poteva dipendere il progresso tecnico. Nonostante l'estensione geografica della loro civiltà. né la loro fisica, né fa loro conoscenza dei materiali andavano oltre ciò che i greci potevano sapere. La ricerca in questo campo è singolarmente ristretta e si sarebbe quasi in diritto di affermare che c'è un vero blocco, proprio come la civiltà tecnica cinese che si è bloccata. anch'essa, a partire da un dato momento. La percezione di questo arresto (il termine, ùfatti, conviene meglio di quello di blocco) sarà sempre altrettanto diffìcile da spiegare di una certa ripresa verso la metà del Xli secolo ... ". 4 8) In realtà quello che si a1restò o che venne meno , anzi per l'esattezza mai iniziò presso i Romani , fu lo stretto rapporto tra la scienza teorica e la sua applicazione pratica. Quest'ultima che innegabilmente conobbe un discreto sviluppo in età imperiale s u premesse del secolo precedente, procedeva in maniera autonoma, empirica e senza indagini teoriche. Ce1tamente anche i Romani disprezzarono il lavoro manuale, disprezzo come accennato non di rado dj maniera, ma la vera differenza rispetto ai Greci è nel mancato raccordo tra scienza e tecnica. Situazione che trova un conispettivo ancora una volta negli Stati Uniti del XlX secolo, dove la maggioranza degli invento,i, non di rado di eno1me successo sia pratico che economico, raramente aveva conoscenze pari a quelle del semplice ingegnere. La teoria era quasi superflua contando, in definitiva, la pratica e la sperimentazione. Esempio emblematico dì tale forma mentis fu la turbina costruita da Pelton, concettualmente identica a quella già utilizzata dai Romani , ma appena più grande e più sol ida. In antitesi, la turbina progettata, vagliata e infine costru ita da Francis, munita d'un gran numero di pale oblique, sulla girante e sulla chiocciola, esito di complessi ed accurati calcoli matematici. Entrambe le turbine, significativamente continuano ad essere costruite in quanto ciascuna delle due vanta un suo preciso ambito applicativo, situazione che non consente un drastico raffronto, ma una modesta riflessione fra i due modus operandi.

IL MOTORE

Nella quasi totalità delle pubblicazioni e delle ricerche sulla storia della tecn ica o sui livelli tecnici vigenti nell'antich ità, è ribadita l'inesistenza del motore. Il concetto, peraltro impropriamente formulato, risulta però errato pure nella giusta defini zione, che comunque implica e sottintende una più calzante definizione del

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l NTRODUZIONE
49. Una curbina Pelton. 50. Il montaggio di una turbina Francis.

motore. Secondo la meccanica greca il motore era infatti r organo destinato ad imprimere il moto a oggetti e congegni altrimenti statici e fermi. Il criterio, che sol tanto in prima approssimazione coincide con l'attuale. potrebbe rifonnularsi per noi in macchina motrice. ovvero la macchina che fornisce il lavoro meccanico. Ossia macchina capace di eseguire determinate sequenze meccaniche, traendo l'energia cinetica necessaria da altre fonti: in teoria in quantità equivalente, in pratica in quantità maggiore per sopperire alle inevitabili perdite. Dal momento che nell'antichità dette perdite non solo non erano rilevabili con precisione ma neppure costituivano un serio inconveniente, il rapporto fra energia introdotta ed energia resa, cioè il rendimento della macchina, non ebbe il benché minimo interesse. Risultava del tutto trascurabile nel più articolato rapporto costo-beneficio, fornito dalla macchina.

Dal punto di vista filologico il vocabolo motore definisce un organo, un dispositivo o un congegno anche rudimentale, capace di sviluppare un movimento, di produrre cioè uno spostamento, una variazione cinetica. In pratica, tutto ciò che fa muovere qualcosa con una sequenza logica prestabilita, sia pure per un breve istante, è equiparabile ad un motore, almeno nel senso classico della definizione. Cronologicamente, nell'accezione suddetta, la comparsa del motore ri sul ta remotissima, forse antecedente persino al neolitico, trovandosi ampiamente impiegato nelle trappole.

In realtà in quei rozzi quanto ingegnosi meccanismi si ravvisa, piuttosto. un dispositivo ibrido di motore passivo-attivo, accumulatore in fase di defom,azione e motore in fase di recupero formale. Il che implicava l'adozione di due tipologie di energ ie potenziali, quali quelle connesse con l'elasticità e la gravità, facilmente reperibili in natura. Ad attivarne il moto, per la cattura o l'uccisione della preda, era un dispositivo automatico azionato dalla stessa vittima. 4 9)

Le due tipologie di trappole sono, in definitiva, le capostipiti dell'intera gamma di tutte le successive macchine dell'antichità dotate di un motore a molla o a contrappeso, alcune del la quali con tinuano ancora a fornire la loro prestazione. Sempre nella preistoria si colloca pure un 'altra tipologia di motore, sebbene d'impiego estremamente saltuario e non esclusivamente mediterraneo. Si tratta di quello azionato dal la espansione di un gas: al di là del termine molto supponente è concettualmente il più antico dal momento che anche lo sp utare un nocciolo di ciliegia costituisce una forma di moto per espansione di gas! Quel semplice gesto, infatti, per paradossale che possa sem brare, utilizza il medesimo principio del cannone e del motore a combustione interna, non a caso definite entrambe macchine a scoppio, cioè ad espansione di gas.

Una sua applicazione è ravvisabile nella cerbottana, arma che dal punto di vista concettuale è praticamente identica ad un'odierna arma da fuoco. Nell'età classica, per quanto fino ad oggi ne sappiamo, la cerbottana non risulta impiegata o, per lo meno, di tale impiego non si trova esplicita menzione o raffigurazione. E', però, interessante osservare che qualcosa di

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51. Trappola a frusta laterale.
51 lNTRODCZIONE
52. Trappola a gravità.

53. La ccrbonana. utilinata come am1a da caccia presso tribù primitvc.

54. Cannello fcn-uminatorio attualmente utilizzato nell"oreficeria artigiana le

simile doveva essere impiegato come mantice per attizzare il fuoco, definito in segui to cannello ferruminatorio. ben noto agli Egizi.

Tornando al concetto di motore, appare evidente che la sua interpretazione archeologica contrasta con l'odierna, che così definisce. quasi esclusivamente, congegni capaci di produrre un moto rotatorio. Unica e significativa eccezione il motore a reazione o a razzo, non a caso definito propulsore o anche organo di spinta. Per contro molti dei dispositivi a funzionamento differito nel tempo o automatici. inventati dai Greci prima e dai Romani poi, supponevano l'adozione di un motore: ma raramente, tra le sue caratteristiche. si scorge quella della rotazione. Se per chiudere una serratura era necessario far ruotare la chiave, non per questo la mano può considerarsi un motore. Se mai lo è l'intero corpo umano che, pur non girando, è stato il principale motore della antichità, fin quasi all'inizio del '900. Va poi osservato che un gran numero di congegni fatti funzionare direttamente dalla forza umana, disponevano di piccoli moto1i secondari alimentati sempre dalla stessa energia muscolare.

Per restare alla serratu ra, pur avvenendo la rotazione tramite il motore umano, una parte di questa energia viene accumulata in una molla che. al cessare della forza, diviene a sua volta il motore meccanico che riporta il catenaccio al punto di partenza. Per noi si tratta di una banale molla di rinvio, ma è un perfetto esempio di motore secondario, per l'esattezza di accumulatore-motore, alimentato dal motore primario. Tanti congegni dell 'antich ità ebbero in abbondanza motori secondari siffatt i come del resto, mutatis mutandis, lo sono gli attuali. In una nostra autovettura, ad esempio, oltre al motore termico, il motore per antonomasia, vi so no decine di motori elettrici di tutte le dimensioni e potenze, da quello d'avviamento a quello dei tergicristalli, delle ventole, dei retrovisori, ecc. Tutti vengono alimentati con l'energia e lettrica , generata sottraendo al motore tennico una piccola frazione di energia meccanica, accumulandola in una batteria, per poterla poi impiegare anche a motore spento. Far funzionare per giorni un orologio o una balista per un istante, implica l'adozione di dispositivi capaci di essere alimentati dalle sorgenti energetiche primarie, cioè quelle disponibili in natura, trasfonnandone le varie potenzialità in lavoro, immediato o differito. Questo fu il motore meccanico nell'accezione più aderente e stringente dell'antichità, includendo, per ovvie ragioni, la forza muscolare. Posta così la questione. non è difficile trovare i riscontri e le conferme esplicite e implicite, nella letteratura e nell'iconografia, a patto di aderire alla logica degli antichi in materia.

MOTORI E AMBITI NATURALI

Motori primari furono, quindi, le molteplici macchine alimentate dalla forza dell'acqua o del vento, dalla forza intrinseca del fuoco o da quella di gravità tetTest:re. 1n breve, da tutte le potenzialità dinamiche già presenti in natura nei quattro ambiti delle radici filosofiche! Che poi, volendo attualizzarne la definizione, quei quattro elementi, nell'ordine te1Ta, acqua, aria e fuoco, coincidono con i quattro stati di aggregazione della materia, nell'ordine solido, liquido, aerifonne e, buon ultimo, del plasma! Analogia strettissima che, se non altro, annienta i fin troppo facili sarcasmi sulla scienza antica, esito non dj rado d'abborracciate interpretazioni e clericali traduzioni! Pertanto, come i nostri motori lavorano in tutti e quattro gli stati di aggregazione della materia, anche quelli dei nostri antenati lavoravano nei corrispettivi ambiti ed a questo basilare criterio subordineremo 1'intcra ricerca. 1n particolare dato che alla generica etichetta di motore si associa, sistematicamente, la qualificazione elet-

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INTRODUZIONE

55. Arcaica macina a manovella.

trico, idraulico, a gas, termico, ecc., circa la sua energia di alimentazione, analoga precisazione sarà applicata pure ai motori primari dell'antichità. Avremo, pe1tanto:

MOTORI AD ENERG IA POTENZIALE ACCU:\ l t..:LATA NEI SOLm 1, quale deformazione elastica per motori a molla o a gravità nei motori a peso. Trattandosi comunque di energia s,·iluppata mediante una massa solida. sono ascritti allo stato solido. già della terra

.., :\IOTOR I IDRAULICI, o ad acqua. in grado di sjì·uttare l'energia cinetÌca o ponderale di una massa d ·acqua. !11 quanto tali sono ascritti allo stato liquido, già del! 'acqua

.., ."10TORl PNEUMATICI, o ad aria in grado di sfruttare l'energia cinetica conseguente al moto di una massa aeriforme. in quanto tali sono ascritti allo stato aeri.forme, già dell'aria

.., MOTO RI TERMJCI, in grado di sji-uttare l'energia data dall'innalzamento della temperatura di un corpo, per lo più fluido, mediante somministrazione di calore dal! 'esterno. In quanto tali sono ascritti allo stato del plasma, defìnizione odierna per i.fluidi luminosi ad altissime temperature.

I motori , quindi, fatta salva la suddetta precisazione, nell'antichità classica già esistevano ed erano di diversa tipologia , con varie connotazioni struttmali e funzionai i. La vera e vistosa differenza con gli odierni, causa non ultima della mancata equiparazione, consiste nel non essere trasportabili o per meglio dire, alimentabili con sorgenti traspo1tabili, quali ad esempio combustibili o batterie! Motori quindi intrinsecamente statici, non lontani perciò dal classico motore immobile!

PREMESSE E PROMESSE

momento che non ce ne hanno lascia to né una descrizione, né una inunagine. Il che è senza dubbio esatto, per quanti concepiscono l'antica manovella pressappoco simile al l'attuale: tuttavia è possibile avere manovelle tecnicamente ineccepibili di diversa connotazione!

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INTRODUZIONE

Difficile, allora. riconoscerla nel disco di pietra munito di un foro centrale per il perno di rotazione e di uno periferico per la maniglia. rispettivamcnle il braccio di una manovella e il suo bottone, di un'arcaica macina a mano' Sostanzialmente simile anche la corona che azionava la pompa a bindolo di una delle navi di Nemi. Ancora più difficoltoso ravvisare nel mantice ricavato da due canne di bambù affiancate e munite di stantuffi, azionati alternativamente con entrambe le mani a orecchio, un compressore pneumatico bicilindrico! Poiché quel rozzo quanto ingegnoso dispositivo fu adottato persino dai fabbri romani per la sua resa, se ne ricava a loro carico una cospicua capacità di discernimento tecnologico. Quest'ultima precisazione, cioè della remuneratività di una scoperta o di un 'invenzione , non sembra tuttavia il vero discrimine per la sua adozione. li concetto, infatti, legato a questioni di gestione economica in regime di scelte fra più oppo1tunità, risulta di gran lunga più moderno. Pertanto l'adozione, se mai, andrebbe relazionata solo alla capacità di superamento di un limite, owero di rendere possibile ciò che fino a quel momento non lo era. Il che lascia supporre una ottimizzazione accidentale e spesso neppure necessaiia in assoluto: quindi una tecnologia non omogenea, ma di punta o di elite. Connotazione che oltre a complicare notevolmente la ricerca giustifica, in parte, la nostra ignoranza circa i livelli più avanzati.

UN MITO DA SFATARE

Capita spesso che descrivendo alcuni congegni, alcune macchine o alcuni dispositivi tecnologici romani s i resti stupiti per la singolare somiglianza fonnale o funzionale con gli attuali impiegati per la medesima finalità. Classico il commento: non abbiamo inventato nulla , gli antichi già sapevano tutto! Il ragionamento che sembrerebbe adombrare la certezza di una continuità d'uso fra le due realizzazioni, nota a pochi cultori della materia e da questi sfruttata, di tanto in tanto, a loro vantaggio, non è del tutto destituito di fondamento come, in seguito vedremo. Per il resto, la supponente retorica sembra insistere nell 'improbab ilità di elaborare analoghe soluzioni complesse, in periodi diversi e in maniera autonoma una dall'altra: conclusione ineccepibile quando la rosa delle possibilità si conferma rilevante. Drasticamente opposta, invece , quando risulta limitatissima: banale prevedere, dopo tre tiri d'una moneta, il ripetersi della testa o della croce' Pertanto il ricomparire a distanza di vari secoli, a volte persino di millenni, di una qualche invenzione o di un qualche congegno non de1iva necessariamente dalla continuità del suo ricordo o dal s uo uso ma, spesso, da una causa molto più semplice e, forse, persino semplice fatta di soluzioni obbligate e di prolungati abbandoni. Quanto i Greci e i Romani inventarono e scopr irono, di notevole efficacia e spesso di originalissima e complessa funzionalità, quasi mai si confermò una premessa della moderna tecnologia ma , piunosto lo si reputò tale a posteriori!

Occorre, tuttavia, osservare che la perdita tecnologica provocata dal Medioevo, costituisce senza dubbio una cesura del progresso: ma non è affatto scontato che lo sia stata in maniera assoluta. Né si può escludere che le suddette analogie e somiglianze tra alcune realizzazioni antiche e le corrispettive moderne abbiano un'altra e plausibilissima, spiegazione. I manoscritti che le descrivevano, costituivano l'impegno basilare della scuola alessandrina e della attigua mitica biblioteca. Il suo incendio, sotto molti aspetti non storicamente definito, non poté distruggere interamente gli oltre 700 .000 volumi conservati. A parere di molti studiosi un gran numero di essi scampò allo scempio e finì tra le mani di cultori arabi e bizantini 50> , che gelosamente li custodì.

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l:ITRODUZ lONE
56. Mantice primitivo a doppio ,tanmffo

11 sacco di Costantinopoli, perpetrato dai crociati nel J 204, portò in Occidente molti di quei trattati; molti altri ancora pervennero con la Reconquisw spagnola. Tanto il greco quanto l'arabo erano scarsamente compresi dai primi umanjsti, a djfferenza dei disegni esplicativi di cui quei manoscritti erano ricchi. L'antica tecnologia iniziò così a filtrare per immagini, eloquenti e comprensibili anche per i tecnici analfabeti, diffondendosi nuovamente, riannodandosi perciò esattamente dove si era interrotta, dopo una pausa di oltre mille anni!

In ogni caso l'antica tecnologia alessandrina, a giusto titolo, può considerarsi una rivoluzione dimenticata e forse anche fraintesa. Più che una sterile promessa, una feconda premessa, un prologo eccezionale seguito da una lunghissima pausa, conclusasi e risoltasi nel Rinascimento. Per i coevi fu comunque una falsa partenza, una occasione tragicamente sprec ata. Intenuzione che. oltre a comportare la necessità di dover ripercorrere un faticoso itinera1io, ha prodotto l 'abnonne protrarsi dell'abiezione della schiavitù, della riduzione del! 'uomo a motore , con un corollario di atrocità e brutalità precipue del lavoro coatto.

IL PASSATO NON PASSATO

Volendo approfondire ulteriormente 1'ipotizzato travaso culturale della scienza e della tecnologia alessandrina ed ellenistica. in quelle rinascimentali si impongono alcune considerazioni. Alla sensazione che in età classica buona patte degli odierni congegni, sia pure in maniera embrionale o parziale, era già utilizzata, se ne accompagna una seconda ancora più condivisa. Dopo una attenta osservazione dei disegni di Leonardo, infatti, si finisce per credere che ben poco della nostra civiltà meccanicistica s ia sfuggito alla sua acuta indagine ed alla sua magistrale mano. In altre parole ci si troverebbe di fronte non solo ad un artista sub lime e ad un indagatore acutissimo, ma in numerosi casi ad un precursore del futuro, una mente dotata di percezioni extra senso riali. Un medium in grado di vedere il futw-o, salvo poi tentare di rappresentarlo con le risorse tecniche allora disponibili. Freno per antonomasia delle sue macchine l'indisponibilità di un motore di tipo attuale , leggero , potente e facilmente trasportabile. Solo per questa tragica deficienza quelle macchine restarono bloccate sulla carta e i suoi velivoli inchiodati al suolo!

Le due conclusioni, accomunate dalla percezione di una tecnologia inceppatasi a ridosso dagli odierni h·aguardi, appaiono per il resto molto distinte e distanti fra loro. Gli antichi al massimo si erano spinti a pure congetture, mentre Leonardo aveva preconizzato nettamente il futuro, del quale può considerarsi il profeta. Quanto emerge, però. da indagini più accurate e meno romantiche ribalta nettamente la questione: quello che Leonardo raffigurava non era una preveggenza del futuro ma una reminiscenza del passato! Non un sommo genio che preconizza la tecnologia che sarà. ma un sommo artista che raffigura quella che era stata! Se mai vi fosse un qualche dubbio a riguardo, basterebbe a fugarlo la con-

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lNTRODCZIONE
57. Antica miniatura ramguran te l'assedio di Costantinopoli condotto dagli stess i crociati nel 1204.

statazione dcli 'assoluta identità tra le sue macchine e quelle dei suoi immediati predecessori. quali Valturio. Kyeser. Ghiberti, Mariano di Jacopo, Francesco di Giorgio, per citarne solo alcuni. Pertanto, Leonardo e con lui tutti i tecnici artisti appena menzionati, non altrettanto abili nel disegno ma per nulla inferiori nelle elaborazioni tecnologiche, riportarono alla luce l'antica tecnologia ellenistica fiorita ad Alessandria, e in buona sostanza dimenticata.

La sfasatura temporale tra i primi autori e gli ultimi. circa un secolo. potrebbe essere dipesa dalla gradualità della diffusione dei manoscritti una volta detenninatosi un fiorente mercato per quel tipo di bene. Infatti:'"dalla metà del Trecento un .flusso di scritti greci provenienti da Costantinopoli si diresse in Italia. e da qui nel resto d'Europa, provocando quello che è detto il Rinascimento per antonomasia. li.flusso s "intens{fìcò nel primo Quaurocento. Duecentotrentotto.furo110, ad esempio, i manoscritti portati da Giovanni Aurispa nel viaggio del 1423".5 1}

In particolare:'"/ 'A urispa, oltre che do/lo. fu uno dei numerosi mercanti che a/l'inizio del Quaflrocento si dedicarono al lucroso traffico di manoscritti tra Costantinopoli e l 'Jtalia. Possiamo esser certi che una frazione dei libri allora giunti in Italia .fìni col perdersi di qualche generazione "5 2)

Del resto occorre ricordare che:"gli intellettuali rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche, ma, come bambini intelligenti e curios i che entrano per la prima volta in una biblioteca, erano attratti dai singoli risultati e in particolare da quelli illustrati nei manoscritti con disegni, come le dissezioni anatomiche, la prospettiva, gli ingranaggi. le macchine pneumatiche, la fusione di grosse opere di bron::o, le macchine belliche , l'idraulica, gli automi, la ritrattistica 'psicologica', la costruzione di strumenti musicali.

Il più fàmoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste ·novità ' è Leonardo da Vinci, che non solo si interessò a tutti gli argomenti prima elencati, ma ne fu anche indotto a tentare (.senza successo, per la verità) lo studio delle opere di Archimede. Risultati molto migliori egli li ebbe mettendo in pratica alcune delle idee contenute nelle antiche opere, soprattutto quando poteva usare le sue straordinarie doti di osservatore e pittore: per esempio tentando di recuperare l'anatomia con la dissezione di cadaveri e compiendo osservazioni nel campo

Da tempo Leonardo non ci appare più un genio isolato. ma si è riusciti a inquadrarlo come il più rilevante esponente di un ambiente in cui si condivideva110 gli stessi interessi, si guardavano gli stessi libri e si realizzavano disegni analoghi... Spesso nel passato le stesse persone che snobbavano i congegni di Erone, considerandoli inutili giocattoli. si entusiasmavano ai disegni tecnici ·avveniristici' di Leonardo, che, quando non ne erano copie, ne erano spesso fortemente ispirati, come nel caso di rorchi, demoltipliche, macchine per .fìlettare viti, magli automatici, 'ruote a vento', sifoni, .'fontane di Erone ·. apparecchi mossi dall'aria calda ascendente, livelle ad acqua ... In altri casi, come in quelli delle ca,ene di trasmissione a maglie piane e della balestra automatica, la fònte di Leonardo è Filone di Bisanzio . Molti altri appunti leonardeschi sono chiaramente basati su antiche jònti: ricordiamo per esempio, Le osservazioni di ottica, quelle sul/ 'origine di fossili marini trovati lontano dal mare, balestre seghe idrauliche, cuscinetti a sfèra La lista potrebbe continuare a lungo".53)

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58. Autoritratto di Kyeser 59. Francesco di Giorgio Martini. 60. Busto di Ghiberti.
INTRODUZIONE
61. Autoritratto di Leonardo da Vinci.

L'ENIGMATICO CAI\NONE A VAPORE DJ ARCHlMEDE

Dì certo quei manoscritti esistettero e si tramandarono a lungo, dal momento che descrivevano congegni fondamentali: macchine effettivamente esistite e funzionanti, esito della coeva tecnologia, della quale nel frattempo si era persa ogni cognizione. Una significativa confenna di ciò si coglie proprio a caiico di una strana invenzione che Leonardo attribuisce ad Archimede: il leggendario cannone a vapore, o architronito. Nella fattìspecie:"u11 'annotazione di Leonardo nel Codice L dell'Istituto di Francia contiene la frase «Bo rges ti farà avere Archimede del vescovo di Padova e Vitellozzo quello da il borgo a San Sepolcro».54) Alcuni libri letti da Leonardo su Archimede dovevano contenere injòrmazioni oggi non più disponibili, Leonardo descrive e disegna un cannone a vapore, che chiama architronito ... attribuendone l 'invenzione ad Archimede e mostra di conoscere notizie biografiche, riguardanti sia un soggiorno di Archimede in Spagna sia particolari sulla sua sepoltura, sui quali non siamo ù?formati". 55> lnfatti:"che Archimede, oltre a/l'Egitto. abbia visitato anche altri paesi, lo troviamo affermato da alcuni scrittori, e fra gli altri dal Torelli, uno dei principali editori delle sue opere, che scrive essersi egli di ritomo da/1 'Egitto, recato altrove ed ivi avere per qualche tempo soggiornato.

Al tempo in cui il Torelli scriveva non era ancora noto un passo di Leonardo da Vinci il quale nota d'aver «ritrovato nelle storie delli spagnioli» che Archimede Siracusano si trovava presso Eclideride, re dei Cilodastri, nel tempo in cui erano

in guerra cogl 'inglesi. e, combattendosi sul mare, suggerì certa disposizione da darsi al! 'armatura delle navi per la quale poteva lanciarsi.facilmente pece infuocata che obbligava il nemico ad abbandonare il combattimento e metteva in gravi pericolo i vascelli.

In quale istoria della Spagna abbia Leonardo trovata menzione di tale jèuto nessuno.finora ha saputo dire: in capo al brano autografo si legge d'altra mano «Historia de los espagnolos antiguos». ma persone dottissime in tale materia non sono state in grado di trovare confèrma del fatto non solo, ma neppure menzione del re e del popolo presso il quale sarebbe stato Archimede, esercitando in certo qual modo le/unzioni di ingegnere militare. Sicché. a meno di trovarne COl'?ferma in altre fonti, che non sapremmo nemmeno dire quali potrebbero essere, non il solo fatto riferito da Leonardo, ma anche il soggiorno stesso di Archimede nella Spagna deve essere relegato tra le cose meno sicure che intorno alla vita di lui ci vennero tramandate". 56 )

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62. L'architronito di Leonardo da Vinci.
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Ciò premesso, circa la strana arma a vapore, che secoli dopo troverà effettiva costruzione ma non adozione per la sua complicata attivazione, le ragioni dell'attribuzione ad Archimede non possano relegarsi al rango di arbitraria paternità nobile. Leonardo non ebbe mai bisogno di cercare un padre illustre per una sua qualsiasi elucubrazione per evitarle la derisione. Non co1,-eva tali rischi e, comunque:"esperimemi del genere [sul vapore} portarono Leonardo, con qualche allro autore. a immaginare quell'arma da guerra che egli chiama architronito f=supertonanteJ. di cui attribuisce, non si sa bene perc'1é, la paternità ad Arc'1imede. Sembra proprio ù!fatti, che non si tratti altro che del.famoso esperimento seicentesco consistente nel.far esplodere un cannone dopo averlo riempito d ·acqua e riscaldato. Leonardo si serviva del vapore per espellere un proiettile. «Architronito è una macchina di fine rame, invenzione d'Archimede , e gitta ha/lotte di jèrro. con grande strepito e .fi,rore. E usasi in questo modo: la terza parte dello strumento sta in fra gran quantità di filOco e di carboni, e quando sarà bene da quelli infocata. serra la vite d, eh 'è sopra al vaso dell'acqua abc, e nel serrare dì sopra la vite, ei si ristopperà di sotto e tutta la sua acqua discenderà nella parte infocata dello strumento, e lì subito si convertirà in tanto fi1mo che parrà meraviglia, e massime a vedere la furia e sentire lo strepito. Questa cacciava una ballotta . che pesava uno talento. swdii 6» ".57)

Leonardo conclude il brano, ricordando che l'arma in questione riusciva a scagliare una palla del peso di circa kg 26 ad una distanza di quasi un chilometro, prest azioni non lontane da quelle dei coevi cannoni a polvere . I dati metrici, stranamente . sono espressi non secondo le unità di misura lineari e ponderali della sua epoca e neppure solo d'età romana, ma squisitamente greche, che ben difficilmente avrebbe potuto conoscere e per nessuna ragione usare. Pertan to anche ammettendo che avesse realmente costruito 1'architronito perché fornirne leprestazioni ricorrendo a misure tanto desuete per i coevi? Del n1tto logico, invec e , se le avesse tratte da un antico manoscritto alessandrino. per cui ignorandone i parametri precisi di conversione si limitava a citarle. li che confennerebbe ulterionnente la cooptazione di macchine di avveniristica concezione e fattura, provenienti però da un lonta no passato e che solo i massimi intelletti tecnici ri uscivano, alla meno peggio, a comprendere. Come spiegare altrimenti, oltre a quanto già 1icordato, non so lo l'interessamento di Leonardo ma la sua minuziosa cura posta ne l realizzare numerose tavole su ba lestre giganti, mangani a ripetizione, trab ucchi automatici e similari artiglie1ie elastiche quando negli stessi an n i quelle a polvere segnavano il vistoso balzo in avanti 58), c he le avreb b e lasciate po i imm utate per i successivi tre secoli? Possibile supporre c he una mente così protesa nel futuro, non fosse minimanate incuriosita da simili perfezionamenti e si trastullasse accrescendo a dismisura armi a molla 01111ai da secoli giubilate? E perché?

Logico allora convenire che quei disegni non e r a no dei pueriH progetti di anacronistiche macchine da guerra ma, soltanto, la riformulazione grafica meccanicamente corretta di quanto, approssimativamente, ripo rtato da vetusti codici!

A NA LO G IE E DIFFE RE NZE

Prima di iniziare una ricerca sugli aspetti scienti fi ci meno noti della tecnologia romana occorre fare una basilare considerazione. A differenza dalla tendenza athiale, frutto della rivoluzione industria le, i prodotti della tecnologia avanzata tendono a raggiungere una popolazione sempre più ampia, e la qualità dei pro-

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lNTRODUZIONE
63. Leonardo da Vinci. balestrone gigante.

dotti è tanto migliore quanto maggiore ne è la produzione, contrariamente al prezzo. Infatti solo ampliando il mercato si consente la ricerca e si ammortizzano i costi dei prodotti. Ne deriva un costante allargamento del primo ed una sostanziale omogeneità dei secondi. Si potrebbe perciò parlare di una diffusione orizzontale, come quella di un 'alluvione, praticamente a livello globale. Non così in epoca romana quando. pur esistendo un vasto ambito territoriale ben collegato e solidale, non si ebbe mai un mercato omogeneo e globale. Persino all'interno cli una piccola città, i dislivelli appaiono vistosi tra una classe e l'altra, tra un'area urbana e il circondario agricolo.

Pertanto il progresso tecnologico restò sempre beneficio di una ristretta minoranza di fatto isolata. In altri termini la diffusione del tecnicismo nella società fu verticale e disomogeneo, ad eccezione dell'ambito militare. Tanto più che quasi sempre fu proprio la stessa istituzione a farsene carico, sia della ricerca che della diffusione. il che rese la ricerca successiva inevitabilmente piuttosto qualitativa che quantitativa.

L'esercito romano, più ancora di quello di Alessandro grazie alla durata della sua preminenza e alla capillarità della sua presenza, nell'evoluzione tecnologica assolse un ruo lo primario. Non fu, infatti, soltanto l'unica entità in grado di comprenderne i suggerimenti e le realizzazioni in qualsiasi parte dell'Impero, ma anche l' u nica a stimolarne nuovi usi e miglioramenti. Una sorta di colossale antenna in grado di raccogliere anche i segnal i più deboli e confusi per rilanciarli, amp l ificati, in ogni direzione. fl che però non significa c he dovunque vi fossero stazioni in grado di riceverli!

La particolare prassi, injzialmente riguardante solo le armi, che i Romani si vantavano di saper apprezzare e copiare dai loro nemici, conobbe in seguito ampia adozione. Grecia, Egitto ed Anatolia furono tra i massimi ispiratori, da cui i tecn ici Jegionaii appresero conoscenze e procedure facilmente sfruttab ili in contesti e per fi na li tà similari, apportandovi utili modifiche ed efficaci adeguamenti c he risolsero prontamente come, ad esemp io, nel caso del mulino ad acqua o delle navi sotti li. Una singolare gestazione, che ebbe posit ivi riscontri per la sua razionale natura mil itare, ma anche innegabili ed evidenti limiti non essendo immediatamente fruibile fuori da que l contesto su scala ampia e socialmente omogenea. Questa precisazione apparentemente marginale potrebbe spiegare la ragione del le nto avanzamento complessivo della tecnologia nell'Impero malg rado la sua rapida not01ietà.

A rendere la diffusione delle idee più evolute aleatoria ne li 'intera comunità tecnica contribuiva una carenza, c he per rilevanza va equiparata ali 'analfabetismo nella società umana. Tanto i Greci quanto i Romani, pur disponendo di una rapprese n tazione grafica convenzionale di ciò che si vuole costru ire, sostanzialmente analoga alla nostra, basata sulle tre proiezioni 01togonali, non ne godevano la condivisione estesa anche ai più umili artigiani. Certamente conobbero il disegno in scala, come pure le s ingole proiezioni ma non giunsero mai ad un loro impiego un iversale e sistematico . D el resto molti a11 igiani che avrebbero dovuto avvalersene spesso non sapevano neppure lcggere!S9)

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65 ;, I INTRODUZIONE
64-65-66-67. Forma Urbis frammenti della planimetria di epoca imperiale dell'intera Roma. L A M ANC A NZ A D I UNA RAP PR ES ENT AZ IO NE TE CN TCA

68. Una catapulta a torsione rafligurata sulla tomba di C. Moderato Vedennio. Musei Vaticani, I sec. d.C.

Si sa che:·'dalla metà del IV secolo a.C. in poi cominciano a circolare manuali che trattavano di agricolturu. architettura e polior<.:etica {in quel!,] destinati ad architetti e costruttori di macchine il disegno gioca un ruolo primario: consci delle di/jìc oltà di adoperare un linguaggio tecnico gli autori di questi manuali ricorrono anche alla stesura di jìgure schematiche e al linguaggio d e i segni perjèu.:ilitare la comprensione da parte del proprio pubblico e soprattutto per usare le regole della geometria ".60)

Ma quanti erano effettivamente in grado non solo di leggere quei h·attati e di comprendere quei grafici ma di procurarseli, dovendosi supporre redatti in pochissime copie peraltro molto costose? E la convenzione grafica quando si sarebbe ratificata e come si sarebbe insegna ta, prima che fosse dì uso se non comune almeno ampio? Sappiamo che:"la più celebre prova dei ricorso al disegno in pianta e al modello secondo scale prestabilite deriva dallo spettacolare lavoro di ingegneria che Euripalo di Megerajèce a Samo per la costruzione di un acquedotto che, dopo aver auraversato la montagna, doveva portare/ 'acqua aL/a città al/ 'interno della galleria {in} una grande iscrizione dipinta di oltre cinque metri il disegno i11 scala, circa !:50". 6 1l Ma che senso avrebbe avuto un disegno realizzato all'interno della struttura che rappresenta e per giunta su di una parete?

Quanto grave fosse la carenza di un vero disegno di progetto lo dimostra che, mentre in Egitto grazie alla disponibilità di un supporto cartaceo, il famoso papiro, fu possibile tracciare dei disegni di precisione geomettica, in occidente si rico1Teva a segni sulla sabbia d'infima qual ità grafica e inamovibili. Nel primo caso ne derivò uno sviluppo delle applicazioni delle conoscenze teoriche, nel secondo seguirono piuttosto elucubrazioni, vere manifestazioni di puro pensiero Non potendosi e non sapendosi disegnare in maniera precisa e convenzionale, se non sporadicamente, e non potendosi agevolmente riprodmTe quei grafici, è facile immaginare quanto fosse difficile divulgare nozioni meccaniche comp lesse, persino a breve distanza.

Anche in ambito artistico neJl'antichìtà le macchine sì raffig u ravano m olto di rado e solo se ostentavano forme, in qualche modo, gradevo l i. E. poiché l'ideale era comu n que il corpo umano, solo rifacendosi ad esso quei congeg n i potevano sperare nell'onore della riproduzione . Emblematico il caso dell'iniettore a vapore, che venne realizzato per quasi un millennio e mezzo co n la forma dì una testa umana intenta a soffiare! Inconcepibile, vigendo tanta repulsione, r icercare la raffigurazione di macchine e, sopratt u tto, dei rispe tt ivi dettagli: compaiono, infatti, rarissimamente e sommariamente soltanto sulle steli funebri, per ricordare l'attività del defunto.

Ciò premesso, il trasferimento dei progressi tecnici e dei nuovi congegni si realizzava esclusivamente tramite il trasferimento dei tecnici stessi e degli artigiani, ovvero la migrazione della memoria e delle abil ità costruttive. Emblematica al riguardo, la soluzione adottata da Dionisio il Vecchio di convocare a Siracusa, dietro larghi compensi, quanti fossero in grado di progettare e approntare armi mai viste, di qualsiasi regione fossero Nella fattispecie, il tiranno univa all'ampia disponibilità economica una forte richiesta, concause ideali e indispensabi l i per lo sviluppo tecnologico: in mancanza dell'una o de l l'altra la procedura non sarebbe neppure stata concepibile.

Un mondo tecnico senza raffigurazione grafica e senza una base matematica sembra, ai nostri occhi, u n controsenso, u n ostacolo allo sviluppo ed alla diffusione della sc ienza E un aggravio lo fu senz'altro per l'espandersi del sapere tecnico, ma, paradossalmente, minore di quanto siamo portati a credere, proprio per la sua accennata d iffusione verticale cd elitaria.

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ll\!TROOLJZIOl\:E

PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ

Una situazione del genere, tuttavia, favoriva. si fa per dire. l' iniziativa privata ma non svolgeva un identico ruolo per quella pubblica , che presenta una seconda diversificazione rispetto all'attuale. Nel nostro contesto, la tecnologia impiegata per la funzione pubblica non differisce gran che da quella dei privati, se non per quantità . Una rete ferroviaria statale è l'ingrandimento di una ferrovia a sca,1arnento 1idotto impiegata in cantiere. o adibita al trasporto di persone e merci all'interno di un ampio complesso. Non di rado quest'ultima è anche più sofisticata della prima , sebbene di gran lunga più modesta. Non così nell ' antichità, dove non si osserva alcuna corrispondenza fra pubblico e privato. Per restare ai trasporti, quelli pubblici mancavano quasi del tutto, al punto che un viaggio per mare dal Nordafrica all'Italia poteva compiersi, non di rado, sulle navi militari a discrezione del loro comandante. Ed ancora la rete di distribuzione dell'acqua all'interno di una odierna villa , può ritenersi una miniatura della rete di distribuzione pubblica, alle diverse utenze. Non così nelle città romane poiché, pur avendosi la seconda, non si aveva la p1ima al di là di una fornitura discrezionale e temporanea.

Il discorso può estendersi ad altri casi, ad esempio l ' illuminazione notturna delle città, ben dotata nelle residenze private e praticamente inesistente nelle strade pubbliche; ed ancora il servizio postale efficiente per lo stato e ind isponibile per i privati; e così pure la sanità, forte di razionali e capaci ospedali militari ma del tutto a s sente per i privati. Si è di fronte, a ben guardare , a una concezione sociale che disdegna la duplicazione delle funzioni , applicazione rigida e , a volte anc he ottusa, del principio della sussidiarietà dei servizi e delle funzioni.

Pertanto ne deriva che la conoscenza di una partico lare soluzione tecnica non significa affatto, né automaticamente , la sua utilizzazione corrente. Volendo ancora esemplificare, la disponibilità di ottime chiavi d'arresto per l ' acqua non s ignifica implicitamente che vi fosse l ' acqua corrente in ogni abitazione e neppure nella maggioranza delle case, ma soltanto che tale eventualità sarebbe stata tecnicamente possibile! Certamente si conobbero e si realizzarono, come vedremo, dei miscelatori di bron z o monocomando per ottenere acqua alla temperatura desiderata in ambito domestico, ma le abitazioni dotate d ' acqua corrente furono irrimediabilmente, e sempre , un ' esigua minoranza. Ennesima dimostrazione , anche questa , della ribadita diffusione elitaria della tecnologia

Da quanto delineato consegue che la ricerca deve considerarsi , sotto molteplici aspetti, un'indagine su ll e potenzialità mancate, sulle oppottunità non sfruttate o solo marginalmente sfruttate e poi perdute nei secoli successivi, sebbene tecnicamente esatte ed ergonomicamente vantaggiose, piuttosto che un vero trattato sulla tecnologia meccanica dei Romani , che per larga massima ci è ignota. Il che non minimizza affatto il ruolo da esse sostenuto per periodi di tempo più o meno ampi. Se ne rimarca , se mai, che nonostante il loro ott imo riscontro, non divennero patrimonio culturale acquisito stabilmente e per l'eccessiva arretratezza del contesto sociale e per la sua ancora maggiore disomogeneità. Questa mancata richiesta di base divenne, perciò, la causa e l'effetto di quel mancato sviluppo. Non dovendosi provvedere ad una produzione seriale di un detenninato bene, non se ne studiò mai l'ottimizzazione produ tt iva , ovvero il modo più rapido ed economico per realizzarlo. Ciononostante gli oggetti pervenutici appaiono, quasi sempre, ben studiati e dimensionati in relazione all ' impiego, anzi persino eccessivamente. Mancò la consapevolezza che sarebbe stato più conveniente ridurne le difficoltà di costruzione al fine di contenerne i costi e incrementarne la diffusione. La finitura di una chiave d'arresto di bronzo al tornio cd alla alesatrice , ad esempio, si sarebbe facilmente potuta eseguire con modalità più dozzinali e spedite, gara ntendo comunque un 'ottima qualità al prodotto. La sua validità sarebbe stata appena decu,tata a vantaggio del suo costo, fortemente abbattuto. Ma, essendo la chiave d'arresto un articolo 1iservato alla modesta compagine di quant i avevano l'acqua corrente o alle esigenze pubbliche, il suo alto costo non fu mai un fattore os tativo al suo impiego. Per intenderci il famoso cane che si morde la coda, dal momento che la s carsità del mercato non stimola a sua volta l ' incremento di produzione, per cui la tecnologia quand'anche disponibi le resta elitaiia persino nelle potenzialità cd estrinsecazioni più elementari. Una maggiore flessibilità della produ z ione s i ebbe solo nel tempo e in seguito a mutazioni molto ampie dei co stumi e della società.

A MBITI C RO NOLOG IC I D ' I N DAG INE

Come accennato, l' ambito storico de ll a ricerca si dipana ali 'interno dell'età imperiale , in particolare nei primi due secoli della nostra era: un contesto estremamente propi z io per la ci v iltà, un intervallo di pace e di prosperità garantito da una rara parentesi di stabilità politico- militai e. 1n quello stesso periodo, inoltre, i confini dell'Impero aveva-

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no attinto, se non la massima espansione tenito1iale, di certo il massimo dcll'inglobamento delle popolazioni civilizzate e civilizzabili. Da essi si maturarono insegnamenti ed esperienze, di matrice non soltanto ellenistica. di straordinaria utilità. Basti al riguardo la conoscenza della siderurgia celtica, grazie alla quale si poteva produrre, ovviamente in modeste quantità, acciaio di qualità mai conosciuta prima.

Non va poi sottovalutata l'importanza degli scambi che l'affacciarsi sull'oceano Indiano. utilizzando l'antesignano del canale di Suez, tra il Mediterraneo e il mar Rosso, attivato secoli prima e all'epoca ancora efficiente.62) Si potrebbe, per molti aspetti, ravvisarvi la via marittima delle seta, con le immaginabili conseguenze s ulla evoluzione tecnologica che quel contatto innescava. Nozioni già pienamente sperimentate in Cina tùrono così conosciute anche in Occidente e, magari, anche adottate. Un flusso di idee, di improba quantizzazione, iniziò a giungere nell'area romana: qualche statuetta indjana rinvenuta a Pompei ne fa fede.

Probabile, per ovvie ragioni, anche un ' osmosi inversa, come alcune invenzioni cinesi di evidentissima ispirazione occidentale ellenistica, stanno a loro volta a testimoniare. E', ad esempio, emblematico osservare alcune raffigurazioni di catapulte cinesi alquanto rudimentali: alctmi riscontri ci inducono a ritenerle piuttosto che rozze anni in fase di perfezionamento, delle rievocazioni semplificate di quelle occidentali.

Scorrendo le pagine che seguono non mancherà di stupire la constatazione della estrema esiguità numerica dei personaggi sicuramente connessi con le numerose invenzioni e scoperte. A voler essere generosi non eccedono la dozzina e ostentano , in maggioranza, rinomanza e celebrità solo nell ' ambito della scienza pura, quasi che si vergognassero di quella applicata o della s tessa tecnica. La realtà anche in questo caso é ben diversa: certamente si incontrano i nomi di Pitagora, di Archita, di Ctesibio, di Erone, di Archimede; tuttavia ad una più accmata indagine, risulta innegabile che furono proprio le grandi deduzioni scientifiche ad essergli ascritte, più o meno acriticamente se non immeritatamente. L'esempio più eclatante riguarda il teorema di Pitagora: gli Egiziani lo conoscevano già da millenni , per cui il filosofo greco si limitò, nella migliore delle ipotesi, a riformularlo in modo più sofisticato. In molti casi. quindi , la supposta attività esclusivamente teoretica è solo una nobilitante livrea! Simile del resto il caso di Archimede che, pur disprezzando gli ingegneri per la loro manualità, in pratica, e non soltanto al momento del1'estremo bisogno, fu anche lui un ingegnere, magari a titolo gratuito!

Fatta questa premessa, che amplia in un certo senso il numero dei tecnici, la domanda è ancora più stringente: è mai possibile che tanti uomini debbano 1iconoscenza a così pochi? E da questa una seconda: è forse plausibile dal punto di vista stoiico che a promuovere l ' avanzamento della tecnologia e della scienza furono effettivamente solo quelli? Una sparuta compagine, un pugno di menti superiori e perspicaci, immerse in una società praticamente del tutto estranea alle loro elaborazioni salvo che per sfruttarle?

Nulla di più gratuito quando si inizi a scandagliare la vita quotidiana e le tradizionali risorse. Senza una premessa del genere si rischia quanto già accaduto con Leonardo: gli si attribtusce per troppa superficialità l'invenzione di tutto, perché non si sa nulla dei tecnici a lui antecedenti e contemporanei! Nella fattispecie i nomi in questione devono immaginarsi piuttosto come dei maest:Ji o, per meglio dire. dei vertici culturali ai quali venivano ascritti i risultati delle ricerche in cui a vario titolo erano coi1wolti. Quanti studiosi formassero però il gruppo di ricerca, e quanti gruppi operassero più o meno contemporaneamente ma in settori diversi , non siamo in grado di appurarlo.

In vari casi, poi , quei personaggi furono degli zelanti raccogl iteri ed analizzatori della realtà scientifica già esistente, delle tecnologie già usate: forse le migliorarono e perfezionarono , forse si limitarono solo a divulgarle. E col tempo ,

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l~TROD UZ IO.NE
69. Statuetta indiana rinv e nuta a Pompei della dea Lak s mi. 70 Gaja Laksmi. X sec d.C. JoradeuL Dhaka.

quando se ne fu persa la memo1ia. restò unicamente il loro nome a ricordarne l'origine. E' senza dubbio logico. ad esempio, attribuire a Ctesibio l'organo ad acqua, la pompa idraulica alternativa, il sifone a stantuffo, la balista pneumatica e persino la siringa medica. se solo si supera il p1imo smarrimento, dinanzi ali 'apparente vastità della gamma di quei congegni. Ad una più ponderata riflessione. infatti. ci si accorge che l'invenzione fu in realtà soltanto una, il cilindro munito di stantuffo: tutte la altre furono semplici derivazioni e mere applicazioni, molte della quali elaborate anche successivamente. A vo ler come al solito esemplificare. la penna stilografica. l'ammortizzatore telescopico per gli autoveicoli. lo spruzzatore dell'insetticida, i cilindri oleodinamici delle macchine per il movimento tena. i freni idraulici, gli ascensori e persino il motore a scoppio. a vapore e Diesel, tanto per citarne una minima pa1ie, sono ancora altre applicazioni della medesima remota invenzione del figlio del barbiere di Alessandria. Ctesibio è scomparso da millenni e non gli accreditiamo più queste invenzioni poiché altri, a giusta ragione, ne rivendicano la paternità. L.idea di fondo, però, è immutata per cui secondo gli antichi sarebbe doveroso ribadirne il nome. Se volessimo scandagliare ulterionnente e più attentamente l'età di Ctesibio ci renderemmo subito conto che il famoso ci lindro con stantuffo già esisteva, forse in maniera emb1ionale ed imprecisa, ma sicuramente tale per movimento e funzione. Magari era un fusto di bambù in cui veniva spinto un bastone cilindrico, più piccolo e munito di una rozza guarnizione per compensare le differenze fra i due diametii, in modo da fame uscire da un piccolo foro in basso l'aria. Di un congegno siffatto, ad esempio. etnie che ancora indugiano all'età della pietra ed assolutamente isolate dal nostrn contesto, continuano a servirsene persino come acciarino. l'ingegnoso utensile, definito propriamente pompa da fuoco, pennette di accendere un'esca applicata al suo piccolo stantuffo mediante il 1iscaldamento del)' aria compressa. Ancora una volta da una singola idea innumerevoli applicazioni: cosa inventò allora in concreto Ctesibio? O, per meglio dire, che cosa migliorò Ctesibio e quanti in seguito a lui si ispirarono?

Discorso del tutto simile può essere fatto circa la vite, attribuita ad Archita e poi ad Archimede: forse due varianti distinte di un 'unica idea, invenzione solo in apparenza oscura e umile specie se la si guarda come organo di giuntaggio. Jn realtà la vite, già per gli antichi fu innanzitutto un sistema di trasmissione cinematica. poi un congegno di sollevamento dei liquidi, quindi un amplificatore di sforzo. ln seguito da essa derivarono tutte le innumerevoli tipologie di perni destinati all'assemblaggio, i rotismi irreversibili a vite senza fine, le eliche aeree e marine, le ventole, ed ancora le trivelle. i trasportatori a coclea. il martinetto -più noto come crik- e persino il cavatappi!

Grande invenzione ma non certo originale, in quanto se mpre presente in natura e ben in vista: elica deriva dal greco eliké, lumaca! Fu infatti il guscio dei gasteropodi a sugge rire la sua idea. forse ad Archita forse a tanti altri prima di lui: Archimede forse la studiò geometricamente e la trasformò in una coclea. che ruotando riesce a sollevare l'acqua facendola scendere continuamente! Impiego che ancora oggi continua a svolgere in numero si grandi impianti.

Paternità putative in definitiva! Tnomi , pertanto, che di volta in volta verranno menzionati. non sono quelli di improbabili geni isolati da cui scaturì la tecnologica, ma dei pochi scampati all'oblio rispetto ai tanti che si occuparono di portare innanzi, passo dopo passo, la conoscenza scientifica pura e applicata. L'avanzamento in conclusione non deve immaginarsi per scatti improvvi si di cerveJlj singolari: non è mai esistito nella storia dell'umanità un urùco genio, inventore di tutto, ma una stenninata teoria di arti-

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l\lTRODUZIONE
7 I. Acciarino pneumaticoinuso presso alcune popolazionipri111i1ive.

giani e di ingegneri. di filosofi e di scienziati, di perfezionatori e di sperimentatori testardi che, non fem1ati dalle irummerevoli sconfitte ma esaltati dai rari successi, hatmo costrnito, giorno dopo giorno la nostra odierna comoda re,1ltà. E continuano a farlo con il medesimo entusiasmo.

CONVEI\ZI ON I GRAFIC H E

La rappresentazione grafica di macchine e di congegni antichi per evitare di cadere nel soggettivismo d ' un disegno di maniera, simile in ultima analisi a una raffigurazione aiiistica, non può esimersi dalle odierne convenzioni per la rappresentazione tecnica. Queste, però, suppongono a loro volta modalità costruttive per quanto rappresentato cli gran lunga diverse da quelle utilizzate nel passato. Qualsiasi pezz o meccanico di metallo, qualsiasi asse di legno o parte di plastica hanno in comune, ed è facile verificarlo, delle linee di contorno precise e corrette. senza approssimazioni o incertezze. Il perché deriva dall'essere eseguite mediante macchine utensili di grande precisione. funzionanti secondo cicli perfettamente ripetitivi, dai quali possono uscire soltanto pezzi assolutamente standardizzati. Non è un caso che quando si è voluto ottenere qualcosa di diverso e di volutamente meno preciso, paradossalmente. i I suo pre z zo si è dimostrato più alto: è il ben noto fatto a mano, prodotto artigianalmente, secondo le antiche lavorazioni.

A ben vedere è proprio nell'assoluta disomogeneità formale di ciascun pezzo, la principale differenza fra la produzione artigianale autentica e quella industriale. Un pezzo per essere di matrice umana deve apparire, sia pur di poco, sempre d iverso dai similari. Si sono addiritttu-a inventate delle macchine che, variando di poco e ca<,ualmente la lavorazione, imitano tale diversità, fornendo una pseudo manualità, una anacronistica produzione seria le di elementi singolrui!

Ovviamente pezzi sistematicamente diversi fra loro, pur in un ambito di tolleranze ristrette, non possono essere disegnati come tali ma soltanto come se fossero esattamente definiti. In pratica si asswne come linea di contorno il loro ingombro massimo, il poligono o il solido regolare di iscrizione. Sempre per esemplificare. un autove icolo avrà a livello formale una perfetta sinunetria fra parte destra e sinistra, con le relative ruote identiche fra loro. Questa che per noi è una condizione tassativa ed ovvia, spesso imprescindibile per il funzionamento del congegno, non trova alcun riscontro nel passato anche prossimo. Un carretto o una carrozza non avevano tanta simmetria e le loro ruote non erano affatto identiche, né per forma né per d iametro, ma solo approssimativamente uguali. Le superfici non erano affatto piane ma soltanto all'incirca piane, limite e tendenz a che iniziò a tramontare sul finire del XIX secolo. Per i Greci prima e per i Romani poi tanta identità fonnale non es isteva e non era neppure immaginabile. Una loro ruota dentata, aveva ciascun dente diverso dall ' altro, e solo la maggiore tolleranza del meccanismo ne consentiva il funzionamento. In conclusione ogni produzione meccanica, da intendersi nella più ampia accezione etimologica, ricorda molto da vicino le realizzazioni della natura, per la quale non esistono in una foresta di faggi o di querce due foglie uguali fra loro ma soltanto simili, come pw-e due granelli di sabb ia uguali in un intero deserto. E ' la condizione che ci consente l'identificazione, in biologia o in botanica e, persino, in mineralogia: analogie formali ma mai identità.

Le macchine antiche, quindi , avevano delle tollernnze non solo maggiori delle attuali ma soprattutto imprevedibili e casuali , oscillanti entro ambiti compatibili con il loro funzionamento a scapito del rendimento e della durata. Il che in una economia embrionale non costituiva un grave problema. Il problema. se mai , è nostro quando dobbiamo disegnare tali macchine, dal momento che non possiamo renderle nella loro imprecisione e nello stesso tempo appare anacronistica la attuale precisione. L'unica soluzione potrebbe essere quella accennata di disegnare meno rigidamente. come si fa a mano libera, ma otterremmo di nuovo una immagine artistica e soggettiva

Penanto, non potendosi aderire all'antica costruzione. i grafici di seguito allegati hanno per mera convenzione la definizione ed i connotati degli attuali disegni tecnici, ma sono rivestiti con i materiali originali con la lucentezza e la colorazione che natw-almente dovevano avere a lavorazione ultimata. Vanno perciò considerati come il ve1tice ideale al quale la tecnica antica puntava ma che in nessun caso mai potette raggiungere. Un po· come le geometriche gabbie di cristallo al cui interno si colloca il reperto o riginale, la cui precaria consistenza non ne consente l'autonoma statica, e se ne discosta ove più ove meno, ma sempre di pochissimo. Pertanto le tolleranze più ampie che nel moderno disegno di progetto non trovano giustificazione, essendo precipue per l'epoca in esame, implicano che se ne tenga debito conto pur nella modernità della grafica Ne deriva una immagine ibrida che, tuttavia , descrive bene l'originale, come alcuni recenti ritrovamenti di eccezionale stato di conservazione, confe1111ano. Confenna, ribadita anche dalle ricostruzioni in grandezza naturale e coi materia li e le lavorazioni tecniche assolutamente fedeli alla coeva realtà.

98 TNTRODUZlOJ\:E

72 -73 . Due rapprcsc11ta7 ioni classiche tlei quattro elementi

E'. in ultima analisi, la variante gralìca della medesima convenzione adottata per la traduzione delle I ingue morte. che necessariamente tende, più che a rendere alla lettera il di~corso antico a rispettarnç lo spir ito del suo ragionamento. utilizzando anche termini ed espressioni più moderne.

I QUATTRO ELE:VIEJ\TI CLASSICI

Come già accennato, la ricerca adotta la suddivisione degli elementi di epoca classica, attualizzandola come stati di aggregazione della materia. La trattazione. pertanto. è su quattro parti. con la convenzione che 1ientrerà in ciascuna di esse, non quanto strettamente attinente alla temi o alla acqua. ad esempio, ma allo stato solido o liquido. Ovvero. quanto in maniera preminente serviva in ambito solido o liquido, o per funzionare si avvaleva di un suppmto solido, o liquido. Fe11110 restando, ovviamente, che molli congegni usati sulla teo-a implicano tassativamente l'impiego di liquidi e che nessun congegno esiste al puro stato liquido, e meno che mai di quello acrifonne.

PARTEPRl~A- T ERRA - STATOSOLIDO

PARTCSECONDA-ACQUA-STATOLIQUIDO

PARTETERZA-ARIA-STATOAERJFORME PARTEQUARTA-Fuoco-STATODELPLASMA

E' indispensabile antepoJTe alla trattazione per schede alcune considerazioni.

La prima è che, ovviamente. non può essere esposta l'intera esemplificazione di tutta la tecnologia inerente allo stato solido utilizzata dai Romani. Non la conosciamo nella sua interezza e, comunque, anche quella nota risulterebbe assolutamente eccedente lo spirito della 1icerca. Il crite1io seguito è stato quindi di operare una selezione, favorendo quella meno nota e dalla quale sono derivate applicazioni pron-attesi fino ai giorni nosni, in tutto o in parte, sempre però di straordinatia rilevanza tecnologica. Per volere esemplificare, pw· essendo le strade romane una delle più importanti realtà della storia, per la loro notorietà si è preferito trascurarle ed espotTe, in loro vece, gli strnmenti topografici che le resero possibili, insieme agli acquedotti e all'urbanistica. Così pure per le macchine destinate al so llevamento dei ca1ichi, che sostanzialmente restarono immutate fino all'awento della motore a vapore: al loro posto si è descritto il paranco a più pulegge, ancora in uso in vastissimi campi di impiego. Ed ancora si è dato risalto ad anni da lancio vuoi a molle metalliche. vuoi automatiche per le conseguenze che avranno nell'ambito delle sospensio ni dei veicoli e degli automatismi in generale. Discorso analogo a quello delle sem1ture e dei lucchetti. onnipresenti presso ogni nostro contesto esistenziale.

Il criterio adottato. pertanto, pm evidenziat1do qualche singolarità tecnologica lo fa soltanto quando la stessa nel nostro presente riveste pruticolare interesse, o dimostra di essere stata prodromica per successivi impo1tanti esiti. 11 cosiddetto calcolatore di Antikythera, ad esempio. non ha alcun equivalente in età classica, come pure in epoche successive: dimostra. tuttavia, che l'idea di w1 rotismo differenziale, oggi diffuso in ogni JX>SSibile variante anche in un qualsiasi autoveicolo. era già correttamente formulata ed attuata. Come pure la Jettma analogica su scale graduiate concent1iche mediante apposite lancette.

Un 'ultima precisazione, infine, è relativa alla ragione delle scelte tipologiche degli oggetti e delle tecniche trattate. li criterio prevede per ognuno una fonte letteraria che lo menzioni, una fonte iconografica che in qualche modo ne tramandi l'immagine, e un qualsiasi reperto archeologico che ne ce1tifichi materialmente la concreta esistenza. In pratica tre livelli concomitanti di conferme e di riscontri, per evitare la fin troppo facile e deleteria caduta nella fantarcheologia.

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lNTRODUZION 'E

NOTE

1- Cfr. Y.GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, p. 191.

2-Cfr. W.1-1. Mc NEILL. Caccia al porere. Tecnologia, armi. realtà sociale Mille, Varese 1984, p. 292, e anche dr. E.CECCHTNT, Tecnologia e Arte militare, Roma 1997, pp.223-227.

3-Cfr. F.RUSSO, F.RUSSO , Tormenta navafia. Le artiglierie navali romane, sup Rivista Marittima, giugno 2007.

4-n 27 novembre del 1895 Nobel redasse il suo testamento definitivo nel quale stabilì di lasciare quasi tutte le sue ingentissime proprietà alla creazione di una fondazione che con i relativi proventi avrebbe dovuto conferire un premio a eh i ne l corso dell'anno precedente si fosse dis t into ne l settore della Fisica, Chimica, Fis iologia, Medicina, Letteratura e Pace, riconoscimento que st'ult imo assegnato dal Parlamento norvegese .

5-Cfr. M.HOWARD, Lu guerra e le armi nella storia d'Europa, Bari I978, pp.267-287.

6 -Cfr F.MINI, Fissione e Jì1sio11e: una questione di «bombe)) e di «perché». in Esercito e scien:::a, Modena 1991. pp. 234 -240: sullo stesso argomento cfr. anche U.COLOMBO. La fusione nudeare in Europa. in Esercitto cit., pp. 241 - 245.

7- Cfr. G.BOUTHOUL, Trai/alo di sociologia. Le Guerre Elementi di polemologia, Milano 1961, pp.151 - 165.

8- Cfr. W.H.STAHL, La scienza dei R omani, Bari 1974, pp. 85 e sgg.

9-Da R.J.FORBES, L ·uomofa il mondo, Torino 1960, p. 82.

IO- Da W.H.STAHL La .scien::a , ci t ., p. 8.

11 -Cfr.D.A.FLOWER, I lidi della conoscenza.La storia del! 'antica hihlioteca di Alessandria, Roma 2002, pp.8586; più in particolare cfr. LR US SO, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, M i lano 2003. pp 156-164.

12 -La citazione è tratta da B.G ILLE, Storia delle tecniche, Roma 1985, p. 197

13- Da B.GILLE, Storia delle . , cit., p. 206

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14-Da L.RUSSO.La rh·oliòonedimemicata ... , cit., p. 135.

15-Da B.GILLE, Storia d elle cit., p. 209.

16- W.H.STAHL La scienza , cit., p. 9.

17-W.II.STAHL. la scienza , cii.. p. 9.

18- Da R.J.FORBES. l 'uomofa , cit., p. 22.

19-Da LRUSSO , La rivoluzione dimenticata , cit., p.136.

20 - Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , cit., p 25.

21-Da G.DJ PASQUALE, Tecnologia e meccanica. Trasmissione dei saperi tecnici da/l'età ellenis1ica al mondo moderno, Città di Castello 2004, p.11

22 - Cfr. L.ROSSJ. Ro10calchi di peh·a. Segni e disegni dei t e mpi sui monumenli trio,~fà/i Romano. Milano 1981, pp. 50- 56.

23-La citazione è tratta da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , c it. , p. 165.

24-La citazione è tratta a L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata .... cit., p. 400.

25- Da L.RUSSO, la rivoluzione dimenlicata , cit., p. 165.

26-Cfr. F.RUSSO. la mutazione aragonese di Napoli: il limite di un ·era, in Arcliiv Stor: Prov. Nap , Clii int. co l. , Napoli l 985. pp. 112 e sgg Ed ancora cfr F.RUSS O , Fortificazioni e artiglierie aragonesi, in Atti Conv.Naz. Studi Pietramelara 14-15. 06 96, Roma 1996, pp. 54-65.

27-Per l'esattezza si tratta della famosa tavola anatomica raffiguran te il feto nell'utero in posizione dal vivo. duplicata senza alcuna modifica dalla miniatura del codice arabo di lbn Nafis (1203-1288) Tratwro di ginecologia

28- Cfr W.SANDERMANN, li primo jèrro cadde dal cìelo: le grandi invenzioni degli antichi, Bo logna 1978, pp. 60 -64

29-Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , cit.. p. 164.

30- Da R.J.FORBES, L'uomo jà c it.. p. 15.

31-Cfr. F.RUSSO. L ·artiglieria delle legioni romane, Roma 2004, pp. 47-50.

32 - Cfr. Y.G.CHlLDE, li progresso , cit., p. 5.

33-Da R.J.FORBES, L'uomo.fa .... cit.. p. 15

34-Cfr. G.CERBO, F.RUSSO, Parole e pensieri. Raccolta

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di curiosità li11guisrico -111ilitari, Roma 2000. alle voci: genio, ingegnere.

35- Da G.Dl PASQUA LE, Tecnologiu e meccanica cit., p. 37, no ta 78.

36- Da G.D l PASQUA LE, Tecnologia e meccanica ... , <.: i L. pp.37 - 38.

37-Cfr. A M CHUGG. The lost tomb o/ Alexander the Great, Lon don 200 5

3 8 -Da V.G.CHJLDE, li progresso , cit., p. 242

39- Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata cit. , p 47.

40 -Da B GIL LE, Storia delle , cit., p 195

41 -Cfr. E.CICCOTTl, li 1ra111011to della schiavitù nel mondo antico, Ba ri 1977, voi.I, pp 8 e sgg; AA.VV. la sch iavitù nel mondo anrico. a cura di M.I.F INLEY, B ari 1970, pp . l 31- 156; AA . VV, Schiavitù ant ica e moderna. Problem i Storia Istituzioni, a cura d i L. Sic hi ro ll o, Napoli 1979, pp 139 e sgg.; L.FTORE. la condizione dello schiavo nel! 'antichità classica, Teramo 1968, pp. 155 e sgg.; E M.STAERMAN M K,TROFIMOYA. La schiavitù nel! 'Italia imperiale, Pe rugia 1975 pp. L82 e sgg

42 - Cfr. K,R.BRAD LEY, Approvvigionamenti e allevamento di schiavi a Roma. in AA.VV. La schiavitù nel mondo antico , cit., pp .59 -93.

43 -Cfr. C.ROBERTAZZI AMODTO, la tratta dei negri e la schiavitù moderna. Aspetti della storiografia contemporanea, in AA.VV Schiavitù antica e moderna .. . , cit., pp. 251 -281.

44 - Da B.G TLLE, Storia delle , c it , p. 201.

45 -La c it az io ne è tratta d a D a B.GTLLE, Storia delle , cit., p. 202 .

46- Da L. R USSO, La rivoluzione dimenticata , cit., p. 47

47 -Da L.RUSSO, La rivoluz ione dimenticata , c i t., p . 44.

48 -Da B.GlLLE, Storia delle , cit., p. 233.

49- Cfr. G.TODARO, Bracconaggio e trappolaggio, Bo logna 2006, pp. 85- L62.

50 -Cfr. L.CANfORA, La biblioteca scomparsa, Pa lermo 2004. p p. 197 - 199

51 -Da L.RUS SO . La rivoluzionedimenticaw ... , cit., p. 387.

52- Da L. R USSO, La rivoluzione dimenticata , c i i., p. 3 87, nota 27

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53-Da L.RUSSO, la rivoluzione di111en1icata cit pp. 388 e sgg.

54-Da L.RUSSO La rivolu::ione dimenticata , cit., p. 395.

55-Da L.RUSSO. La rivoluzione dimentica/a cii., p. 395.

56-Da A.FAVARO, Archimede, collana Projìli, 21, seconda edizione A.F. FORMIGGIANl Editore, Roma 1923 , edizione elettronica l 0.11.2006, pp. 8-9

57-La citazione è tratta da B.GlLLE, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento. Varese 1972. p. 226.

58-Cfr. W.H. Mc NEILL, Caccia al potere ... , cit., pp. 75-78.

59-Da G.DT PASQUALE, Tecnologia e meccanica , cit., pp.81esgg.

60-Da G.DT PASQUALE, Tecnologia e meccanica , cit.. p. 78.

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PARTE PRIMA -TERR A -

L Iliade, l'unico poema pervenutoci dal! 'età del bronzo, si apre in un accampamento organizzato in riva al mare. Da dieci anni al suo interno, protetti da un.fossato e da un aggere merlato, stanno gli Achei e le loro navi. Gli scafi tirati in secco e disposti uno a.fianco dell'altro, sorreggono le tende, forse già vele, come i padiglioni sulle imbarcazioni raffigura te nei geroglifici. L 'impianto, vagamente regolare, anticipa il reticolo ortogonale che lppodamo adotterà per la sua urbanistica quasi un millennio dopo, e che i Romani preferiranno per i loro celebri campi legionari. Scelta che sopravvive ancora ben evidente nei centri storici delle maggiori città europee. Quanto alle tende solo da allora assurgeranno a precipuo alloggiamento degli eserciti in battaglia e a riparo d'emergenza nelle ricorrenti catastrofi.

Mare e guerra, simbiosi di capacità tecnica e temerarietà: la capacità di sapersi orientare anche con dei rudimentali strumenti, e la temerarietà di sapersi battere con rozze macchine. Strumenti in grado di consentire la misurazione di angoli e di distanze, di profondità e di tempi, di assetti e di direzioni. Dal giro della terra di 360 giorni più cinque, scaturì l'angolo giro di 36(!': e grado sign(fica appunto passo. Misurandone con il loro tramite l'inclinazione del sole si comprese la grandezza della terra e le distanze con le quali occorreva confrontarsi. Ma si comprese anche l'enormepotenzialità che gli spostamenti sul mare assicuravano. Nuove invenzioni per computare i proventi delle crociere mercantili e delle razzie piratesche, fra cui la scrittura aljàbetica e l'abaco aritmetico. E, prima ancora, la competenza per costruire le navi, la massima sfida tecnologica dell'antichità, che si destreggiava fra la consapevole individuazione dei materiali. la padronanza delle lavorazioni, la valutazione delle prestazioni. Utensili e attrezzi per trasformare dei tronchi in scqfi e in macchine per spostarli o per sollevarli capaci d i amplifìcare in maniera strabiliante la forza muscolare. Piani di alaggio, argani, cabestani, paranchi, bozzelli e corde: vasto repertorio nato in riva al mare e cooptato in breve volgere un po' dovunque, peraltro ancora ampiamente impiegato.

Quando nel VII secolo a. C. fu chiaro che la navigazione dal mar Ion io all'Egeo richiedeva diverse giornate contro le poche ore di marcia nei pressi di Corinto, si preferì spostare le navi su degli appositi carrelli.fatti muovere su un antesignano solidissimo binario lapideo, definito Diolkos e lungo quasi 7 fan. Neanche allora era una assoluta novità riscontrandosene una intera rete completa di incroci e scambi sull'isola di Malta, dove spesso quelle rotaie finiscono nel mare. Forse servivano per spostare i blocchi di pietra necessari ali 'imperante megalitismo, forse per caricarli sulle imbarcazioni per a ltre destinazioni.

STATO SOLIDO

L'ACCAMPAMENTO LEGIONARIO

FRA TPRTMJ ESEMPI Dl ACCAMPAMENTO VI È QUELLO IMPIANTATO A TROLA, PRESSO LE NAVI DEGLI ACHEI TIRATE IN SECCO. LE VELE NE FURONO LE TENDE ED I PENNONI I SUPPORTI. RESTÒ IN FUNZIONE PER OLTRE DIECI ANNI FORNENDO cost UNA PJENA VERJFICA DELLA VAUDJTÀ DELLA SUA CONCEZ IONE CHE

SARÀ RIPROPOSTA FINO Al GIOR.J\11 NOSTRJ, SIA PER US I MILITARI CHE crvru.

Fra le realizzazioni più impo1tanti dei Romani, non fosse altro che per le implicazioni tattiche garantite e le conseguenze urbanistiche, spicca l'accampamento legionario. Per gli studjosi dell'arte militare fu una sorta di fortificazione mobile, una base ambulante ed un originale impianto residenziale.' >Per gli studiosi di urbanistica la sua ripartizione, ù1fatti, che si riscontra al centro di molte città europee, ne fu l 'incliscutibile premessa. 2l Nonostante ciò, sene ignora non solo l'origine ma anche la collocazione cronologica della sua adozione: forse avvenne nel IV secolo a.C. nel contesto delle guerre italiche.3 l Plausibile reputarlo una reminiscenza d'età preistorica, ad esempio, dei villaggi trincerati dauni. 4>

Dal punto di vista geometrico ostentava un perimetro rettangolare a spigoli smussati: ve ne erano, tuttavia, di varie tipologie che, in prima approssimazione, si possono distinguere in:

CAMPI DA OPERAZIONI - castra aestiva

QUARTIER! D'JNVERNO - hiberna

CAMPI DI TAPPA - stationes

CAMPI STRATEGICI - presidia

CAMPl FRONTALIERI - stativo

La capacità ricettiva cli un campo legionario oscillava tra un minimo di alcune migliaia di uomini e un massimo cli alcune decine di migliaia, con i relativi animali, ossia cavalli, muli e bovini da macello. Igino ce ne ha tramandato le dimensioni di uno destinato a un esercito cli 42.000 soldati, pari a m 687 x 480. 51 Le difficoltà insite neUa formazione cli tm accampamento, quale che fosse, scaturivano dai molti condizionamenti ambientali che doveva soddisfare, primo fra tutti l 'adiacenza d 'lm corso d'acqua. Anche quando lo si costruiva ogni sera il metator, che precedeva la truppa, doveva trovare un sito adeguato e il librator curarne lo spianamento; solo allora il mensor, poteva delimitarne gli spaz i rettangolari riservati alle tende. 61

· 'amp i le- . dei diversa e, . 74-75- 76. Resu , l'assedio rotilizzati durank gionan u Gernsalemme. ., 1a no da Masada, d. 'poca arcaica. n' mpo I e d 77 Schema d1 ca mano secon o · · mpo ro 78. Schema d1 ca Polibio 77

RETt:NTlJRA - LATERA PR,\ETORll - PRAETENTl

74 109

LE TE'.'I DE DEI LEGIONARI

Per restare ancora all ·accampamento romano, ques te per grandi linee , le caratteristiche della tenda di pelle simile alla odierna canadese, detta papi/io. sotto cui i legionari si riparavano 7l : era formata da due spioventi sonetti da un apposito cavalletto di legno e veniva fissata al suolo, tramite corde, da picchetti , di circa 40 cm, e sempre di legno. A pianta quadrata , ingombrava circa 3.5 m per lato, di cui 3 interni e 0.5 estemj, per l'ancoraggio; in pratica copriva 9 mq ed era alta al colmo circa m 1.80 e all ' imposta solo m I. Vi si accedeva attraverso due teli frontali mobili e vi dimoravano otto uomini, con i loro effetti personali e 1e anni, in stretta promiscuità. 1 teli derivavano da pelli bovine, per Io più cuoio di rilevante spessore , ideale per resistere alle intemperie. Per ciascuna tenda ne occorrevano almeno 25 che, con i tiranti e i picchetti, facevano ascenderne il peso complessivo a circa 30 kg. Considerando che ogni legione doveva dispoJTe di 500 tende del genere, più molte altre maggiori, il loro peso complessivo da trasportare sui caniaggi superava le 20 t: in pratica a lmeno una cinquantina di cani! 8l

79 110
(()
Piano in cui J1Jq 1mltrr 1111""· mumero novt Sol&11!)hm-io u.91ocert: J0/10 una 'Jè,,d;,

79. Dìsposizionc per il riposo <lei soldati sotto la tenda (XVIII scc.) analoga a quella <l.:i romani.

80. Roma. Colonna Traiana, sullo sfondo alcune tende.

81-82. Ricostruzione di tende romane e loro dettagli.

83. Stampe del XVII sec. raffiguranti legionari intenti all'impianto del campo.

83 MILITES LIGNATORES ad i11jlr1H11da caflrd. - - -·--

M!LITES FOSSAM EFFOOIENTES ~}tal/Km co1uln,t111t,.

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Nel brano prec e dente si percepisce implicitamente l ' uso di uno squadro e d'una livella: solo loro tramite si poteva ottenere un campo rettangolare con lie ve pendenza Furono questi due umili s trumenti che rese ro pre c i s a e rapida la forma z ione del! ' accampamento. Ad essi , col passar del tempo, se ne aggiunsero molti altri sempre più precisi e sempre più complessi, fino a ricordare l ' ultima strumentazione ottica appena dismes s a. Ma prima di passare alla loro sommaria descrizione, giova fornire una tabella di compara z ione d e lle principali unità di misura lineari vigenti: 9 >

D ITO

P ALMO

S PANN A

C UB ITO

lTI 185 (62 5 PI))

ffi [ 482 (5000 PD1 fil 7500 (7500 PD)

AR C HIP EN D O LO

Questo elementare strumento si crede di remota origin e egiziana, forse delle prime dinastie De1ivò dall' unione del filo a piombo con la squadra: l'etimologia risulta a s ua volta composta dai tennini archi= superiore e pendolo= filo a piombo, quindi un qualcos a di più del semplice filo a piombo, defini z ione che pur s i attaglia pe1fettamente, fungendo anche da livella. Constava di una squadra a fom1a di A , con l'ango lo al vertice di 90°, esatta metà d ' un telaio quadrato. Proprio dal vertice s cendeva il filo a piombo che, quando coincideva con la tacca centrale della traversa , indicava la giacitura orizzontale del piano sul quale insistevano i due bracci. Riprodotto su innumerevoli bassorilievi e persino su alc u ni mosaici , lo s tnunento è rimasto in us o fmo al secolo scorso, scomparendo in segu ito al diffondersi della livella a bol la 10>

112
PI EDE PASSO S. CE PASSO
P ERTIC A
U NITÀ Dl MJSU RA GRECHE UNITÀ DI MISURA RO MANE mm 19.3 mm 231.2 (12 o.; mm 462.4 (2 sP. 24 o ) m 177.6 mm24.6 mm 74.l mm 295.7 mm 296.4
mm74l
S TADIO M IGLIO L EGA
( I 6o.J
mm 1482 ( 5 Po) mm 2964 (10 PD

8~. Archipendolo in ]con , d1bronzod'"'0t:Onnntorzi 1 epoca 1m · raftiourato i11 penaleromana 8 - "' un mosaico di p . ' ,. Bassodlievo ro ompe1. un archipcndol L' ma1~0 raffigurante zionale. o Aq uila. Museo Na -

86. Arch ipendo lo , 87 i.:gJLJal10 Bassori lievo romanstrumentid1'lo ratli,gurante oli avo ro di o maestro d ' asc ia 1 .u? carpentiere 0 . ra cu, ] ·arch ipendolo.

85 113
87

ODOMETRO

Il metodo più semplice per misurare le distanze fu, a lungo, quello di contare i passi, per percorsi relativamente brevi, e le giornate di marcia negli altri casi. Mille passi divennero il miglio, scandito lungo le strade romane da una apposito cippo: la pietra miliare. Sui restanti itinerari, computare le distanze risultava di gran lungo più complesso, soprattutto quando si viaggiava sui carri. Si spiega forse così la molteplicità degli archetipi di odometro, il primo strumento automatico di misurazione, attualmente noto con la banale definizione di contachilometri.

Vitruvio ne tramanda. dettagliatamente il modello più semplice, in due versioni, una terrestre e l'altra navale, entrambe idoDee a contare il numero di miglia percorse, ma non le frazioni intermedie.

11 congegno, azionato da una lama eccentrica solidale al mozzo d'una ruota, il cui diametro doveva essere di 4 piedi di modo che due giri equivalessero a 5 passi, constava d'una serie di ruote ciascuna munita di 400 denti. Avanzando il cano, ad ogni giro della ruota il mozzo spostava di un dente l'ingranaggio del congegno Occonevano 1000 passi per una sua intera rotazione; questa, a sua volta, provocava lo scatto di un solo dente della ruota successiva, sempre di 400 denti ma collocata orizzontalmente, sopra una piastra dotata di un buco. Lungo la sua corona, simile ai dischi dei vecchi combinatori telefonici, in una teoria equidistante di fori stavano collocate altrettante pietruzze: il coincidere del foro superiore col buco della piastra, le faceva cadere una per volta in una apposita campana di bronzo. Il suono indicava il miglio percorso e il numero complessivo delle pietruzze l'intera distanza. 11 1

Sostanzialmente simile l'odometro navale, fatta salva l'adozione di ruote a palette ai fianchi della nave al posto di quelle a cerchione ai fianchi del carro. La disposizione, che deve supporsi desunta dai mulini galleggianti, è la più antica enunciazione del battello a ruote laterali. 121

ODOMETRO DI ERONE

Del tutto uguale ai moderni contachilometri, tranne che per la grandezza, l'odometro realizzato dal celebre Erone di Alessand1ia. Di lui ben poco sappiamo, nonostante l'immensa reputazione e le innumerevoli opere attribuitegli 13> , delle quali alcune ci sono fortunosamente pervenute. Solo da pochi anni si è dimostrato che visse in Egitto nel I secolo d.C.. dirigendo a lungo la mitica biblioteca alessandrina

114

88. Odometro disegnato da Leonardo da Vinci, f. I retro, Codice A!la111ico, secondo le indica7ioni di Vitruvio.

89. Dispositivo degli ingranaggi dell"odometro. dettaglio dello stesso foglio. 90. Attuale odometro concettualmente identico a quello disegnato nel Codice Atla111ico.

91. Ricostruzione virtuale dell'odometro navale. secondo le indicazioni di Vitruvio.

88 89 90 115

suo odometro forniva misurazioni con stima analogica continua, tramite una serie di quadranti circolari sui quali giravano apposite lancette. 141 Il meccanismo era contenuto in una scatola di legno, dal fondo della quale una piccola ruota a pioli, simile ad un timone in miniatura, la sc iava sporgere uno dei suoi otto corti perni. La solita lama eccentrica, solidale al mozzo della ruota, spostava un perno per volta: otto giri della ruota per un gi ro del timone. Questo a sua vo lt a, tramite un asse, terminante a vi te senza fine, provocava con una decina di giri un'unica rotazione di una ruota dentata , la quale, solidale a una seconda vite, dopo un'alu·a decina di giri, imprimeva un'unica rotazione alla ruota dentata successiva, che si comportava nella medesima maniera con l ' ultima. TI rapporto numerico fra i denti delle ruote e le spire dei vemu delle viti, va supposto come puramente indicativo: in linea di massima si può pensare ad una riduzione di 1/ l O, per cui una ruota con trenta denti avrebbe dovuto compiere un rotazione completa ogni dieci di una vite a tre spire. La stima della distanza percorsa avveniva per lettura: ali' estremità quadrata di ogni asse era fissata una lancetta , che ruotando su di un quadrante graduato, forniva l'indicazione sulla rispettiva scala di misura. come, ad esempio, avviene nei moderni contatori dell'acqua. Occorre aggiungere che la trasmissione a vite-mota dentata , rispettivamente elemento movente ed elemento condotto con alberi sempre ortogonali fra loro, non è reversibile li che, evitando qualsiasi regressione, frustra eventuali enori di misura, ma richiede che l'eccentrico sul mozzo possa piegarsi se sollecitato alla rovescia, qualora accidentalmente s'inverta la rotazione. ln caso contrario , infatti, sarebbe stato reciso ogni volta che la rnota, fosse tornata indietro, anche di un solo passo .

BACULO

Quando non riusciva possibile misurare di.rettamente una distanza, interponendosi una profonda gola, un largo fiwne o un braccio di mare , si ricorreva a un rudimentale telemetro: il bastone di Giacobbe, detto anche baculo o balestriglia o ancora radio. La precisione dello strnmento dipendeva molto dall'esperienza del suo operatore ma, in ogni caso, restava sempre scarsa. Storicamente il baculo risulta usato dapprima dagli Egizi, poi dagli Ebrei e quindi dagli Arabi. ln Europa giunse nel Medioevo 15}, portato forse dal matematico Levi ben Gerson ( 12881344). TI modello più arcaico, constava di una semplice asta graduata sulla quale poteva scorrere una più piccola

116
ll

92. Ricostruzione virtuale del l' odometro di Ero ne.

93. Il sistema di trasmi~s ione a vi te senza fi n e.

94 Una ricostruz io ne m oderna di balestr igl ia e la ricostruz ione sc hemat ica del baculo d i epoca romana.

95 L'utilizzo de l bacu lo in una s tampa medievale. 93 95

94 117
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a croce: la stima si basava sulla similitudine dei triangoli rettangoli. La rozzezza dello sm1mento, però, la rendeva estremamente approssimata. pur essendo i I relativo criterio informatore alla base degli attuali telemetri ottici. li che non impedì il protrarsi del suo impiego, fin quasi all'età moderna. Secondo alcuni studiosi dal baculo derivò il radio latino, un petfezionamento del radio greco, detto appunto bastone di Giacobbe.

GROVIA

Improbo stabilire dove e quando la groma fu inventata: forse ebbe origine in Mesopotamia, da dove intorno al IV secolo a.C. l'avrebbero cooptata i Greci, ribattezzandola gnomona o stelletta. Quindi tramite gli Etrnschi pervenne ai Romani, che la definirono gruma oferramentum. In dettaglìo consisteva in una croce di fcJTo o di bronzo dai cui bracci scendevano quattro fi li a piombo. Traguardandone le opposte coppie, l'agrimensore individuava due direttrici a squadro fra loro, che g li consentivano di suddividere il terreno in allineamenti ortogonali. 16>

Che lo strumento, nonostante la sua arcaicità, fosse di impiego corrente e diffuso anche secoli dopo, lo dimostra il rinvenimento di un esemplare a Pompei e la raffigurazione in alcune steli funebri. Per quanto se ne può desumere, l'asta di un paio di metri, soJTeggeva la croce ben al di sopra degli occhi dell'operatore, che poteva perciò liberamente traguardare i fili a piombo. li vero limite dello stmmento si rivelava quando anche un debole vento, facendo oscillare i fili, impediva la col l imazione.

S QUA DR O A G RI MENS ORIO

Il superamento della banale deficienza si conseguì con lo squadro agrirnensorio, a tamburo o a bossolo. La funzione dei fili. infatti, era affidata a sottili fessure, praticate ad intervalli regolari, sulla superficie laterale di un tamburo cilindrico. Nei modelli usuali l'intervallo era di 90° che scendeva a 45° in quelli più accurati. Per impieghi di maggiore importanza, ecomunque diversi dalla semplice squadratura, si riduceva addirittura a 22°30'. Traguardando attraverso una fessura quella opposta corrispondente veniva individuata una direttrice; quindi, tenendo saldamente fisso lo strumento, traguardando nuovamente dalla fessura a 90°, s'individuava la direttrice ortogonale alla precedente. Infine. traguardando dalla fessura a 45° si determinava la diagonale e la sua bisettrice da

118

96. Ricostruzione virtuale della groma

97. Puntale di groma. Ercolano.

98. Bassorilievo di epoca imperiale raffigurante una groma.

99. Legionario intento all'utilizzo della groma .

96 99 97 119

quella a 22°30' 171 : si potevano perciò tracciare figure geometriche a 8 o a I 6 lati. con notevole precisione.

Per la messa in stazione dello squadro lo si innestava nell'estremità superiore rastremata di un'asta di legno, munita inferiormente d'una cuspide ferrata per l'inserimento nel teJTeno. P1ima di procedere alla collimazione occorreva verificare la perfetta verticalità dell'asta, con un filo a piombo. In merito all'origine dello squadro agrimensorio, se ne ignora sia l'epoca che il luogo e ovviamente l'ideatore. Il rinvenimento di un esemplare, sostanzialmente integro, a Coblenza fogò ogni riserva: nella fattispecie si trattava d'un bossolo a p1isma ottagonale, con una fessura su ogni faccia a 45 °. 18) Perso a iidosso dell'ultimo conflitto, fu rimpiazzato nel 1997 da un secondo esemplare affiorato in Spagna, durante gli scavi dei rnderi di una villa romana del III sec. d.C.

Il reperto, costituito da un tamburo cilindrico di bronzo, ha una altezza di circa 19 cm per 8 di diametro ed é scandito da sedici fessure, disposte verticalmente ogni 22°30', larghe mezzo millimetro. Perfettamente identico ai modelli ottocenteschi, sottoposto a verifiche pratiche, ha dimostrato che a 50 m di distanza, il campo visivo d'una sua fessura, non eccede i 40 cm. con un errore angolare massimo di 30'.

100

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l 00. Piamc, prospcrti e sezioni di due modelli di squadro agrimensorio dì epoca romana.

IO I, Ricostruzione virtuale degli stessi.

I 02 Reperto di epoca romana di squadro agromensorio ed esemplare del XIX sec. 102

101 121

COROBATE

L'esigenza di contenere la pendenza massima delle sh·ade nel 3% e nello 0.1 / 1000 degli acquedotti, stimolò la realizzazione di efficienti strumenti per livellazioni di precisione, in seguito propriamente detti livelli. Questi, a differenza di quelli impiegati nei lavori di carpenteria e nell'edilizia, dovevano consentire levate altimetriche lungo tracciati di ragguardevole estensione, spesso dell'ordine di centinaia di km. Erano, perciò, strumenti indispensabili, idonei alla stima per traguardo a discreta distanza, capaci cioè di valutare l'orizzontalità non di una lastra ma di una direttrice di alcune decine di metri. Si ricorse quindi alla capacità dell'acqua di mantenere la sua superficie sempre perfettamente piana, quale che fosse il contenitore e la sua inclinazione. Lo strumento più noto e affidabile derivatone fu il corobare romano, ancora in uso in età rinascimentale.

Stando a Vitruvio 19\ il corobate va immaginato come una sorta di panca di legno, alta poco meno di un metro e lunga circa sei. Sull'asse superiore correva una scanalatura longitudinale lunga, a sua volta, circa un metro e mezzo, profonda e larga un paio di centimetri, che poco prima dell'impiego si riempiva completamente di acqua. Quando il corobate poggiava perfettamente in piano, l'acqua lambiva il bordo della scanalatura; in caso contrario tracimava da una parte. Si ponevano allora, a l di sotto de lla corrispondente estremità, degli spessori fino a quando l'acqua non fosse tornata a lambire tutto il bordo. A quel punto, traguardando direttamente lungo la superficie dell'acqua, posto lo scopo a notevole distanza e magari avvalendosi anche di adeguate mire, si definiva la direttrice orizzontale.

DIOT TR A DI E RONE

Ovviamente, uno strumento topografico lungo sei metri, ancorché preciso era troppo ingombrante in campagna Senza contare che il vento e soprattutto la pioggia ne impedivano l'uso li vero salto di qualità si ebbe quando Erone riuscì a costruire la diottra che, montando un apposito accessorio, al posto dell'alidada 20>, si trasformava in un livello di grande precisione. Per molti versi va considerato l'antenato del teodolite. Dal punto di vista etimologico, diottra in greco è composta dai vocaboli dià = attraverso e opteuo = osservo: osservo attraverso, definizione calzante a ogni strumento, munito di traguardi di mira attraverso i quali si individua una direttrice; tali traguardi saranno sostituiti da un cannocchiale subito dopo la sua invenzione.

122

103. Giovanni Branca, Macchine Roma 1629. tav. XXXIX: sistema per livellar..: a \asi comunicanti di vetro e tubi flessibili di raccordo.

I 04. Ricostru z ione virtuale del li vello di Erone a vasi comunicanti e traguardi ottici.

I 05. Ricostruzione di corobatc romano secondo la descrizione di Vitntv io.

X X >< >< -< "' > <.; 103 104 123

Erone ce ne ha lac;ciato una meticolosa descrizione nel suo Trattato della Diottrica, tradotto dal greco da Giambattista Venturi nel 1804. 21 ' Lo stmmento fu studiato per effettuare misure angolari mediante un'alidada, in grado cl.i girare orizzontalmente e ve1ticalmente. Due mote sernidentate, poste in rotazione tramite due viti senza fine munite di manopole. consentivano l'w1a la rotazione nel piano 01izzontale e l'altra in quello verticale. Si p01tava così a collimare la linea di mira con gli scop i. ricavandone l'azimut e l 'e le vazione. Grazie all'adozione d'una sorta di crocifila applicato ai traguardi dell'alidada, la precisione del rilevamento era esaltata e, verosimilmente. si spingeva fino a 30'. Una colonnina a tripode, antesignano cavalletto, sosteneva lo strumento e un filo a piombo disposto al suo fianco ne garantiva la verticalità.

li Venturi suppose che, oltre al piatto goniometrico per la misura degli azimut. vi fosse un semidisco verticale per la misura delle elevazioni. In pratica un dispositivo simile ad un inclinometro: dal momento, però, che di ciò non vi è alcuna menzione né alcuna allusione nel testo, si è preferito s uppo1Te che la rotazione verticale fosse del solo traguardo e avvenisse nella sua forcella di brandeggio sul piatto goniometrico. Collocazione che, potendosi equiparare dal punto di vista funzionale al cannocchiale, rende anche più moderna la diottra.

Quanto poi alla trasfonnazione in livello, si otteneva sostituendo al traguardo un regolo di legno, recante al suo interno un tubicino di rame, le cui teste fuoriuscivano fonnando una U.221 Ad esse stavano fissati due terminali di vetro trasparenti , perciò, impiegandosi un liquido opaco, come il vino rosso, si potevano far coincidere con assoluta precisione due cursori con i livelli del liquido. In pratica due vasi comunicanti con un indice!

I suddet1i cursori, erano in pratica due cravatte di metallo, collocate all'esterno dei tubetti di vetro e in grado di sconervi sopra, ciascuno munito di una linea di mira. Tramite queste una volta che il liquido s i fosse stabi li zzato era possibile effettuare la collimazione. li regolo contenente il tubo è descritto lungo 12 dita, circa 25 cm, misura perfettamente congrua alla funzione .

L'accessorio più interessante, e meno noto, è la coppia di stadie che completavano la diottra e il livello, come nei tacheometri. Tuttavia, dal momento che senza il cannocchiale non era possibi le leggere a distanza la gradazione della stadia, fu escogitata una soluzione per consentirne direttamente la lettura . In pratica, traguardando le mire del livello , si portava a collimare con la loro direttrice un indice mobile lungo la gradazione della stadia. Essendo costituito da un ampio disco metà bianco e metà nero la collimazione non era particolar-

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l 06. Ricostrnzionc \'Ìllualc di una stadia di epoca romana secondo la descrizione di Eronc.

107. Stampa del xvrr sec., raflìgurante l'utilizzo della diottra di Eronc.

I08. Ruote semidentate rinvenute a Mahadia. a largo della costa di Tunisi.

109. Ricosrruzionevirtualedella diottra di Eronc.

106 108 125

mente di fficilc: infatti, dopo aver ordinato ali' assistente di bloccare il disco una volta allineato, si poteva leggere la misura su lla stadia, registrata dall'indice larerale. 23 > Nel 1907, a largo di Mahadia, venne rivenuto il relitto di una nave romana. Quando molti decenni dopo, il suo carico potette finalmente essere recuperato, fra le numerose opere d'arte di rilevante pregio, furono rinvenute alcune flangie di bronzo, tra cui due semidentate.24> Si trattava di una coppia simmetrica, verosimilmente destinata a provocare la rotazione nel piano verticale e nel piano orizzontale di una diottra.

STRUMENTI CALCOLATORI

L'ALFABETO FU INVENTATO DAI FENlCI PER AGEVOL.,ARE I LORO COMMERCI LUNGO LE COSTE DEL MEDITERRANEO. PER LA MEDESIMA RAGIONE INVENTARONO O PERFEZIONARONO IL PRIMO STRUMENTO PER IL CALCOLO CHE CONOBBE POI AMPIO IMPIEGO NELL' AMMrNlSTRAZIONE ROMANA.

La capillare organizzazione che per alcuni secoli resse l'istituzione militare romana ebbe, come presupposto e come corollario, un'attenta gestione economica. Il controllo di quegli enormi flussi monetari richiedeva constanti calcoli che, per ovvie ragioni, non potevano effettuarsi solo sul le dita.

Uno strumento capace di sopperire a quel particolare bisogno fu senza dubbio l'abaco. Utilizzava del le pietruzze, non a caso denominate calcoli, per eseguire le addizioni e le sottrazioni, operazioni alle quali venivano Iicondotte anche le moltiplicazioni e le divisioni.

La validità e la rapidità consentita dalla strumento, a chi sa usarlo correttamente è tale che ancora negli anni settanta in molti supermarket sovietici le casse utilizzavano abachi in luogo delle calcolatrici elettroniche!

ABACO ROMANO

L'origine dell'abaco, al pari della maggior parte delle invenzioni, si colloca verosimilmente intorno al V-lY secolo a.C., presso i Babilonesi. ln età ellenistica l'ingegnoso strumento, razionalizzato e miniaturizzato talmente da stare in una mano, si diffuse nell'area mediterranea. Precisamente s i sa di una tavoletta di legno usata per eseguire calcoli che i Fenici chiamavano abak, gli Ebrei avak, i Greci abac, gli Etruschi apcar e, infine, ahacus i Romani. ln lingua fenicia quel termine significava polvere, riferendosi allo strato di povere, deposto o spalmato su di una tavo-

126
127
I X e 11 O. Abaco romano e prospetto e sc7ione dello s tesso. M XM CM MM

letta. su cui con uno stiletto venivano tracciati i simboli per il computo. 25 )

In epoca romana l'abaco subì un·ulteriore evoluzione divenendo quello che poi resterà uno ai nostri giorni: un esemplare riaffiorato nel 1853 ne consente la dettagliata descrizione. Si tratta di una piastrina di bronzo, lunga cm 11.5, larga 9.4, con nove scanalature parallele al lato minore. divise da una striscia centrale in due parti, in cui scorrono i bottoni, muniti di slargo posteriore che ne impedisce la fuoriuscita. Ogni scanalatura contiene cinque bottoni, tranne la p1ima che ne ha se i, disposti quattro nel segmento cli sinistra ed uno in quello di destra. Quattro unità ed una cinquina per comporre uno dei primi nove numeri: il decimo sarebbe stato il solo bottone di destra della fila seguente. Per indicare il numero 7, si spostavano nella scanalatura delle unità due bottoni di sinistra ed uno di destra (2-5) Le prime due scana lature, partendo da destra, sono riservate alle frazioni, relative soprattutto alla monetazione. La terza scanalatura è delle unità, la quarta delle decine, seguita poi da quella delle centinaia, delle migliaia. delle decine di migliaia, delle centinaia di migliaia e infine dei milioni.

MESOLABIO

Sempre alle costruzioni tecnologicamente avanzate, tipo le navi da guerra e le artiglierie elastiche, va ascritto un singolare regolo per l ' estrazione della radice cubica. La necessità di tale operazione scaturiva dal criterio che solo mantenendo costanti le proporzioni d'un congegno, rivelatosi estremamente efficace, non se ne decurtavano le prestazioni. Una nave o una balista, potevano essere ingrandite o ridotte a patto che tutte le componenti mantenessero fra loro le medesime proporzione che avevano quelle originali. Il che detenninava una domanda , apparentemente oziosa: quale misura avrebbe dovuto avere il lato di un cubo perché il suo volume fosse stato il doppio di quello noto di un altro cubo? Da tale domanda, in1plicitamente equivalente, alla estrazione di una radice cubica derivò una ricerca che divenne presto celebre come Problema di De/o. 26 >

Fra le soluzioni proposte, moltissime erano onime per precisione, ma del tutto inapplicabili per quanti a digiuno di cultura geometrica. Ippocrate di Chio, vissuto tra il 460 ed il 380 a.e., nonché discepolo di Pitagora, inventò allora uno strumento per la soluzione meccanica del problema: definito mesolabio e simile ad un moderno calibro a due becchi, fisso il terminale

128
a:y=y:x=x:b y2 = xa Ili y = ab : y2 per a = I y=-yb 129
111. Schema matematico di funzionamento del mesolabio.
112
112. Ricostru7ionevinualedelmesolabio secondo la descrizione di Ippocra1c. I 13. Ricostruzione attuale di un mesolabio.

e scorrevole l'altro su una scala graduata, può essere considerato un antenato dei calcolatori analogici 27 l ln pratica, portando a coincidere il becco mobile con due punti precisi su due rette ortogonali - le coordinate cartesiane erano ancora lontanissime da venire- il punto di intersezione dell'altro becco con la retta forniva il valore cercato La soluzione insisteva sulle corrispondenze fra tre triangoli rettangoli simili: il risultato va considerato una approssimazione, ottima per la riproduzione in scala.281

C ALCOLATORE D ' AN TIKYTHE R A

TI quadrante a scale multiple concent1iche sulle quali la rotazione di un indice definisce la grandezza in gioco, sistema ancora impiegato nei tester elettronici analogici, per quanto siamo in grado di stabilire a tutt'oggi, debuttò intorno al I sec. a C. Così almeno testimonia un enigmatico reperto bronzeo recuperato sui fondali dell'Egeo. Si tratta di un corroso frammento del rotismo di un complesso meccanismo, rinvenuto agli inizi del '900 presso l'isola di Antikythera, a ridosso di Cipro. Per oltre mezzo secolo il cime lio fu considerato quel che restava di una sveglia, affondata nel mare chissà perché e chissà quando!

Agli inizi degli anni cinquanta, il professor Prince, dopo un accmatissimo esame condotto con le più avanzate e sofisticate metodiche di indagine, pervenne a conclusioni sbalorditive. Il meccanismo, anche in base alle iscrizioni in greco ancora parzialmente visibili, rimontava al I secolo d.C. e doveva reputarsi un singolare strumento astronomico. Una sorta di calen -

130
114 115

114. li prof. Pnnce mostra una ricostruzione del calcolatore di Antikythcra.

115. Un raffronro fra una radiografia cd una ripresa fotografica d i un gruppo di in granaggi, risultato delle ricerche condoue finora dall'A111iky1hera Mechanism Research Projec/.

116. Confronto fra ruote dentate moderne e i denti degli ingranaggi del reperto. 11 7. Ricostruzione v irtuale del calcolatore

118. interp retaz ione de ll e scritte incise su di una piastra del reperto.

l 19. Ricostruzione realizzata in Giappone del ca lco latore di Anrikythera.

'i \ \ I, t 116 118 117 131
119

dario perpetuo meccanico che permetteva, agendo su complicati rotismi, di calcolare le fasi lunari. passate e future, e le relative maree. A questo scopo, una serie di ingranaggi trasferivano il movimento da una ruota, che rappresentava il ciclo solare, a un 'altra. che indicava le rivoluzioni siderali della Luna, secondo il rapporto di 254 rivoluzioni lunari ogni 19 anni solari. 291

Dal punto di vista strettamente tecnologico due sono le caratteristiche più rilevanti del meccanismo. La prima è la complessità degli ù1granaggi, almeno una trentina di ruote dentate di varia foggia e diametro, identificate nitidamente grazie alle numerose radiografie eseguite sul reperto. La seconda, persino più stupefacente, concerne la presenza di un rotismo diflèrenziale 301 , cioè di un dispositivo che pem,ette di produrre una velocità di rotazione pari alla sonu11a o alla differenza di due velocità di rotazione date. Nel caso in questione la sua funzione sarebbe stata di fornire, oltre ai mesi lunari . anche le lunazioni. ricavate per sottrazione, dal moto lunare siderale, del moto solare.

Quale che fosse l'effettiva destinazione del congegno, appare inoppugnabile la modernità del sistema escogitato per la lettura dei dati fornita su quadranti concentrici. Quanto al rotismo differenziale che, sia pure mma niera confusa, sembrerebbe preconizzato anche negli schizzi di Leonardo, troverà una corretta formulazione soltanto nel XVIll sec., quando verrà brevettato. Per trovare, tuttavia, un suo concreto impiego si dovrà attendere la diffusione degli autoveicoli all'inizio del '900. In ciascuno, infatti, si trova almeno un rotismo differenziale tra le ruote motrici, due o tre nei fuoristrada, per compensare le relative diverse velocità angolari in curva.

S TRUME NTI CRON OMETRIC I

IL CRONOMETRO È LO STRUMENTO CHE NEL 1759

PERMISE FINALMENTE LA DETERMJNAZIONE DELLA

ESATIA POSIZ IONE IN MARE. ALLE SUE SPALLE UNA

GESTAZIONE DI QUASl DUE MlLLENNJ AVVIATASI CON

I PRIMJ ESEMPLARI DI CRONOMETRI AD ACQUA, DETII CLESSIDRE

l Romani dividevano la giornata, ovvero l'intervallo che separa due albe o due tramonti consecutivi, in 24 ore di cui dodici di giorno e dodici di notte, esattamente come ancora facciamo noi. Diversamente da noi, però, ritenevano che il giorno, fosse l'intervallo fra l'alba ed il tramonto e, per ovvia simmetria, la notte quello fra il tramonto e l'alba, eventi variabili nel corso dell'anno. li giorno infatti attinge la sua durata minima al solstizio d'inverno, il 21 dicembre, e la

132

120.Ricostruzione virtuale del sistema di lettura con lancetta su scala graduata. riscontrato sul calcolaton:: di Antikythera.

12 l. Alcune straordinarie immagini <lei reperto di Antikythera realizzate da ll".-l111i~T1hera 1\,Jechanism Research Projec1. Ben evidenti le scale graduate.

l20 121 133

massima al solstizio d'estate il 21 giugno: la notte esattamente il contrario. Fatti i debiti calcoli, computando l'ora con i minuti attuali quella diurna romana passava da un minimo di 45 minuti il 2J dicembre, ad un massimo di 75 il 21 giugno e viceversa per la durata di quel la notturna.

Un 'escursione di circa il 50%, 30 minuti nell'arco di sei mesi, che coincide con la nostra durata soltanto in due giorni dell'anno: il 21 marzo, equinozio di primavera, e il 21 settembre, equinozio d'autunno. Pe1tanto, in dettaglio, al solstizio d'inverno in questo modo le ore diurne si succedevano:

Al solstizio d'estate la stessa scansione così mutava:

10.44 - mezzogiorno VII

- 13.15

Fra il 10 e il 6 a.C. Augusto , fece erigere a Roma una meridiana gigantesca con l'obelisco di Montecitorio come gnomone, la cui ombra indicava le ore su delle apposite tacche di bronzo incastrate nella pavimentazione stradale. L'evento dimostra il crescente interesse per la conoscenza dell'ora, esito di un evo !-

134
I HORA PRTMA 7.33 - 8.17 Il HORA SECONDA 8.17 - 9.02 Hl HORA TERTIA 9.02 - 9.46 IV HORAQUARTA 9.46 - 10 3 l V TlORA QUINTA 10.31 - 11.15 VI HORASEXTA 11.15 - mezzogiorno VII HORA SEPTIMA mezzogiorno - 12.44 VII HORA OCTAVA 12.44 - 13.29 IX HORA NONA 13.29 - 14.13 X HORA DECIMA 14.13 - 14 . 58 XI HORA UNDECIMA 14.58 - 15.42 XII HORA DUODECJMA 15.42 - 16.27
I HORAPRIMA 4.27 - 5.42 II HORA SECONDA 5.42 - 6.58 m HORA TERTTA 6.58 - 8.13 lV HORAQUARTA 8.13 - 9.29 V HORAQUINTA
HORA SEXTA
J-IORA SEPTIMA mezzogiorno
VII HORAOCTAVA 13.15
14.31 rx HORANONA 14.31
15.46 X HORA DECIMA 15.46
17.02 XI HORA UNDECIMA 17. 02
18
HORA DUODECIMA
9.29 - 10.44 VI
-
-
-
-
.1 7 XII
18.17-19.33

ve rs i dei comportamenti sociali. La prestazione degli orologi so lari divenne, perciò, se mpre più utile. face ndo pesare la sua mancanza quando. per le nuvole, il sole non compariva. Più ancora occo1Teva la misurazione del tempo nel corso della notte, negli accampamenti e nelle città per il cambio delle sentine lle e de lle ronde. Dal momento che la clessidra a sabbia forniva soltanto la certezza di uguali intervalli, come un odierno cronometro sportivo che segna i tempi ma non il tempo. occorreva un vero misuratore del tempo, un cronometro indipendente dalla luce solare.

La sua costruzione, tuttavia, risultava proprio per la variabile durata del! 'ora di gran lunga più complessa degli attuali cronometri meccanici. Alcuni tecnici intravidero nel deflusso del! 'acqua da un serbatoio la soluzione: variandone la quantità si sarebbe potuto far coinc idere lo svuotamento con la durata del giomo. 31 1

A confenna l'etimologia del termine clessidra che non rievoca uno strumento funzionante a sabb ia ma, uno ad acqua: deri va infatti, dal greco clepto=sottraggo, rubo e idros=acqua e a llu de a qualcosa che funziona sottraendo acqua! Già intorno al I secolo a.C. di orologi siffatti ne dovevano esistere diversi, tanto da innescare al tempo di Augusto una competizione fra i rispettivi costruttori, basata da un lato sulla precisione, dall'altro sulla complessità dei loro congegni. Ve ne erano diversi , muniti di suoneria, di contatori a campana, di indicatori a fischio, ecc.

Ne l giro di alcuni decenni la moda degli orologi ad acqua s i trasformò in una ostentazione di agiatezza e distinzione, senza tuttavia determinare un andazzo di vita frenetico simile al nostro. Una moda che , paradossalmente , rese difficile conoscere l'ora poiché risultava più facile mettere d'accordo fra loro più filosofi che accordare tra loro più orologi 32 > : horam non possum certam tibi dicere: facilius inter philosophos quam inter horologia convenit. L'ora romana restò sempre approssimativa.

Nessuna meraviglia che persino il geniale Ctesibio, uno dei vertici della scienza ellenistica nonché direttore della Biblioteca di Alessandria, si cimentò nella fabbricazione di un cronometro ad acqua di straordinaria complessità, di cui Vitruvio ci ha lasciato la solita confusa descrizione. 33 l

LA CLESSIDRA DI CTESIBIO

L'orologio ad acqua fu una delle macchine automatiche antiche concettualmente più semplici e, al contempo, fra le più complesse dal punto di v ista

135

meccanico. Constava, in ultima analisi, di un recipiente colmo d ' acqua che si svuotava tramite un piccolo foro, impiegando per farlo sempre il medesimo tempo. Facendo cadere l'acqua in un recipiente graduato, si poteva stabilire una corrispondenza diretta fra la sua quantità e i I tempo trascorso. A patto, però, di non mutare il flusso d'uscita del] 'acqua, condizione che fu soddi s fatta da un serbatoio mantenuto costantemente pieno e da un galleggiante nel recipiente inferiore. Innal zandosi il livello dell'acqua un indice del galleggiante evidenziava l'ora su di una apposita scala: raggiunta la mezzanotte un sifone, evacuando l'acqua, avviava un nuovo ciclo. Ovviamente per la lettura l'ora risultava s empre uguale! Ad un congegno del genere, ad esempio , viene ascritta la famosa torre dei Venti di Atene; più tardi a Roma fu Agrippa a farne collocare uno al centro del foro. E si deve necessariamente supporre che, a intervalli ravvicinati, la portata dell'acqua venisse ridotta o incrementata per compensare la diversa durata dell'ora.

Anche la clessidra di Ctesibio funzionava sul tempo di deflusso dell'acqua da un serbatoio sovralimentato , ma era se non la prima di certo la più sofisticata a compensare automaticamente tale variazione. Stando a Vitruvio, la vera novità fu un sistema d'alimentazione costituito da una sorta di chiave d'arresto in miniatura, ottenuta come tutte le più grandi con due piccoli tubi coassiali , muniti d'un foro coincidente. L'interno si collegò al serbatoio e l'esterno al recipiente di raccolta. Fatto motare per un semestre il primo, il foro si chiudeva con estrema lentezza e, per conseguenza, si riduceva la fuoriuscita dell'acqua dal secondo; continuando a girare nel semestre successivo , il foro si riapriva altrettanto lentamente, incrementando la portata dell'acqua. Equiparando empiricamente il deflusso dell'acqua alla durata della giornata, nel semestre aperto dal solstizio estivo 1·ora si sarebbe gradatamente accorciata per poi allungarsi gradatamente nel successivo.

Ma tale soluzione non può funzionare poiché non esiste una corrispondenza linea.re tra la variazione del foro e la fuoriuscita dell'acqua. Probabile, invece , che la velocità di deflusso fosse sempre rigorosamente costante, servendo i due tubicini solo alla taratura dell ' orologio. In pratica, quando si istallava, si portavano a coincidere due inneschi successivi del sifone con due albe o due tramonti successivi agendo proprio sulla rotazione del tubicino esterno, dopo di che il meccanismo procedeva automaticamente alle quotidiane compensazioni, che avvenivano come segue. Il ciclo si reiterava ogni nostre 24 ore esatte e , ogni giorno, un arpione

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122. Antica meridiana portati le egiziana.

123-125. Merid iane rinvenute a Pompei ed a E rcolano.

124. Calendario romano d i epoca imper iale. l sec. d.C. Su ogni faccia una stagione con i tre rispcu ivi segni zodiacali.

122 123 125 137
124

azionato dal galleggiante spostava uno dei 365 denti di una grande ruota. La sua rotazione completa, che avveniva in un a1mo, provocava con una camma l'accentuarsi e il contrarsi dell'eccentricità del quadrante su cui un disco-indice, spostato di un giro ogni 24 ore, dallo stesso ciclo. scandiva l'ora. Pertanto, pur essendo costante la velocità angolare del disco indice, mutava, mutando l'eccentricità del quadrante, l'arco coJTispondente ad un'ora e quindi la sua durata, con un'escursione del 50% a semestre. I valori massimi e minimi coincidevano con i due solstizi; i medi con i due equinozi, allorquando disco indicatore e quadrante circolare risultavano geometricamente concentrici. Per favorire la lettw-a, intorno alla corona vi erano sei anelli concentrici. uno per ogni mese del semestre, scanditi da 12 raggi nel la metà superiore, uno per ogni ora del giorno. e 4 in quella inferiore, uno per ogni 3 ore della notte, pari a un turno di guardia delle sentinelle.

Infine, compiendo la grande rnota dentata un solo giro l'anno, un indice ad essa solidale indicava sulla corona il giorno, il mese e il relativo segno zodiacale artisticamente incisi. Nonostante l'alto costo, la difficile manutenzione e la scarsa utilità, clessidre siffatte si diffusero anche negli strati sociali inferiori: tant'è vero che le prestazioni della cortigiana Metica, erano scandite da un orologio ad acqua. 34)

138
126127

126. Atene, Ton-e dei Vemi. All'interno era collocato un orologio ad acqua

127. Un modernissimo orologio ad acqua a Bonn.

128. Ricostrwione virtuale dell'orologio ad acqua dì Ctesibio, propriamente detto clessidra: il disco ind icatore è stato portato avanti per consentire la vis ione del mecca11is1110 posieriore.

129. Illustrazione da un codice medievale arabo raffigurante un orologio ad acqua

126. Athens Wi nd Tower. A water clock was locatcd inside.

127. Modem wate r clock in Bonn

128 Virt ual reconstruction of the water clock ofCtesibius. correctly ca ll ed clcpsydra: the indicator disc was brought forward to pennil viewing of thc rcar mechanism.

129. lllustration from a medievalArabic code showing a water clock.

PARTE PRJMA - IMMAGINI PARTONE - IMAGES 139 129

L'UTENSILE PER COSTRUIRE

L'UTENSILE PIÙ IMPORTANTE NELLA STORIA DELL'UMANITÀ FU SENZA DUBBIO JL TORNIO DEL VASAIO. DA LUT DERIVÒ QUELLO PER IL LEGNO E QUELLO PER I METALLI, CHE Si JMPOSERO IMMEDIATAMENT E IN TUTT[ l CANTIERI NAVALI, PER LE PRODUZIONE PIÙ DELICATE DAI BOZZELLI ALLE POMPE.

Per costruire un qualsiasi oggetto in qualsiasi epoca, fu necessario disporre d'attrezzi e utensili che, col passar del tempo, si accrebbero per numero e si differenziarono per caratteristiche. Alcuni poi si resero necessari proprio per il loro approntamento: fra questi il più complesso fu senza dubbio il tornio. TI suo archetipo embrionale si ravvisa nel disco rotante per vasai che, perfezionato in età ellenistica, nel periodo immediatamente successivo, attinse l'aspetto e le potenzialità che avrebbe mantenuto fino al XVTH secolo.

Per quanto è stato possibile datare, la ruota da vasaio o tomia per ceramica. risale al IV millennio a.C. e compare in Mesopotamia. Grazie ad essa per la p1ima volta dei manufatti assunsero la simmetria e la regolarità ignote del non.fatto a mano! Dapprima una modesta tavola, poi un piatto circolare girato con le mani, quindi, un disco superiore solidale con uno maggiore e più pesante, collocato in basso c posto in rotazione con i piedi: queste le tappe alle spalle del tornio per vasaio. La modellatura divenne così il tornaggio: col tempo s'applicò anche al legno e poi ai metalli. 351

l'utensile, a quel punto, del suo rudimentale archetipo conservò soltanto la rotazione, peraltro neppure continua ma alternativa, scaturendo dal l 'incessante andirivieni di una frusta, tirata da un piede e recuperata da una molla. TI tornio prop,-iamente detto consisteva in un albero rotante orizzontale, al qua le si fissava il pezzo di legno da lavorare. I ferri per sagomarlo, s imili a scalpelli, venivano poggiati su di un apposito supporto. Dal legno si passò, presto, ai metalli, occorrendo soltanto una macchina più potente e precisa. E le modeste tolleranze d'un gran numero di reperti archeologici dì bronzo ne testimoniano la validità. Quanto alla diffusione, è interessante ricordare che Pompei ebbe un 'officina di tornitore. ritrovandosi nel 1878 fra i rnderì di un edificio : "quindici scalpelli di ferro per lavorare al tornio; e due ordigni che hanno da un lato un ferro, acuminati, i quali, piazzati uno dirimpetto ali 'altro, venivano armati sul tornio per lavorare il legno". 36 1

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130. Ricostruzione ùi un torni o per legno. di epoca arcaica.

131. Ricostruzione di tornio egiziano per ceramica.

132. Vari utensili rinvenuti tra Pompei ed Ercolano

133. Bassorilievo rarfìgurante i vari utensi li di unjàber. Roma. Museo Capitolino. Galleria.

130 131 132 141
133

SUPPORT I CONT RO L'ATTRITO

JL MOTO Dl UN NATANTE FECE COMPRENDERE L' ATTRITO TERRESTRE E LE EVENTUALI SOLUZIONI PER RIDURLO. NESSUNA MERAVlGLIA QUINDI CHE SULLE NAVI DI NEMI GIÀ ERANO PRESENTI PJATIAFORME SU RULLI E SU SFERE, PREMESSA DEI SIMILARI ODIERNI ED ONNIPRESENTI CUSCINETTI.

Già per 1a costruzione del preistorico tornio da vasaio fu necessario escogitare dei rozzi cuscinetti, per 1idurre l'attrito della rotazione: in pratica degli anelli di pietra lubtificati con la stessa rnota. 37l Il problema si ripropose più grave con i mozzi delle ruote dei cani da guerra: senza un valido supporto bruciavano rapidamente. Per quest'ultimo caso la soluzione migliore fu trovata dai Celti e consisteva in una serie di rulli disposti fra il mozzo e l'asse, messi in maniera tale che non ne potessero fuoriuscire.

Il criterio dovette trovare seguito presso i Romani dal momento che sui relitti delle navi di Nemi 38 l si rinvennero cuscinetti a rulli e a sfere, sebbene molto più grandi. La loro collocazione fra due piattaforme circolari orizzontali, fissa l'inferiore c rotante la superiore, fece immaginare un basamento mobile per preziose statue. Non può escludersi che si trattasse, invece, del basamento per gru brandeggiabili, senza dubbio utili per le operazioni di caiico.

Di diversa concezione la coppia di cuscinetti rinvenuta ad Ercolano. Servivano l'asse d'una noria delle terme, erano di bronzo e di fonna lenticolare: il bordo del cerchio poggiava in una incisione di una spessa piastra anch'essa di bronzo, abbondantemente lub1ificata.

Più complessi gli spessi cardini di bronzo dei grandi portoni, simili a flangie, che dovevano contemporaneamente soITeggere il peso dei battenti e agevolarne la rotazione. Realizzati al tornio con notevole precisione, giravano su piste di bronzo, incastrate nelle soglie.

MACCHIN E P ER S OL LEVARE

NEI CAJ'fffERJ EDILI FU PRESTO INDISPENSAB ILE SOLLEVARE I MATERIALI FINO ALLA SOMMITÀ DEGLI ED!FJCl IN COSTRUZIONE, COME L'ACQUA DAJ POZZl. IN QUELLI NAVALI, INVECE, SPESSO SI DOVEVA SOLLEVARE L'INTERA NAVE, ESIGENZA CHEJNCENT I VÒ L' INVENZIONE DELLE GRANDI GRU DEI PORTI, ANCORA OGGI DI GRAN LUNGA LE MAGGIORI rN ASSOLUTO.

r Romani, come fanno fede numerosi bassorilievi e, più ancora, le innumerevoli grandiose costmzioni per-

142

134 Ricos trm:ionc della piattaforma a sfere di una nave di Ncmi.

135 Moderno c uscinetto radente a sfere.

136. Ricostn17 ionc virtuale di un c uscinetto a rulli da mozzo di carro celtico.

13 7. Cardìni a nt ifriz io ne in osso per mobil i. rinvenu t i a d Erco lano.

138. Cuscinett i per cardini e piastre di rotolamento in bronzo. rinvenuti ad Erco lano.

134 -r:rm ' 1.:- - ---,;::-h - ·-,;r1-"':'~,. I ~r= ·r l"'f"l:J \I/ \ '. : \ ,1-,."' I .-.z'-"1'1i1""'._ I \ 1@-1, ' ··<:: o 25 50 100 centimetri 137 138 143
136

venuteci, conoscevano cd impiegavano un gran numero di gru. Owiamente erano tutte azionate dalla sola forza muscolare variamente moltiplicata, con ruote dentate e cam1eole. 111 quelle di maggiore potenza il motore era una grande ruota calcatoia o un cabestano. 391

La ruota simile ad una gigantesca gabbia di sco iattolo, era fana girare da squadre di schiavi, che si arrampicavano continuamente al suo interno. Crescendo il suo diametro, cresceva il suo braccio e crescendo il numero degli schiavi, la massa ad esso applicata: anche senza saperne calcolare i kgm, risultava facile dimensionarla in relazione all'impiego progranm1ato. In realtà. però, come ha dimostrato la notevole sopravvivenza della macchina, ancora in fonzione agli inizi del XX seco lo, definita allora ruota dei cavapietre, non potevano azionarla più di cinque uomini, almeno nei modelli tradizionali. La ruota, in definitiva, forniva un più rapido e razionale sfruttamento dell'energia muscolare umana, ma non poteva erogare la potenza di un cabestano. 40 )

Questo, che in sostanza è un argano ad asse verticale, potendo montare stanghe più lunghe e numerose di quello ad asse orizzontale, poteva essere posto in rotazione anche da una trentina di uomini. Erogava pertanto potenze vistosamente maggiori non solo dell'argano ad asse orizzontale, ma pure della stessa mota calcatoia. Tuttavia, che il motore fosse una ruota o un cabestano, la strnttura delle gru non differiva gran che dalle odierne definite a derrick. 41 ) Potevano, infatti, variare l'inclinazione del braccio e appena il brandeggio, a causa degli ancoraggi.

144
139140

I 39. Bassorilievo funebre dalla tomba degli l laterii r affigu rante una grossa gru a ruota calcatoin.

140 Ricostruzione assonometrica del la stessa

141 Rinforzi in fen-o per manovra con le leve di un grande verricello.

142 Ricosrruzione virrua le dello stesso.

143. Bassorilievo raffigurante una gru azionata da ruota calcatoi a. con paranco al gancio. Capua. Musco Campano.

144. Ricostruzione odierna di gru romana. 145 Grande gru a derrik ctmcettualmente analoga alla gru romana.

141 142 143 144 145
145

fn sintesi le p1ime tipologie tramandataci da Vitruvio, trovavano impiego nelle costruzioni pubbliche e nei po1ti, per le operazioni di carico e scaiico. A confermarlo i tanti bassorilievi, spesso estremamente dettagliati. Un terzo tipo risulta per molti aspetti il più semplice : era costituito da un montante ve1ticale, ancorato tramite quattro tiranti, e un braccio brandeggiabile. Complessivamente appare persino più affine dei precedenti, sebbene in miniatura, ai derrick, e trovava impiego in ambito militare, per lo spostamento delle grosse macchine da lancio e per l'am1amento navale.

Assodato che in sostanza le gru romane differivano solo per dimensioni e sistemi motori, va osservato che l'elemento comune a tutte era un paranco a carrucole; Vitruvio ne ricorda due, rispettivamente a cinque pulegge e a tre. Di entrambe, poi, ne esistevano versioni che montavano carrucole con le pulegge disposte in linea o carrucole con le pulegge affiancate. Quale che fosse la disposizione delle pulegge nelle carrucole, il paranco che ne contava cinque viene ricordato con la denominazione di pentaspaston: di esse tre stavano nella carrucola superio re fissa e due nella inferiore mobile. li paranco che, invece, ne contava solo tre era il trispaston: di esse due stavano nella carrucola superiore fissa ed una nell'inferiore mobile.

Le applicazioni del paranco, sia con le pulegge in linea che affiancate , sono attualmente non solo vastissime ma anche molto diva,icate. Si va dalle colossali gru dei porti marittimi o dei mezzi di soccorso, alle piccole taglie per uso domestico, capaci comunque di alzare vari quintali. Non mancano poi impieghi per lo meno curiosi ed inaspettati: al riguardo basti pensare che i cavi aerei ad alta tensione per l'alimentazione del treno ad alta velocità, sono mantenuti tesi da un contrappeso che aziona pentaspaston in linea!

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146 147

150

146. Picco lo argano a mano con rocchetto per la fune. Ercolano.

147. Leve di manovra di argano a ma no con fune. Ercolano.

148. Ricostru zione del pentaspaston come descritto da Yitruvio.

I49. Pentaspasion con sei carrucole su due assi e con sei carrucole su sci assi di Leonardo da Vinci.

150. Ricostruzione de l pentaspaston a dodici carrucole e a sei assi desunte da l Barbaro dal testo di Yitru vio.

15 I. Bozzello a doppia carrucola de l XIX scc.

- EB-·-·-·4 ·-·-----$-e-- ----·-- ---· I I
151 147 148

IMBALLAGGI R UOTAT I

IL TRASPORTO DEI GRANDI CARICHI AVVENIVA PREFERIBILMENTE SULL'ACQUA O CON DELLE INGEGNOSE SOLUZIONI, TIPICHE DEI CANTIERI NAVALI CHE OGNT GIORNO DOVEVANO CIMENTARSI CON GRANDI PESI IN MOTO. TRA QUESTE LA PIÙ rNTER.ESSANTE FU QUELLA DEI BINARI INCISI NELLA ROCCIA. UNA SOLUZIONE DEL GENERE FU ADOTTATA PER TRASFERIRE LE NAVI DALL'EGEO ALLO IONIO, SULL'ISTMO DI CORINTO. NELL'VIl SEC.A.C. DETTA DIOLKOS.

Per molti studiosi alle spalle dell'evoluzione delle piste di terra battuta in vere strade basolate, si ravvisa la necessità di sopportare i carichi concentrati dalle ruote. Non può escludersi che la medesima esigenza suggerisse anche una soluzione alternativa, ideale per grandi carichi: solchi paralleli idonei a contenere il bordo delle ruote, incisi direttamente nella roccia o in adeguati basoli. Questa forse la spiegazione degli enigmaticì binari primitivi, numerosi e ben conservati sull'isola di Malta, i cosiddetti cart-ruts, propriamente detti dispositivi incisi per ruote guidate. In pratica, solchi distanziati di circa m 1.40 e profondi una decina di centimetri, con uno sviluppo complessivo di oltre un centinaio di chilometri. Probabile ino ltre che tra gli stimoli della preistorica invenzione vi sia stato anche il megalitismo, che proprio a Ma lta tramanda estrinsecazioni straordinarie. In tal caso è sensato immaginare che i mezzi utilizzati per il traspo1to degli enonni blocchi fossero in sostanza simi li a quelli asc1itti all'architetto E leusi, ed ai suoi collegh i C hersifrone e Mutagene, per la costruzione dei templi del VI secolo a C. L'idea sarebbe sopravvissuta per oltre un millennio, confem1a implicita della sua ottima validità! 42 )

Con calzanti definizioni si distinguono in imballaggi ruotati e in assali posticci, entrambi per ingenti carichi e sempre di rilevante d iametro e basso baricentro. Anche ad un sommario approccio appaiono il comp lemento ideale dei solch i guida - ruote. Scendendo in dettaglio, gli imballaggi ruotati consistevano in due robusti cerchioni metallici incastrati, mediante cunei di legno, intorno al blocco, con un diametro che superava di almeno un palmo la sua larghezza massima . li che permetteva al l'aggregato di avanzare nei solchi senza il rischio di blocca r si.

Riservato a carichi più lunghi il sistema ad assali posticci, che in seguito diverrà il carro pesante di Eleusi. Cons isteva, in sintesi, in due spessi assali di legno muniti di asse di ferro, recanti alle estremità enom1i ruote

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152. Solchi parallelj incisi nella roccia a Malta con fun7ione probabile di guidaruote per grandi carichi.

153. Ricostruzione del sistema escogitato da Eleusi per il trasporto di grandi carich i secondo la descrizione di Vitruvio.

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/ / / I I I I 153

piene, debitamente cerchiate. Sopra ogni assale un ceppo di quercia sollevava la trave longitudinale alla quale stava avvinto, con numerose corde, il monolito da trasportare. Sebbene gli assali fossero fra loro indipendenti, una volta fissato il carico. divenivano un vero carro, del tutto idoneo ai solchi guida-ruot e. So luzion e che permarrà immutata, fino al secolo scorso.

I solchi guida ruote si ritrovano anche in altre parti del mondo classico, come a Dclfo. dove resta un singo lar e esempio di scambio. I Romani ovviamente li conobbero, ma se ne servirono sporadicamente. e non solo per un 'eccessiva pendenza delle strade, in nessun modo riducibile: c'è infatti una seconda e più stringente ragione. l'esempio senza dubbio più grandioso fu quello realizzato prima del taglio dell'istmo di Corinto, detto Diolkos che significa etimologicamente dia= lato e olkos= trasporto.

In pratica si trnttava di una pista, una sorta di piano di alaggio lungo 6.5 km, che correva lungo la costa occidentale dell'istmo. Suo munite le navi, caricate su appositi carrelli, potevano pa,;sare dal mare ionio ali' Egeo. La costruzione originaria del Diolkos. viene fatta risalire intorno al 600 a.C. e, restò in servi7io per oltre mille anni.-01

150
Akrokorinth 155 KOR/NTH o Ken chreai 156 157

154. Assali posticci impiegati fino al XIX sec. per trasportare i blocchi di marmo. 155-156-157. Stralcio cartografico e vedute dei resti del Diolkos. 158-159. Ricostruzione vi.rtualc c rilievi planimetrici di imballaggio ruotato. descritto anch'esso da Yitrnvio.

151
159

I CARRI ROMA~[

PER I Er>;TARC DI EMULARL lt\ QUALCHE. ~10DO I TRASPORTI NAVALI ANCHE LADDOVE NON Vl ERA NÉ IL MAR.è 1',É U1'A VlA D'ACQUA, VC1'NERO fNVl:NTATI I GRANDI CARRI A QUATTRO RUOTF. DI QUEST I ALCUNI PRESERO SPU1'TO DALLE CUCCETTE DI BORDO PER DIVENI RE DEI VAGONI LETTO. ALTRI DALLA STRUTTURA STESSA DEGLI SCAFI PER ESSERE DEI CARRI BOTTE.

I carri romani a quattro ruote. fossero adibiti al trasporto passeggeri. agricolo o mercantile, sia solido che liquido, montavano sistematicamente J"avantreno fisso. Le ruote anteriori e posteriori, infatti, ostentano in tutte le fonti iconografiche, il medesimo diametro e, per giunta, risultano comunque più alte del cassone, per cui il loro assale non poteva girarvi sotto. Un ulteriore dettaglio lo conferma: i cavalli appaiono attaccati quasi a contatto con il cocchiere. collocazione inconciliab i lc con un timone che, per agevola re la sterzata, avrebbe dovuto invece mantenerli distanti. Senza contare che in qualche raffigurazione si distingue un freno a martellina. del tipo di quelli ancora in uso sui carri merci ferroviari. Funzionando tra la ruota e il cassone. con l'avantreno sterzante la sua collocazione sarebbe risultata impossibile: non a caso i suddetti vagoni merci hanno gli assali fissi!

Una apparente anomalia. per lo più stranamente ignorata nelle ricostruzioni museali che derivava non dall'incapacità a concepire un avantreno sterzante. che in alcuni casi dovette certamente esistere. ma dalla sua inidoneità a soppo11are i carichi! Un assale attraversato da un perno era comunque debole e l'unico supporto che lo sorreggeva nelle curve strette rischiava di spcz1arsi. Non è un caso che quando si costruirono degli autocarri per grandi carichi se ne raddoppiò l'a vantreno e si adottarono quattro ruote sterzanti.

In generale i Romani non furono grandi costruttori di carri. Li copiarono dalle etnie nordiche e li adattarono alle loro ottime strade e ai loro molli bisogni. Per restare ai carri a quattro ruote, ne ricavarono una ga mm a talmente ampia da ricordare quella degli odierni autocarri e autobus. Vi furono. infatti, carri ag,·;coli trainati da pariglie di buo i, carri merci per il trasporto di oggetti pesanti, carri botte per olio e vino, carri contenitori con alte sponde per tc1Ticcio o sabbia. Ed ancora carri diligen=e per il servizio pubblico, con sed ili pure su ll 'imperiale, veloci c:arro==e private con copertura a mantice, carro==e letto con padiglione di pelle, a quattro o a sei cucccue. 44 l

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Di,cr:,c rapprescnta1ioni di \'arie tipologie di carri romani a quanro ruorc. In particolare:

160. Carro per trasporto privaio , clocc. 161. Carrozza per trnsporro pubblico di funzionari cd autorità.

162. Carron.a-leuo J)l!r lunghi , iaggi notturni. É il primo e,cmpio di adoLiom: di sospensioni.

I63-164. Carri-honc rispetti, amen te a due ed una bo11c. per il tra~pono nel primo caso di vin o. bianco e rosso. nel secondo di olio o di acqua.

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Ricoslru.tione , irruale e rilie, 1 planimetrici di carro per 1rasp orto pri vato ve loce. Da nota re la rapp rese nt az io ne del sistema frenante e l'accenno al mantice di copertura.

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(... __ -

Ricostrnlionc virtuale e rilievi planimetrici di carrozza per trasporto pubb lico di fun..:ionari e segui to. Da notare i posti ricavati sull'imperiale come nelle diligen,c.

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Ricostruzione virtua le e rilievi planimetrici di carrozzalctto. Al suo in te rno erano collocate da quattro a sei cuccette. Montava sospe nsione a doppia cingbia.

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Ricostruzione virtuale e rilievi planimetrici di carro - botte. Nella fattispecie è relativo al trasporto di due varietà di vino. forse bianco e rosso.

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Di queste ultime sono stati ritrovati dei supporti di bronzo, alcuni di notevole pregio artistico, relativi agli ancoraggi di robuste cinghi e binate di cuoio. 45 l Cinghie che fungendo da sospensioni, isolavano il cassone dagli assali attenuando le maggiori sollecitazioni verticali e , ancor di più, i tremendi scuotimenti orizzontali, così da consentire se non un tranquillo sonno, un viaggiare meno penoso. Quanto al criterio specifico della sospensione a cinghia, se ne trova un larvato precedente nei carri da guerra egizi , muniti a volte di cinghie di sospensione, a volte di archi di vimini tipo balestra e a volte pure di ruote elastiche a quattro raggi, criterio quest ' ultimo che potrebbe definirsi della ruota - ammortizzatore e che fu riscoperto in alcuni locomotori degli anni trenta.

Grazie alle s ospensioni e all'ottima connessione dei basoli l'avanzamento dei carri sulle strade avveniva in modo relativamente confortevole e senza difficoltà, nonostante la rigidità del! ' avantreno.

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165. Fregio raffigurante cortei di carri.

166 Resti di canozza letto.

167- 168. Dettaglio freni a martcllina in bassorilievo ed in un carro ferroviario.

169. Supporti per cinghil' di sospensione di carrozze letto romane. ben evidenti nel primo reperto.

170-171. Ricostrnzione virtuale e rilievo planimetrico del sistema di sospensione a c inghi e.

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I BINARI D I POMPEI

lL D!OLKOS FU IL PRIMO SJSTEMAA RUOTA GUIDATA PER GRANDI CARICHI A LUNGA DISTANZA PREMESSA DELLE FERROVIE. Suo TRAMITE LE NAVI ABBREVIAVANO DI ALCUNI GIORNI LA NAVIGAZIONE TRA

L'EGEO E LO IONIO. TN PRATICA CONSISTEVA lN LUNGl-USSIMO PIANO DI ALAGGIO, CON CARRELLI A RUOTE PARALLELE ED EQUIDISTANTI, CAPACI DI SOPPORTARE IL PESO Dl UNA INTERA NAVE. DA ALLORA DI SISTEMI ANALOGHJ NE VENNERO REALIZZATI NUMEROSI, ALCUNI ANCHE NELLE STRADE or POMPEI.

Ma quella rigidità, che per l'ampio raggio di curvatura delle strade basolate extraurbane non creava alcun problema, come, del resto neppure sulle piste per la scarsa coerenza del ten-eno, diventava problematica, invece, nella viabilità cittadina, rigidamente ortogonale. Una passeggiata per le strade di Pompei lo conferma : non a caso gli unici resti di veicoli identificati sono d'un carro a due ruote . Per quelli a quattro ruote, invece, risultava del tutto impossibile lo svoltare: fisso l'assale strettissimo l'incrocio. Occo1Teva. pertanto, imboccare direttamente la strada di destinazione, il che spiega il rilevante numero di posterle alle cerchie urbiche greco romane. Un caITo, quindi. entrato in città avanzava senza mai svoltare: dal momento però che la sede stradale oltre ad essere stretta era pure scabra e con alte banchine laterali ed attraversamenti persino più alti, il rischio di sbattervi contro le ruote con gravi danni, non era affatto remoto.

Per 1isolvere quel grave problema ci si ricordò dei solchi guida-ruote, che proprio a Pompei vantano eloquenti esempi, a volte in asse con la strada per centinaia di metri, a volte appena adiacenti agli attraversamenti. Non era un scelta inazionale, poiché i veicoli a ruota guidata odierna, tramvai e treni, sono preferiti proprio perché il binario favo1isee il transito in ambiti appena più larghi del veicolo, senza eccessive oscillazion i owiamente oltre a IidU1Te considerevolmente la resistenza al rotolamento.

Dal punto di vista tecnico va osservato che l'adozione dei solchi guida ruote suppone I'lmiformazione della distanza fra le ruote dei veicoli, equivalente antico della distanza fra i binari attualmente definita scartamento. Gli ingegneri romani, portarono quella casuale dei greci a coincidere con il passo doppio ovvero a l .480, in sostanza coincide nte con il cosiddetto scartamento Stephenson pari a m L.435. Ancora oggi è lo scartamento ferroviario dei binari dei più avanzati paesi del mondo e dell'Alta Velocità 46j, sui quali sfrecciano convogli ad oltre 500 km/h!

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172- 173 - 174. Carri ad avantreno lisso nell'avanzamento su strade s trette con alte banchine laterali, avrebbero finito per urtarvi le mote. li rischio fu eliminato con J'adoziont' dei solchi guidaruote. appositamente incisi con notevole precisione. Il loro degrado li ha fatti ritenere provocati dall'usura. Va, per inciso, osservato che l'adozione dei solchi presuppone la standardizzazione della distanza fra le ruote in tutti i carri.

175. Per superare fo11i pendenze i solchi gui da-ruoLc consentivano l'impiego di paranchi o il collegamento con funi era ca1Ti che sal ivano e carri che scendevano.

175 172- 173-174. Fixed forecarriagcs advancing alo ng narrow roads risked bumping into its ta li lateral shou lders. This risk was eliminated by guide - wheel ruts, cu L with great precision. Their deteriorated conditilm was probably causcd by lhc frequent passage ofwhee ls. The use of ru ts presupposes a standardiscd distance between wheels in ali carts.

175. In o rder to overcome high grad ients, the wbeel-guide ruts were made to allow fo r use of pu llcy block.s or connection with ropes between carts going up and those going down.

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LA C OM PAR SA D EL S EM OV ENTE

lL MOTORE OVVIAMENTE NON ESISTEVA ANCORA MA UN CONGEGNO CAPACE DI TRASFORMARE GLI SFORZJ DI MOLT I IN UNA ROTAZIONE SÌ. ERA IL CABESTANO O SALPANCORE E CON QUELLO SI REALIZZÒ IL PRTMO

SE MOVENTE DELLA STORIA.

Che movendo un carro girassero le sue ruote, è un dato acquisito già nella preistoria; non altrettanto il contrario cioè che facendo girare le ruote, un carro si sarebbe mosso da solo deduzione realizzata non prima del IV secolo a C., allorché si cercò la maniera di evitare le stragi dei quanti spingevano le t01Ti d'assedio sotto le mura nemiche Per Bitone fu il macedone Posidonio 47 ), che, al servizio di Alessandro , costruì una torre di circa 15 m munendola di un meccanismo capace di renderla se movente . Per gli storici, invece, l'invenzione della torre semovente deve ascriversi a Epimaco l'Ateniese -18>, ingegnere di Demetrio Poliorcete, a sua volta nipote di Alessandro, durante l'assedio di Rodi. E questa torre era alta 40 m e pesava più di 100 tonnellate!

Circa i meccanismi escogitati per la movimentazione di quei giganti le fonti non si dilungano Scrive ad esempio Vegezio Flavio che alle toni d'assedio:"con un meccanismo sofisticato, si applicano molte ruote, con il cui moto si può spostare una macchina tanto grande". 49 > Quale che ne sia stata la concezione motrice, resta certo che l'energia di alimentazione proveniva da i muscoli umani, con un corollario di leve e paranc h i.

Premesso ciò, si può supporre il ricorso a w1 cabestano o mulinello salpane-ore, come confusamente sembra cog l iersi in laconici accenni, congegno, peraltro, ben noto al l'epoca. Alla manovra anche un centinaio di uomini, suddivisi fra le sue tante e massicce stanghe. Quanto alla trasmissione del moto, ovviamente da supporsi integrale, il sistema più elementare consisteva in una coppia di grosse gomene avvolte con numerose spire intorno a ciascun asse e, con l'opposta estremità, vincolata all'albero del cabestano. Fatto girare questo, le gomene gli s'avvolgevano sopra e, srotolandosi dagli assi, ne provocavano la rotazione insieme con le rispe ttive ruote.

Che ton-i del genere fossero ancora d'impiego corrente intorno al Tsecolo a C., lo confcnna un interessante, e per molti aspetti divertente, episodio così rievocato da Cesare:

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'[g l i Aduatuci] si erano chiusi in città. Quando videro che i Romani ... avevano avviato la costruzione di una torre a considerevole distanza. iniziarono a

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176. Ricostru7ione virtuale della g r ande elepo li di Demetrio Poliercete, alta oltre 40 m. capace di avanzare con il suo apparato motore. e di modificare la direz ione di ava nza mento.

177. Ricostruzione virtuale dell'elepoli di Posidonio. anc h ·essa semoven te.

178. Ricostruzione virtuale di motore a doppia ruota calcatoia con trasmissione a corda ~ui dul! assi. É una delle due ipotes i d i m otor ina7ione delle e lepoli.

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schernirli dagli :.pa!ti ed a domandargli strillando perché montare una macchina tanto grande così lontano: con quali mani l'avrebbero spinw e con quali forze uomini così piccoli potevano sperare di muovere una torre cosi pesante? lvfa quando si accorsero che la torre si muoveva e si avvicinava alle mura, atterriti dalla cosa ignota e incredibile inviarono ambasciatori a Cesare per trattare la pace. Questi dissero che non credevano possibile che i Romanifacessero la guerra senza l'aiuto divino dal momento che potevano jàr avanzare macchine tanto alte con tanta velocità!". 50 >

I MOTORI D EL LO STATO S OLIDO

PER I GRECI OGNI CONGEGNO CHE PROVOCAVA lL

MOTO DI UN OGGETTO ERA UN MOTORE: PRIM1 FRA

TUTTI TL VENTO CHE SPINGEVA LE VELE E L'ACQUA CHE TRASCJNAVA l TRONCHI. lN SEGUITO SE NE REALIZZARONO A CONTRAPPESO, CON LL MEDESIMO SISTEMA USATO PER ISSARE LE VELE: NELLA FATTISPECCE FU UN S!PARJO TEATRALE. DALLA OSSERVAZIONE DEL COMPORTAMENTO DELLE GOMENE E DELLE VELE IN TENSIONE DERIVARONO ALTRI MOTORI AZIONATI DALL'ENERGIA POTENZIALE ELASTICA DI FLESSIONE E Dl TORSIONE.

Come accennato nella premessa, in età ellenistica il termine motore definiva la ragione di un evento cinematico. Il moto di un qualsiasi oggetto andava imputato a un motore, interno o esterno allo stesso. li criterio fu, ovviamente, cooptato dai Greci prima e dai Romani poi senza alterazioni di sorta, ampliandosi nel frattempo la gamma di ta li motori. In particolare, nell'ambito dello stato solido, spiccano i sistemi motori a molla e a gravità. Se l'identificazione dei secondi riesce immediata pensando al secchio che scendendo nel pozzo, trascina la corda e fa girare il verricello, dei primi, di impiego molto più ampio, basta ricordare i vecchi orologi a cui si caricava la molla. Ovviamente quelli a gravità furono di gran lunga più potenti: i montacarichi che nel Colosseo sollevavano le gabbie delle bestie erano in grado di esercitare forze di diverse tonnellate.

M OTO RI A G RAV IT À

Fra i motori azionati dalla forza di gravità ve ne era un tipo molto diffuso impiegato per issare o abbassare la tenda del sipario. Nei teatri romani, infatti, il sipario non poteva scon-ere dai lati, né scendere dall'alto poi-

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J 79 - 180. Cabestano per motorizzazione di elepoli con trasmissione a fune, di cui il dettag l io sopra a sinistra.

I R1. Moderni cabes tani con le stanghe sfilate. per impiego navale.

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ché la scena manca\a della struttura ori77ontak superiore. Per conseguen7a. quine.li, veniva fallo sollevare da un apposito alloggiamento longitudina le praticato inunediatamente davanti al palco. restandovi ripiegato durame la rappresentazione. elio stesso alloggiamento stavano collocati. ad intervalli regolari. pure gli clementi telescopici che ne determinavano il sollevamento. Questi. realinati interamente in legno. erano costituiti da un astuccio esterno e da tu1 murale interno: agendo su delle corde venivano fatti innalzare, nella stessa maniera di una attuale antenna a stilo. 511

A dete11niname il sollc, amento prowedeva una complessa macchina. che solo in estrema sintesi si può ridune a w1 paranco e a un contrappeso di pani di piombo. Dato che il sipario con la relativa trave orizwntale di sostegno, pesava oltre una decina di quintali. il contrappeso doveva pesarne ancora di più. Ingegnosamente, però, era stato suddiviso in due parti, che singolarmente prese pesavano meno del sipario: quando connesse, invece, pesando di più abbassandosi lo sollevavano. Per la manovra opposta bastava separarle, per cui il peso del sipario tornava a prevalere e si rialzava. Il moto. pertanto a,-veniva sempre in maniera unifonne e precisa ed i serventi si limitavano, in pratica. soltanto a sollevare con il paranco una sola me tà de l contrappeso.

Circa il motore a molla va osservato che. dal punto di vista cronologico, l'invenzione della stessa si perde nella notte dei tempi: infatti la trappola più arcaica implica una molla, per lo più un fusto piegato. che tornava di scatto nella sua naturale configurazione. 521 Nessuno, in quel primordiale contesto comprese le ragioni de l fenomeno, ma tutti ne divennero in breve padroni. Realizzarono. pure. altrettanto rapidamente. che dopo alcuni cicli la maggior parte delle piante non recuperava la configurazione eretta originale. Poche conservavano a lungo quella proprietà: altre, invece. speznndosi dimostrarono di non possederla affatto.

Con la consueta astrazione della fisica, è definito elastico il primo comportamento cd anelastico o plastico, il secondo. ln realtà tutti i corpi tendono progressivamente a perdere la loro elasticità, per cui la qualifica riguarda, piuttosto, la sua persistenza, peculiarità fondamentale per anni funzionanti con cicli di deformazione e restituzione. Un arco per le frecce ne è un esempio: quando è sottoposto a sollecitazione si flette, comportandosi come un accumulatore che immagazzina l'energia spesa per defom1arlo: quando si raddrizza si comporta come un motore che restituisce, sotto forma di lavoro. l'energia i1nmagazzinata.!-31 Senza entrare nei perché di tale compo1tamento, è fondamentale ribadire

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182. Vedu ta dei sotterrane i de l Colosseo nei quali erano insta ll at i g li elevator i.

183. Ricostruzione virtua le del s is te ma di so ll eva me nt o del sipa ri o di un teatro romano.

I 84- I85. Resti della scena di teatri roma ni ad Altilia. Campo basso -Italia, e Xanten- Germania

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che le proprietà clastiche natw·ali furono abbastanza rapidamente comprese, tanto da essere impiegate forse già 40-30.000 anni or sono. Ne derivarono, oltre alle più sofisticate n·appole ed ai più potenti archi, una vasta gamma di applicazioni. L'esperienza così acquisita valse a far individuare altre manifestazioni elastiche, forse persino più vantaggiose per i sistemi mor01i reversibili. Per impiegarle concretamente, però, sarebbero occorsi ancora numerosi millenni!

La defom1azione elastica di un solido si manifesta, infatti. in quattro distinte modalità, esito di altrettante sollecitazioni. La prima è la già ricordata flessione, precipua di oggetti a prevalente lunghezza, come l'asse del trampolino per tuffi. La seconda è la compressione, che si verifica quando un corpo si trova tra due forze contrapposte che tendono a schiacciarlo: tipico il caso dell'imbottitura della poltrona su cui sediamo. La terza è la trazione, che si origina quando un corpo é teso da due forze uguali e contrapposte: ne sono W1 comW1issimo esempio le bretelle. La quarta è la torsione che scaturisce dalla rotazione contrapposta di entrambe le estremità di un corpo: ben nota la strizzatura dei panni bagnati.

MOTORI E LASTICI A FLESSIONE

Stando ai tanti geroglifici, le quattro moda! ità appena accennate trovarono, tutte, già nel secondo millennio a.C., utilizzo corrente in utensili ed anni. Plausibile, quindi, che a partire dal V-IV secolo a.C., l'esperienza maturata fosse messa a profitto nella costruzione di più potenti armi da lancio. Benché tutte le defomrnzioni elastiche si fossero dimostrate potenzialmente idonee all'impiego, solo flessione e torsione potettero immediatamente utilizzarsi. Solo in un secondo momento vennero impiegati, o per lo meno esplorati, gruppi motori a compressione e a trazione, generando alcuni archetipi, miranti ad ottenere prestazioni meno effimere. Del resto, già il passaggio dai gruppi motori a flessione a quelli a torsione nonché a flessione di lamine metalliche testimonia un'esigenza di affidabilità e di costanza delle prestazioni. 54 l

A partire dal II secolo a.C., la richiesta si concentrò proprio intorno ad una molla che non fosse più un aggregato di legno, corni e tendini, ma una sottile lamina di metallo forgiato e temperato, capace di reagire a ogni deformazione, ideale motore di modesto ingombro ma di grande potenza e longevità. Da lì alla molla a bale stra il passo era breve, s ia che fosse d'acciaio che di bronzo.

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186. Arco :,cmplicc e compos ito. ed in dettaglio struttura intema del composito. costituita da: tend ini kgno e piastre cornee il tulio strettamente fasc iato

187. GastraCctc degli ini;:i del IV sec. a.C., fallo approntare dal tiranno di Siracusa Dioni:,iO i l Vecchio. Ricorda per molti aspetti una balestra.

188. Gasirafcle binato costruito da Zopiro di Taranro nel IV sec. a.C.

189 Grande balista di Isodoro d "Abido, prima metà del IV scc. a.C

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MOTO RI ELASTICI A TORSIO~E

li motore ideale per una macchina da lancio avrebbe dovuto essere potente e piccolo: stando alle fonti qualcosa del genere comparve intorno alla metà del IV secolo a.C. Lo suggerì forse il torchio a torsione, da millenni usato in Egitto per la spremitura di essenze vegetali, o la molto più recente sega a telaio con tenditore a fune e listello. Difficile onnai assodarlo: di certo proprio a quel periodo rimontano le prime artiglierie a torsione che, in pochi decenni, soppiantarono quelle a flessione 55 l

Da l punto di vista costruttivo un motore a torsione constava di un robusto telaio quadrato di legno, rinforzato da bandelle di ferro o di bronzo ribattute, suddiviso in tre scomparti Quello centrale si riservò all'innesto col fusto dell'arma, mentre i laterali a due matasse di corde attorcigliate. Al loro interno i bracci ai quali era fissata la corda, come ai comi dell'arco.

A differenza delle gomene tradizionali, le matasse non erano corde ottenute da fibre vegetali ritorte ma corde di tendini bovini, crini di cavallo o capelli femminili filati. Il 1icorso a fom1azioni cheratinose va attribuito alla loro superiore resistenza, ottimale per motori elastici funzionanti con reiterati cicli di torsioni esasperate e ritorni istantanei. Essendo la potenza cinetica dell'arma funzione del diamet r o delle matasse, questo ne divenne il modulo dimensionale, così come lo è il calibro nelle odierne artiglierie. Unica e non irrilevante deficienza dei motori a torsione la natura fortemente igroscopica delle matasse, che ne provocava una drastica perdita di potenza a contatto con l'acqua o in ambiente umido. Una pioggia o anche soltanto una esposizione prolungata alla rugiada notturna o alle nebbie esalate da un grande fiume, ne decurtavano drasticamente le potenzialità. Quando si vollero impiegare la artiglierie a torsione in cl imi nordici o in ambito navale, fu necessario proteggerne accuratame nte i motori, con appositi contenitori stagni.

L'approntamento a l tiro veniva effettuato caricando le matasse con una torsione iniziale, impa1iita con apposite leve, fin quasi allo snervamento. A quel punto, effettuando un 'ulteriore rotazione di circa 50°-60° non più con le leve ma tramite i bracci dell'arma, fatti ruotare tirandone la corda con il verricello, si immagazzinava nelle stesse una grande quantità di energia potenziale elastica. Al lancio, rimosso il ritegno, le matasse ruotavano fulmineamente al contrario, h·ascinando con estrema vio lenza i bracci che, tramite la corda, scagliavano il proietto.

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I 90. Motopropulsore di catapu lta romana, di età imperiale. capitulum , rinvenuto a Xantcn , Gem1ania.

191. Ricostruzione virtuale dcli 'intera catapulta secondo i dati di Vitruvio.

192 La componentistica esplosa del motopropulsore e di una s ua matassa c lastica.

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MOTORI ELAST ICI A FLESSIONE METALLICA

Dal punto di vista meccanico. la molla in generale e quella a balestra in pa1tic0Jare. sono un elemento meccanico di scarsa valenza tecnologica, oggi come ieri. Diversa la realtà, trattandosi del primo sistema elastico reversibile in metallo. Dal punto di vista etimologico il termine balestra sembra derivare dalla notissima arma medievale: proviene, invece, dalla misconosciuta voce verbale greca ballein= scagliare la pietra, passando attraverso i vocaboli ha/lista, balista, ba!listra, balestra. La sua invenzione è attribuita a Ctesibio, che la elaborò, ovviamente, per una macchina da lancio insensibile all'acqua. Nella fattispecie, essendocene pervenuto il dettag liato resoconto, redatto da Filone di Bisanzio, sappiano che l'approntamento fu avviato dalla preparazione delle foglie di bronzo, che lui chiamò squame.

Alquante allusioni lasciano dedurre che Ctesibio limitò le sue molle di bronzo a due sole foglie. Di esse, quella maestra la fissò ad una simmetrica opposta con due perni passanti, collocando poi sull'estradosso di entrambe le seconde foglie, lasciate libere all'estremità. Uniformi. per tutte, la cwvatma e le dimensioni , soprattutto lo spessore, pari a circa IO mm a foglia. La connotazione risultante, quindi, comprendeva due foglie sovrapposte per ognuno dei due archi contrapposti: un in s ieme che ricorda molto da vicino le balestre ellittiche dei calessi o delle carrozze ferroviarie, definite attualmente molle composte a.foglie, o più semplicemente ba/estre.S6i

Le foglie non erano, perché non ancora disponibile, di acciaio, ma di una pa11icolarissima lega di bronzo, composta per 97 parti di rame con 3 di stag no, titolo perfettamente uguale a quello impiegato ancora oggi per realizzare molle di bronzo. Un minimo sca110 fra le quantità dei due metalli, una loro minima impurità e l'elasticità sareb be scomparsa! Per equipaggiarne tale catapulta Ctesibio si avvalse di due supporti di ferro a fom1a di foglia d'edera, ovvero di due piastre lobate, inserendo in ciascuna una molla a balestra Un perno delle piastre fungeva da fulcro per i 1ispettivi bracci, ai quali era fissata la corda. Soluzione abbastanza simile ad un moderno cavatappi a bracci mobili!

Messo a punto i I congegno, tirando la corda arciera si imprimeva una rotazione ai bracci che, a loro volta, tramite un eccentrico comprimevano le balestre. Queste, perciò, si appiattivano, schiacciandosi contro un fermo della piastra adiacente al telaio. A quel punto il caricamento dell 'arma era terminato, provvedendo

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193. Ricostruzioni virt uali della catapulta a molle di bronzo di Ctesibio, secondo la dcscri1.ione di Filone di Bisanz io L'immagine ce ntra le è relativa al supporto ajòglie d 'edera delle molle a ba lestra.

194. Rilievi µlanimctril:i ortogona l i della catapulta a mol le di bronzo.

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una robusta ruota ad arpioni d'arresto retrogrado a bloccarla in sicurezza, come in tutte le altre artiglierie Liberato con un grilletto il ritegno. le molle riassumevano istantaneamente la loro curvatura oliginale, spingendo con estrema violenza i bracci che. tramite la corda, trasmettevano lo stesso moto al dardo, nella medesima maniera che avverrà, quindici secoli dopo, nelle balestre medievali ad arco d'acciaio. La catapulta di Ctesibio forse non si rivelò un'arma di notevole efficace, ma la balestra che ne costituiva il motore conobbe un paio di millenni più tardi una impensabile diffusione, dal momento che sostiene tutti i nostri veicoli!

PrcCOLI MOTORI A MOLLA

Se la metallurgia romana stentava a forgiare lame di acciaio di qualità, riusciva però correntemente a produrre piccoli listelli acciaiosi di elevata elasticità. Infatti , si costruivano in grande quantità molle di acciaio temprato, impiegate come antagoniste o di rinvio in alcuni dispositivi a scatto, quali serrature e lucchetti. Che si trattasse di produzioni di tecnologia più avanzata lo dimostra che erano effettuate non dal solito volgare fabbro ferraio, ma da un magister clavarius, da un tecnico specializzato.57 l

In una società capitalista la serratura costituiva un bene necessario in ogni sua variante, da quelle diffusissime ai portoni delle abitazioni, alle più complesse applicate ai forzieri e alle casseforti, senza contare poi l'ampia gamma dei lucchetti di qualsiasi dimensione e resistenza. Per le une come per gli altri. due i fattori comuni: la manovra attraverso una chiave e la presenza di molle di rinvio o antagoniste.

SERRATURE E L UCCHETTC

la se1ntura romana di età imperiale per antonomasia è quella cosiddetta con chiave a traslazione. Sotto il profi lo meccanico non garantiva granché, né poteva ritenersi una novità esistendo già da secoli Non a caso sono affiorate in gran numero nell'area mediterranea, soprattu tto a Pompei. Il funzionamento è abbastanza semplice: su una piastra di ferro è fissata una molla di acciaio, che esercita una forte spinta su dei contropemi mobili. Questi hanno una precipua sagoma, detta anche cifra, che rende unica la serratura e la relativa chiave di apertura . La stessa sagoma, ma traforata, è ricavata nel catenaccio: grazie alla molla i contropemi possono entrare nella cifra del catenaccio, quando però vi corri-

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195. Cerniere da po11a Ercolano. I96. Bassorilievo di fabbro costruttore di serratu re. Aqu il eia. Museo Naziona le. 197 Urna funebre a forma di scr igno con borch ie d i serrat ure. Isernia. Museo Arc heologico.

198. Resti di se rrature in bronzo rinvenute ad Ercolano.

199. Piastrnechiavedisenatw-a. Ercolano. 200. Piastre in ferro ed in bronzo di serrature. Erco lano

201. Vari catenacc i con cifre in bro nzo. Ercolano.

196 198 199 175
200 201

spendano esattamente, ovvero alla fine della sua corsa.

La serratura così è bloccata e per aprirla bisogna agire con la chiave. La chiave, foggiata con la medes ima cifra dei controperni, inserita nella toppa viene portata ad entrare anch'essa nel catenaccio ma dal la to opposto dei contropemi che. infatti, scaccia fuori. A questo punto. tras lando la chiave nelle fessura orizzontale della toppa, si trascina il catenaccio, aprendo la sclTatura La chiave. terminata la manovra. non poteva essere estratta, per cui restava nella senatura fin quando non fosse stata di nuovo chiusa. Evidente il ruolo giocato dalla molla, senza della quale, non sarebbe in alcun modo possibile il tùnzionamento.

Vi erano ancora se rrature dette a mandata, in sostanza simili alle attuali. ln esse la chiave, con una particolare mappatura corrispondente a quella del catenaccio, entrando nella toppa e ruotando intorno a un perno centrnle, spostava il catenaccio, aprendo e chiudendo perciò la seITatura. Jn molti esemplari il foro della toppa veniva sagomato in modo da impedire l'ingresso a chiavi non adeguate.

Anche in queste serratme una molla serv iva ad impedire qualsiasi oscillazione al catenaccio, confermandosi basilare per il funzionamento.

I Romani, come tutti i popoli che viaggiano spesso e si spostano sistematicamente, si servivano di un gran numero di minuscole serrat ure portatili, più note come lucchetti. Al riguardo, la loro produzione giunse a una varietà e validità assolutamente eccezionale e ineguagliata fin quasi ai nostri giorni. Diversamente dalle abituali serrature, il lucchetto non 1ichiede un'anta a cui applicarsi: gli basta una catena . Al pari della serratura, però, è azionato da una chiave con il concorso di una molla: a volte la prima era sostituita da uno stiletto, sagomato in modo da entrare attraverso un apposito foro e 1imuovere il ritegno dell'occhjello o del catenaccio.

fra i lucchetti ve ne fu uno definito pompeiano, per intuibili ragioni. I numerosi esemplari ritrovati ostentano un guscio di feno, più raramente di bronzo, con una toppa centrale e con ali "interno una serratura vera e propria. Con la chiave si liberava un lungo catenaccio, aprendo perciò il battente. Questo lucchetto si impiegava nei serramenti meno importanti, quali ad esempio dei depositi agricoli.

Alhi tipi di lucchetti appaiono del tutto simili agli attuali con chiusura ad occhiello. In essi facendo girare la chiave s i sb locca va il ritegno dell'occhiello che, a secondo dei modelli , poteva sollevarsi o motare, aprendo in ogni caso l'occhiello. Anche per questi una molla garantiva la stabilità delta chiusura.

176
202

202. Chiave roma na in ferro a gambo corto per ridurne l'ingombro ed il peso. La grandezza dclrocchicllo, inYcce, è tale per consentire l'inserimento del pollice

203. Borchia di se rratura in bronzo. con bloccaggio di sicurezza testimoniato dalla seconda feritoia. Ercolano. 204. Ricost1117ionc virnaale di serratura con catenaccio cifrato e doppia molla di rinvio.

205. Chiave di serratura romana in ferro a gambo quadrato La se7ionc quadrata rendeva più preciso lo scorrimento della chiave nella parte orizzonta le della fessura.

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178 206 207 209 208 •·-.. 210
I

206 Lucchetto di tipo pompeiano. Pompei.

207. Lu cchetti ad anello con relativa chiave.

208. Varie chiavi da lu cchetto.

209. Lucchetto da incasso e vista pos teriore

21O. Lucchetti di tipo pompe iano per depos it o agricolo . Pompei.

2 J 1. Ricostruzione virtuale di lucch ett o con pseudo chiave.

212. Reperto dello SICSSO

213. Ricostruzione virtuale di lucchetto ad anello con dcllag lio de l mecca ni s mo.

2 J 4. Reperto dello stesso

213 214 179 111 2 12

CINEMATISMI E AUTOMATISMI

T RA LE PRh'vIE CATENE CINEMATICHE VI FU IL PA.RA,"ICO

E FRA LE PRJ ME MACCHINE AUTOMATICHE LA G ANASCIA CHE SI SERRAVA PER AZIONE DEL PESO C HE DOVEVA SOLL EVARE E SI APRJVA AL SU O CES SARE

CONGEGNI PRESENTI ENTRAMBI SULLE GRU PER CL CARI CAM ENTO DELLE NAVI NE I PORTJ. SU DI UNA ARMA

PER IMPIEGO NAVAL E, UNA CATAPULTA AUTO MATICA A RIPETIZIONE , LA SIN TESI 0T UN GR AN NUME RO DI CINEMATISMI E AUTOMATISMI DELL' ANTICIDTÀ .

Sempre a 1idosso dello stesso arco storico, Filone di Bisanzio colloca un 'arma per tanti versi avveniristica, al punto di potersi definire, a buon diritto, automatica: la catapulta a ripetizione. AI di là della s ua funzione la macchina attribuita a Dionisio di Alessandria, che 1isu lta operante intorno al I secolo a. C nell ' arsenale di Rodi , va considerata un condensato dei più avanzati cinematis mi e automatismi meccanici , molti dei quali praticamente sono ancora di vasto impiego. 58 > Generalmente consisteva in un serbatoio, nel quale era contenuto un discreto numero di dardi , in un dispositi vo di alimentazione a tamburo ed in una catena di movim e ntazione.

La descrizione dell'arma lasciataci da Filone , come è facilmente comprensibile, non fu redatta per fugare ogni dubbio, mancando tra l ' altro un glossario tecnico e un taglio analitico. In pratica , stando a Filone, i dardi erano collocati in una tramoggia verticale che li trasferiva , uno alla volta, nel la scanalatura di tiro mediante un tamburo rotante mosso alternativamente da una camma guidata a z ionata dalla s litta. In definitiva ba s tava perciò la sola rotazione del verricello per far muovere il tamburo , la s litta, il meccani s mo di agganciamento e quello di scatto. Il ciclo si ripeteva automaticamente s en za solu z ione di continuità o inv ersion e di rotazione del rocchetto, fino all'esaurimento del caricatore , che , comunque poteva r eintegrarsi senza sospendere il tiro. E ' interessante os s erv are che la trasmi s sione del moto dall'albero del verricello agli altri organi a vv eni v a con due catene a maglie piane, trascinate da rocchetti pentagonali. Queste , simili a quelle delle moderne motoseghe , di s ponevano di denti interni che s'inserivano nei v uoti del rocchetto motore p e ntagonale e del1 ' analogo di rinvio, evitandone la fuoriuscita. Modelli affini di carene , dette di Galle, sono al pre -

180

2 I 5. Moderna catena di Galle.

2 16 . Ri costruzione vi r tua le della caten a della ca tap ul ta a ripetizione di Dionisio d'Alessandria.

217. Ricostruzione virtuale dell'intera catapulta.

2 I 8. Rilie vi planimetrici ortogona li del la stessa

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sente attribuite a Leonardo da Vinci e trasmdtono il moto in tutte le biciclette e le motociclette.

Uno dei denti interni più lunghi trascinava nel moto la slitta che, a sua volta, trascinava la corda caricando le matasse del motore. Durante il moto una camma ad essa solidale provocava una rotazione di l 80° al cilindro alimentatore, che prelevava un dardo dal caricatore e lo depositava nel canale dinanzi alla corda. Giunta la slitta a ridosso dell'estremità posteriore dell'arma. il dente la lasciava, mentre un riscontro ne apriva il dispositivo di scatto. Un istante dopo lo stesso dente. completata la rotazione nel rocchetto , riagganciava la slitta da sotto, trascinandola nuovamente ma nella direzione opposta. In prossimità della testa dell'arma, il secondo riscontro chiudeva l 'arpione dopo che aveva recuperato la corda, mentre l'alimentatore prendeva un altro dardo dalla tramoggia. Mezzo giro nel rocchetto e il ciclo si ripeteva.

Dal punto di vista balistico la sua cadenza di tiro doveva attestarsi intorno ad una media di un colpo ogni paio di minuti: ben poca cosa rispetto alle nostre armi automatiche, ma certamente impressionante per l'epoca. E paradossalmente proprio perciò anche inuti le , poiché finiva per far concentrare i dardi tutti nel medesimo punto, in uno spazio talmente breve da essere sempre il medesimo bersaglio. Un 'indubbia dimostrazione di tale potenzialità la si constatò agli inizi del '900, quando ne venne realiz zata in Germania una riproduzione in grandezza naturale: durante la prova tenuta alla presenza del Kaiser, una sua freccia spaccò in due parti la precedente!

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220

2 I 9-220. Museo delle navi di Mainz, Germania: sulla prua della nave è stata montata la catapu lta a ripetizi one. Per le s ue peculiarità d i fu nzionamento, la macch ina d i Dionisio r isul tava l'am1amento ideale per un mezzo in mov imento. 22 1. Esploso della ricostruzione della catap ult a a ripetiz ione. 222. Dettaglio cinematismi. 223-224. Dettagli o degli alimen tatori della catapulta e della mitragliera Gatling

221 223 224 183 222

NOTE

1-Cfr. E.N.LUTTWAK, La grande strategia del! 'Impero romano. di I al f!T secolo d C., Milano 1981, pp 82-83. Circa le affinità tra l'urbanistica ippodamca e l'accampamento romano cfr G CULTERRA. Architettura ippodamea, contribu10 alla storia Roma 1924, pp. 477 - 495.

2- Cfr.AA.VV., Les enceintes augustés1111es dans I 'occident romani (France, Ttalie. Espagne , Afrique du Nord), Att i del Co ll oqu io internaziona le d i Nimes 9-12 ottobre 1985, pu b blicati ne l Bo ll ettino n° 18 dell' Ecole Antique dc Nimcs, 1987.

3-Cfr. Y.GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1983, pp 22 1- 223

4-Cfr. F.RUSSO. indagine sulle Forche Caudine lmmutabiliLà dei principi militare, Roma 2006, pp. 77- 85.

5-Cfr. PSEUDO IGINO, De munitionibus castromm; cfr. POLIBIO di MEAGALOPTLI, Storie, lib.Vl, 27-34.

6 -Cfr. Y.LE BOHEC, L ·esercito romano. Le armi imperiali da Augusto alla fine del terzo secolo. Urbino 200 I. pp. 173-176 e 215-218.

7 -Cfr. M. LEGU I LLOUX, le cuir et la pelletterie à I 'époque romaine. Paris 2004, pp. 154-159.

8 -Cfr.G.P ISAN I SARTORIO. Mezzi di trasporto e trajjko, della serie Vita e costumi nel mondo romano, Roma 2005.

9-Cfr. AA. VY., Pondera, pesi e misure nel! 'antichità. Libra 93. 2001.

10-Cfr. N DAVEY, Storia del materiale da costruzione, Vero na 1965. pp . 219 -226; cfr. AA.YY., Homo jaber. Natura, scien=a e tecnica nell 'a11tica Pompei, M il ano 2002.

11-Cfr. VITRUVIO, De archirectura. lib. X, 16.

12-Cfr. VTTRUVIO, De arc/1itectura, \ib. X, 16.

13-L'ind izio principale per la co ll ocazione cronologica di Erone è il riferimento a lito lo esemplificativo del! 'eclissi di luna, descritto ne l capitolo XXXV de ll a sua Dioptra, interpre t a t a da rinoma t i storici de ll 'ast ronomia come quella del 62 d.C.

184

I 4-Da G.BOFFITO. Gli strumenti della scien:::a e la scien:::a degli strumenti. Roma 1982, ristampa dell "edizione originale Firenze 1929, pp.31-35.

I 5-Da G.BOFFITO, Gli strnmenti della scien:::a , cit.. pp. 24-29. Ed ancora sulla hale.sn-iglia pp. 61-66.

16-CfrAA.VV Ho1110.fàbet: Natura. scien:::a e tecnica , cit.. pp.

17-Cfr. D.STROFFOUNO , La ciltà misurata. Tecniche e strumenti di rilevame1110 nei trattati a stampa del Ci11q11eu:nto. Roma 1999, pp. 61-65.

18-Cfr. AA.VV., TRAIA NUS. Co,pus artium muniton1111 romanorum. ultimo aggiornamento 24 aprile 2007. versione e lettronica http://traianus.redris.es. agrimensoria. topograjìa Romana. squadro agrimensorio.

19-Cfr. VITRUVlO, De archietcrura, lib. vm, 6.

20-Dall"arabo al-hadad: piccolo regolo rotante, imperniato nel centro di un cerchio graduato, in modo da consentire la stima degli angoli per traguardo.

21- Giambattista Venturi (Bibbiano 1746 , Reggio Emil ia 1822): allievo dello Spallanzani fu ordinato sacerdote nel 1769. di vendo ordinario nell' Università di Modena nel 1774.

Fu per volere di Napoleone membro del parlamento della Repubblica C isalpina carica alla quale rinuncio nel 1798. Ordinario di fisca nell'Univarsità di pavia, trascorse, suoi ultimi anni dedicandosi ai suoi studi umanistici e scientifici.

22-La traduzione è contenuta nel trattato di G.VENTURT, Commentar,j sopra la storia e le teorie del/ 'oltica del cavaliere Giambattista Venturi reggiano. membro del cesareo regio istituto di scien:::e etc. della società italiana di Verona. e di più altre accademie, Bologna 1814, pp. 82 e sgg.

23-G.VENTURL Commemare , cir., pp. 88-90.

24-Cfr. F.R USSO, Tormenta. Venti secoli di artiglieria meccanica, Roma 2002, pp. 223-227.

25-Da G.BOFFlTO, Gli strumenti della scien::a , ciL pp. 116-117.

26-M.DA UMAS (a cura di), Storia della scienza, Bari 1969, vol. i, pp.188 -191: anche VlTRUVJO nel De architectura da una rievocazione del Problema di Delo nel lib.lX. 3.

27-AI riguardo cfr. Dizionario d'Ingegneria, fondato da E.PERUCCA, diretto da f.flLlPPL alla voce ca/colatore analogico, Torino 1969, voi. ll,pp. 311 e sgg. ln breve: un calcolatore analogico diretto è un modello di sistema fisico, di realizzazione e trattamento più semplici che non quelli del sistema originale.''

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28 -Circa le caratteristiche del Mesolahio se ne ha una dettagliata descrizione in Vitruvio, De archilectura. lib lX, cap. JIL nella Epistola di Eratostene al re Tolomeo. Cfr al riguard o la traduzione di Daniele Barbaro, Vcnetia l567 , pp. 368 e sgg.

29-Cfr. P.JAMES, N.THORPE. li !ihro delle antiche invenzioni. Milano 2001, pp 135 - 137.

30-Cfr. \VSAND ERMANN, li primo.fèrro cadde dal cielo Bologna 1978, pp 60 - 64.

31-Cfr. B.FRAU, Tecnologiagrecaeroma11a. Roma 1987, pp. 46-71.

32-Da LUCTO ANNEO SENECA. Apocolocyntosis., li.

33-Cfr. VTTRUVIO, De architectura, lib. lX, 9.

34-Da ATENEO, Deipnosophistae. XIII, 567 c-d.

35 -Cfr. E.CERULLT, V.L.GROTTARELLl, Indu strie e tecniche. in Ethnologica. L'uomo e la civiltà. Milano 1965. voi. Il. pp. 540-544.

36-Da M.DELLA CORTE, Case ed abitanti di Pompei Napoli 1965, p. 84, nota 1.

37-Cfr. A.MONDINI, Storia della tecnica voi. I Dalla preistoria Mille, Torino 1973. p. 117.

38-Cfr. G.UCELLl, Le navi di Nemi, Roma 1950.

39-Cfr. G.Dl PASQUALE, Tecnologia e meccanica , cit., pp. 169-208.

40 -11 vero limite dipendeva soprattutto dal numero di uomini che poteva essere impieati in ciascuna macchina . di gran lunga inferiore nella mota rispetto alle stanghe del cabestano.

41-11 tipo di gru romana a braccio inclinato sostenuto da numerose corde, che ne consentono pure la variaz i one delI' inclinazione, viene attualmente definito gru a Derrick. Gli esemplari magg iori montano bracci che possono raggiungere varie decine di metri e carichi di diverse tonnellate. Appariengono a questa tipologia di grn anche i picchi di carico d'impiego navale.

42- Cfr. T.K.DERRY, T.I.WJLLJAMS, Tecnologia e civiltà occidentale, Torino 1968 pp. 198-199.

43 -Not iz ie sulla grande opera si leggono in STRABONE, Geografia, VTII, 2, l

44 -G.P lSANl SARTORIO Mezzi di trasporto e tra.[(ico, Roma 1988.

45 -Circa le sospens ioni con cinghie di cuoio cfr J.A. WEL-

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LER, Roman traction \\'Slem, versione elettronica in http:/N1ww.humanist.de/ rome/ rts/ wagon.htm l

46-Per scartamento ferroviario si intende l'interasse fra le rotaie misurato a 14 mm sotto il piano di rotolamento. Quella di 1435 mm è utilizzata in Europa. ad eccezione della Spagna e del Portogallo. nella Cina, negli Stati Uniti e nel Messico Lince interne secondarie come ad esempio in Italia, intorno a l Vesuvio la Circumvesuviana, avendo u no scartamento minore, pari amm 950, vengono definite a scartamento ridotto.

47-Cfr. F.RUSSO, Tormenta , cit., pp. 57-95.

48- E' di questo avviso anche VlTRUV!O, De architectura, lib. X, 22.

49 -Da FLAVIO RENATO VEGEZIO, L'arte militare, traduzione di A Angclini, Roma 1984, p. 47.

50-D a CATO GIULIO CESARE, La guerra gallica, traduzione di F.Brindesi lib. Il, 30-31.

51 -Cfr. M.PAGANO, Il teatro di Ercolano. e A.BALASCO, l 'archùettura del teatro di Ercolano, in Gli antichi Ercolanesi. Napoli 2000, pp. 75-86.

52- Cfr. G.TODARO, Bracconaggio e trappolaggio, Bologna 2006, pp. 85 -162.

53- Cfr. R. FTESCHL Dalla pietra al lase,: Roma 1981, pp. 61-73.

54- Cfr. F.RUSSO, Tormenta navalia. Le artiglierie navali romane, supplemento Rivista Marittima giugno 2007, pp. 94-105.

55-Cfr. E. W.MARSDEN, Greek and roman artille,y. Historical development. Oxford 1999. pp. I6 e sgg.

56-Va precisato che la balestra ad arco metal\ ico si diffuse so l tanto a partire dal Xl V secolo. Cfr. O.DE FLORENT II S Storia delle armi hianche, Milano 1974, pp. 135-140.

57 -Cfr. ABIASIOTTI, Serrahire e chiavi romane del museo archeologico nazionale cli Napoli, Modena 1998. versione su CD

58-P cr la catapulta a ripetizione cfr. F.RUSSO. Tormenta namlia , cit., pp. 135-156.

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- ACQUA -

li mare copre i due terzi del pianeta. senza soluzioni di continuità: rappresenta perciò la strada per antonomasia, priva di pendenze e di usura, di limiti di carico e di strettoie. Per sfruttare, però, quella preziosa opportunità non bastava saper costruire le navi e saperle governare avvalendosi della vista del sole e delle stelle: era indispensabile padroneggiarle in qualsiasi circostanza, di cui la più temuta si man{(estava con l'improvvisa apertura di.fàlle e La conseguente penetrazione del! 'acqua. Ne derivarono gamme variegate di pompe per evacuazione, da quelle ordinarie per le sentine, complete di tubature di piombo e conca- rispettivamente ombrinale e pozzetto- a quelle a bindolo, per finire alla più sofìsticata definita 'ctesibica machina ', per noi pompa a doppio effetto

Con le pompe e con gli scafi fu presto recepito il concetto di pressione legato al! 'altezza o alla profondità dell'acqua. Si capi come avvalersene e come avvantaggiarsene, sia per evitare aLL 'acqua di entrare nelle imbarcazioni, sia per consentirle di raggiungere le città. Scafi stagni ed acquedotti, tubi di piombo, di terracotta e di legno, vasta gamma per qualsiasi impiego di terra e di mare. E quando la movimentazione delle grandi flotte militari impose la concomitanza dei tanti uomini destinati ad azionare i remi,fu necessario escogitare soluzioni adeguate per dispon·e di acqua in quantitativi talmente abbondanti che nessun acquedotto era in grado di soddisfare. Comparvero perciò le colossali cisterne, grandiose cattedrali sotten'anee destinate a raddoppiare virtualmente i flussi d'acqua, premessa indispensabile per le basi navali romane. E forse fu p roprio dal! 'osservazione del variare del livello de/I 'acqua al loro interno che si elaborò l'ingegnoso dispositivo per la trasmissione a distanza.fra le diverse basi navali, e le navi fra loro, descritto da Enea il tattico e che, verosimilmente. costituì a lungo una dotazione tassativa di qualsiasi stazione marittima.

La conoscenza del contorno costiero del Mediterraneo, che quasi certamente originò degli antesignani portolani e delle rudimentali carte nautiche,.facilitò di certo la navigazione a patto che da bordo si.fosse in grado di stimare le distanze percorse, problema risolto con uno strumento definito odometro navale. Ma quello strumento con le sue due ruote a palette poste alle estremità di un albero che.fuoriusciva da entrambe le murate, era la puntuale premessa di un sistema di propulsione meccanico, che sarà dejìnito appunto 'a ruota'.

PARTE SECONDA

STATO LIQUIDO

I DU E T E R Z I DE LLA SU PE R FICI E D EL PI ANETA

La tecnologia dell'acqua, soprattutto nell'antichità, è condizionata da una sua strana singolarità: trovarsi sempre al livello pi ù basso di dove dovrebbe essere, o di dove non dovrebbe essere! ln pratica vuoi per uso irriguo , vuoi per uso alimentare, vuoi, infine, per evacuazione è sempre stato un problema cd un lavoro sollevarla o toglierla! Dal che una gamma vastissima di macchine per innalzarla, più note come pompe o norie, a loro vo lta premessa per miriadi di macchine derivate. E se lo stato liquido è rappresentato da numerosi composti ed elementi, tra cui persi no un metallo, da l punto di vista meccanico il comportamen to sostanzialmente è per tutti assimilabile a quello del!'acqua. Per cui mai come in questo caso g l i antic hi giustamente indicarono nella stessa il secondo elemento dell'universo e noi il mass imo esempio del secondo stato di aggregazione della materia

L'acqua copre il pianeta per 2/ 3, ed è il mineral e più abbondante e più faci le da repe r ire allo stato naturale in discreta purezza. Avendo come caratteristica un legame meno fotte dei solidi ha una volume ma non una forma per cui si adatta a qualsiasi contenitorc:da un'enom1e cavità natura le, come ad esemp io q ue ll a d'un lago, a una bottiglia. A tale stato di aggregazione si è da to il no m e di liquido, la c u i più antica etimologia implica, appunto , il significato di moto, d i scioglimento. Oltre al volume ha anche una discreta massa, che tende per conseguenza de ll a mobilità a dispors i in equilibr io, ovvero in orizzonta le. D al che lo sconere dei fiumi o il cadere dell a pioggia e il suo ruscellare al suolo. Fenomeno che essendo attivato dalla forza di gravità e spostando entità ri levanti si comporta da forza motrice, la prima e la maggiore in assoluto concessa dalla natura.

Al di là della sua potenzialità energetica in generale e motrice in particolare, l'acqua ha svolto anche un'a ltra funzione basilare ne ll a stor ia dell'umanità, forse persino più importante per l 'evoluzione: quella di strada. 1 > La superficie mar ina, come quella dei grandi fiumi e dei laghi, si è di fatto comportata sem p re a ll a stregua di un'ampia via di comunicazione, nel caso del mare illimitata, di gran lunga superiore a quals ias i altra sulla terra Senza contare che, spostandosi su di essa 2> , i rischi di aggressioni da parte di bestie feroci risultano

226

225. Visione convenziona le dell'intero globo terracqueo: i I mare ne copre i due terzi della superficie. circondando completamente tutti i continenti .

226. L'acqua si presenta in natura in tutti e tre gli sta ti di aggregazione solido, l iquido ed aeriforme. che in corrispondenza delle calotte po lari conv ivo no. Nella foto. ad esempio. si vedono dal la prua del San Giuseppe 11 , comandato da l capitano Giovanni Ajmone Cat. i g hiacci dcll'An tardidc bagnati da l mare e sovrasta ti da dense nuvo le di vapore.

- .:.,.
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incomparabi lmente mino1i, L'athito insignificante, nulla la pendenza, l'usura e i limiti di carico: un bambino si dimostra capace d i spostare facilmente un galleggiante con sopra alcune tonnellate! T1 vento, poi. saputo sfruttare, agevo la il moto in rag ione della sagoma esposta. Il che ha pennesso di comprendere le potenzialità energetiche e motric i dello stesso, ovvero dell'aria. che non a caso forni presto il suo appo1to alla meccanica.

Dal punto di vista b iolog ico l'acqua è l'unico minerale che deve essere assunto in rilevanti quantità da parte di tutti gli esseri viventi, anche vegetali, ogni giorno. E' la condizione stessa de ll a vita su l pianeta: pertanto, fatta salva la fase più antica in cui ci si limitò a non scostarsi dalle rive dei grandi fiumi (testimoniata dalle civiltà del Ni lo, del Tigri - Eufrate e del1' Indo) presto fu necessario studiare come spostare l'acqua Ampliandosi, infatti, le aree coltivate fu indispensabile condurvi l'acqua 3) con canalizzazioni, come del resto altre ca n alizzaz ioni , per meglio dire acquedotti, si resero necessari allorquando i concentramenti umani dive n nero molto numerosi.

Cana li e acquedotti, reti di distribuzione e macchine di sollevamento, macchine pe r muoversi sull'acqua e macc h ine per funzionare con l'acqua. E sempre più spesso bisognò occupars i anche de l contrmio, ovvero di come prosciugare l'acqua in eccesso sui terreni, nelle miniere e nelle navi: in quei casi la p r eziosa risorsa, senza adeguati interventi, si sarebbe trasformata in gravissimo danno. Ben di rado le macch ine uti lizzate per sollevarla furono efficaci anche per evacuarla o drenarla: altre macchine, q ui nd i, e altri contributi tecnici, tutti fondamentali per l'evolversi della tecnologia.

LE PRIME MACCHINE IDRAULICHE E LEMENTARI

LE PRIME MACCJ-W E lDRAULIC HE EBBERO IN SOSTANZA 1L MEDESIMO COMPITO: SOLLEVARE L' AC -

QUA DIVERSI I MODI PER POTERLO FARE, UNICO IL

RJSULTATO l N BREVE DA QUEI REMOTI CONGEGNT DERIVÒ UN'AMPIA GAMMA DI MACCHINE SEMPRE PIÙ

PICCOLE ED EFFICACI , ELABORATA PER UN PARTICO-

LARE SOLLEVAMENTO DELL'ACQUA: QUELLO DALLE

SENTINE E, PIÙ fN GENERALE, DAGLI SCAFI ALLAGATL S I DEF INIRONO SIFONI E POMPE E SONO ALLE

SPALLE DEI NOSTRI MOTORI ALTERNATIVI.

Difficilmente l'acqua de i grandi fiumi era anc he ideale da bere. perc hé persino peggio d i quella delle pozze in zone aride. Tuttavia al di sotto del terreno quasi

192

227-228. Mosa ici d i epoca romana custod iti in Libia e raflig uranti il T igri e l'Eufra te. Tra i due gra ndi fi umi g razie al la loro potenzia l it à ferti l izzan te prospe rò una lussureggiante vegetazione , non a caso idem ifiea ta co me i l paradiso terrestre.

129. Affresco custodito ne l museo archeo logico d i A lessandria d'Egitto, di epoca romana raflìguran te u na noria azionata da u na par ig li di buoi. É la p ri ma rapp resen tazione iconografica relativa ad u na macc hi na idra ul ica d i un a certa complessità.

227
193

sempre stava l'acqua. ed era di gran lunga migliore in quanto filtrata dallo stesso~ ); per attingerla bastava s ollevarla. A tale scopo fu usato l'otre caprino che vuoto pesava pochissimo, quando colmo risultava pesante e scomodo da alzare; ovviò a questo inconveniente un ramo ftmgente da carrucola prima e da bilanciere poi . 5 > Nel primo caso si trattò di una antesignana cam1cola che deviava lo sforzo da verticale ad orizzontale; nel secondo di una vera macchina che, tramite un contrappeso ed una leva, riduceva lo sforzo. Nel Vicino Oriente comparve così lo shadu.f, testimoniato da remotissimi geroglifici: col tempo si perfezionò poco e si diversificò tanto! Quel congegno, infatti, si può ancora intravedere nei mostruosi bilancieri che aspirano senza sosta il petrolio; ma si colloca pure alle spalle del trabocco medievale, la più potente a1tiglieria meccanica della storia. Anzi. a voler essere pignoli, il suo avvento, proprio nelle aree orienta li è accertato in epoca molto più antica e con caratteristiche motrici ancora più simili a quelle del bilanciere dei pozzi.

IL TRABUCCO

Lo shaduf, è una macchina rudimentale che funzionava, e funziona ancora, h·amite un'asta sospesa asimmetricamente a un montante verticale. Sostituire all'otre la fionda, più arcaica e diffusa presso le società pastorali , non dovette richiedere eccessive elucubrazioni come pure l'adozione di contrappesi. Non a caso anche il trabocco nella sua prima fase non li ebbe, ma li acquisì solo dopo e progressivamente li portò a masse s empre maggiori.

Stando alle fonti acce11ate il trabocco comparve in Asia fra il V ed il lll secolo a.C., al tempo della dinastia Zhou. 6l A farlo funzionare era lo strappo simultaneo effetniato da numerosi serventi sulle funi: il braccio ruotava perciò di scatto, scagliando un pesante proietto. L'arma, sempre a strappo, raggiunse il Mediterraneo quando l'Impero romano d'occidente era 01mai in piena dissoluzione, per cui furono i Bizantini a sntdiarne le applicazioni militari.

Dal punto di vista meccanico il c1ite1io costruttivo appare semplicissimo, consistendo in sintesi in una trave rotante, imperniata su un montante che la suddivideva in un braccio lungo ed uno corto Quello lungo terminava con una imbracatura e quello coito con tante funi di trazione, sostituite in seguito da un contrappeso. Per rendere il braccio lungo ancora più lungo, alla sua estremità venne applicata la fionda per il proietto. Ricordava vagamente l'onagro e forse furono proprio i Bizantini ad

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230. Raffigurazione egiziana del I millennio a C. in cui compare un shad11/: 231. Nordafrica. ultimi scorcio d..:! secolo scorso: un indigeno preleva l'acqua da un pozzo utilizzando ancora lo shadu( 232. Concettualmente identico allo shadii(è il gigantesco bilanciere per l't:straLione dai pozzi del petrolio.

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applicare il contrappeso e a modificare la fionda per adattarla al lancio di recipienti colmi di fuoco greco. Ed è per lo meno curioso osservare che prop1io l'onagro romano, l'unica artiglieria elastica a singolo braccio cd a tiro fortemente parabolico, montava già una fionda ad apertma automa tica La rotazione però era prodotta da una matassa e lastica di potem;a minore del contrappeso. L'onagro 7), a sua volta, c he dal lII sec. d.C. in poi divenne la principale aitiglìeria legiona ria d'assedio, trovava una premessa nel picco lofustibale o mazzafionda. Le sue rielaborazioni si rintracciano nel Xlll secolo fra gl i armamenti di fazione e persino navali.

Anche in questo caso si trattava di un braccio fatto ruotare nel piano verticale 8l, recante all'estremità una fionda ad apertura automatica o comandata. Ne abbiamo u na dettagl iata descrizione in Po libio e sappiamo che divenne comune su l finire del li sec. d.C. , sebbene molti autori la ritengano al pa1i dell'onagro presente sin dall'età arcaica. Quest'ultimo, infatti, è menzionato da Filone di Bisanzio con la generica dizione di mono ancon. braccio unico 9 ) e dovette avere una vasta e rapida adozione nel mondo antico, prima dei perfezionamenti romani. T1 trabocco, invece, si diffuse in Europa occidentale molto più tardi e soltanto in seguito alle Crociate, dominando da quel momento gli scenari ossidionali per quasi tre secoli.

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233. Ricos truzione virtuale dell'onagro romano.

234. IIlustra.1.ion.: traila ùa un codice medievale con un trabucco in a7ionc.

235 Vio ll et le Due: ricostrm:: ione di un trabucco.

236. Ca ta s ta ùi pa ll e di onagro del diametro di c irca 30 cm, utili zzate durante l'assed io romano di Masada. Gerusalemme

237. Ricostruzione virtua le di un trabucco.

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MACCHJNE PER I L

SOLLEVAMENTO DELL'ACQUA

La necessità di sollevare l'acqua in 1ilcvante quantità dal fondo di un po zzo o dal letto di un fiume, implicando tempi di anuazione prolungati, quando non pure continui, portò ad escogitare alcuni semplici congegni. La loro caratteristica, oltre alla facilità di costruzione, era il poter essere mossi dalla forza umana, da quella animale o della stessa acqua corrente, ovviamente quando si trattava di fiumi , o infine da quella del vento. Una tale macchina constava di due parti fondamentali: una era l'organo motore, l ' altra il sistema di prelievo e innalzamento dell'acqua. La prima, quale che fosse, trasfo1mava l'energia motrice disponibile nella movimentazione della seconda. Esattamente come il remo che suggerì la ruota a pale, così il singolo otre suggeri la ruota a più otri applicati alla sua corona Facendo girare questa, gli otri. immergendosi, si riempivano d'acqua che scaricavano una volta che fossero giunti in sommità della ruota. Per porre in rotazione una ruota ad otri che poi divennero tazze di terracotta e quindi cassette di legno. bisognava superare una resistenza pari al peso dell'acqua sollevata, per cui maggiore il n umero degli otri, maggiore la quantità dell'acqua. maggiore l'altezza, maggio re lo sforzo. 10 >

Supponendo a titolo di esempio che l'otre o il secchio avessero una capacità di sol i 10 litri e supponendo che ve ne fosse uno per ogni metro di catena, ve ne sarebbero stati I Osu un dislivello d i 10 m , per un quintale di peso. Considerando per la catena una velocità di sa i ita intorno ai 20 cm al secondo , sarebber o stati sollevati circa 100 litri ogni minuto. Non poco certamente ma, poiché occorrevano quasi 1Ominuti per un unico metro cubo, la prestazione appare estremamente modesta!

Nonostante c iò quelle ruote lavorando per tempi lunghi, consentivano la coltivazio ne intensiva in terreni altrimenti sterili. Ness u na meraviglia, quindi, che g ià nel codice di Hanunurabi del XVII[ secolo a C si faccia un esplicito riferime nto a macchine per irrigazione aziona te da mulini a vento. ln pratica l'esatto opposto di quelli che quasi tre millenni dopo vennero impiegati in Olanda per drenare l'acq ua in eccesso.

Tornando alla forza necessaria ad azionare le ruote, furono elaborati diversi congegni per renderla congrua alle potenze disponib il i Si adottarono perciò demoltipliche a ruote dentate di varia foggia , a seconda che fossero per animali o uomini. In breve tempo, h1ttavia , fu evidente che la ruota ad o t ri, quando si immergeva in un fiume. subiva un certo trasc i namento da parte

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238-239-240 -241. Antiche oor ic medioriental i a ruota s in go la La d isposiz ione deiraggi non è rad iale rispetto al mozzo ma vie ne a cos t itui re u na sorta di q uad ra to per accrescere la stab ili tà strutturale della ruota cd al co ntempo per co nsentire di vi nco larla meglio ali' albero. 240

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della corrente: una seconda ruota a palette mossa dall'acqua e di adeguate dìmensioni avrebbe potuto perciò porla in rotazione. A quel punto le due parti della macchina vennero assemblate. costituendo un sistema meccanico detto noria. Le norie quindi, per larga sintesi, si possono distinguere fra quelle a trazione animale e quelle idrauliche, ed ancora a ruota unica o a catena, a dislivello singolo o frazionato.

LA NORIA

Il tipo più semplice è a ruota unica, con poche tazze sulla corona ed azionata da un animale. Per ovvie ragioni il congegno conobbe la massima diffusione nelle regioni aride e scarso interesse nei climi temperali e ricchi di corsi d'acqua. L'altezza a cui poteva sollevare l'acqua era inevitabilmente inferiore al suo diametro che, per motivi strutturali, non superava la decina di metri, attestandosi mediamente intorno ai cinque metri al massimo. Per dislivelli maggiori si ricorse ad un sistema a ingegno, costituito da una ruota, raramente due, delle quali quella inferiore fungente da rinvio, e da una coppia di catene affiancate. Alle loro maglie stavano fissati alquanti secchi o tazze •I), più o meno grandi, disposti ad intervalli regolarì. A porla in rotazione provvedeva la ruota superiore realizzata con appositi incastri o impronte sufficientemente solida per poter sopportare il peso complessivo del carico. La lunghezza della catena infatti , essendo discrezionale, consentiva, in via teorica, di raggiungere dimensioni di prelievo notevoli per portata e profondità. In pratica però, crescendo l'una e soprattutto l'altra, la resistenza aumentava al punto da incepparla, quale che ne fosse il motore. La struttura di legno delle norie non ne ha consentito la sopravvivenza: le sole testimonianze e tracce ad esse relative sono gli alloggiamenti dcgl i assi e le incisioni sui muri provocate dalla loro rotazione. Alcuni esempi del genere sono visibil i ad Ostia antica.12 )

La città, stando alle fonti, fu fondata da Anco Marcio nel VJ secolo a.C. ma i saggi effettuati sulla muratura del Castrum non risalgono oltre il IV secolo a.C.: plausibile, pertanto, che il primo insediamento fosse un semplice accampamento. E come tutti i s imilari, la sua ubicazione doveva necessariamente essere prossima al la riva del fiume. Frontino nei suo i Commentari dice che : "durante 441 anni i romani si accontentarono di here l'acqua che essi

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242-243-244-245. Grandi impianti per i l sollevamento dell'acqua t ipici del Medioric n te real iz;,ati co n batterie d i nor ie di dive r so diametro. Tale macchina,anchenellaconfigurazione più co m plessa. si deve immaginare ri salente al l 'e tà alessandrina.

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trovavano sul posto. quella del Tevere. dei pozzi e delle so,genti". 13 , Nessun dubbio che fu così anche per gli Ostiensi almeno fino all'attivazione dell'acquedotto che dai monti di Acilia conduceva l'acqua nella città.

Ad Ostia, tuttavia, la falda freatica, superficiale. non solo rendeva facile la costruzione di pozzi ma anche agevole i l prelievo, come ricordava il Lanciani.1~ l Nettamente diversa la situazione quando le quantità d'acqua da estrarre erano molto maggiori, come quelle necessarie per far funzionare un impianto termale . Appunto per tali impianti proprio ad Ostia antica si rese indispensabi le l'adozione delle norie, alcune costituite da una semplice mo ta a secchi, altre da più ruote con catene di secchi; il dislivello complessivo fu suddiviso su due salti con bacino intermedio. Le uniche testimonianze pervenuteci sono, come già accennato, gli stretti vani costruiti appositamente per il loro funzionamento, con i relativi alloggiamenti dei perni e degli assi.

L'ampio uso di norie deve mettersi in relazione con due elementi: il gran numero di abitanti , circa 50.000 , che la città ben presto raggiunse, e la falda freatica a pochi metri di profondità. D al primo derivò la ridondanza di terme e di impianti industriali necess itanti di forti flussi d'acqua. dall'altro la facilità di attingerla dovunque senza dover costruire alcun acquedotto. Chiunque, in pratica, poteva disporne a patto di scavare un piccolo pozzo e di sollevarla fino alla quota del suolo. A tale scopo fu adottata una n01ia di tre m di diametro. azionata da uno o due uomini, tramite un asse terminante in un pignone a punzoni che ingranava nella corona di una ruota a secchi. Per dislivelli maggiori occorreva una noria a catena: il tipo più semplice implicava una ruota motrice a gabbia di scoiattolo, de l diametro di circa 3-5 m, fissata allo stesso asse di una mota a impronte sulla quale ingranava la catena a secchi, spesso una coppia di funi.

ln genere non vi era la ruota di rinvio, bastando per la tensione di esercizio il peso dei secchi da sollevare; il dislive l lo, però , non poteva eccedere i 5-6 m. Per entità maggiori, non i nfrequenti negli impianti termali, si ricorse a no r ie a doppio salto, ovvero a una coppia di norie separate da un bacino di scambio in t ermedio. Anche in questo caso il moto era fornito tramite un rocchetto a punzone che ingranava in una corona a buchi ricavata nel cerchione della noria o con denti riportati sulla corona o esterni.

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246. Noria a catena di secchi del secolo scorso, ma sostanzialmente uguale a que ll e d i epoca romana.

24 7. Veduta dei ruderi di Ostia Antìca.

248 -249. Norie a catena con vari sistemi d i rrasmissionc costruite nel :,ecolo scorso con lo stesso principio e con le medesime connotazioni d i quelle romane

250. Schema di noria a catena per dislivelli eccedenti il nom1ale diametro <l..:llc norie a ruota.

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SIFONI E POMPE

NATI PER EVACUARE L'ACQUA TN ECCESSO A BORDO DELLE IMBARCAZIONI, DIMOSTRANDOSI NON DI RADO DI BASILARE IMPORTANZA PER LA SALVEZZA, RICEVE'fTERO CURE ED ATIENZIONI PIÙ Dl OGNI ALTRO CONGEGNO. E DA MACCHINE SALVAVTTA DIVENNERO MACCHINE UNTVERSALI E REVERSIB[Ll, RITROVANDOSI ANCORA OGGI SOSTANZIALMENTE IMMUTATE SIA NEI MOTORI TERMICI CHE NEI CJLlNDRJ lDRAlJUCl, COME PURE NELLE COMUNTSSIME SJRJNGHE PER USO MEDICO.

A differenza delle norie che sollevano l'acqua con lo stesso meccanismo impiegato da una gru per sollevare un peso, le pompe ne provocano l'innalzamento per variazione di pressione, aspirando o comprimendo. Esisteva, tuttavia, un tipo di pompa che solo molto parzialmente operava in questo modo e che, a giusta ragione, potrebbe considerarsi una via intem1edia tra le norie e le pompe propriamente dette: la pompa a bindolo.

POMPA A BINDOLO

Si tratta di una pompa concettualmente affine alla noria sebbene vistosamente più piccola, per lo più d'impiego navale. I rari resti attribuiti a pompe del genere, infatti, sono stati rinvenuti sia nelle navi di Nemi che in altri relitti. 15> Ln quanto efficace per evacuare l'acqua dalle sentine, non fu mai dimessa, e ciò ne spiega la costante presenza in tutti i disegni degli ingegneri 1inascimentali.

Constava di una fune di un alcuni metri di sviluppo, fatta passare a intervalli regolaii per il centro di piccoli dischi di bronzo o di legno, quasi una so1ta di gigantesco rosario. Una metà della fune correva all'interno di una canna di legno. di diametro appena maggiore di quello dei dischetti, che finivano perciò per strnfina rvi contro, come stantuftì La parte inferiore della canna stava immersa nell'acqua mentre quella superiore era fissata al supporto d'una mota ad impronte la quale, azionata da una manovella, poneva in rotazione la fune. I dischetti prima di entrare nella canna catturavano una piccola quantità di acqua che sollevavano per scaricarla poi in una apposita tramoggia.

Nei mezzi navali il vantaggio della pompa a bindolo stava nella estrema semplicità costruttiva e nell'essere azionata dal ponte di coperta, evitando così ai marinai il rischio di restare intrappolati in caso di affondamento.

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25 l. Ricostruzione virtuale di pompa a bin dolo di epoca romana Una pompa del genere equipaggiava anche le navi d i Nemi, ed i suoi resti sono stati rinvenuti nelle stesse consentendone una prec isa res ti tuzione grafica.

252. Resti di una pompa a bindolo rinvenuti nel relitto di St. Gervais IL 1984

251 205

VOLANO E MANOVELLA

TRA LE MACCHINE PIÙ SEMPLICI SONO DI SICURO LE

PIÙ IMPORTANTI E RICCHE DJ IMPLICANZE: NONOSTANTE CIÒ SULLA LORO ORIGINE V1GE UNA LUNGA

DIATRIBA TRA CHl LE VUOLE DI ORIGINE ANTICA E CHI, INVECE, LE COLLOCA NEL MEDIOEVO. 01 CERTO

COMPAIONO ENTRAMBI SU DI UNA POMPA A BINDOLO RJTROVATA SU DL UNA DELLE NAVI Dl NEMl.

Le diverse macchine appena delineate, presuppongono un congegno di collegamento alla fonte energetica. Nel caso che fosse stato il braccio umano occorreva un dispositivo idoneo allo scopo: in pratica una pai1icolare leva per consentire il trasferimento continuo dello sforzo senza eccessivi sprechi e senza deficienze ergomoniche. Nulla di meglio, e il nome lo conferma, della manovella, etimologicamente manu volvere, girare con la mano. La maggioranza degli storici della tecnologia ne colloca l'inv enzione nel Medioevo 16l, tuttavia si conoscono almeno due congegni azionati da una embrionale manovella: la macina portatile a dischi di pietra sovrapposti e la pompa a bindolo delle navi di Nemi. Quanto sia fondamentale nell'evoluzione tecnologica questo piccolo dispositivo meccanico capace di trasformare il movimento alternativo in rotatorio e viceversa, lo dimostra la netta distinzione che esiste in nature fra le due tipologie. La prima, del moto rotatorio continuo, è propria della materia inorganica mentre la seconda è l'unica adottata dagli esseri viventi.

11 piccolo mulino, ancora correntemente utilizzato da popolazioni a basso livello tecnologico, ci è pervenuto in vari esemplari perfettamente conservati 17 l; e ciò elimina qualsiasi incertezza al riguardo. Considerando poi che ogni otto legionari vi era un mulino portatile, è probabile che proprio da quello sia stata tratta la manovella che si ritrova sulle navi di Nemi e veros imilmente in molte altre macchine. Dal punto di vista meccanico era costituita da un disco di legno o di metallo, che nel caso del mulino era la stessa macina, fissato ad un asse centrale e recante sulla sua corona un manico parallelo all'asse stesso. Col tempo il disco venne progressivamente ridotto fino a divenire una spranga di raccordo fra il manico e l'asse, più o meno lunga a secondo della funzione e dello sforzo necessario.

La versione con disco, appena desc1itta, presenta un seco ndo aspetto meccanico interessante: si comporta infatti anche da volano, altro elemento sulla cui origine sussistono ampie divergenze tra gli studiosi.

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253. R il ievo a:,~onometrico dell a manove ll a applicata a ll a pompa a bindolo delle navi di Nemi.

254-255. Rilievi assonometrici se?ionati di macine a mano per grano tutt'oggi usate da tribù n o m adi in Nordafrica

256 -257. Foto corrispellive dei due grafici asso no met r ic i delle macine a mano.

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POM PA A D O PPI O EF F ETTO

SEl3BF.NI GIÀ L'AMBITO DELLE POMPE SIA TRA I PIU

A\A ZATI DELIA TEC'-OLOGIA A'-:TICA, QL,ELL/\ A DOPPIO l: fFETTO È LA SUA PUNTA DI DIAMANTF, RlTRO\A~DOSI N ESSA TRA CILINDRI, STA'JTlJFFI E VALVOLI· Dl ASPJRAZTONE E COMPRESS10Nl., NONC'I IÉ BIELLE E BILA ' CIERI L'l~TERO REPFRTORIO PER LA COSTRUZIONE DI UNA MACCI IINA A VAPORf:.. IN OGNI CASOQLiESTOTIPO DI POMPA È A'>CORAUSATA ANCHE COME IDRANTE ANT INCENDIO.

La noria a catena di taac, pur sol levando l'acqua a discreta altena, non le forniva alcuna pressione per cui non si prestava a proiettarla a getti. La ricerca di tale effetto, che può apparire meramente estetico. ma che in realtà trovava una precisa esigenza nelle pompe antincendio. come pure in quelle di evacuazione na\ale nel caso di imbarcazioni di una discreta stazza, fu ottenuto grazie ad un cilindro munito di stantuffo. L'im·enzione è ascritta a Ctesibio. 18l Suo tramite era possibile scaricare 1·acqua aspirata con una discreta pressione: facendola poi passare attraverso uno stretto ugello, la si trasformava in un lungo getto. Per e\ itargli un andamento intermillente ben presto si accoppiarono due cilindri. operanti a fasi alterne, di modo che quando uno stantuffo era sollevato. l'altro era abbassato L'idea non era di per sé nuova, ritrovandosi a li,ello archetipale in mantici primitivi realizzati con due canne di bambù. Probabile che questi fossero stati. in qualche circostanza. osservati e studiati dagli scienziati al seguito di Alessandro.

La macchina così realizzata e che arà definita in seguito pompa a doppio effetto. fu per gli antichi soltanto la ctesibica macl1i11a e fomi,·a un getto di acqua non ancora perfettamente continuo ma di tipo pulsante, inconveniente poi ovviato con una sorta di stabilizzatore. in pratica una scatola di compensazione munita di valvole di non ritorno. Proprio per la sua capacità di lanciare getti d'acqua ad una considerevole distanza. questa pompa fu usata per spegnere gli incendi e. molto probabilmente, anche per appiccarli. 258

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258 Stampa ouocentesca raffigurante 1·impiego <li un sifone antincendio con rclativ<1 serbatoio per l'acqua.

259. Ricm>lruLione di un carro antincendio romano con sifone e serbatoio per l ' acqua.

260. Elemento costituito da cilindro e stantuffo di un gruppo di quattro simili rinvenuti in un relitto di nave romana naufragato all'imbocco del golfo del Leone. Francia.

261-262-263. Ricostruzioni virtuali di una pompa a doppio effetto che impiega due elementi del tipo del reperto.In dettaglio la sezione dello stesso e di una sua valvola.

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ORGANO AD ACQUA

L'organo, in linea di massima, è il perfezionamento gigante dello zufolo pastorale: una fuga di canne di diversi diametri e lunghezze, strettamente affiancate fra loro io modo tale che soffiando, ora nell'una ora nell'altra, se ne ricavava un diverso suono. E se al p1irno per ottenere una variazione armonica bisognava far scoITere dinanzi alle labbra le canne. al secondo, per ovvie ragioni , occorreva inviare l'a1ia compressa direttamente alla canna, secondo il medesimo criterio musicale. Allo scopo pertanto si dovette elaborare un congegno di distribuzione, vera e principale novità dello strumento. di elevata complessità meccanica.

Trasfonnando lo strumento pastorale in qualcosa di più sofisticato, restava comunque fattore comune l'alimentazione ad aiia compressa e la distribuzione comandata della stessa ad una detenninata canna in modo da ottenerne precise note sonore. La soluzione di per sé non difficile , trattandosi di alimentare delle canne per lo più metalliche, di stagno o di bronzo, con dei piccoli condotti di aria compressa, prodotta da un paio di mantici. con una serie di apposite chiavette. La difficoltà di un congegno siffatto era, se mai, quella relativa da una parte alla lentezza dei comandi e dal1' altra ali' ampia escursione del la pressione. Quest 'ultima, infatti, dipendeva dal minore o maggiore prelievo d'aria delle canne, funzione a sua volta del brano musicale e del suo volume. Nei casi peggiori da un certo momento la pressione diventava insufficiente: Ctesibo trovò la soluzione, da allora in sostanza immutata. 19>

Utilizzando come mantici una coppia di cilindri con stantuffi, azionati alternativamente con apposite leve, dopo le valvole di non 1itomo mandò i due tubi ad una sorta di campana posta all'interno di un serbatoio parzialmente colmo d'acqua. Dalla campana usciva un terzo tubo che portava l'aria alla tastiera, da dove era distribuita tramite tasti e chiavette alle canne. Agendo sui mantici ali' interno della campana la pressione del!' aria aumentava , il che determinava l'abbassamento del livello dell'acqua 11 prelievo, invece, provocava la riduzione della pressione e il conseguente inna lzamento del livello. L'acqua, pe1tanto, variando il suo livello , manteneva la pressione sostanzialmente costante, per cui si compo1tava da stabilizzato re, un po' come la scatola delle pompe a doppio effetto . Nella fattispecie corrispondeva alla grossa vescica della cornamusa, che con lo schiacciamento del braccio sinistro eroga sempre la medesima pressione.

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264. Ricostruzione virtuale di organo ad acqua di Ctesibio.

265 -266 - 267. Mosaici e bassorilievi di epoca romana raffiguranti organi ad acqua, dei quali sono ben evidenti i cilindri per la compressione dell'aria.

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POMPA A VITE SE:\'ZA Fll'ìE

Più NOTA COMI, 'VITE Dl ARCIHMEDF' COSTJTUISCI::

l,NO DEJ COI\GEG'\O PIÙ RICCO DI DERl\:A710~1 TRA

LE QLALI, TA'>:TO PER CITARNE ALCU'1f, LA COCU A

Dl:LU: TRIVELLF, COME DEL CAVATAPPI, DEL TORCI no COMI" DELLA VI re, DELL'FLICA COMF DELLA TR.,\-

SMISSIONE EPICICLOIDALI::. ALL.L"NIZIO H.1 ll\1PJEGAT\

PFR EVACUAR!:. L'ACQUA DAGLl SCAFI, 1\4.PIEGO

IDl::ALI::. PER LA BASSA PREVALENZANECESSARIA.

Quando il disii\ elio da superare era minimo. come ad esempio quello fra la superficie di un corso d'acqua e il teneno adiacente o l'intemo scafo e il ponte dicoperta. esisteva un altro tipo ancora di pompa a fun7ionamento continuo: la coclea o vite di Archimede. A voler soltanto per sommi capi ricordare alcune delle odierne derivaL.ioni da quel congegno appare un elenco lunghissimo: si\ a dai piccoli elettrodomestici in cucina. come il tritacarne o la trafila per la pasta, ai grandi impianti di sollevamento idrovoro, alle trivelle, ai compattatori. ai Lorchi.

Non si aveva un preciso riscontro della sua effettiva presenza nell'antichità fino alla scoperta di un affresco di Pompei che la raffigura dettagliatamente in funzione: ed appare probabile che fosse già da molto tempo nota agli egiziani. Consisteva, per grandi linee, in una chiocciola o vite senza fine, collocata all'interno di un cilindro. Non a caso secondo la tradizione fu copiata proprio dal guscio dell·umile lumaca. forse da Archita e poi perfezionata da Archimede. Il criterio della vite, trovò ampie applicazioni anche in meccanica come organo di trasmissione e di incremento delle forze: tra gli esempi più noti i torchi rinvenuti a Pompei, a singola o a doppia vite, e molti ferri chirurgici, propriamente definiti divaricatori. La vite. quindi dopo essere stata im·entata si diffuse senza però divenire, paradossalmente, quello che invece è oggi per antonomasia: un organo di giuntaggio meccanico!

Tornando alla coclea. o chiocciola, di Archimede, se posta in rotazione con una estremità immersa, l'acqua saliva al suo interno per continua caduta, come acutamente osservò già Leonardo da Vinci, scendendo sempre. fino a fuoriuscire dalrestremità superiore del tubo. Yitruvio ci ha lasciato un dettagliato ragguaglio s ull a maniera di costiu irla . 20 l Grazie a ll a sua semplicità e affidabilità conobbe ampia ado/ione soprattutto in agricoltura: la sua validità trova conferma nell'essere ancora adoperata. in Egitto e senza alcuna alterazione, fìno a pochi anni fa.

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268. Spernlum Pompeiano.

269 Fossile di gasteropode con guscio a strutrura in terna elicoidale

270 Schema per la costruz ione d i una coc lea. come indica to da Vi cru v io

27 I. Coclea di Arch im ede pe r uso irr iguo. ancora usata in Med iorie nte.

272. Sche ma d i fu n zionamen to della coclea come pompa idraulica .

273. Coclea ad ibita ad el ic a n ava le

274. Coclea imp iegata in una trivella in fase d i escrazio ne.

P piederomanocm30.6 p polliceromanocm2.4 a4s• S 1/8 n p n 269 270 271 213
273 274

ACQUEDOTTI E CTSTEAAE

LA SUPERFICIE DI Ul\ LAGO, Prù ANCORA DI QUELLA

Dl:L MARE, DIEDE SUBITO LA PERCEZIO:--.'E DI ORIZ20"-

TAI F F DI ASSE~Zi\ Di CORRE'ITE. PER C01''TRO l Fll.JMl

E PIÙ ANCORA I TORRE"ITI LASCIARONO INTENDERE I O

STRFTIO RAPPORTO TRA PENDLNZA, CORREl\'TE E SPOSTAMl::NTO DELL'ACQUA. SUL LORO ESE~1PIO SI REA-

Ll77 ARONO GLI ACQUEDOTII, lN PRATICA DEI CANALI

DI ACQUA POTABILE! QUA NTO ALLE CISTERNE DJ PFR

SÉ A"ITICHTSSIME, NE DIYDII\ERO IL COMPLEMENTO

PI:R RADDOPPIAR>n': SIA PURE INDIRETTAMENTE LA PORTATA, RlEMPJENDOSl DI NOTTE QUANDO NON C'ERA

COl\SUMO E SVUOTANDOSI 01 GIOR'.>-0.

Diversamente dalle societa pastorali che conducono le mandrie dove vi è abbondanza d'acqua e quindi di pascolo, spostandosi continuamente e adattandosi al nomadismo, per le società agricole il criterio fo sempre antitetico: non potendo certo andare i campi verso l'acqua , s'imponeva che questa fosse in qualche modo canalizzata verso gli stessi. Dal che una società sedentaria, nella quale la sopravvivenza derivava dalle capacità tecniche. connesse con l'irrigazione e poi con l'urbanistica degli insediamenti stabili. Da quei remoti giorni città e acqua divennero strettamente connesse. non essendo possibile l'w1a senza l'abbondanza dell'altra.

I Romani intuirono immediatamente l'importanLa basilare che la disponibilità dell'acqua svolgeva nella vita della città. Forse dipese dall'aver fondato la loro capitale in riva a un fiume, seco nd o un impianto che sarebbe stato comune a tutte le maggiori città europee. Di sicuro una costante preoccupazione dei tecnici legionari fu quella di condurre nelle città grandi quantitativi d'acqua potabile, mediante enormi acquedotti veri fiumi artificiali pensili . Il sistema di adduzione dell'acqua adottato sistematicamente dai Romani era, in sostanza, naturale: un canale nel quale scon-eva un flusso continuo, per semplice gravità. 21 , Dal momento che il pelo dell'acqua non lambiva la copertura del canale, si definisce propr iamente a pelo libero. E' questa la maniera più semplice per condu1Te l 'acq ua in rilevanti quantità; tuttavia allorché avviene su tratte non di rado prossime al centinaio di chilometri le difficoltà divengono cospicue. Prime fra tulle la corretta determinazione delle quote di tracciato, che suppongono a loro Yolta una meticolosa levata topografica con s trumenti di assoluta precisione.

Ma occorre anc he stabi lir e le pendcn1/.c in maniera tale che l'acqua non corra troppo velocemente, an-

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275. Acquedotto romano di Maro Andalusia. Spagna.

276. Dettaglio del Pont du Gard, Francia.

277. L"acqucdotto romano di Segovia

278. L'ultimo acquedotto romano'": acquedotto carolino dei Ponti alla Valle. Caserta. Italia. Fu fatto costruire nel 1750 da Lu igi Vanvitell i per a limentare le cascate artificial i della reggia di Case11a

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275 276
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nientando troppo presto il disliYello né troppo lentamente. sedimentando nel canale fìno atl occluderlo. Lungo il tracciato :,i dovevano scavalcare gole e valli su altissime strutture. non a caso definite tecnicamente opere d'arte. e poi oltrepassare colline e rilievi in gallerie. e non di rado persino fiumi su ponti -canali. Difficoltà che il crescere delle distanze di capta7ione incrementava esponenzialmente.

Sebbene si affem,i in numerosi trattati che i Romani non conoscessero la condotta forzata 221 , in realtà non solo la conobbero ma se ne avvalsero in moltissimi casi. Ovviamente. e forse qui sta l'origine dell 'equivoco, i segmenti di tubo non erano in metallo ma in pietra: del resto anche oggi le più grandi sono realizzate con anelli di cemento am,ato. Non di rado poi la condotta forzata era abbinata alla condotta su arcate a più ordini. quando la vallata da superare era di grande profondità. Fino ad una certa altezza sopperiva la struttura e da quella alla quota di circolazione un sifone a condotta forzata. L'esito dell'abbinamento deve considerarsi ottimo. non mancando casi di utilizzo ininterrotto superiore al millennio.

Più interessante il metodo adottato dai tecnici per stabilire la po1tata di un acquedotto, diverso dall'odierno in quanto non tiene conto della velocità dell'acqua. Dal momento che la pendenza degli acquedotti era sostanzialmente sempre la medesima, la velocità dell'acqua diveniva di fatto una costante per cui la so la variabile era la sezione del canale in cui scorreva. cioè la sua larghe.aa per r alteaa del flusso, , al ore che divenne pertanto la vera unità di misura della portata_Bl

Essendo variabile la portata delle sorgenti, sarebbe variata anche quella dell'acquedotto e della rete urbana. Per compensarne le oscillazioni e, magari. incrementarne la disponibilità all'ingresso nella città si ubicarono eno1mi conserve, o cisterne.

L E GRANDI C I STERNE

Una rilevante conserva d'acqua. infatti. accumulata nel corso della notte quando le esigenze erano in pratica nulle, consentiva di raddoppiare la disponibilità nel corso della giornata. Affinché ciò accadesse, la sua capacità doveva equiparare l'intera portata notturna dell'acquedotto in modo da evitare inutili sprechi. inoltre poiché le gra ndi cisterne non avevano scarichi per troppo pieno. è sensato supporre che non si riempissero mai completamente, ovvero. che avessero cubature eccedenti a ll a detta portata.

Acco1te tecniche costruttive e di impermeabilizza-

216

279-280. fralla a condotta forzata di un grande sifone di epoca romana.

281. Elemento di condotta for7ata romana.

282. Segmento di condotta forzata di un sifone su basamento in opera poligonale romana.

283 Vari clementi di condotta forzata romana in piet ra. Tale tipo di condoua era in grado di s opportare una pressione int erna del l 'ord ine delle 20 atm.

279 282 281 280 283 217

zione garantivano a tali strutture assoluta saldezza. prossima al monolitismo. estrema longc\ ità e perfetta tenuta. Del resto lievi fessure ne avrebbero compromesso l'utilità. Un aspetto interessante è relativo alla loro periodica pulizia: allo scopo gli spigoli erano stati tutti arTotondati, e al centro si trovava una piccola conca di raccolta con una apposita canalizzazione di spurgo.

La maggioran7a delle grandi cisterne di età imperiale, non di rado ancora in servizio come quella di Albano 2~i. hanno ben evidente il foro del condotto di immissione. prossimo alla sommità, ma nessun simmetrico di prelievo che per ov,·ie ragioni auebbe dovuto trovarsi in prossimità del fondo. Nessun foro di deflusso neppure più in alto, strana anomalia che, però suggerisce una di,ersa maniera di prelievo. molto più complessa e sen7a dubbio molto più efficace. li primo fatto di cui occorre tener conto, riguarda la pressione di esercizio: dal momento che i tubi di piombo romani non resistevano gran che. bisognava evitare eccessi\C quanto inutili sollecitazioni.

Lo scarto di pressione fra la cisterna piena e vuota in caso di prelievo dal fondo, sarebbe stato di oltre I kg/ emq, valore eccedente la massima resistenza dei tubi di piombo della rete idrica, pari a circa 0.7 kg/cmq. Essendo per lo più interrate, il prelievo dall'alto evitava di sottoporre i tubi a quella pressione tino al ripartitore. posto a una quota appena inferiore. inoltre, con una disposizione del genere sarebbe stato possibile collocare le chiavi d'atTesto sulla sommità dei tubi, dove la pressione era praticamente nulla e, itando so llecitazioni alle saldature. Tra i maggiori e migliori esempi di cisterna romana spicca quella di Miseno: la cosiddetta Piscina Mirabilis. 251

LA PISCINA MIRAB ILIS

Tra le poche infrastrutture in qualche modo connesse alla base di Miseno, sopravvivono una enorme cisterna e la base d'un alto edificio. Ubicate a poche centinaia di metri l'una dall'altro, le due costruzioni ostentano condiL:ioni di conservazione antitetiche: la prima praticamente intatta, al punto da poter essere riutilizzata in qualsiasi momento. li secondo, in\'ece, è talmente compromesso e mutilo da rendere rischio sa persino la visita e incerta l'interpretazione Uno stato di conservazione tanto di ssimile deve ascriversi alla diversa vulnerabilità sismica, ritrovandosi runa incassata nella collina e l'altro svettante su di essa; dal che la sua individuazione come faro. 26 >

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284. Grande cisterna di Gerusalemme, di epoca romana

285 - 287 Piscina Mirahilis Miseno, Napoli

286. Grande cisterna romana di Costantinopo li, odierna htamblll.

284 285 286 219
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Volendo dettagliare le caratteristiche della piscina, va preliminanncntc rilevato che dalla sua capacità dipendeva in ultima analisi, se non l'autonomia della base, almeno il suo benessere. Una colonia di oltre 40.000 abitanti, secondo lo standard urbanistico e igienico romano, infatti, usava quantità enonni di acqua, per impiego alimentare, agricolo e soprattutto termale. Ad esse, poi, andavano aggiunte quelle necessaiie alla flotta stessa e ai relativi cantieri, di non minore iilevanza.

A Miseno abbondava il fuoco ma difettava l'acqua, per cui occon-eva reperire una sorgente congma e addune le sue acque. La si trovò alle fonti del Serino 21l, in pieno Sannio, a quasi 100 km di distanza , ottima per qualità e abbondante ma non certo illimitata. Dal che un interminabile acquedotto, che strada facendo alimentò ptu-e la città di Pompei e le ville di Ercolano, e la necessità di una colossale cisterna. Stimando il fabbisogno individuale giornaliero pari ad un centinaio di litri pro capite, il doppio del minimo previsto dall'Onu, ed altrettanto per terme e giardini si avrebbero 8000 mc; aggiungendovi una uguale frazione per la flotta il volume dell'acqua ascenderebbe a 12.000 mc. La Piscina Mirabilis, scandita da 48 pilastri cruciformi, allineati su quattro file lunghe 70 m, larghe 25 e profonde 15, in cinque navate, ne garantiva appunto 12.000! 281

Per eventuali ispezioni e per la periodica pulizia si accedeva al suo fondo tramite due rampe di scale, una ancora praticabile. L'evacuazione dell'acqua di lavaggio avveniva da un pozzetto centrale, profondo circa un metro e munito d i tubo di scaiico. La concezione è quella tipica del pozzetto di sentina che, del resto, è ricordata pure dall'assenza del foro di prelievo. Mentre quello d'immissione dell'acqua, infatti, si scorge sulla sommità della parete prossima all'ingresso occidentale, manca del tutto quello di emissione. Probabile che i tubi evacuazione fossero innescati forse con delle piccole pompe a doppio effetto. Ne derivavano, oltre ai vantaggi ricordati, una migliore decantazione dell'acqua e una assoluta indipendenza fra le diverse diramazioni.

TRIPARTITORE IDRICO D I POMPEI

Come accennato, l'acqua uscita dalla cisterna, prima di essere immessa nella rete urbana, subiva una suddivisione in funzione delle utenze principali. Essendo per i Romani la poriata proporzionale alla sezione del canale, l'organo per la ripartizione. definito genericamente caste!Lum aquae, era una costruzione divisa in diverse sezioni geometricamente uguali. La tipologia più frequente, di cui peraltro a Pompei si

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288. Esterno del LTÌpartirore idiico. Pompei. 289-290. Interno del tripanitore.

291. lmmb~ionc ddl'acqucdoilo nel tripa1titore.

192. Tracce ddl'alloggiamento orizzontale delle saracinesche.

293. Dettaglio dei tre fori di uscita.

288 289 290 221
291 292 193

conscn a un esemplare in perfette condi1ionì. era a tre sezioni da cui il nome di tripartitore idrico. 291

In e s so il flusso. fatto espandere in un 'apposita ampia e poco profonda , asca circolare. veni\'a distinto in tre correnti uguali, mediante appositi risalti in muratura. Ciascuna parte, poi. entrava in rete mediante u na propria condotta: la prima era destinata alle fontane pubbliche, la seconda alle tenne. la cern all'utenza priYata. Questa però non godeva di un criterio di allaccio simile all'attuale: la concessione era tale realmente, essendo il suo rilascio subordinato a precisi meriti, restando comunque personale e temporanea. [n qualsiasi momento poteva essere revocata o interrotta per ragioni insindacabili.

Questo almeno in teoria, in base a quanto tramandatoci da Frontino. Dal momento però che proprio nel tripartitore di Pompei si rnvvisa l'adozione di saracinesche mediante le qua li ogni si n gola sezione poteva essere chiusa in caso di necessità, vuoi per riduzione della portata a monte, vuoi per lavori a ,alle. sembrerebbe logico ritenere che da un certo momento in poi il castellwn aquae primario avesse una funzione di ripartizione alle varie parti della rete urbana. ovvero per quartieri e non più per tipologia di utenza. Gli allacci, del resto, già da molto tempo avvenivano in maniera discrez io nale e spesso abusiva, direttamente alle torrette piezometriche, per cui nessuno era capace di distinguere la tipologia e, meno che mai, di ristabilire la legalità in materia.

A questo punto, si è ricordata I' es isten.la d'una serie, più o meno numerosa secondo l'escursione altimetrica della città, di caste l/a aquae secondari, che con la terminologia odierna in base alla funzione assolta. andrebbero definiti torrette pic.wmetriche.

PRESS IONE E TUBAT U RE

IJLCO:'\CETIO DI PRESSIONE FU CONOSCI UTO ABBASSA

PRESTO NELLA STORIA UMAl\A: GLI ASSIRI CHE SI IMMERSERO CON UN OTRE PTFNO D'ARIA COME RISERVA PER RESPIRARE, VERiflCARONO SUBITO lL SUO

SCHIACCIA\1ENTO ALL' AU\fF.NTARE DELLC PROFONDITÀ. QUANTO Al TUBI TRA I PRIMI IMPI EGHI SI RI-

SCONTRA PROPRIO QUELLO DI CONDURRE L'ARIA, SIA

NELL'ACQUA CII E NEL FuOCO, OVVERO NELLE IMM1:RS10N1 E NELLA FORGIA.

L E TORRETT E PI EZOM ETRICH E

Le caratteristiche di tali strutture accessorie della rete di distribuzione idrica che, sia detto per inciso, fu la prima rete delle tante che attualmente si dipanano nelle

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294

294. Ricosm1zione vinuale di torrena piezometrica con la parte superiore e sottostante fontana sezionata. Per motivi igienici si deve suppo1Te che le torrette fossero dotate di copenura a padiglione su orditura lignea.

295. La stessa torretta allo stato attuale.

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città, sono relativamente semplici. Ne abbiamo tuttavia w1 preciso riscontro nei resti di quelle conservatesi a Pompei, in discrete condizioni per la parte mura1ia ma completamente prive della parte metallica delle tubature e delle cassette, di cui qualcuna era stata però recuperata al momento dello scavo e persino fotografata. TI piombo di cui era fatta ne stimolò forse il furto, avvenuto dopo i gravi danni subiti nel corso di un ottuso bombardamento a ll eato nella seconda guerra mondiale. 30 >

La condotta di piombo che alimentava le fontane private e pubbliche, avendo la città un dislivello di circa 50 m, avrebbe dovuto sopportare in caso di chiusura di una chiave d'arresto una pressione di 5 kg/cmq, assolutamente eccedente la già ricordata resistenza dei tubi. La grave limitazione, peraltro insormontabile per la tecnologia dell'epoca, rese necessari dei limitatori di pressione, owero delle torrette piezometriche, alte mediamente circa sei metri. Sulla loro sommità, come ricordato, stava un cassone di piombo. ape1to superionnente ma protetto da un adeguato coperchio, di circa un metro cubo. In essa sfogava la condotta di alìmentazione proveniente dal tripartitore o dalla torretta precedente, e si alimentava quella per la successiva.

l'ingegnoso dispositivo garantiva così che la pressione di eserciz io non~otesse eccedere quella provocata dalla altezza di una singola torretta, pari a circa 0.6 kg/cmq. In epoca poste1iore, allorquando la rigida normativa degli allacci era un ricordo, le tubature private furono collegate direttamente ai cassoni delle tonette, come dimostrano le loro tracce ancora ben visibili. Va infine 1icordato che ai piedi delle ton-ette, o più raramente nelle loro immediate adiacenze, stavano impiantate tutte le fontane pubbliche. La loro alimentazione era garantita da un rubo innestato sul fondo del cassone e dall'acqua che fuoriusciva dallo stesso, quando pieno, come è desumibile dalle evidenti tracce di sedimentazione calcarea. Nessuna abitazione si confem1a più distante di 50 m da una fontana.

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300

296. Sulle torrette sono ben visibili le spesse concrezioni di calcare prodotte dal continuo stillicidio detracqua fuoriuscente dal serbatoio superiore.

297. Sempre sulla superficie delle torreue è facile distinguere r impronta lasciata dai rubi di allaccio delle va rie utenze 298-299. Foto storiche dello scavo di una torretta sulla quale è ancora installato il serbatoio di piombo. perso successivamente.

300. Ai piedi delle torrette vi era spesso una fontana pubblica, che verosimilmente utilizzava l ·acqua in eccedenza.

225 298 299

TUBATURE

Circa le tubature di piombo bisogna subito osservare che se ne costrnivano in grandi quantità e cti molteplici dimensioni, da parte di numerose fabbriche distribuite in ogni patte delr Impero. Persino le legioni ne fabbricavano correntemente come certificano i marchi sulle stesse. Dal punto di vista pratico la loro realizzazione si avviava da una striscia di lamiera di piombo, lunga sempre circa 3 m, dieci piedi, e di spessore costante per ciascw1 diametro. Mediante un tondino di ferro la striscia era 1ipiegata fino a far combaciare i suoi lati lw1ghi, ripiegandone i borcti e a volte anche ribattendoli, predisponendoli ad una saldatura eseguita per l'intera lunghezza. 31 l

La saldatura si può presumere di tipo autogeno, ottenuta cioè versando del piombo fuso su i bordi già accostati in modo di fonderli insieme. Probabile pure che il medesimo effetto fosse ottenuto passandovi sopra una spranga di rame incandescente, fuoriuscente da un braciere pieno di carbone ardente. Qualcosa del genere, del resto, si usava ancora nell'ottocento per stirare i panni: i capaci feni venivano colmati con un discreto quantitativo di brace.

Quale che fosse il sistema adottato, la saldatura in genere garantiva abbastanza bene e a lungo la tenuta del tubo, ma non consentiva di superare pressioni estremamente modeste, verosimilmente sempre infetiori ad I kg/cm2, pari ad una colonna d'acqua di dieci metri d'altezza. Non a caso le torrette piezometriche non superavano i 6 m!

Una pressione però tanto esigua provocava all'interno del tubo una bassa velocità di scorrimento e, quindi, w1a eccessiva sedimentazione cti calcare sulle pareti. La portata delle tubature di minor diametro si riduceva rapidamente, ed obbligava alla frequente sostituzione delle stesse. Va però osservato che quel!' inconveniente aveva anche i suoi pregi: il tubo rivestito dal calcare perdeva molta della sua tossicità, peraltro ai Romani ben nota:12> ln ogni caso la quantità d'acqua che raggiungeva le abitazioni allacciate restava comunque scarsa, potendosi stimare in almeno un minuto, il tempo necessmio per il deflusso di tm litro. Si deve pe1tanto immaginare che, non esistendo alcun tipo di contatore, l'utenza fosse sempre apena e dotata di una vasca-acquaio di raccolta. La chiave d'arresto pertanto pur avendone le potenzialità non fimgeva da mbinetto come nelle nostre abitazioni, se non in circostanze pa1ticolari.

Sono stati 1invenuti anche segn,enti di tubature di piombo se nza alcuna saldatura, antesignani pezzi trafilati di cui però non si trova riscontro nelle fonti. Esistevano ancora, ed erano ritenute di gran ltmga migliori dal punto di vista sanitario, tubature ricavate da travi di quercia, trapanate longitudinalmente e mw1ite di raccordi in lamiera

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30 l-30~-307. Tubi di piombo di varia sezione rinvenuti a Pompei ed Ercolano. Venivano fabbricati in segmemi di circa 3 m. l O piedi per cui le saldature sono piuuosto frequenti. Ben evidente sulla sommità la saldatura longitudinale. consegucn,:a d..:I procedimento di produzione per curvatura di una lastra di lamiera e non per tralìlatura.

303 Pozzetto di dcriva7ionc.

304. Tubatura ad elementi in temlcotta con incastro maschio-femmina.

305. Tubatura in tronchi dì q~ercia con giuntaggi in lamiera di ferro.

306. Sq:,rn1emo di tubatura in terracotta di epoca romana.

301 302 303 304 305 306 307 227

di bronzo per consentirne l'allaccio in serie. Jnfine non di rado si utilizza vano tubature di Lem1cotta, ottenute con una lunga teOJia di singoli elementi incastrati fra loro: di basso costo e igieniche, presentavano tuttavia due gravi inconvenienti: la fragilità e la porosità.

DI A"1ETRI E DEFINIZIONI DEI

TUBI DI PIOMBO

Stando al capitolo 26 del suo De aquae ductu urbis Romae. il responsabile dell'approwigionamento idrico della capitale, il senatore Sesto Giulio Frontino, in base alla esperienza acquisita nel settore sul finire del J secolo d.C., ci tramanda le grandezze standardizzate dei tubi in piombo. Non si tratta. però, del loro diametro, che non avrebbe peraltro una grande coerenza dal momento che la sezione geometrica degli stessi non era circolare ma a pera, io seguito al delineato procedimento di costruzione. Ciò premesso, va precisato che le misure rubticate da Frontino si rife1iscono alla larghezza che doveva avere il foglio di lamiera di piombo, che curvato permetteva la costruzione di quel pa1tic0Iare tubo. cui corrisponde secondo il nostro criterio un preciso diametro massimo. Circa i maggiori bisogna aggiungere che io realtà non abbiamo riscontri archeologici, non essendosene mai trovati neppure modesti frammenti. Dal che, tuttavia, non si può concludere che non vennero mai prodotti o utilizzati ma, se mai, che ebbero soltanto una più spietata distruzione, essendo maggionnente remunerativa la loro rottamazione. Questa la tabella con le misure romane espresse in dita:

Fistula quinaria tubo da 5 dita 0 1.25"= 23 mm

Fis tula senaria tubo da 6 dita 0 1.50" = 28 mm

Fistula serrenaria tubo da 7 dita 0 1.75" = 32 mm

Fistula ottonaria tubo da 8 dita 0 2.00'' = 37 mm

Fis tula denaria tubo da IO dita 0 2.50" = 46 mm

Fistula duodenaria tubo da 12 dita 0 3.00" = 55 mm n1bo da I 5 dita 0 3.75"' = 69 mm

Fistula ,·icenaria tubo da 20 dita 0 5.00" = 92 mm tubo da 25 dita 0 5.50" = 115 mm

CHIAVI D'ARRESTO

Come già accennato, 1·idraulica urbana romana utilizzava chiavi d'arresto di bronzo che venivano prodotte in serie, secondo misure standard, in ogni parte dell 'Impero. La loro stmttura si conferma estremamente semplice e al contempo di grande razionalità, constando fondamentalmente di due pa1ti rispettivamente definite

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108-309-31 O. Chio, i d'arresto in bro11Lo rinvenute ad [rcolano ed ancora perfettamente fu 111 ionant i Da notare in basso prc,so la gh iera In p11nrnnatura per e,·itarc la fuoriuscita del maschio.

3 I 1-3 I2. Rico~tru1ionc,1r1ualc d1 chiave d'a1Tl!sto e delle sue componenti.

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maschio e fenunina, che ricordano con approssimazione le spine delle botti. Volendo meglio descriverle, la prima, definita anche maschio o rotore, era realizzata cava in forma tronco-conica. con un foro centrale passante; l'estremità superiore dopo montata, fuoriusciva dalla femmina, e presentava un alloggiamento quadrato in cui si infilava la leva di manovra. 331 Questa era ottenuta per fusione di bronzo, poi regolarizzata al tornio e lucidata a specchio, non necessitava di alcuna guarnizione bastando semplicemente forzarne l'inserimento per ottenere una perfetta tenuta. La seconda parte. definita femmina o statore, constava di un corpo cavo munito di un ingresso e di una uscita. per gli allacci rispettivamente con l'acquedotto e con l'utenza; la cavità centrale. alesata con estrema precisione in forma tronco conica, di diametro congruo al maschio. ne fungeva da alloggiamento. Il rotore, una volta inserito fino alla giusta collocazione, veniva bloccato mediante w1a punzonatura alla base; così poteva ruotare liberamente in entrambi i versi ma non fuoriuscire. Va inoltre osservato che grazie al loro particolare disegno quelle chiavi, si potevano allacciare a due tubi sia a I 80° che a 90° , salvo poi chiudere il foro inutilizzato con un apposito tappo di bronzo.

La verifica dell'ottima qualità e, al contempo, della straordinaiia longevità di queste chiavi d'arresto, prodotte come i tubi in otto dimensioni standardizzate, é confennata dalla constatazione che quasi tutti gli esemplari rinvenuti dopo una sommaria pulizia sono ancora in grado di funzionare perfettamente!

M ISCE L ATORI M ONOCO MAN DO

In alquante grandi ville romane, ovviamente le più sontuose e lussuose, esistevano delle terme private con la relativa impiantistica. Nei ruderi di alcune si è trovato una singolare chiave d'arresto modificata, di sofisticata concezione e di raffinatissimo aspetto. Pur avendo gli stessi elementi di quella innanzi descritta, variava la sua funzione: alle opposte estremità di a ll accio della femmina facevano capo due tubi M> , rispettivamente uno d'acqua coJTente, ovviamente fredda, ed uno proveniente dalla caldaia delle tenne, ovviamente calda. Il foro in basso, chiuso dal tappo, era invece lasciato ape1to e spesso sagomato come una larga bocca spalancata. Il rotore, diversamente da quello de l tipo normale, aveva nel suo corpo due fo1i ravvicinati. Posizionato nella fenunina nella solita maniera consentiva, girando in un verso o nell'altro, di va1iare le quantità relative di acqua fredda e calda. Era possibile così, esattamente come nei moderni miscelatori monocomando , selezionare la temperatura dell'acqua che ne fuoliusciva dalla bocca

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313

313. Mbcelaton: monocomando romano per acqua calda e fredda. rinvenuto in Germania a Colonia

3 14. Ricostru7ione \·irtuale dello s1esso sezionala.

3 15 Schema d i ftm7 ionarnento del mi-

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TELECOMUNICAZIONI

Q UANDO PIÙ IMB ARCAZ ION I NAV IGAVANO JNSIEME

DOVEVANO IN QUALCHE MODO POT ER COMUNICARE

FRA LORO E, DAL MOMENTO CHE NON ERA POSSIBl LE

TNVlARE QUALCUNO DALL'UNA ALL' ALTRA CON LA

NECESSAR IA FREQUENZA, FU GIOCOFORZA fNVENTARE UN SISTEMA CONVE:-.IZ JONALE DI MESSAGGl. E DEI CONGEGNI PER INVIARLI : NE VENNE RO ESCOGITATI DJ VAR I TrPI , ACUSTICI ED OTTICI, PER BREVI DISTANZE E PER GRANDI DISTANZE. ACQ UISITA UNA

PIEN A PADRONANZA QUELL E CA PACITÀ FTNfRONO

ADOTTATE ANCHE A T ERRA PER COMUNICARE TRA

LUOGHI LONTANI IN TEMPI BREVISSIMI.

TELEGRAFO AD ACQUA

Un settore della tecnologia romana quasi completamente ignorato è quello delle telecomunicazioni: essendo per noi oggi sinon imo di trasmissioni radio , tramite oscillazioni elettromagnetiche ad altissima frequenza, ci sembra logico concludere che, non essendo state ancora scoperte, mancavano neces sa riamente le applicazioni. Ma , a ben riflettere , la realtà era diversa , sop rattutto in un Impero esteso, sia pure solo parzialmente , su tre continenti con eserciti stanziati lungo frontiere di migliaia di chilometri e in costante attesa cli ordini e disposizioni, nonché con diverse flotte in navigazione sia nel Mediterraneo che nel Baltico, nel mar Rosso ed anche negli oceani A tlant ico e Indiano!

Da tempo immemorabile la segna la zione ottica con il fuoco dj notte e il fumo di giorno aveva in qualche modo consentito se non la trasmissione dei messaggi 3~l, almeno la comunicazione degli eventi concordati. Uno specchio al sole, propriamente definito e liografo , poteva inviare anche a decine di chilometri di distanza lampi codificati, ma erano comunque es iti di convenz ioni, in particolari contesti e orari.

Qualche problema. infatti, derivava dall'angolo degli specchi rispetto alla posizione del sole, per cui la trasmissione e l'eventuale ri s posta potevano avvenire so ltanto secondo alcune direttrici, e in alcune precise ore della giornata. Senza contare l 'irrisolto problema della estrema irrilevanza della quantità di informazioni così trasferibili. Verosimilmente dopo alquanti tentativi si ottennero degli eliografi anche notturn i, simili ai fari e, non di rado. s i adibirono gli stessi fari ad eliografi notturni.

I fari romani funzionanti a combustibile liquido si prestavano ottimamente all'imp iego , poiché bastava

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3 I6. Ricostruzione virtuale di tclcscritto re sincrono di Enea il Tartìco. 317. Pannello moderno relativo al fun1..ionamento del celescrittore. Atene, Museo delle Tclcco111unìcazioni.

PAHTLSE.CO'\JDA-TMMAGINI PART Tvvo- IMAGES 233 317

munirli di lamiere posteriori girevoli fungenti dariflettore. Essendo la loro fiamma verticale, con la rotazione del riflettore si poteva deviare in qualsiasi direzione il fascio luminoso. Il sistema attinse così una rilevante funzionalità, ma non per questo riuscì a trasmettere qualcosa in più dei soliti semplici segnali binari. Fornì però il presupposto per rendere fo1almente utile il trasmettitore a dispaccio fisso o telegrafo ad acqua, propriamente definibile telescrittore sincrono, inventato già da alcuni secoli da tecnici greci e descritto da Enea il Tattico. 36 >

In dettaglio l'apparecchio appare semplicissimo, senza alcuna distinzione fra quello trasmittente e ricevente per cui lo stesso assolveva a fasi alterne entrambe le funzioni. Volendo poteva anche servire come ripetitore intermedio, in modo da consentire trasmissioni di gran lunga maggiori del raggio d'azione dell'eliografo, o dei singoli fari. lo larga massima consisteva in un contenitore cilindrico, con alla base un rubinetto e, all'interno, un galleggiante graduato. Così per esempio, una sequenza di solo quattro dispacci:

Ad ogni tacca, contraddistinta da un preciso numero corrispondeva un diverso messaggio prestabilito. Costruiti meticolosamente identici, per volume e per rubinetto, erano collocati uno per ogni stazione riempiti d'acqua fino al livello massimo, in attesa di utilizzo Per iniziare la trasmissione si lanciava al ricevente un lampo di luce, mediante uno specchio metallico. Ottenuta la conferma con un secondo lampo di risposta, con un terzo si ordinava la contemporanea apertura dei rubinetti. L'acqua iniziava così a defluire dai contenitori, provocando in entrambi una sincrona discesa del galleggiante graduato, tacca dopo tacca. Allorquando nel trasmittente la tacca numerata, coITispondente al dispaccio prescelto, giungeva a sfiorare il bordo superiore del cilindro, un ultimo lampo ordinava la chiusura dei rubinetti, consentendo di leggere sul ricevente il medesimo numero del trasmittente, ovvero il messaggio. Volendone sca ndire la sequenza operativa, supponiamo un contenùore di 30 cm di diametro per circa un metro di altezza, suddiviso in 10 tacche, una ogni 10 cm. Se munito di un rubinetto da 1Olitri al minuto, l'avvicendamento di ogni tacca richiede circa 80 secondi, che portano a quasi 12 minuti il tempo neces-

234
IuTUIVNULLA QUESTIO A UX ILI A NAVALIA MlLITES
HABEMUS
DEFICIUNT NON
PANEM

sario per trasmettere l'ultima. Sicché, per trasmettere il messaggio HI-M lLITES DEFICllJNT del nostro tabulato, ovvero che mancano i soldati, trascoITono tra il secondo e il terzo lampo soltanto 4 minuti!

Da un p u nto di vista strettamente tecnico si trattava di un antesignano sistema a trasmissione sincrona, simile per concetto ad un odierno telefax. li dispaccio, infatti, non veniva trasmesso tramite una variazione analogica, quale che fosse, ma ricostruito per contemporaneità d' interventi tra la stazione trasmittente ericevente. Da l momento che erano trasmessi esclusi vamente i comandi di apertma e chiusura relativi ad un preciso apparecchio, qualora fossero stati intercettati, non se ne ricavava alcun messaggio.

L'apparecchio appena delineato si dimostrò affidabile e semplice da costruire a da impiegare. E' probabile che con leggere mod ifiche de l galleggiante. magari trasformato in un cilindro graduato appena più piccolo del contenitore, u na sorta di gigantesca silinga per uso medico, si sia ottenuto un apparecchio capace di funzionare anche su supe rfici instabili, quali le navi. Circa la sua po1iata massima, dipendeva, come accennato, soltanto dal!' eliografo, ovvero dalla visibilità del suo segnale luminoso. Se questo, ad esempio, fosse stato lanciato dal faro di A lessa ndria il raggio di trasmissione avrebbe potuto raggiungere i 60 km, una quarantina per quello di Miseno. E' pres u mibi le, però, che abitua lmente non si superassero tratte di una trentina di km, riCO!Tendo per le maggiori a r

.

318

ipetitori o ad altri sistemj di telecomu n icazione che in seguito esami neremo 318. Ricos truzione pittorica dell'utilizzo del te legrafo ad acqua. 319. Sezione schematica del telescrittore sincrono. 318 Painting of t he use of a water telegraph.
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319.Schematic section of synchro nous te lewriter.

I MOTORI DELLO STATO LIQUIDO

RIFACENDOCI SEMPRE AL CONCETTO GRECO DI MOTORE È FUOR DI DUBBlO CHE TRA I PRIMI DELLO STATO LIQUIDO VI FURONO DEI GALLEGGIAffll TRASPORTATI

DALLA CORRENTE DEI FIUMl O DALLE ONDE DEL MARE.

1'1 SEGUITO SI IMfTARONO QUELLE MACGITNE SPONTANEE E CASUALI TRASFORMANDOLE IN RUOTE A PALE E IN TURBINE. QUESTE A LORO VOLTA SI DIMOSTRARONO BEN PRESTO REVERSIBILI, OVVERO CAPACI DI GJRARE QUANDO IMMERSE NELL'ACQUA IN MOVIMENTO E Dl MUOVERSI QUANDO FATIE GIRARE NELL'ACQUA IMMOBILE. IL PRIMO BATTELLO A RUOTE DISEGNATO CON CHIARA COMPETE ZA E SENZA ERRORI MECCANICI È DEL IV SECOLO D.C.: UNA NAVE DA GUERRA.

L'acqua, che richiede una discreta quantità di energia per essere innalzata, può a sua volta fornire una discreta quantità di energia quando cade sopra una ruota a palette o anche quando semplicemente la trascina. Tanto della prima evenienza quanto della seconda abbiamo dalle fonti sicure testimonianze letterarie e chiare descrizioni nei trattati, nonché alcuni significativi reperti, il più famoso dei quali è senza d ubbio la cosiddetta ruota di Vena.fra.

Va inoltre osservato che esistevano impianti con più rnote, collocate a varie quote, in modo da poter sfruttare il medesimo flusso d'acqua suddividendolo in più cadute, poiché la forza di un unico grande dislivello eccedeva la resistenza meccanica della ruote. 37 l

GIRANTE AD A SSE VE RTICALE E P ALE D RITT E

La stretta somiglianza fra il mulino a vento ad asse ve1ticale con girante sovrapposta alle macine e quello ad acqua di arcaica concezione e di similare configurazione, meglio noto come mulino scandinavo, o greco, ha indotto alcuni studiosi a ritenerlo una sua derivazione. Dal momento che non si ha alcuna ce1tezza circa la località in cui la prima ruota idraulica iniziò a girare, nessun riscontro suffraga tale priori t à, meno che mai la suddetta somiglianza che potrebbe dimostrare pure il contrario. Di questo avviso sono infatti altri studiosi, per i quali la girante idraulica ad asse verticale rappresentò un adattamento dell'eolica ai piccoli e vorticosi corsi d ' acqua, tipici della Scandinavia e della Grecia. Quale che sia stata l'origine di tale ruota è fuor di dubbio cbe, dove e quando comparve . si dimostrò di scarsa po tenza ma ideale per i regimi torrentizi. 38 l

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320

320. Maci na in pietra pe r g iran1e ad a~~e ,ert icale

321. Ricoslruzione virtuale di girante ad asse e pale vert icali con k relat ive sovrastanti m acine di m ulino accoppiate e denag li o.

237

In linea di larga massima consta va di un albero munito intorno alla parte inferiore di tozze patene. disposte come i raggi di una ruota. Si trattava di otto o dodici tavole. solide e spesse. lunghe non più di mezzo metro e larghe poco meno. Un buco nella roccia. sul fondo del torrente , fungeva da boccola per la base dell'albero , la cui estremità opposta stav a incastrata nella macina. a sua volta adagiata sopra la l ' altra identica ma fissa. Questa rozza girante immersa ve1ticalmente opponeva una forte resi s te nza alla corrente: essendo però identica sia della pala di destra che di sinistra. non poteva girare se non schermandone una . In pratica il corso della co1Tente si doveva restringere alla metà del diametro della ruota, strozzatura ottenuta ostruendo in parte l'alveo di adduzione , mediante una embrionale paratoia. Plausibile immaginarla costituita da un setto v erticale, di pietre o di tavoloni, saldamenti ammorzati alla sponda adiacente. Questo tipo di ruota conobbe ampia diffusione per la notevole semplicità costruttiva e d'impianto anche nei più piccoli torrenti.

GIRANTE AD AsSE VERT I CALE

Forse fu la difficoltà di modificare in modo duraturo l'alveo di un torrente per adeguarlo alla girante a pale dritte , a suggerire di innestare le pale sul mozzo con un leggero angolo rispetto al suo asse longitudinale; o forse lo stimolo provenne dagli impennaggi obliqui dei dardi o da qualche conchiglia rotta. Sta di fatto che montando le palette inclinate la girante ottenuta ricordava a grandi linee un moderno ventilatore assiale multipale , e più ancora un ingranaggio elicoidale. Curiosa e al contempo emb lematica la somiglianza con un tipo di stele funebre maschile di ambiente islamico, che, in teoria, voITebbe ricordare un turbante stilizzato. In realtà il cippo se ne discosta vistosamente, per la sua stretta simmetiia, e finisce piuttosto per rievocare proprio la ruota a pale oblique inventata in quella stessa regione del vicino oriente, alcuni millenni prima , tanto da costituire una implicita reminiscenza: emblematica, del resto , la comune etimologia d.i turbante e turbina.

Assodata la connotazione di quella singolare girante, è abbastan za agevole comprenderne i vantaggi , ora come allora. Nessuna esigenza stringente di schermatura o di stroz zaturn dell ' alveo , dal momento che un qualsiasi salto dell'acqua, o persino un corso più veloce, bastava a porla in rotazione. In definitiva qualsiasi piccolo torrente, a forte pendenza e debole portata, poteva così trasformarsi proficuamente in una

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E P A L E OB LIQUE

322-325. Ricostruzione virtuale di girante idraulica ad asse verricale e pale oblique e dcnaglio.

323.Turbina Kaplan a pas o fisso. 324.Tomba isla1uicadi epoca medievale: il tmbantc stilizzato ricorda in maniera stringenteunagirnntc a paleoblique.

322-325. Virtualreconstructionofvertical axis and oblique blades hydraulic rotor and detail.

323. Fixed pitch Kaplan turbine 324.Islamic tomb from the medieval era: thesiylised turban calls 10mind the vertical axis and oblique blades rotor.

PARTE SEC0'\1DA - llv1MAGlNl
pART Two - lMAGES 239
325 324

comoda fonte energetic a , immergendovi con l ' asse appena inclinato la girante a pale oblique. Jn tal modo infatti, la corrente in vestiva conte mporaneamente tutte le sue pale. con la medesima intensità provocandone la rota z ione per la loro angolazione. TI che legarantiva rendimenti maggiori di quella a pale perpendicolari a parità di diametro e d'impeto della co1Tente.

Fu questa, forse, la ragione della sua ampia diffusione nonostante la maggiore complessità costrnttiva. Non a caso viene considerata più che un'arcaica mota idraulica la vera antenata delle turbine. Per l'esattezza la capostipite di una tipologia tutt'oggi impiegata, propriamente definita di Kap!an , molto somigliante ad un'elica marina, ottimale per piccoli dislivelli.

GI RANTE A D ASSE O RIZZ O NTALE

Sotto il profilo meramente strntturale, sia la girante a pale parallele che quella a pale oblique non 1isultavano suscettibili di incrementare la potenza erogata al di là di un ben modesto valore. Le pale, che ne costituivano l'organo di presa dinamica, per l'intrinseca debolezza del materiale non dovevano, infatti, eccedere il metro di lunghezza per non finire spezzate dalla corrente. Impossibile, pertanto, costrufre giranti più grandi e quindi impianti maggiori: la pm1icolare tipologia di motore primario restava rigidamente limitata , sopravvivendo relegata a impieghi sempre modesti e margina li. Solo un diverso criterio informatore avrebbe consentito di superare lo stai lo favorendo la costmzione di ruote con coppie motrici di gran lunga maggiori, anche a scapito del già scarso rendimento complessivo. Nel giro di alcuni secolì giranti siffatte comparvero, fornendo potenzialità fino ad a ll ora inimma- ginabili. Alle spalle dell'evento è plausibile supporre la casuale constatazione che una ruota a palette dritte sospesa con l'asse orizzontale e fatta lambire dalla corrente, girava liberamente e, soprattutto. sviluppava una incredibile forza quando l'acqua invece vi cadeva sopra. In tal caso , infatti, a porla in rotazione non era più soltanto la velocità dell'acqua ma soprattutto il suo peso, azione dinamica accentuata dalla superficie e dalla Lunghezza delle pale.

Volendo anche schematicamente quantizzare i rendimenti relativi ai tre tipi di giranti, abbiamo il 75 % per quella a l imentata dall'alto , il 60% per quella spinta lateralmente ed il 25% per quella trascinata dal basso. Senza contare che mentre per le ultime due le palette non si potevano in alcun modo ingrandire, per quella ad asse orizzontale non vi erano difficoltà ad allargarle e ad allungarle , tramite semplici rinforzi.

240

327

326 241
326. Parziali ricostrulioni di macin..: a mano per grano. 327. Bassorilievi rallìgurami macine per grano mosse da asini. maci11a osi11ario.

Ruon: IDRAULICHE PER CADUTA E PER TRASCINA.:VIE!\"TO

Il processo così avviato dctem1inò ulteriori modifiche: fu presto chiaro che una girante verticale, appl icata ad un albero orizzontale, avrebbe potuto erogare una forza motrice tanto maggiore quanto maggiore fosse stata la corsa di caduta dell'acqua. U na adeguata canalizzazione munita di una saracinesca per la regolazione della sua quantità avrebbe pennesso di variare persino la ve locità di rotazione Per avere pale più lunghe, queste furono serrate lateralmente fra due cerchioni metallici, desunti forse dalle norie dalle quali si cooptò pure un 'a ltra caratteristica: la foggia a casetta delle stesse pale. La Iievc modifica, in pratica una sponda di legno di una trentina di centimetri per una ventina di altezza, trattenendo l'acqua più a lungo sulla pala dopo il suo impatto, ne sfmttava meglio la forza peso, esaltandone il rendimento.

Dal p un to di vista dinamico un albero orizzontale non solo risultava più comodo da sostenere ma, anche, molto più facile da lubrificare persino in rudimentali boccole. Facile pure adattarvi un riduttore dentato del numero dei giri, avendo da tempo l'esperienza dimostrato che una eccessiva velocità di rotazione de ll e macine bruciava il grano. 11 che rendendo compatibile pure la lenta coITente dei grandi fiumi contribuì a concentrare canalizzazioni, giranti, riduttori e macine in un unico impianto, costruito a ridosso della spo nda e delle aree coltivate. Sebbene si collochi la diffusione del mulino a acqua, quando non pure l'inven zione, in età medievale 39l, fu in realtà quella classica ad assicurarsene pienamente tu tti i benefici e con notevole ridondanza . Nel primo secolo, infatti, scriveva. al riguardo Antipatro di Tessalonica:

"Smettete di macinare o donne che lavorate al mulino; dormitefìno tardi. anche se il canto del gallo annuncia I ·alba. Poiché Demetra ha ordinato alle Ninfe di fare il lavoro che facevano le vostre mani. ed esse, saltando della ruota,fànno girare il suo asse che, con i suoi raggi rotanti. fa girare le pesami macine concave del mulino ". 40 l

Antipatro, magari con qualche lieve imprecisione, aveva colto perfettamente l'utilità della macchina e, soprattutto, la sua connotazione saliente: una ruota alimentata dall'alto per caduta. E questa restò per quasi due millenni il miglior motore idraulico primario, adattandosi in breve tempo a svariati impieghi, dalle seghe per i mam,i ai tomi per le colonne, dai mantici delle fuc ine alle pompe di sollevamento de ll 'acqua

242

328. Schemi planimetrici ortogonali di un mul in o a%io nato da g ira nte ad asse orizzontale.

329. Ricos tru7ione virtua le di m ul ino aL iona to da giraotc ad asse or izzontale più nota come ru ota idrau lica

243

Scriveva nel IV secolo Ausonio Stazio nella sua Mosella:

Praecipiti torquens cerea/ia saxa rotatu

Stridentesque rrahens per lel'ia mannora serras Audit pe,petuos ripa ex 11traque wmult11s ~1)

Esplicito il riferimento alle macine dei mulini ed allo sttidio incessante delle seghe per marmi_ fatte girare dalle ruote idrauliche lungo la Mosella. Disgraziatamente, essendo costrnite in gran parte di legno e di ièn-o, ben poco è scampato alla dissoluzione. Nonostante ciò 1·archeologia ne ha ritrovato e riconosciuto alquanti frammenti: fra tutti il più consistente è quello di una ruota costruita dai veterani della colonia di Venafro nel Molise, destinata al locale mulino. Per molti aspetti coincìde con la descrizione del mulino fattane da Vitt-uvio. 42 )

LA RUOTA DI VENAFRO

L'eccezionalità del reperto, finora l'unico del genere, giustifica una breve digressione sulla sua scoperta avvenuta nel 1914 , nel corso della sistemazione dell'alveo del mulino di Laurenziana, a breve distanza dalle sorgenti del torrente Tuliverno presso S.Maria dell'Oliveto. Nella circostanza, a circa 3 m di profondità vennero alla luce due grosse pietre di natura vulcanica, una intera del diametro di cm 83 per uno spessore di 26 con foro centrale, l'altra rotta a metà. Fin qui nulla di eccezionale: vicino ad esse vi era però, in una fonnazione calcarea, una straordinaria impronta, lunga circa 40 cm e larga 12 con una profondità di una quindicina. In particolarc:"nel letto del torrente Tuliverno, nel 1914.fu scoperto un masso di.fango, solidificato, con deijòri e delle striature cararrerisriche.

Assicurati dal Prof Aurigemma al Museo Na::.ionale di Napoli, fu constatato trattarsi di un 'antica ruota idraulica in legno, che, una volta annegata ne/la mota, vi aveva, dissolvendosi, lasciata completamente la impronta. Con mezzi ingegnosi e con pazienza infinita, senza alterare in nu!!a quello stampo.formatosi per un caso strano e originale, I' fng. Jacono poté riprendere il rilievo e ricostruire la ruota nella sua perfètta integrità, pe,jìno nel numero dei hulLoni ''.H J

Dal punto di vista meramente energetico quella girante, alimentata per caduta, poteva erogare una potenza di circa 2.5 kw, poco più di 3 hp: nulla, se paragonata agli oltre 100.000 hp delle nostre attuali turbine idrauliche. ma tanto se s i considera che corrispondeva al lavoro incessante d'una mezza dozzina

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330. Rilic\'O planimetrico ortogonale della cosiddctla Ruota di Venafi·o, del diametro di ca. m 2.20.

331. Ricostruzione "inuale esplosa del mozzo centrale e del sistema di incastro delle palette della Ruota di VenaJi-o.

332. R icostru7ionc vinualc della Ruow di Vena/i·o.

330 ,--, ' I r 245
331

di schiavi! E dal momento che la mano d'opera. libera o servile che fosse. iniziava già ad incidere fortemente sui costi dei prodotti, ruote del genere si moltiplicarono, collegandosi a volte in cascata in modo da sfruttare a pieno l 'energia cinetica de li 'acqua. A Barbegal. ad esempio. nel sud della Francia, già nel II secolo d.C. esisteva un grandioso complesso di molatura dotato di ben 16 mulini idraulici, collegati a coppie ed in serie. alimentati per caduta grazie all'apporto di un acquedotto preesistente. La sua potenzialità molaria è stata stimata in circa 4 tonnellate di grano macinato al giorno, entità sufficiente al fabbisogno di almeno I 0.000 persone. 44 l Secondo alcuni studiosi l'impianto sarebbe da ascrivere ad un ingegnere locale. un certo Candido Benigno, ritenuto il più abile tra i costruttori di macchine idrauliche e condotte per l'acqua.

1.mpianti similari, sempre a ruote multiple, venivano impiegati nelle miniere per evacuare l'acqua. Si conoscono, ad esempio, le ruote di Tharsis, in Spagna, che, collocate su diversi livelli, si devono immaginare non mo lto diverse da q uella di Yenafro.

IL MULINO G ALLE GGIAN TE

DA UN PUNTO Dl VISTA STRETTAMENTE FORMALE

NON ESISTE ALCUNA DIFFERENZA TRA UN MULINO

GALLEGGIANTE ED UN BATTELLO A RUOTA: DfVERSO

IL COMPORTAMENTO CINEMATICO DAL MOMENTO

CHE IL PRIMO È IMMOBILE ED lL SECONDO NAVIGA!

MA FORSE FU PROPRIO QUELLO LO SPUNTO PER lL

BATTELLO A RUOTA CHE CI SARÀ TRAMANDATO DAL-

L'ETÀ DEL TARDO lMPERO

Forse fu proprio la necessità di contenere i cost i che portò alla realizzazio ne di un singolare mulino idraulico, la cui esistenza è testimoniata, in quegli stessi anni, lungo il Tevere a Roma: il mulino ga l leggiante. Il vantaggio che garantiva dipendeva dall'onerosità dei coevi trasporti: numerosi cmTi di grano costretti a percon-ere anche pochi chilometri per raggiungere il mulino, determinavano un tale incremento di costo della farina da vanificare il vantaggio della macchina. Un mu l ino capace di spostarsi, scendendo o risalendo la con-ente, o raggiungibile facilmente con barche e razionalmente utilizzato, avrebbe se non altro ridotto al minimo que lle distanze e quei costi, ovviamente dilazionando i tempi di lavorazione.

E' certamente significativo che, fra i tanti disegni degli ingegneri medievali, si ritrovi abbastanza spesso una barca munita di mota a pale. utilizzata per alare una fune

246

,,, _1_)..)

,,,., Mulino galleggiante raffigurato da .).)_). -Francesco di Giorgio Martmi. 334, Rudimentale mulino galleggiante

247
ancora in funzione.

in modo di poter risalire la co1Tente grazie alla stessa. E in misura persino maggiore ci sono giunte inm1agini di mulini galleggianti di varie fogge e tipologie.

La connotazione essenziale di un mulino galleggiante consiste in tmo scafo munito di una mota a palette: fissato il primo alla sponda con funi o catene, la seconda sempre parzialmente immersa è fatta ruotare dalla corrente. Tuttavia per effetto della asimmetria della resistenza idrodinamica, un mulino siffatto tende a girare fino a neutralizzare la spinta, obbligando perciò ad ancoraggi multipli. Per evitare l'anomala sollecitazione, ben presto si preferì optare per due scafi adiacenti e solidali, montando fra loro la ruota: in pratica una specie di catamarano, con un unico ponte destinato alle macine. Una idea di tale impianto la si può ricavare dalla draga disegnata da Francesco di Giorgio e ripetuta da Leonardo.

Come innanzi evidenziato, il rendimento di una ruota trascinata dal basso risulta sensibi lmente inferiore della stessa alimentata dall'alto. Per contro, però, la deficienza era compensata dal non dovere sopportare sull'asse oltre al peso della ruota anche quello dell'acqua, per cui era possibile costmirne di molto più larghe. li che consentiva non solo di compensare la carenza ma di ottenere potenze di gran lunga maggiori.

A titolo di raffronto, una ruota di 3 m di diametro ma Larga 1.5 rn- dimensione compatibile con lo spazio fra i due scafi, e installazione concettualmente identica a quella dei battelli a ruote fluviali- forniva il doppio della potenza di una alimentata per caduta, dello stesso diametro ma larga soltanto 111 0.3.

l mulini galleggianti, confermatisi rispondenti alle aspettative, si diffusero in breve tempo, restando da allora in funzione fino ai nostri giorni. A tale tipologia, ad esempio, apparteneva il famoso Mulino del Po, del romanzo di Riccardo Bacchelli.

IL BATTELLO A RUOTE

É facile constatare che l'idea del battello a ruote prima ancora che nel mulino galleggiante era insita nel progetto dell'odometro navale di Vitruvio, in precedenza delineato. Al di là del suo fw1Zionamento, interessa la sua connotazione formale: uno scafo con ai fianchi due mote a pale che girano durante la navigazione.

Sebbene per noi sia un'osservazione lapalissiana che le ruote di un carro girino quando questo si sposta, e che il carro si sposti quando queste girano, non lo fu altrettanto per gli antichi. Ancor meno lo fu supporre che, se il moto dell'acqua faceva girare una ruota fissata a uno scafo fermo, facendo girare nell'acqua inunobile

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335. Illustrazione del codice De Rebus Bellicis. raffigurante una liburna con propulsione a rnote a rrazione animale. IV sec. d.C.

336. 11 Clermont di Robert Fulton parte I' 11 aprile I 807 da New York per iJ suo primo viaggio.

337. La Ferdinando I del 1814. la prima nave a vapore nel Mediterraneo.

336 337 249

la stessa ruota, sarebbe stato lo scafo a muoversi! L'osservazione nella sua evidente semp licità dovette trovare conforto pure in qualche verifica sperimentale: probabile che nelle acque mo1te d'una gora i mugnai facendo girare con delle leve la ruota, riuscissero a spostare I'intero mulino, sia pure di poco e lentamente.

Di certo, quale che ne sia stato lo stimolo inventivo, i primi progetti di un battello a ruote devono collocarsi intorno al TII-IV secolo d.C.: di uno possediamo anche in dettaglio le connotazioni, tramandateci dal disegno e dalla descrizione dell'anonimo autore nel suo De Rebus Bel!icis. E particolare persino più importante, per la prima volta nella storia della tecnologia compare un veicolo con l'esatta indicazione dell'apparato motore. Si tratta di una liburna a ruote, per l'esattezza tre coppie, poste in rotazione da tre alberi verticali. ciascuno azionato da una pariglia di buoi. Dal punto di vista cinematico è indubbia la derivazione dalle batterie di macine asinarie, come quelle dei panifici di Pompei. Così la sua descrizione: "Lajòrza animale , sostenuta dall'azione di un congegno, muove con facilità, dovunque sia necessario, la liburna, adatta alle guerre navali, ma che per le sue grandi dimensioni a causa, per dir cosi, della debolezza umana. non avrebbe potuto esser govemata dalle mani dell 'equipaggio. Nel suo scafo o stiva, coppie di buoi attaccati alfe macchine, fanno girare le ruote applicate alle fiancate della nave: raggi sporgenti sopra il cerchione o convessità delle ruote, per il movimento di queste ultime fendono l'acqua vigorosamente. come remi: operano con un effètto mirabile e ingegnoso e il loro impeto produce il movimento.

Questa liburna, per la sua imponenza e per le macchine che vi operano dentro, affronta la battaglia con tanto.fremito di.fòrze da.fare a pezzi, con facile attrito, tutte le libarne nemiche che le si accostino". 45)

Non sappiamo se da tale progetto scaturì effettivamente qualche applicazione concreta, magari di grandezza ridotta. L'ipotesi, sebbene non vi sia alcuna menzione nelle fonti sc ritte e iconiche, appare plausibile non fosse altro per la persistenza anomala del1' idea. Dissoltosi l'Impero, infatti, riaffiorò nel Medioevo ricomparendo sistematicamente fra le elucubrazioni di ogni tecnico. Ritroviamo perciò il battello a ruote laterali in quasi tutti i disegni degli ingegne1i medievali e rinascimentali.

OSSERVAZIONI MECCANICHE

La ruota ad asse orizzontale, alimentata dall'alto o

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dal basso, costituì paradossalmente un vistoso aJTetramento tecnologico rispetto alla più arcaica a pale oblique. Ma, essendo l'unica macchina di indubbia sempl icità costruttiva in grado di erogare ragguardevoli potenze, attraversò l'età antica, giungendo praticamen te immutata ai nostri giorni: la si ritrova, infatti, nella rurbina Pelton. La ruota a pale ebbe la sua apoteosi nel Medioevo, allorquando fu adottata in ogni ambito produttivo.

Ruote a pale, o a cassette, azionavano le pompe per il drenaggio delle miniere, trascinavano le grandi norie per il sollevamento del l'acqua, azionavano i montacarichi dei pozzi, muovevano le seghe che tag liavano i blocchi di pietra, alzavano ritmicamente i magl i sulle incudini Altre ruote ancora movimentavano i grandi mantici che attizzavano i crogioli: si ha conosce nza di tali impianti, meglio definiti soffierie idrauliche, intorno al XV seco lo, grazie ai taccuini di molti ingegneri italiani. Proprio in virtù della massiccia immissione di aria compressa così garant ita , quei forni fusori determinarono un vistoso miglioramento dei prodotti s iderurgici , suppo11ando quella che non a caso è definita l'età del feITo.

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338. Mulino ad acqua disegnato nel 1590 da Gerolamo Vcranzio. 338. Water mili dcsigned in 1590 by Gerolamo Veranzio. 338

NOTE

1-Cfr. F.RUGE, la guerra sul mare 1939-45. Milano 1970. pp. 14-16; ed anche cfr. A.T.MAHAN, L 'ù~fluenza del potere marittimo sulla storia (I 660-1783), Roma 1994, pp. 37 e sgg.

2- Cfr. V.L.GROTTARELU, Ethonologica , cit., voi. II, pp. 647 - 652

3 - Fra le opere irrigue più spettacolari spiccano quelle rcali7.zatc nella penisola araba nel primo millennio a.C. Di esse la maggiore è la diga di Marib. Al riguardo cfr. G.W.VAN BEEK, Ascesa e caduta dell'Arabia Felix, in Letwre da LE SCIENZE, Milano 1973, pp. 122-133. La diga è rimasta in funz ione fino al Vl secolo della nostra era, in pratica per oltre un millennio.

4-Tra i sistemi di captazione dell'acqua in aree desertiche, o comunque aride, la più originale e diffusa è quelle dei cosiddetti qanat tipici dell'Iran. Per approfondimenti cfr. H.E. WULFF, 1 qanat dell'Iran, in Letture , cit. , pp. 114-121.

5-ll preistorico bilanciere per pozzi, meglio noto come shaduf. ancora ampiamente utilizzato nel Vicino Oriente, è in sostanza concettualmente simile ai moderni bilancieri usati per l'estrazione del greggio. Su li 'a rgom ento cfr. D. YERGIN. l/ premio. l'epica corsa al petrolio al potere e al denaro, Firenze 1991.

6- Cfr. P.E. CHEVEDDEN, L. EIGENBROD, V. FOLEY. W. SOEDEL, La più potente macchina da guerra del Medioevo, in Le scienze 11°325. settembre 1995.

7- Cfr. F.RUSSO, L ·artiglieria delle Legioni romane, Roma 2004, pp. 292-303.

8-Cfr. Y.GARLAN, Guerra , cit., p. 152. Il nome greco dell'arma è kestrosphendonè.

9 -Cfr. FILONE di BISANZIO, La sintassi meccanica, lib. V, 10, in Recherc/1es de poliorcétique grecque, a cura di Y.GARLAN, Paris 1974 , pp 279 e sgg.

10-Cfr. B.GILLE, Storia delle tecniche cit., pp. 216 -217.

11-Cfr. T.K.DERRY, T.l.W ILLIA MS, Tecnologia e civilzà , cit., pp.291-292.

12- Cfr. C.PAVOLTNL La vita quotidiana a Ostia. Bari l 986, pp 2 I9 e sgg.

252

13-Da S.G.FRONTINO. De aquis urhis Romae: la citaz ione è tratta da A.LANCIANl, Topografia di Roma ant ica i Commentari di Frontino. 1881, p. 218.

14-Cfr. M..A. RTCCIARDI. La ci,·i/tà dell'acqua a Ostia antica. Roma 1996. v ol. l, pp. 13 - 14.

15-Circa la pompa a bindolo cfr. P.DELL'AMICO, Navi e archeologia Le ancore. i rostri. le sentine e i limoni. ~upplemento della Rivista Marittima febbraio 1999, pp. 107-134.

16-Cfr. L. WH !TE jr, Tec:nica e società nel Medioern, terza e di7ione Milano 1976. pp. 175.

t 7- Cfr. A.UCCELLI, Enòclopedia storica delle scienze e de lle loro applica:ioni. Milano 1942, voi. II, p 618. Circa i mulini a mano. ancora correntemente usati dalle popolaz ioni nomadi senza sostanziali mod i tìchc rispetto a quelli di epoca c lass ic a. cfr G.CHIAUZZL Africa settentrionale Novara 1982. p. 60 foto di Gebès.

18-La pompa a doppio effetto è descritta da VITRUVIO De architecTUra. lib. X, l2.

19-L'organo ad acqua di Ctesibio è descritto da YITRUVlO, De architect11ra, lib. X, 13.

20 -La coc lea di Archimede è descritta VITRUVJO De architectura, lib. X, 1l.

21-Cfr. B.MlCCIO. V.POTENZA, Gli acquedotti di Napoli. Napo li 1994, pp. 8-20

22-Circa le condotte fo rzate di epoca romana cfr AA.VV., TRA!ANUS Corpus artium munitorwn romanorum, ultimo aggiornamento 24 aprile 2007. versione elettronica http: //traianus.redris .es, Aquae. Di estremo interesse il sifone di Patara, ancora in ottimo stato di conservazione.

23-Cfr S.G.FRONTINO, De aquis 11rbis Romae. La va lutazione della po1tata è sempre fatta sol tan to in base all a sezione della canalizzazione o dei tubi.

24-Cfr S.QULLICI GlGLl, Roma ji10ri le mura. Roma 1980 pp. 97 - 105

25-Cfr. F.RUSSO, 79 d.C. roffa su Pompei, indagine sulla scomparsa di un ammiraglio, ristampa Napoli 2006, pp. 62-66.

26-Cfr. S.DE CARO. A.GRECO. Campania, Bari 1981. pp. 71-72.

27- Cfr. B.MICCTO, V. POTENZA, Gli acquedot1i , cil.. pp. 21-52.

13 - From S.G.FRO>-JTINO, Dcaquis urbis R.omae: the quotation is from A.Li\NCli\Nl, Topogn(/ìa di Roma antica: i Commentari di Frontino. 188 1. pg. 2 I8.

14-Cf. M.A. IUCCIARDL La civil!à del/ ·acqua a Os1ia cmtiw, Rome 1996, v ol.I, pg. 13 -1 4.

15- Re the chain-pump cf. P.DELL'AM[CO. Navi e archeolugia le ancore. i rostri , le sentine e i rimoni, supplcment to Rivista Marittima Fcbruary 1999. pg. 107-134.

16-Cf. L. WHITE jr, Tecnica e società nel Middle Ages. th ird ed ition Milano 1976, pg. 17 5.

17-Cf. A.UCCELLI, Enciclopedia storica delle scienze e delle loro applicazioni, \1ilano 1942, voi. Il, pg. 6 I 8. Re rnanual grinders, stili uscd by nomads wilhoul any special modifications vis a vis those ofthe classica! era, cf. G.CHlAUZZl. Ajì-ica settentrionale. Novara 1982, pg. 60, pholo by Gebès.

18-Tbe double-acting pump is described by VITRUVIUS, De architectu.ra, bk. X, 12.

19 -Ctesibius · water organ is dcscribed by VTTRUVI US, De architectura. bk. X. 13.

20 -A.rchimedes' cochlea is deseribed by VTTRUV!US, De architectura, bk. X, 11

21 -Cf. B.MlCCIO, V.POTENZA, Gli acquedolli di Napoli, Naples 1994 , pg. 8-20.

22 -0n pressure wate r pipes of th e Roman era cf AA. VY., TRAJANUS. Corpus urtium munitorum romanorum. most recent revision 24 Aprii 2007, clccrronie vers ion http: //traianu s.redris.es , Aquae. Al so interesting is Patara 's siphon. stili in excellcm condilion

23 -Cf S.G.FRONTlNO, De aquis urbis Romae. Assessment of capacity is bascd on lhc sect ion ofthe conduits or pipes

24 -Cf. S.QUILICI GIGLI. Roma .fi1ori le mura, Rome I 980, pg. 97- I05

25 -Cf. F.RUSSO, 79 A.D. Rotta su Pompeii. inchiesta sulla scomparsa di un ammiraglio. rcprint Naples 2006, pg. 62 -66.

26 -Cf. S .D E CARO , A.GREEK, Campania. Bar i 198 1, pg. 71 - 72.

27- Cf. B.MICC IO. U.POTENZA, Gli acquedotti ... , cit., pg. 2 1-52.

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28-Cfr. D.RUOCCO, Campania, Torino 1976, pp. 153-154.

29-L'impianro del tripartitore idrico è desc ritto oltre che da Frontino anche da VLTRUYLO. De Architect11rc1, lib. VTJI. 7. La presenza di saracinesche, testimoniate dalle relative guide di scorrimento, fa però ipot izzare per quello di Pompei una destinazione di smistamento e rego lazione dei flussi nelle varie zone della città.

30-Cfr. L.GARClA y GARCIA, Danni di guerra a Pompei. Una dolorosa vicenda quasi dimenticata, Roma 2006 . pp. 44-45. foto n° 37, 38 e 41: il cassone di piombo su ll a torretta, ben visibile ed in ottime condizione nelle fo to 37 e 38, non compare più nella 4 l.

31 -Cfr. E.e f. FASSITELLI, Roma in Europa Tubi e valvole dell'antica Roma, Milano, edito da PETROLIERI D'ITALIA, mensile fondato nel 1954.

32-Scriveva VITRUVIO, De Architecrura lib. VTTT. 7:" 1'acqua condotta nei tubi di terracotta è più sana di quella condolla nei tubi di piombo : la ragione sembra che sia da attribuini alla tossicità della biacca, prodotta dal piombo. la quale si ritiene molto nociva per il corpo umano Di ciò se ne può avere una conferma dagli operai e dagli artigiani che lavorano il piombo che hanno vempre un colorito malato, poiché quando si fonde il piombo penetra negli organi il suo vapore. che giorno dopo giorno accumulandosi. asporta dalle loro membra i benefìci del sangue: e per queslO non è hene co11d11n·e l'acqua nei tubi di piombo. volendola avere salubre.

33-Cfr. E. e F. FASSTTELLT, Roma in Europa Tuhi e valvole , cit. , pp. 6- 16.

34-Cfr. E. e F. FASSTTELLT, Roma in Europa. Tubi e valvole , cit., p.15.

35-Cfr. AA.VV. Le trasmissioni nel tempo. Roma 1995. pp. 5- 14.

36-Cfr. ENEA il TATTICO, Poliorketika, lib X, 4 4.

37-Cfr. B.GILLE, Storia delle , cit.. pp. 216 -220.

38 -Cfr. T.K.DERRY. T.l. WILUAMS Tecnologia e civiltà , cit., pp. 290-294.

39 -Cfr. L.WHITEjr, Tecnica , cit., pp. 146-l50.

40 -11 celebre epigramma del poeta greco Anlipatro di Tessalon ica, vissuto a l tempo di Augusto. è contenuto nella sua An1hologia Palatina.

41-1 1brano è tratto da ll a Mo.sella di Decimo Magno Ausonio, vissuto fra il 31 O ed il 395, poeta latino cristiano, già prefetto della Gallia e poi console nel 3 79 li poema Mosella è considerato il suo capo lavoro.

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42-Cfr. VJTRUVJO , De A rchi1ectura, hb. X, IO.

43 - Jl brano è tralto da un articolo di M.FRANZE T TT , Trih un a , 22.3.1933.

44- C irca il mulino di Barbegal. s ituato nel comune di Fontvi elle. nei pre ss i dell ' abbazia di Montmajor va precisato che è ritenuto il maggiore finora conoscillto dell'età c lassic a Fu scoperto tra il I 93 7 ed il 1939 e datalo agli inizi de l IV secolo d .C. Ne facevano parte due serie parallele di otto ruote tutte alimentate dall'a lto, tramite due canali deriva ti da ll ' acquedolto di AJles. Ciascuna ruota aveva il diamet ro di circa 3 m, alquanto maggiore quindi di quella d i Venafro, e c omunicava la sua rotazione mediante ingranaggi d i le gno. Tra le due linee di edifici gradinati che ospitavano le ruote correva una sca la centrale di servizio. Un apposito ca rrello consentiva la movimentazione del grano e della farina, per circa 4 tonnellate a l giomo, sufficiente per una popolazione di I0.000 ab itant i

45 -Da ANONIMO, De rebus bellicis . Expositio liburnae, in Le cose della guerra a cura di A GIARDINA. Milano 1989 , p. 30.

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Se I ·acqua copre i due terzi del pianeta l'aria lo circonda interamente ed essendo un fluido leggerissimo si sposta molto più velocemente della prima:fàcile percep irlo nei suoi effetti dinamici e, per ovvia conseguenza, facile imparare a servirsene come utile.forza motrice. La vela, in.fattiJu sicuramente il primo motore dell'umanità, consentendo con la navigazione i contatti e gli scambi. Ma.fu anche il criterio informatore che si scorge dietro i più antichi impianti meccanici, i mulini eolici, sia che fossero mossi da una girante a stuoie verticali di tipo afgano, sia a vele di tipo cretese. Non è un caso che proprio a Creta, la maggiore talassocrazia dell'antichitàJu ambientata la leggenda di Icaro e del su.o tragico volo:forse nonfu una/avola.

Annegare è sinonimo di privazione d'aria, condi::;ione che sin dall 'antichità si è cercato di ovviare portandosene appresso una piccola riserva quando, per una ragione o l'altra si scendeva sotto la superficie del liquido elemento. Dapprima furono gli incursori subacquei assiri con un otre ed un boccaglio a nuotare sott'acqua, poiforse lo stesso Alessandro Magno che per immergersi si servì di una campana pneumatica descritta da Aristotele.

Nella marina romana si istitui addirittura un apposito corpo di sommozzatori, destinandoli ai recuperi e alle incursioni, munendoli di apposite maschere con tubi e snorkel per il prelievo dell'aria.

Ma anche per superare un corso d'acqua o uno stretto braccio di mare, ci si avvalse dell'aria e della sua rilevante spinta dì galleggiamento, quando costretta in otri e botti: ponti così composti e zattere di identica concezione. Ideali per Le operazioni militari a patto di scongiurarne in qualche modo la fin troppo evidente vulnerabilità: non potendosi blindare li si tenne sempre collegati ai mantici per compensare le fughe d'aria prodotte dai dardi . Mantici che non di rado furono un 'ulteriore derivazione della pompa di Ctes ibio.

Fra le navi, poi, sin dall'epoca, della guerra di Troia si rese indispensabile ricorrere ad opportuni segnali, in genere dei ves'silli sventolati in maniera convenzionale:fa quello l 'awio delle telecomunicazioni nel! 'aria..

Ancora alla impermeabilità degli scafi ci si riferi quando si iniziarono in epoca imperiale a dotare lefinestre delle abitazioni di vetri ai serramenti, impedendo così l'ingresso dell'acqua e del vento.

PARTETERZA - ARIA -

STATO A ERIFORME

L' INVOL UC RO D E L PI ANETA

Come l'acqua è indispensabile agli organismi animali lo è anche l'aria: an z i, se le spec ie superiori possono fa re a meno delle prima per qualche giorno della seconda , invece , possono privars ene solo per pochi minuti. Limite questo c he ne conferma la fondamentale e costante esigenza, in ogni contesto cd in ogni circostanza per buona pa,ie deg l i esseri viventi. L'uomo ad esempio, per poter resistere sott ' acqua più o meno a ILmgo deve portarsi appresso dei quantitativi di aria più o meno rilevanti.

Non avendo un vo lume definito e neppure una precisa massa, l'aria occupa tutto lo spazio disponibile vruiando, pe r ciò, la sua densi t à in funzione di questo. Tenendo conto che calda è più leggera che fredda, l'espandersi dell'aria è una conseguenza anche della sua temperatura. Di ciò gli scienziati ellenistici erano perfettamente co nsapevoli: se mai ignoravano che l'aria non era un vero gas, uno spirito nel loro linguaggio, ma un instabile misc ugl io di n umerosi gas . Pertanto, la 1itennero il terzo elemento in quanto tale , senz.a ulterio1i distinzioni e specificaziotù, oltre alle acquisite certezze: indispensabile per la vita , in grado di sollevarsi quando calda, di comprimersi notevolmente e di dilatarsi violentemente, con veloci e vo1ticose correnti , veri fium i aerei capaci, come quelli propriamente detti, di produne energiche spinte Potenzialità quest'ultima che con forza variabi le, dalJa mite brezza alla devastante tempesta, agevolava o ostacolava i natanti, seconda che sp irassero nel senso del loro avanzamento o nell'opposto. 1i

Gli stessi volatili che solcavano il regno dell'aria vennero scrutati e studiati a lungo, tentando di trovare una qualsiasi maniera per imitarli, a l fine di 1ipetere fra le nuvole quanto già realizzato fra le onde. I pennacchi e le penne, con cui quasi tutte ! 'etnie si munirono, e che ancora pennangono qua le me ro ornamento in numerosissime unifonni, trad iscono quell'ambizione. Quanto alle vie celest i, per la ver ità , q ualcosa alla fine si trovò: non som igliava neppure vagamente ad un uccello, ma semplicemente ad una grande ve la, del tipo di q uelle che ormai pul lulavano 2 ) sulla superfi c ie del mare Ne scaturirono confuse leggende e mitici racconti. nei q u ali d ivenne ben presto impossibile d iscernere l' assurdo dal vero, il sogno dalla realtà, il concreto dall'utopico!

259 339

VELE SUL MA RE

SEBBENENON POSSIAMO AVE RE ALC UN RI SCON TRO È

VE ROSIM CLE CH.E PROPRIO LA VELA , O ALMENO Q UELLA CII E FU LA S UA DrR ETIA A NTENATA SI A STATA I L

PRIMO VE RO MOTORE DELL' U MAN I TÀ US ATO A DISCR EZIONE E S ECONDO PREC IS E FI NA LITÀ DI N AMICHE. MOTORE CHE PER INCISO È ANCORA OGGI NON SOLO USATO S EMPRE S U L MAR E MA AN C HE IN T ERRA

PE R TENTARE DI AWAL ERSl DE LLE FON T I ENERG ETlCH E RINNOVA81Ll OFF E RT E DAL LA NAT U RA lL FUTURO NEL PASSATO!

Ovviamente non siamo in grado di stabilire quando la vele fece il s uo debutto sul mare, anche perché non siamo in grado di stabilire cosa si debba intendere per vela. Da vari indizi il suo utili zzo s embrerebbe avviarsi almeno sei millenni or sono 3 l, con caratteristiche e prestazioni meramente archetipali. Nel sen so più vicino all ' odierno significato fu verosimilmente inventata dagli Egiziani per la navigazione lungo il Nilo e sul suo delta. Forse, ipotesi condivisa da numerosi studiosi. si trattò di un ramo di palma eretto a prua dell'imbarca z ione capace di far presa al vento. Posta così la questione , non rappresenta granché dal momento che spostare un galleggiante, accentuando la spinta esercitatavi contro dal vento , non s ignifica assolutamente navigare a vela Per una meno rudimenta le fruizione bisogna attendere che il ramo divenga una s tuoia intre cciata, formando perciò una superficie continua da opporre al vento, soluzione che si fa risalire a l 3500 a.e.

Ma affinché al suddetto galleggiante si possa dare il nome di barca a vela bi sogna attend e re ancora ch e si dimostri in grado non solo di spostarsi per la spinta del vento , ma di dirigersi a discrezione s econdo una precisa rotta, ovvero di navigare. Indispensabile perciò che lo scafo acqui s isse una dete1minata forma , somigliante a un pesce e più o meno affusolata, e la vela emulasse a s ua volta un 'ala, con una superficie di presa più o meno ampia. Due criteri infonnatori anti tetici, il primo neces sario per ridurre la res istenza all ' acqua il secondo, invece, per aumentare que ll a all'ar ia!

Per gli antichi la v ela per antonomas ia era quadra, ovvero quadri latera , più semplice da concepire , più comoda da co s truire e più s piccia da manovrare 4 l : in pratica la sh·etta un ione di tante pezze, tessute al telaio, fissate ad un pennone. U na ricca teoria di raffigurazioni antiche certificano quanto delinea to e lo datano a patiire dal 2900 a.e. Per i mill e nn i seguenti un ' unica v istosa evoluzione: la disposizione del ret -

260

340. Barca egiziana a vela quadra del Il millennioa.C.Coopcnaghcnmuscumin I lumlcback.

340
261
341
341. Barca a vela di epoca romana in un affresco di Pompei.

tango lo di stoffa, dapprima col lato maggiore ve11icale quindi orizzontale. La spiegazione appare ovvia, consistendo nello sfruttare meglio la resistenza dell ' albero a pariti\ di spinta , potendosi incrementare la superficie della vela senza aumentare l'altezza dell ' albero, dimensione comunque critica. Si ebbero perciò vele sempre rettangolari ma di notevole larghezza, appese a pennoni che ne favorivano la manovra.

La scarsa resa di tali vele e 1'incostanza dei venti nel Meditenaneo, determinarono la scelta per le unità militari della doppia propulsione: eolica nelle crociere di trasferimento: remica in combattimento e, ovviamente, in assenza di vento. 5l La vela quadra dominò l'intero Medite1rnneo dall'Egitto pre-dinastico all'Impero romano, continuando a sopravvivere in sparute sacche.

Dal punto di vista dinamico può ritenersi un ottimo propulsore con il vento di poppa, ma di scarsa utilità quando soffia dai lati e del tutto inutile se di prua. TI che ne rese certamente problematica l'adozione in ambito mercantile lungo rotte fisse. Le navi cariche di grano che dirigevano alla volta di Roma dai po1ti egiziani, se all'andata erano favorite dal vento al ,itomo ne erano ostacolate, per cui di giorno in giorno si escogitarono delle maniere di disporre la vela, per limitare quelle preclusioni.

Sebbene la definizione di vela latina non indichi la popolazione che l'inventò o l'adottò per prima, ma è l'esito di una mutazione di vela trina, cioè triangolare, e sebbene la sua comparsa sia con-entemente collocata nel IX secolo della nostra era, in realtà se ne trova qualche accenno embrionale, detto anche vela a tarchia, già in epoca romana, soprattutto su imbarcazioni di picco le dimensioni. In un bassorilievo greco del Il sec d.C. ne compare una precisa raffigw·azione, alla quale se ne aggiungono altre, comunque rare, immediatamente successive. Circa la plausibile genesi, se ne sono supposte varie fasi successive, provocate dalla modifica della vela quadra sotto l'azione del vento. Precisava Aristotele, già nel 330 a.C., in un brano della sua Meccanica:"perclzé i naviganti, dopo aver veleggiato con vento favorevole, quando desiderano conrinuare sul loro corso per quanto il vento non sia favorevole, ammainano la parte della vela verso il timone [il timone a cui si riferisce è quello a doppi remi laterali],e stringendo il vento, lasciano libera la parte della vela verso la prua? E 'perché il timoniere non può produrre un effetto contro il vento quand'è.forte. ma può quando non lo è ed è per questo che loro ammainano [il retro della vela)". 6l

In pratica. infatti, dapprima si inc linò il pennone, fino a fargli assumere una angolazione obliqua, quindi si asportò dalla vela quanto eccedeva dagli originali con-

262

3..J.2. Ricostrn7ionc virtua le di li burna romana con la grande ve la q uadra spiegata

3..J.3. Il San Giuseppe Il in naviga?ione co n luttc le\ clc sp iega te.

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torni , ve1ticale e orizzontale, riducendola cosi a un triangolo rettangolo con l'ipotenusa fissata al pennone. Il passaggio successivo alla vela latina fu abbastanza rapido: è curioso constatare come tanto J'awento della vela latina qua nto il mulino eolico cretese, costituito da una girante a più ve le latine, siano fatti risalire entrambi all'Vlll secolo della nostra era Constata la loro sostanziale contemporaneità, in base alle all usioni e agli indizi mo lti studiosi, tuttavia, sono portati a retrodatarne la comparsa fin quasi ali' età ellenistica.

I L M U LIN O CR ETESE

li grande impu lso che nel Medioevo ebbe la navigazione grazie alla vela, favorì l ' infittirsi dei commerci ad amp io raggio Al contempo dimosn ò che la forza motrice del vento poteva essere sfiuttata pure quando proveniente da dù·ezioni oblique : potenz ialità fondamentale per i mulini a vento, capaci di funzionare persino nella p iù fredda stagione co n il gelo che bloccava le ruote a pa lette, ma non con il vento trasversale! Per la loro diffusione occorreva, pe1tan to , supera re il rigido orientamen- to del mulino afgano, forse il motore primario più arcaico perché i venti mediten-anei a d ifferenza dei cont inenta li mutano rapidamente per intensità e direzione. Tuttavia, come nel caso della ve la latina, de l mu lino cretese fino ad oggi non sono stati trovati riscontri inoppugnabili nelle fonti scritte né in quelle iconiche né, meno che mai, in quelle archeologiche della sua presenza in età classica.

V'è , però u na si ngola re testimon ianza di Erone, che per la sua indubbia competenza acquisisce valore dirimente. Egli:''parlando di un organo pneumatico azionato da una ruota provvista di pale, aveva descritto la ruota dicendola simile a un anemourion che evidentemente considerava un oggetto ben noto al lettore. La parola è composta con un primo termine che significa ·vento', e non è altrimenti attestata come comune. ma il contesto rende chiaro che si tra flava di un oggetto capace di creare un moto rotatorio usando il vento anemourion, è attestato anche come toponimo. Fu dato questo nome, in particolare, a due promontori in Cilicia. Si può congetturare che in questo caso si trattasse di mulini a vento (a meno che non sia una parola usata per indicare un monte ventoso, che solo casualmente coincide con il termine di Erone}". 11

Dal momento che tutti i promo nto1i de ll a Grecia, e non so lo, sono sempre ventosi, il riferimento alla ventosità ha un senso soltanto se relativo a una si ngolarità d isti nt iva, quale appunto un mu li no. Che per ovvie ragioni, non ultima geografica, deve intendersi non più d i tipo afga no,

264

345

344 Ricostruzione virtuale di g irante eo li ca di m ul ino cretese. 345. M ulin o cretese.

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inutile per il suo rigido orientamento, ma cretese con asse obliq uo. corde di manovra e vele triangolari. Non è ovviamente una conferma ma soltanto un significativo indizio: del resto la padronanza tecnica alle spalle di w1a simile girante appare congrua alle competenze nautiche della prima talassocrazia del Mediten-aneo, genitrice delle mitica civiltà minoica. Applicare diverse vele intorno ad un asse, fu una ingegnosa invenzione, plausibile in una cultura caratterizzata dalla figura del geniale Dedalo. 81

Dal punto di vista strutturale la girante eolica cretese contava dalle quattro alle dodici ali t1iangolari di grossa tela, del tipo di quella impiegata per le vele delle navi. Fissate ad una rozza orditura lignea, venivano stese con una inclinazione di circa 10°, rispetto al piano della girante, in modo da oflhrsi oblique al vento. Regolandone la superficie esposta, esattamente come si faceva sulle navi, se ne poteva accrescere o ridun·e la velocità di rotazione. Questo emblematico dettaglio, che per vari aspetti ricorda la manovra che trasfonnava la vela quadra in vela triangolare, costituisce una ulteriore indizio circa la probabile presenza in età classica del mulino cretese.

Dal momento che la potenza erogata dal mulino cretese è funzione del numero piuttosto che della dimensione delle sue vele, tutte contemporaneamente investite dal vento, è ovvia la scelta di governarne molte piccole piuttosto che poche grandi, sebbene l'operazione sia più faticosa. Pertanto, quando si optò per giranti con so le quattro o sei ali al massimo, lo si fece per agevolarne la manovra, relegando quelle con un numero maggiore ai compiti più gravosi o alle località meno ventose.

VELE NEL CIELO

PER PARADOSSALE CHE POSSA SEMBRARE I PRlMl VE -

LNOLI FURONO APPUNTO DEI MEZZI PER VOLARE A

VELA: NELLA FATTISPECIE DEI GRANDI AQUILONI! l L

CRITERIO lNFORi\1ATORE ERA ABBASTANZA SEMPLICE

ANCHE PER IL IJJ-Il SECOLO A .C. QUANDO COMPARVERO lN CJNA. SE LA VELA GONFIATA DAL VENTO

SPINGE LA BARCA SUL MARE, UNA IDENTICA VELA

GONFIATA DA UNA CORRENTE CHE SALE TRASCINERÀ

NELLA SUA ASCENSIONE ANCHE UN UOMO ABBASTANZA CORAGGIOSO DA TENTARLO. E LE VIE DEL

CLELO VENNERO COSÌ APERTE MOLTO PRIMA DELLA NOSTRA ERA VOLGARE.

Stando alla tradizione fu Archita di Taranto, nato mtomo al 430 a.C e morto in un naufragio sulle coste della Puglia intorno al 348 a.C. 9>, ad inventare l'aquilone o, per altri studiosi, piuttosto una colomba che,

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batten do le ali, riusciva a volare. Stando alla leggenda, inve ce, fu Dedalo secoli prima che riuscì ad innalzarsi nel cielo di Creta con ali posticce. Quale che fosse la prio1ità sottesa a quei racconti, non dovette richiedere gran de acume osservare che le foglie secche, incapaci di sollevarsi, lo divenivano se spinte dal vento. In delìnitiv a, per volare sarebbe servita un'esile vela, simi le ad una gigantesca foglia, capace di catmrare il ve nto propizio. costante ed intenso. L'intuizione, innumerevoli volte riscontrata, fu sicuramente rafforzata da lla visione delle grandi vele gonfie che spingevano le imbarcazioni. Agevole concludere che, se per sposta rsi in piano la vela doveva opporsi verticalmente al ven to, per spostars i verso l'alto lo avrebbe dovuto fare orizzontalmente! Sarebbe occorso un telaio, leggero e ro busto, variante aerea dell'albero e del pennone. Ad esso s i sarebbe avvinto con una imbracatura il pilota, o per meglio dire l'osservatore aereo

Paradossalmente per navigare nel cielo s i fece ricorso a molte competenze dei più esperti uomini di mare, primi fra cui i Minoici. Dal nome del loro emble ma, labris. l'ascia a due lame deriva quello deila gra ndiosa residenza reale di Creta, il labirinto. Più che un palazzo una miriade intricata e indecifrabile di am bienti, raccordati da terrazzi affacciati sull'Egeo . '°1

Opera di D edalo che, finitovi recluso con il figlio, vo lle evadere superando quell'azzurra barriera in vol o. Per restare alla famosa leggenda, riferita persino da Sofocle, Euripide ed Aristofane, costruì perciò delle ali con vimini, piume e cera: e finì in tragedia.

Di gran lunga più verosimile la costruzione di un paio di grandi aquiloni di vimini e tela. Collocate quelle due ampie vele su una vasta terrazza e inclinate, per catturare la spinta ascensionale della brezza, subito si sollevaro no. Impossibile, però, governarle in una qualsiasi maniera: plausibile il volo, plausibile ancor di più la caduta! Curiosamente qualcosa di simile s'incontra nella mitologia giapponese, oltre due millenni dopo. Intorno al 11 00, un nobile sammai, tal Minamoto Tametorno, condannato insieme all'innocente figlio all'esilio s ull'inospitale isola di Harchijo, riuscì a far evadere felice mente il giovane sospendendolo ad un aquilone gigante di vimini e ca1ta da lui costruito. Due leggende no n costitu iscono una prova ma, al massimo una diceria, un labile indizio nella migliore del le ipote s i.

Di certo, però, in Cina ed in Giappone gli aquiloni giganti, perfettamente in grado di sollevare uno o due uomini, già risultano presenti nel 1\/-lll sec. a.e. Vengono usati , tra l'altro, come specole aeree per controllare le manovre nemiche: in sostanza come deile torri

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di eccezionale altezza. Per quanto se ne sa furono proprio i Cinesi, dopo l'invenzione o il perfezionamento degli aquiloni giganti. ad interessarsi del loro impiego militare. apportandovi delle razionali modifiche. Ne avevano, infatti, accresciute le capacità di sollevamento al punto da impiegarli in diverse circostanze per comunicazioni di vita le impo1tanza tattica e persino per portare incursori volanti all ' interno di città assediate. Antesignano esempio di ttuppe aviotrasportate!

Per rintracciare, però, dei riferimenti attendibili e circostanziati relativi agli aquiloni giganti con equipaggio a bordo, bisogna attendere il 1285 ed il Milione di Marco Polo. In quale modo, poi, venissero costruiti quei giganti dell'aria Lo possiamo facilmente ricavare dai consimili che i pescatori di un villaggio del Giappone hanno continuato a costruire per secoli , sempre con i medesimi materiali. bambù e carta. Per l'e sattezza fino al 1914, fortunatamente ancora in tempo per lasciarne un· indiscutibile memoria fotografica. Non può pertanto escludersi che la notizia della loro esistenza giungesse in occidente lungo la via della seta, fornendo ad Archita il presupposto per il suo aquilone.

La copertura degli anfiteatri, costituita da un leggero velario, che nel caso del Colosseo era manovrato dai marinai della flotta di Miseno 1 11, costituì il primo esempio di vela orizzontale. Diviene, quindi, estremamente probabile che nei giorni di vento, o anche quando per il riscaldamento dell'arena si detem1inavano delle forti correnti termiche ascensionali, quella vela tendesse a sollevarsi, fornendo un ulteriore spunto in materia. Leonardo darà al congegno una connotazione più utile e più governabile, affrancandolo dalle funi di molleggio e di vincolo, rendendolo perciò identico a w1 attuale deltaplano.

E sempre al mare e alla Mesopotamia ci riporta un'altra basilare invenzione destinata ad avere nel no stro tempo ruoli preminenti s ia in ambito lavorativo che di svago: la riserva d'aria per immersioni subacquee.

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346. Raffigurazione di bipenne in un affresco minoico.

347. Creta, veduta panoramica del palazzo di Minosse, più noto come Lahiri11to.

348-349. Veduta della costruzione di lU1 aquilone gigante giapponese in una rarissima foto del 19 l 4 , in grado di ~ollevare uno o due uominì. 350. Un moderno deltaplano.

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ATTIV ITA' SU B ACQUEE

LA NECESSITA DELL'ARIA PER RESTARE SOTT'ACQUA, CON LA RELATIVA SOLUZIONE, RJSALE ALMENO

ALL'Vll - Vl SECOLO A C. Più TARDI SI COSTRUlRONO

DELLA APPOSITE CAMPANE PNEUMATICHE DI CUI ARISTOTELE DA PIENA CONTEZZA. QUANTO A SNORKEL

PER IMPIEGO UMANO, L'ESEMPIO FU TRATTO DALL'E LEFANTE CHE CAMMINAVA SUL FONDO DEI FIUMI

MANTENENDO FUORI OALL' ACQUA LA PUNTA DELLA PROBOSCIDE. li. RESTO VENNE GRADATAMENTE E SENZA ECCESSIVE DIFFICOLTÀ DAL MOMENTO CHE IL PRJMO SCAFANDRO È D1 EPOCA ROMANA COME PURE IL PRIMO CORPO MlLITARE DI SOMMOZZATORE.

Alcuni singola1i bassorilievi assiri, datati al IX secolo a.C., mosh·ano chiaramente degli uomini che nuotano in acqua, respirando da grossi otri di pelle colmi d'aria. Per la verità non è possibile distinguere se stiano in superficie o appena al di sotto: data la rilevante spinta di galleggiamento delle vesciche, appare improbabile la seconda ipotesi. D'altro canto, però, se fossero all'aria non si comprenderebbe la necessità di tenere in bocca un tubicino collegato con l'otre! Pertanto è sensato concludere che avvalendosi del l'otre galleggiavano e magari si celavano alla vista, nuotando appena sott'acqua, in affioramento. In ogni caso il criterio di adottare quella capace vescica come una riserva d'aria, al pari delle odierne bombole è indubbio. ln una raffigurazione egiziana, infatti, s i vede un sommozzatore che avvalendosi di un resp iratore siffatto, appende dei pesci alla lenza di Marcantonio, secondo le istruzioni di Cleopatra, per renderlo contento!

L'irrilevanza della profondità e forse la brevità dello stesso tubicino fecero elaborare un diverso sistema per stare sott'acqua: un casco muni to d i un tubo, tramite il quale si poteva respirare, essendone l'estremità mantenuta fuori dall'acqua da u n galleggiante Un antesignano snorke/ per uomo, propriamente detto boccaglio o aeratore, usato frequentemente dai nostri sub con la maschera. La profondità massima che il boccaglio pe rmette non supera abitual m ente i 50 cm, divenendo la resp irazione intorno al metro molto faticosa e, a profondità maggiore, impossibile per la pressione. Di qualcosa de l genere parlano alcuni scrittori romani, precisando pure ch e I 'impem,eabilità del casco era modesta. In Of,rni caso in epoca imperiale non mancavano dei sommozzatori civi l i e milita1i, uniti in un apposito corpo, in grado di effettuare recuperi d i oggetti affondati o interventi sotto la linea di galleggiamento. Non mancano, peraltro, riferimenti ad azio n i di sabotaggio.

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351. Kalakh, bassorilievo con incursori assiri che nuotano sott'acqua avvalendosi d i un otre e di un boccaglio. IX sec. a.e. British Museum.

352. Ricostmzione di bassorilievo assiro che mostra il gonfiamento degli otri.

353. Raffigurazione egizia relativa all'episodio della pesca di MarcanLOnio.

354. Lap ide di epoca imperiale nella quale viene ricordato il corpo dei sommozzatori militari definiti urinatores.

355. Casco da subacqueo descritto da Vegezio Flav io e munito di rubo snorkel.

356. Moderna maschera da sub con boccaglio a snorkel.

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In particolare Vegezio Flavio menziona l 'esistenza di un corpo militare di incursori subacquei operante ai tempi dell'imperatore Claudio nella prima metà del 1 secolo d.C. . detti urinatores o urinantes, da l verbo latino arcaico urinari, immergersi. Plinio, testimoniandone l 'esistenza, riferisce della loro curiosa abitud ine di immergersi con la bocca piena di olio, per poi sputarlo sul fondo per rendere più trasparente l'acqua_l2 > In base alle sca rn e descrizioni di cui disponiamo, anche questi indossavano un cappuccio o un sacco. equivalente del l' elmo da palombaro, terminante verso l 'a lto con un budello. che un galleggiante manteneva fuori dall'acqua, munito probabilmente di una valvola che impediva l'ingresso dell'acqua

E' singolare constare che i l preciso disegno di una muta subacquea siffatta, si ritrovi nel taccino di Kyeser un celeb re ingegnere militare del XV secolo. 131

LA CAMPANA PNE UMATICA DI ARISTOTEL E , ME ASTRO DI COLOR CHE SANNO

Stando alle leggende, Alessandro Magno va considerato, tra l'altro. anche uno dei p rim i sommergibilisti della St oria. Si sarebbe dilettato, infatti, occasionalmente di escursioni subacquee compiute in uno strano sottomari no, come numerose raffigurazioni medieva li indugiano, più o meno ingenuamente, a rievocare . Alle spalle de lla fantastica epopea si colloca, probabi lmente, un episodio sicuramente attendibile: nel 325 a.C., durante l'assedio di Tiro, il condottiero in compagnia di Nearco, suo amico n onché comandante della flotta macedone, compì delle immersioni all'interno di una campana pneumatica per esaminare le ostruzioni subacquee nemiche. Forse dei pali conficcati sul fondo, forse delle catene tese, forse dei macigni affondati: in ogni caso ostacoli insidiosi destinati a sfondare le carene delle navi che avessero tentato di accostarsi alle mura per batterle con le loro artiglierie. Stando ad a ltre leggende, invece, no n si sarebbe trattato di una campana ma d' u na sorta di grossa botte calafata, rinforzata con piastre di bronzo. provvista di oblò vetrati. In sos tanza una sorta d i batiscafo, definito all'epoca skaphe andros, che tradotto liberamente significa uomo -scafo. uomo barca.

Si sa, ancora, che alcuni suoi soldati, completamente immersi e res p irando da un rudimentale boccaglio denominato /ebeta, probabi lmente collegato ad un otre caprino. attaccarono a lquan te difese della città, verosimilmente quelle ispezionate in precedenza dal Macedone. 141

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357-358 Raffigurazioni in cod ici medìeYal i dell'immers ione dì Alessandro Magno.

359-360. Immersione ed utilizzo de lla campan a pneumatica progettata da Edmund Hallcy nella seco nda metà del XVII sec

361. Ricostnizione di campana pneumatica d i epoca rinascimentale.

362. Attuale p iccola campana pneumatica per att ività s ubacquea.

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A fornire ulteriore credito alla vicenda contribuiscono delle significative osservazioni e note dì Aristote le , suo pedagogo, circa le attività subacquee e la stessa campana pneumatica, che qualche stud io so giunge ad attribuirgli. Per l'esattezza, il mitico filosofo, osservava che:··proprio come i tufjàtori, a \'Olle. sono provvisti di strumenti per cui possono aspirare l'aria da sopra la supe,.fìcie dell'acqua. e in tal modo rimanere a lungo sommersi nel mare, cosi anche gli elefanti sono stati jòrniti dalla natura d,!lle loro lunghe narici. che innalzano al di sopra del! 'acqua quando devono attraversarla"_l 51

E, sempre Aristotele descrive la campana pneumatica nella sua opera Problemi nel IV secolo a.C., suggerendo dì impiegare per la respirazione subacquea l'aria contenuta in grossi vasi capovolti: sembra, pure che qualcosa del genere fosse riu scito pure a costruire o almeno a riprodmTe.

In linea di massima una campana pneumatica è costituita da un contenitore metallico, per lo più di bronzo, simile per forma ad una campana propriamente detta. Sospesa per l'apice a delle funi viene fatta lentamente affondare: 1'acqua entrandovi dal fondo, s i an-esta quando comprimendo l'aria che vi è all'interno, la costringe alla sua stessa pressione. A quel punto s i può restare al suo interno, o tornarvi per respirare, finché non si sia esaurito tutto l'ossigeno. li soggiorno, pe11anto, varia con il variare delle dimensioru della campana e della profondità raggiunta, ma non può mai essere particolannente lungo.

Tramite la campana furono possibili già in età classica recuperi di oggetti affondati e lavo1i di preparazione per gettate sottomarine di struttu re foranee. E' probabile che per aumentare il loro raggio di azione, i sommozzatori si collegassero alla stessa tramite un tubo con boccaglio.

PONTI E BATTELLI PNEUMATICI

Con involontaria e profetica ironia un celebre etnologo, quasi mezzo secolo or sono, faceva osservare come nessun mezzo più utile di un galleggiante pneumatico, in pratica un otre rigonfio d"aria:"può essere posto a disposizione di masse umane, migranti o guerreggianti. per l'attraversamento dei corsi d'acqua". 161

L 'eq uiparare il disordinato incedere di miserabili tonne cli profughi all'orgogliosa marcia di eserciti avanzanti può, solo in apparenza, sembrare forzato. Ma basta il frapporsi di un fiume al loro cammino per restituire ad entrambe le compagini la stessa incer-

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re na sul come guadagnare l'opposta riva. E per entra mbe una modesta vescica è stata per molti millenni la so luzione per antonomasia.

L' impiego militare di gal leggianti per superare fi umi o modesti bracci di mare, infatti, è documentato ~i n dal lJ millennio a.C., sebbene la prassi si perda ne lla notte dei tempi che. mai come in questo caso, l'evoluzione tecnologica ha mutato pochissimo. Circa il cri terio informatore è facile immaginare che nel t entat ivo di iimuoveme qualche carogna, dilatata e impigli ata lungo la riva di un fiume, se ne sia constatata la sua straordinaria capacità di galleggiamento, incompa rabilmente superiore a quella tipica dell'animale in vita. Probabile pure che la medesima conclusione sia de rivata dall'esperienza della riluttanza di un otre, appe na gonfio, ad immerge r si nell'acqua.

Semplice ravvisare in quella resistenza un efficace ai uto per non annegare: u n contenitore a doppio uso. per bere quanto necessario per vivere e per non bere qua nto sufficiente per morire! Pieno garantiva perc iò la sopravvivenza sulla terra, lontani da l l'acqua, e vuo to la sopravvivenza s u ll'acqua, lontani dal la terra. In breve, quella duplice prestazione fece dell'o tre una componente impresci nd ibile d ella dotazio ne individua le degli antichi eserciti. L'equipaggia mento di ogni soldato, pertanto, ne includeva se mpre uno che veniva svuotato e gonfiato a ogni co rso d'acqua che si doveva superare, pe r essere subit o dopo sgonfiato e riempito d'acqua. Per l'attrave rsamento dei carri. si ricorse a za tt ere rea l izzate c ollocando tavoloni e tronchi, legati fra loro, sopra ot ri e botti, premessa dei ponti pneuma t ic i fat t i nella stess a maniera.

Senofonte, vissuto a cavallo tra la fine del V e la me tà del TV secolo a.C. , rievoca, forse per primo , nell a Anabasi l 'approntamento d'un ponte siffatto pe r poter attraversare il Tigri. A proporglielo un os curo soldato, con questo discorso: o signori, io sono in grado di farvi passare ilfìume, quattromila opli ti per volta: mi dovrete però fornire di quanto vi chiedo, oltre ad un talento per compenso. Mi occorro no duemila otri: dal momento che si scorgono mo lti asini, buoi, pecore e capre qui intorno basterà mace llarli e scuoiarli, quindi gonjìarne le pelli Gli otri saranno tutti legatifra loro con le corregge impiega te per le bestie da soma, ed ognuno sarà inoltre ancorato a/fondo mediante unajìme con una pietra di zavorra. A questo punto ormeggerò la fila degli o tri su entrambe le sponde e getterò sugli stessi uno stra to di sterpi e del terriccio formando un sentiero.

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Non annegherete perché ogni otre sostiene due uomini senza a/fondare ... ". 171

L'otre entrò in seguito anche nel repertorio militare romano vuoi come galleggiante individuale, vuoi come zattera, vuoi soprattutto come supporto per ponti d'assalto. Svetonio, ad esempio, afferma che l'incredibile velocità di spostamento delle legioni di Cesare derivasse dagli otri impiegati per attraversare i fiumi. Lo stesso Cesare del resto ricordava che nella dotazione d'ordinanza dei Lusitani vi erano appunto degli otri; Plinio dal canto suo ne testimoniò l'uso da pai1e dei guerrieri arabi e Livio di quelli spagnoli. Intorno al IV secolo del la nostra epoca i ponti di circostanza pneumatici erano usuali, come testimonia anche l'Anonimo del De rebus bellicis in questo brano:"Per evitare che l'ostacolo dei jìumi si frapponga -come spesso accade- a un percorso che/ 'esercito deve compiere, la necessità che stimola l'ingegno escogitò per questo un rimedio poco dispendioso e altamente pratico, che viene così apprestato. Si conciano pelli di vitello alla maniera degli Arabi ... -presso di loro infatti, è d[ffùsa una particolare tecnica di trattamento. poiché attingono acqua dai pozzi con secchi di pelle- dunque con pelli di questo tipo ... accuratamente cucire si confezionino otri della grandezza di tre piedi e me::zo in modo che quando questi otri si saranno gonfìati, non.formino prowberanze: al contrario il loro rigo,?fìamento dovrà produrre una forma piatta. distendendosi in modo uniforme; gli otri saranno collegati l'uno con cinghie attaccare ai lati nella parte inferiore. mentre, nella parte superiore. degli uncini posti su un faro, saranno agganciati ad anelli; in questo modo tutti gli elementi. collegati tra loro. prendono la forma di un ponte. Questa stessa opera, grazie al! 'impeto della corrente, si estenderà piùfacilmente.fìno al! 'a/tra riva. in senso obliquo al .fiume: una volta fissati dei pali di ferro sulle due rive e stese corde robuste nella parte centrale sotto gli stessi otri (per sostenere il peso di coloro che vi passano sopra) e nelle parti laterali (per motivi di stabilirà}, questa struttura offrirà in breve tempo libera facoltà di attraversare un fiume Sul! 'una e sull'altra riva saranno disposte baliste a mano. per evitare che 1111 attacco nemico ostacoli l'opera di coloro che lavorano al ponte''. 181

Va rilevato che nella relativa raffigurazione compaiono a fianco agli otri dei grossi mantici ad essi collegati. Esplicito il concetto: solo pompando continuamenie aria se ne potevano compensare le inevitabili perdite, provocate dai dardi nemici!

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363. Anonimo del De Rel>11s Bellicis. IV sec. d.C ponte pneumatico.

364. Ricostnv.ione di bass01ilievo assiro raffigurante una Lattera su otri. 365-366. Otri utili;,r.ati come galleggianti.

3()7. Battelli pneumatici u~ati nella Il Gucn·a Mondiale.

368. Ponte pneumatico in dotazione al Genio Militare Italiano.

365 366 367 368 277

L'ARIA COMPRESSA

PER LA QUOTIDIANA ESPER1ENZA LA SUA PRODUZIONE OLTRE CHE RECENTISSIMA SEMBRA DEL TUTTO

PRIVA DI TMPLICANZE: AL PIÙ SI GONFIANO l PNEUMATICI DELL'AUTOVETTURA! LA REALTA FU BEN DIVERSA: OTRl GONF!ATl ERANO OTTlMJ GALLEGGIANTI, COME LE CAROGNE PORTATE DALLA CORRENTE

AVEVAJ"!O INSEGNATO; MANTICI DI PELLE POTEVANO

ATTIZZARE LL FUOCO E CACC IARE L'ACQUA; MA SE

REALIZZATI CON I CILINDRJ DI CTES1BIO GLI IMPIEGHI

ERANO ANCORA MAGGIORI: POTEVANO INFATTT FAR

FUNZIONARE DELLE MICIDIALI ARTIGLLERJE NAVALI!

Tra i più importanti impieghi dell'aria compressa vi fu l'alimentazione del forno fusorio e della forgia. Si sapeva da tempo, infatti, che insufflando aria sulla brace questa sviluppava una maggiore temperatura, manifestata anche dalla maggiore luminosità attinta dalla fiamma. Nel paragrafo destinato al ponte pneumatico, I' Anomimo ci tramanda un chiaro riferimento al mantice, dal quale si evince che non differiva gran che dal moderno, ancora di uso domestico. Alla stessa conclusione inducono pure alquante fonti iconiche, più o meno esplicite di epoca romana.

La produzione dell'aria compressa può avvenire, ora come allora, soltanto facendo diminuire il volume del contenitore: la soluzione più semplice consisteva nello schiacciare un otre o una vescica di adeguate dimensioni. Per continuare, però, si doveva poter ripetere l 'azione, ovviamente dopo aver riportato il contenitore alla fonna iniziale: operazione semp re laboriosa. Si giunse, pertanto, ad una razionale conclusione per la quale la fase di compressione doveva risultare simmet rica di quella di aspirazione. Un contenitore dal volume variabile, che veniva allargato e ristretto del la stessa quantità e in modo molto semplice. invertendo la manovra, esattamente come si faceva con una tenaglia. La soluzione fu trovata accoppiando ermeticamente, con una fascia di pelle, due guance di legno munite di manici e di due aperture. La prima, ampia e al centro di una di esse, la seconda minuta e conica in corrispondenza della cerniera. Per entrambe due sottili lingue mobili fungevano da valvole: divaricando le guance si chiudeva quella dell'apertura conica e si apriva quella centrale, consentendo perciò all'aria di entrare; serrando le guance si chiudeva quest'ultima e s'apriva la precedente, costringendo l'aria a uscire con una discreta pressione.

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369- 372 -373. Stampe rinascimental i raffiguranti dei grossi mantici a soffie tt o.

370 Dettag lio de l mantice dall'illustrazione de l Dl' Rebus Bellicis

371. Un moderno m ant ice a soffietto.

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Quel modesto congegno, prodotto in tutte le fogge e in tutte le grandezze, trovò innumerevoli ulteriori impieghi: se ne realizzarono di minuscoli per il focolare domestico e di enormi per i forni fusori: alcuni servirono per attizzare le fiamme, altri per ricambiare l'aria. Vi era però, specie nell'uso metallurgico e minerario, un grave inconveniente: la mancata emissione durante la fase di aspirazione. L'aria compressa ostentava, perciò, un regime pulsante deleterio alla corretta alimentazione della combustione. La soluzione escogitata fu mutuata dal lanciafiamme navale descritto da Tucidite, più avanti ricordato, consistente nell'accoppiare due mantici, mantenendo unico l'ugello di uscita, in modo di farli funzionare in maniera alternati va, fornendo perciò un flusso pulsante ma continuo. E' probabile che per evitare sfasamenti durante la manovra si fissassero le opposte estremità dei manici ad un bilanciere, per cui quando il primo si sollevava il secondo si abbassava.

MANTICI A STANTUFFO

Il vero limite del mantice a soffietto derivava dalla necessità di incrementarne notevolmente le dimensioni per una maggiore produzione d'aria compressa. Si spiega forse così il perché dell 'adozione nell'organo ad acqua, di gran lunga più piccolo di quello medievale, di una pompa a doppio effetto, un compressore a cilindri e sta ntuffi Questo, infatti, non solo poteva fornire molta più aria a parità d'ingombro, ma farlo in due modi diversi incrementando la corsa degli stantuffi o il loro diametro. Il vantaggio, pertanto, nelle attività industriali fu subito evidente, tant'è che Polibio in un suo brano, ricorda il diffondersi di un mantice diverso dal tradizionale 19 l, alludendo quasi certamente al suddetto.

Una verifica in tal senso, del resto, si può cogliere nell'attività siderurgica svolta in alcune tribù primitive, dove l'aria necessaria alla forgia è insufflata tramite un mantice costituito da due canne di bambù o di legno, munite dj stantuffi sempre dì legno, le cui bielle rigide sono alzate ed abbassate con entrambe le mani, in modo ritmico ad orecchio, mancando un raccordo qualsiasi fra le due. Dispo sit ivo che ricorda, sia pure in modo rozzo, la pompa di Ctesibìo che se ne discosta non tanto per l'essere di bronzo. quanto per montare coppie di valvole automatiche e, soprattutto, il bilanciere.

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374. Mantice a doppia vescica manovra ta da due aste Va considerato un ra~saggio intermedio tra il mantice a soffietto e quello a stantuffo

375. Bassoriclivo indiano raffigurante 1·impiego del mantice a doppio stantuffo. 376-377. Rudimentali mantici a doppio stan tuffo in uso presso alcune popolazion i primirvc del sud est asiatico.

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ARMI PJ\Ev.MATICHE

Per assurdo che possa sembrare, la più remota modalità balistica adottata per scagliare proietti implicava l'impiego dell'aria compressa. Prima ancora della roteante fionda, del tlessibilc arco semplice e, forse, persino della zagaglia, la specie umana, e non solo lei, imparò a colpire un bersaglio ravvicinato con un getto di saliva o con un leggero nocciolo, espellendoli con un violento sbuffo d'a1;a dalle labbra

Un principio infonnatore estremamente semplice, nella sua essenzialità, ma estremamente complesso da sfruttare in modo efficace, da trasfonnare cioè in un'arma o in un utensile . ln un contesto storico imprecisabile alcune etnie ci riuscirono, realizzando un propulsore, sofisticatissimo nella sua apparente ingenuità, perfettamente congrno al contesto d'impiego. Per uscire dal generico si tratta della cerbottana, una sottile canna dalla quale viene espulso un piccolissimo dardo, tramite un violento sbuffo emesso dai polmoni del tiratore. Quanto sia complessa lo suggerisce la linearità della canna lunga circa 3 m; la perfetta tenuta del dardo, conseguita con esili guarnizioni e, non ultimo, la sua letalità immediata, ricava dal curaro. Ad eccezione di quest'ultima peculiaiità, nella cerbottana sono presenti tutti i criteri dell'arma da fuoco: un gas che si espande istantaneamente in una canna, un proietto aderente alla sua anima che viene accelerato, e una punteria per traguardo. L'espansione, tuttavia, non essendo esito di una istantanea combustione, come per la polvere pirica, non consente di includerla fra le anni da fuoco ma soltanto fra quella ad aria compressa. 20l

Dal punto di vista etnologico la cerbottana si reputa il più recente congegno di lancio individuale ma non un'arma da lancio, essendo la letalità del suo proietto, peraltro l'arma propriamente detta, esito non dell'energia residua dell'impatto ma del veleno di cui è intriso. Il che obbliga a posticipare l'avvento di un'anna funzionante ad aria compressa fin quasi all'età moderna, per l'esattezza alla prima metà del XVll secolo, nonostante sia esistita e abbia funzionato una balista azionata dalla spinta dell'aria compressa.

BALISTA A MOLLE D'ARI A

L'etichetta di balista a molle d'aria calza ottimamente ad una singo lare macchina da lancio, inventata e costruita da Ctesibio, dal momento che non può considerarsi una vera arma ad aria compressa, in quanto non v'era alcuna emissione di aria. In altri termini,

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378-3 79. Costnizionc cd utili zzo del la cerbottana presso alcune popolazioni del sud-est asiat ico.

380. Fucile ad aria compressa detto 'a vento' del XVIII sec.

38 1 Stampa ottocentesca raffigurante le prove di tiro di un cannone ad aria compressa.

378 379 380 A
283 ...i. a
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l'aria certamente si espandeva ma non nella canna dell 'a rma, né peraltro veniva a contatto, in qualsiasi modo. con il proietto, né, infine, era aspirata dal1'esterno prima della compressione, per esservi scaricata subito dopo l'espansione. In quanto tale l ' arma sarebbe da definirsi adiabatica. piiva cioè di scambi gassosi con l 'estemo: e che tale fosse lo dimostra la totale assenza del boato che, altrimenti, si sarebbe dovuto manifestare all'istante del lancio. Nessuna menzione di un qualunque botto o scoppio, effetti acustici che se mai prodotti, per l'epoca, sarebbero risultati persino più temficanti del tiro stesso. 211

L'aiia che agiva nel motore dell'anna, compressa o espansa che fosse, era sempre la stessa già immagazzinata nei cilindri inizialmente. Forse veniva reintegrata, di tanto in tanto, ma durante l'uso variava soltanto il suo volume di prima e dopo del lancio , esattamente come varia quello di una molla elicoidale ali' interno di un respingente ferroviario, prima o dopo dell'urto!

Perfettamente consapevole di ciò Filone di Bisanzio, nel II secolo a.C. 22 i , descrivendo l'anna nella sua opera Belopoica, la definì balista a molle d 'aria, conoscendone il funzionamento della coppia di cilindri muniti di stantuffi , ulteriore conferma delle ampie potenzialità d'impiego che l'invenzione di Ctesibio permetteva. Dopo la pompa a doppio effetto, il sifone antincendio e l'organo, infatti, è la volta di un'arma: minjme le modifiche al solito congegno cilindro-stantuffo.

Tn pratica resi ciechi i cilindri, eliminando qualsiasi foro di sfogo, e solidali fra loro gli stantuffi fissandoli insieme, il propulsore della balista era pronto. Per la verità sarebbe bastato anche un solo cilindro, ma in tal caso per attingere il giusto vo lume, avrebbe dovuto avere un diametro e una corsa alquanto maggiori, difficile all'epoca da realizzare con analoga precisione. Crite1io informatore dell'arma, la certezza della assoluta elasticità dell'aria, che venne esposta con la logica e la tem1inologia vigente. Pertanto se l'aria è definita come ::,piri/o, il suo vo lume iniziale è ricordato come grandezza del vaso, e la fase di espansione successiva alla compressione, si ricorda quale desiderio dello stato originario!

Arcaicismi e approssimazioni che non contribuiscono alla facile interpretazione della descrizione, senza però impedirla una volta presa confidenza con il gergario. Si comprende così il riferimento a due coppie di cilindrici di bronzo coassiali, nelle quali il diametro interno del maggiore coincide con quello esterno del minore, per una lunghezza sostanzialmente simi le. In

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382. Ricostruzione virmale del gruppo motore della ba lista pne umati ca di Ctes ib io.

383. Rilievi planimetrici ortogonali della balista di Ctcsib io realizzati in b ase alla descrizione fattane da Filone di Bisanzio.

384. Ricos1ruzionc virtua le della bal ista ad aria co mp re ssa.

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pratica , due cilindri con due stantuffi di uguale lunghezza, tutti fusi da una accurata matrice di cera.

Filone precisa che i cilindri propriamente detti. vennero dapprima martellati esternamente per esaltarne la resistenza e quindi alesati internamente, col trapano, e lucid ati. Quanto agli stantuffi ne ricorda la precisione geometrica garantita dal tornio esaltata dalla lucidatura. Dal momento che per quanto minime siano le tolleranze non bastano a impedire perdite di compressione, il ricorso ad apposite guarnizioni è inevitabile: Filone ne ricorda, infatti, due, una collocata sulla bocca dei cilindii ed una sulle teste degli stantuffi, in modo da bloccare qualunque fuga d'aria. Erano ottenute con un abbondante strato di colla di pesce, che manteneva un'elasticità gommosa anche da secca.

Proseguendo nell'esposizione Filone ricorda che durante le prove Ctesibio, con un vigoroso colpo di mazzo la , fece scendere di scatto lo stantuffo nel cilindro. Fattolo uscire osservò stupito che la sua guarnizione interna aveva preso fuoco! Né lui, né i suoi epigoni, fin quasi ali 'ingegner Rudolf Diesel, potevano sapere che un gas sottopos to ad una rapida compressione si riscaldava così fortemente. Nessuno nel II secolo a.C., pertanto, aveva sufficienti nozioni per descrivere un prodigio simile senza averlo personalmente visto! Che poi tale effetto fosse congruo alle potenzialità tecnologiche dell'epoca lo si evince dall'esistenza, presso alcune etnie primitive del sud est asiatico, di un singolare accia1ino pneumatico. Formato da una canna di legno nella quale penetra una sorta di stantuffo, anch'esso di legno, al quale viene fissata un'esca, abbassandolo di scatto lo si estrae con l'esca in fiamme. 23 ) La violenta compressione ba provocato la combustione! Impossibile accertare, oggi, se tra le due macchine vi sia stato nel remoto passato un qualche tramite culturale.

Dal fenomeno, pertanto, se ne ricava la veridicità del racconto, la probabile pressione che attingeva l'aria nei cilindri e, implicitamente, le loro dimensioni. Che con le ovvie ri serve, infatti, lasciano supporre per i cilindri un diametro d'una decina di centimetri per circa mezzo metro di lunghezza. Quanto alla conformazione, sappiamo da Filone che vennero fusi uniti alla base, in modo che formando un unico corpo fossero solidali alle sollecitazioni.

Completatene la la vorazione, i due cilindri siamesi con i rispettivi stantuffi, furono fissati sotto il fusto della balista, tramite delle cerchiature di ferro. La disposizione accennata sembra trovare una sua convalida nell'osservazione di Filone, circa la notevole somiglianza di siffatta balista con un organo. Un giunto, ve -

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rosimilmcnte dentato, venne applicato al piede d'entrambi gli stantuffi. non a caso ricordato come ::occolo. Quale che fosse consentiva ai due bracci dell 'anna, simili per grande approssimazione a quelli della catapulta a molle di bronzo, di farli entrare nei cilindri. Inev itabile il solito ven-icello di caiicamcnto, con il solito scatto ad arpione oscillante: Filone non lo ricorda minimamente confennando perciò la conclusione!

Forse per la sua complessità, forse per la sua improba manutenzione, forse per il suo costo eccessivo non iisu ita che la balista pneumatica abbia riscosso vasto successo. Trovò probabile adozione sulle navi da guerra, graz ie alla sua assoluta immunità all'acqua; non può, però. escludersi che rimase una semplice cmiosilà tecnolo gica.24 \ Discorso antitetico in ambito scientifico: quella strana balista, infatti, suscitò sin dal debutto una vas ta curiosità che, col tempo, lungi dall'esaurirsi fuù per trasfo1marla in una sorta di leggenda.

L'ARIA COME SUPPORTO: LE TELECOMUNICAZIONI

MISENO ERA IL TROMBETTIERE D EL LA NAVE DI ENEA,MA NON ERA UN MUSICISTA COME, DEL RESTO, NON LO ERANO NEMMENO I TA.J'HI SUONATORI DI CO RNO, DI TUBA EDI BUCCINE DELLE LEGIONI ROMANE SJ TRATTAVA 1N TUTTI I CASI DI SEGNALATORI, DI MILITARI c1ot PREPOSTI ALLA TRASMISSIONE DAPPRlMA FRA NAVE E NAVE E POT SUL CAMPO D I BATTAGLIA IN SEGUlTO JL SISTEMA VENNE PARZIALMENTE ADOTTATO ANCHE IN ABITO CIVlLE.

Nel regno animale i rappo1ti tra viventi sono spesso sanciti da suoni, versi caratteristici e co n venz ionali, emessi dalle varie s peci e. Nel caso dell'uomo assunsero lentamente la forma di parole, dapprima poche quindi sempre più numerose per descrivere quanto cadeva e accadeva sotto i sensi, o elaborava il cervello. La comunicazione, pertanto, ebbe subito come suo 1igido limite il ristretto raggio di percezione di quei suonj: i1malzandone il volume lo si poteva ampliare, ma di molto poco e comunque mai, e nella migliore delle ipotesi, oltre il breve orizzonte visivo. Il ricorso a strumenti sonori capaci di emissio ni acustiche notevolmente maggiori fu presto utilizzato, dai più semplici ai più sofisticati: iJ comune criterio informatore fu che fossero in grado di far vibrare l'aria, ovvero di produn-e rumo1i o suoni di gran lunga più inten si di quelli umaiù.

Le vie prescelte appaiono diverse, ma possono, sia pure per ampia schematizzazione, ridursi a un paio: stmmenti

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a percussione, in cui remi s sione s caturisce dalla battitura di vari elementi lignei o metallici, quali il gong, il tamburo o il tam-tam; strumenti aerofoni nei quali , invece, s caturisce dalresaltazione della vibrazione prodotta dalla espansione dell'a1ia in apposite cavità, quali ad esempio comi, conchiglie e tubi metallici, da cui comi e trombe.

Ovviamente se la portata si incrementava sensibilmente la intelligibilità si 1iduceva persino di più: un suono capace di percorrere chilometri non si prestava ad essere modulato come le parole. Il rullare dei tamburi, dei tam tam o il rimbombo dei comi, risultava in sostanza unifonne , per cui I' infom,azione da trasmettersi dove va inevitabilmente essere binaria: affem1ativa se si udiva il suono negativa nel silenzio: ben povero il messaggio! Dosando emissioni e pause tornava possibile aggiungere significati ulteriore fra quelli di una 1istretta gamma. li vertice delle potenzialità delle trasmissioni acustiche sembra, ed il condizionale è d'obbligo, che sia stato attinto da Alessandro il Macedone. con un singolare corno, il cui suono era percepito tino a 20 km di distanza! 2si

Forse una leggenda, forse un esito straordinario ottenuto in condizioni ambientali ultra propizie, diffici le accertarlo mancandoci soprattutto il silenzioso contesto ambientale. Del tutto impossibile, invece , anche il so lo tentare di capire in cosa potesse consistere il progetto, propostogli da un abitante di Sidone, per realizzare un sistema di comunicazioni rapido , capace di allacciare per intero il suo immenso impero. Per la velocità prospettata della diffusione dei segnali non fu creduto e la vicenda finì lì.

Le segnalazioni acustiche non scomparvero ma restarono in uso, sia pure con entità ridotte , proprio presso gli eserciti essendo le uniche in grado di essere percepite da moltitudini in qualsiasi circostanza, vuoi nel corso della battaglia, vuoi durante la notte maga1i nel sonno Basti pensare al riguardo che definiamo ancora oggi un segnale che svegli la nostra attenzione a/fanne, ovvero con il grido di correre alle armi , che seguiva l'antico segnale acustico. Lo stesso mit ico Faro di Alessandria era munito di ante s ignane sirene azionate dal vento, che lo rendevano anche udibile a distanza sul mare.

L'esercito romano istituì degli appositi specialisti e un minuzioso codice per il sistematico impiego dei segnali acustici emessi con trombe e buccine. Da quei repa1ti derivarono col tempo i complessi musicali militari , che ogni grande unità si pregia di avere.

Simile per mol t i versi l'impiego dei segnali ottici, che verosimilmente derivò concettualmente dai predetti. Anche con essi si poteva trasmettere un semplice segnale w1ifo1me la cui variabilità era data dal l 'esserci o meno.

288

385.

a C.

386- 390. Suo natori di corno e tromba s u bassoril ievi d i età imperia le

387. Gong.

388 Dettag li di tro mbe militar i romane. tuhae.

389 11 co rn o d i A lessandro in un antica stampa.

385 3 86 388 387 389 390 289
Suonato ri di càmy x dal calderone di argento di Gundcsm1p, Danimarca. I scc

Di notte con il fuoco e di giorno con il fumo: molto maggiore la portata ma sostanzialmente identica la limitazione e per conseguenza la necessità d'una sia pur rozza codificazione. Sappim110, ad esempio, che Agamcm10ne trasmise da Troia, appena espugnata, un segnale a fuoco che, rilanciato nella notte da ben tredici postazioni intermedie, notificò alla moglie a Micene, il positivo esito nel giro di poche ore, innescando così la sua feroce vendetta Omero, ne tramanda l'episodio ed Eschilo ci fornisce nella tragedia Agamennone. l'esatta collocazione geografica di tutti quegli antesignani ripetitori. 261

Col tempo, tuttavia, si studiarono molti espedienti e varie soluzioni per incrementare la portata dei segnali.

I Romani raggiunsero risultati talmente ragguardevoli che alcuni studiosi suppongono che: "/ "olganizzazione militare riuscì a realizzare, mediante torri di segnala::ione, la più importante rete di comunicazione di tutta l'antichità. Roma riusciva a comunicare, grazie a queste torri, con altre 1200 città e presidi della penisola italiana. con altrettanti centri strategici della Gallia, con 300 città nella penisola iberica e con 500 in Asia attraverso una rete il cui sviluppo complessivo raggiungeva hen 60.000 Km".m I ruderi di tali torri sono ancora abbastanza numerosi da garantire, se non altro, la verosimiglianza della ipotesi.

Esaminiamo, secondo il solito criterio della successiva ampia adozione in età contemporanea, alctme delle miglio1i soluzioni escogitate ed impiegate, nelle telecomunicazioni in aria del mondo antico.

TORRETTE SEMAFORICHE

Plinio, trattando della forma e delle dimensioni della terra, descrive anche la relatività dell'orario. In altr i termini anticipa la concezione dei fusi orari e la dimostra servendosi della lunga linea di to1Terte semaforiche. turris Hannibalis, funzionanti lungo la costa iberica. Osservava, infatti, che un breve dispaccio lanciato loro tramite verso ponente, e che correva in sostanza lungo un parallelo, raggiungeva il capolinea con un tempo notevolmente minore di quanto impiegava nel ve rso opposto! Assodato che le velocità erano uguali al pari delle distanze, la sola spiegazione implicava una diversità dell'orario locale, causata dalla apparente rotazione apparente del sole. Ed essendo la differenza in questione di circa 12 ore, quali che fossero stat i i tempi di rilancio di ciascuna torre, la linea doveva attingere una ragguardevole estens ione , anomala per un mero dispositivo di difesa costiera.28l

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391-393. Ricos truzioni di torrette semaforiche romane lungo i limes.

392. Roma Cole>nna Traiana , dettaglio della raffigurazione delle torrette semaforiche lungo il Danubio. Il sec. d C. 394. Modello di epoca romana di torretta ~cmaforica

291 391 392
393

interessante. inoltre, osservare che nella definizione di turris Hannibalis non si deve leggere l'inventore del sistema, di scarsa reputazione per la mentalità romana, ma il fruitore, ovvero il nome dell'autorità che ne aveva deciso l'impianto o che se ne avvaleva, nella fattispecie i I condottiero cartaginese. Dal momento che per i Romani la definizione di t11rris si applicava ad ogni struttura a prevalente sviluppo verticale, d'impiego militare o civile, non possiamo di stabilire con certezza le connotazioni precipue di tali torri. Plausibile che essendone il criterio informatore analogo a quello adottato lungo il limes del Danubio, anche le torrette fossero simili a quelle scolpite sulla Colonna Traiana di cui, l'archeologia ha recuperato le dimensioni di base, circa 5x5 m, nonché gli interassi, fra i 600 ed i 1000 m. Se così fosse ne sapremmo pure la modalità di trasmissione, poiché in diversi pannelli della Colonna, se ne coglie, magari implicitamente, il funzionamento.

Dal punto di vista operativo, infatti, l'adozione d'una balconata che, al primo piano, gira su tre lati della torre ma è accessibile da un unico vano sul lato volto verso l'interno del limes, ci suggerisce una interpretazione del loro impiego. 291 Dunque la torcia che sta sistematicamente raffigurata davanti al s uddetto vano, può essere spostata lungo la balconata a destra o a sinistra della stessa torre. Frapponendosi però il suo corpo, quando a sinistra non può essere vista da destra e quando a destra da sini stra . In pratica la torcia che in posizione di riposo era visibile da entrambe le direzioni. improvvisamente scompariva per una di esse, notificando così l'avvio della trasmissione nel senso opposto. In altri termini. il segnale di una torre poteva viaggiare in una precisa direzione, per un limitato numero di torri fino a quella reputata capolinea, destinataria del segnale e collegata con le forze di pronto contrasto. Si spiega così il perché dell'utilizzo del primo piano e non di una terrazza in copertura. più alta e più visibile.

La polarizzazione del segnale. e la sua duplice natura diurna e n otturna, confermata da covoni di paglia per il fumo e dalle cataste dì legna per il fuoco, è la prova della esistenza d'una rete telegrafica militare d'ampia estensione e complessità, nonostante la rozzezza del segnale. Sappiamo tuttavia di altri sistemi di trasmissione, forse impiegati insieme al suddetto, di uno dei quali, almeno, abbiamo una laconica descrizione e una allusiva immagine.

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395-396. R icostruzione virtu ale di torretta semaforica romana ùc l I- li scc. e denag l io della stessa sulla Co lonna Traiana
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TELEGRAFIA AD ASTA

LA SUA COMPARSA Cl RICORDA LA RIVO LU ZION E FRA NCESE, NON FOSSE ALTRO C H E PER LA RIE VOCAZIONE NEL CELEBRE ROMANZO IL CONTE DT MONTECRISTO: PER CUI È DIFFICILE IMMAGINAR E CHE QUALCOSA 01 MOLTO SIMILE VENTVA GlÀ SISTEMATICAMENTE USATO DAI R O MA N I PER L E CO M UN ICAZION1 A DISTANZA. LA SUA TNVENZlONE DEVE COMUNQUE RELAZIONARSI ALLA PRATl CA NAVA LE , CO!vfE INNUMEREVOLI RAFFIG URAZIONI CI CONFERMANO: UN'A STA A POPPA, QUALCHE VOLTA A PRUA, PER lNVIARE CON [L SUO MOVIMENTO PRECIS E IND1CAZ l0Nl ALLE U NITÀ VICINE.

Di gran lunga più valido il dispositivo appena menzionato da Vegezio Flavio, nel suo trattato dj arte militare. Così le sue parole:"Aliquanti in castel forum, aut urbium turribus appendunl trabes: quibus aliquando erectis. aliquando depositis indicant quae gerentur". 301 Brano che tradotto alla lettera ricorda che:"alcuni sui caste//; o sulle torri urbiche collocano delle travi, con le quali tenendo/e a volte pe1pendico lari a vo lte orizzontali. indicano quanto succede". A suo dire, quindi, sulla sommità di alcune fortifica z ioni o s u apposite torri isolate delle città, stavano spesso collocate due travi, capaci di ruotare intorno ad un fulcro. Facendole assumere ora la posizione verticale ora quella orizzontale, si riusciva a trasmettere cosa stesse accadendo. L'idea, di per sé, non può ritenersi una grande novità riproducendo il sistema adottato sulle navi da guerra e tramandato in numerose raffigurazioni. ma lo diviene per la sua trasfonnazione in impianto fisso a terra. La s ua validità è dimostrata dal telegrafo Chappe, più noto come telegrafo ad aste, che iniziò a collegare in Francia tutte le città dal 1792 , avviando l'epoca delle telecomunicazioni.

Sebbene di Vegezio Renato Flavio s appiamo ben poco, si ritiene, in base ad alcuni suoi riferimenti impliciti, che sia vissuto nella seconda metà del TV seco lo d.C. o, forse, nella prima del V. Quanto espone, pe1tanto, va considerato più una rievocazione del passato che una descrizione del presente. L'esercito che lui tratteggia è quello dell'apice dell 'lmpero e non quello ormai raffazzonato e al declino della sua età. Sensato, perciò, concludere che le soluzioni tecnologiche militari da lui ricordate, debbano collocarsi diversi secoli innanzi, forse persino prima dell'istituzione dell'Impero. Il che indun·ebbe a retrodatare notevolmente quel singolare dispositivo di teletrasmissione , che di sicuro giocò un molo non inilevante nelle vicende militari e sociali di

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397. Roma. C I zionc .d o onna Traiana ·cvi cnzia ta <f• rat11guras1t 1vo teleor r,•un probabile d.

398 , o a 1co ad ast ispo__,99 -4 00 a. Ch li Lclcorar appe. ent rato · "'.' 0 ad as ta d '700 ,n servizi I • • 111 diverse s t· o su finire del ampc coeve. 400

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Roma, come del resto numerose implicite allusioni lasciano ipotizzare.

In pratica va osservato che le aste, 1icordale come travi, risultavano visibili a diversi chilometri di distanza, forse fra i 5 ed i 1O in condizioni ottimali di limpidità dell'aria e su sfondo omogeneo come la superficie del mare. Probabile che l'adozione di un tubo fissato nella muratura di una tone ne facilitasse la visione, senza incrementarne però la portata. Con una accorta manovra delle travi, simili forse a vessilli o labari di 5 -6 m, mutandone indipendentemente l'inclinazione a scatti di 45° per volta, si riusciva a far corrispondere ad ogni posizione m1a lettera dell'alfabeto. Possibile, perciò la trasmissione letteraria e con relativa rapidità di un breve dispaccio. Disgraziatamente la mancanza del cannocchiale, obbligava ad impiantare le torrette su alture, od emergenze litoranee, per esaltare la leggibilità del segnale. C01motazione che ne lascia ipotizzare l'impiego soprattutto in marina, forse anche fra le stesse navi. Del resto, considerando che per ogni stazione occonevano due o tre uomini, una linea di 200 km ne avrebbe richiesti un centinaio, entità non esagerata se finalizzata al collegamento tra Roma e le sue basi navali. Forse fu proprio alla linea di Miseno che si collegò la villa di Tiberio a Capri 3 n, riuscendo così ad avere infonnazioni quotidiane da Roma durante i dieci anni della residenza dell'imperatore.

Purtroppo l 'iconografia romana evitava ritraJTe qualsiasi macchina o congegno specialmente quando d'impiego militare: per una singolare eccezione, tuttavia. qualcosa in merito si 1intraccia, oltre alle menzionate immagini navali, qualcosa che non potendosi interpretare in nessun a ltro modo deve per forza ritèrirsi ad un impianto telegrafico ottico siffatto. Sulle spire della Colonna Traiana, in un pannello marginale si vede una torre, vistosamente circolare, sulla cui copertura si ergono, ve1ticalmente, due aste parallele di rilevante lunghezza. Non si tratta di montanti di una scala a pioli, assurda per la co llocazione, né di telai per graticci o schennature lignee, inutili per l'eccessiva ristrettezza della toJTe, né di orditure per una copertura, impossibili per l'altezza.

Unica e sola spiegazione convincente è che la torre fosse il basamento di un telegrafo ottico e la coppia di aste le famose due travi ricordate da Vegezio per la trasmissione dei dispacci. La stretta affinità, fonna le e funziona le, con il telegrafo ad aste dei fratelli Chappe traspare pienamente confrontando il bassorilievo con alcune stampe ottocentesche di to1Ti cilindriche, ad ibite a supporto del telegrafo ottico o appositamente costruite per la rete francese.

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40 I Ricostruz ione virtuale del d ispositivo tclegrarico ad aste descrillo da Vege7-io Flavio.

402. Le Bocche d i Capri. s uperate da un collegamen to ottico di epoca imperiale. In primo piano i mderi di Villa Jo,,is di Tib erio

401 297
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TELECOMUNICAZIONI MOBILI

I SISTEMI DI TEL ECOMUNICAZ IONI ESAMINAT I HANNO DELfNEATO ALCUNI SISTEMI DI TRASMISSIONE DI MESSAGGI, CODIFICAT I O IN CHIARO, A GRANDI DISTANZE MA SEMPRE TRA STAZIONI FISSE. UNA SERIE DI RTNVENTMENTI ARCHEOLOG ICI HA FATTO IPOTIZZARE ANCHE L'ESISTENZA Dl TRASMISSIONI MOBlLEFJSSO, OVVERO TRA NAVI DA GUERRA IN CROCIERA E BASE. AWENIVA CON I COLOMBI CUSTODfTl IN APPOS ITE COLOMBAIE PORTATILI, COME ANCORA SI FARÀ /ELLA il GUERRA MONDIALE.

PO STA AEREA

Stupisce non poco osservare, una volta squarciata quella coltre di silenzio, come con mezzi estremamente elementari fossero conseguiti gli stessi risultati che implicano oggi apparecchiature di rilevante complessità. Le navi in crociera che quotidianamente comunicavano alla base la situazione, lo facevano liberando semplicemente alcuni colombi viaggiatori, dei tanti che trasportavano per tale scopo a bordo in adeguate celle. Alla ve locità media di una sessantina di km/ h, il met odico vo latile è capace di percorrere in una solo giornata anche 1000 km, orientandosi perfettamente in modo da rientrare alla sua abituale colombaia. Capacità che venne recepita sin dalla più remota antichità e messa opportunamente a servizio delle operazioni militaii?2>

L'archeologia pompeiana ci ha restituito un discreto numero di massicce piastre frontali di terracotta per colombaie portatili, forse così realizzate per semplicità costruttiva e facilità di pulizia. D'altro canto, non avrebbe alcru1 se nso immaginare quei reperti per uso terrestre essendo tipica ed economica la co lombaia 1icavata con quattro mattoni. Che le principali basi navali dell'antichità fossero sistematicamente dotate di torri colombaie lo conferma, tra l'altro, la pem1anenza di tale designazione per costruz ioni particolarmente antiche, per tutte la torre di Trapani, detta appunto la Colombaia. 331 Va infine osservato che l'impiego di piccioni viaggiatori in ambito mi litare ebbe vasto seguito ancora nelle prima e nella seconda guerra mondiale, al punto che fino a pochi decenni or sono, allevarli richiedeva un apposito pem1esso!

B LOCCARE L'ARIA: LE LASTRE DI VETRO

La produzione del ve tro in epoca imperiale subì degli straordinari progressi, in particolare per quanto concerne la soffiatura, come è attestato anche da Plinio. La facilità di lavorazione consentì, da un certo momento in poi di

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299 404 10 20 40 centimetri 407

soddisfare esigenze fino allora inimmaginabili soprattutto nel settore dell'edilizia. Ne scatu1i una vastissima gamma di prodotti che anelava dagli oggetti domestici a quelli artistici, dai pezzi industriali a quelli tecnici, primi fra tutti le ampie lastre di vetro per gli infissi delle abitazioni.

Fino a non molti decenni or sono l'esistenza di lastre di vetro nelle finestre delle abitazioni romane. anche delle più sontuose, non veniva presa molto sul serio. Se mai esistita la si considerava piuttosto una eccentricità del prop1ietario che una diffusa presenza. Gli scavi di Ercolano e di Pompei, invece, hanno dimostrato che l'adozione di lastre era prassi corrente sia che fossero realizzata direttamente di vetro sia di pietra speculare, ovvero di mica.

Classico il caso della veranda della Casa dell ' Atrio ad Ercolano, insula IV n°1-2. 34 l In dettaglio si è potuto accertare che un settore dell'ambulacro 01ientale, che aftàcciava su di un elegante giardino, era coperto da una tettoia con travi di legno e chiuso da un telaio verticale sempre di legno ma a rettangoli, nei quali stavano inserite le lastre di vetro. Queste, ovviamente, avevano dimensioni relativamente ridotte, comprese fra i 40 ed i 60 cm di lato, attestandosi i reperti pervenutici su di un modulo standard di circa cm 51 x 45 , con una colorazione verdastra e un approssimato parallelis mo delle facce.

Oltre che in te lai di legno, le lastre di vetro erano non di rado montate anche in telai di metallo e mantenute in sito da apposite borchie di bronzo. ln alcuni casi furono montate in telai interamente di bronzo, capaci di consentire la totale chiusura di vasti vani e , in diverse circostanze, persino degli intercolumni di un peristilio.

La stessa tecnica degli infissi vetrati era usata p Ltre per la costruzione di sene, alcune delle quali sonoricordate mobili, grazie ad apposite carrelli. Plinio e Colurnella ci hanno tramandato la passione dell'imperatore Tiberio (14-37 d.C.) per i cetrioli: per procurarseli in qualsiasi periodo dell'anno si avvaleva di una ingegnosa serra, decritta dallo stesso Colurnel la. In linea di massima consisteva in un carrello a quattro ruote, di discrete dimensioni, forse m 2.0 x 1.4: all'interno delle sponde, per una decina di centimetri di spessore vi era deposto il terreno; una ventina di centimetri a l di sopra stavano collocate le lastre di vetro, sorrette da un apposito telaio. A seconda delle condizioni atmosferiche il carrello - serra veniva spostato e collocato nella posizione migliore per le piante.

Plinio, a sua volta , tramanda una struttura vetrata fissa al cui riparo stavano collocati diversi carrelli , concettualmente simili al precedente sebbene più piccoli. Secondo il tempo venivano estratti e lascia t i ali 'aria aperta o lasciati nella loro trasparente protezione. S ia il primo che il secondo esemplare di serra mobile, serviva per accelelare la crescita dei cetrioli.

300

408. Lastra di vetro piana per finestre. da Ercolano.

409. Ercolano, ruderi della Casa del1·Atrio c ricostruzione della sua veranda vetrata.

410-412. Ercolano serre mobili vetrate desc ritte da Plin io.

411. Oggettistica in vetro di epoca imperiale romana, rinvenuta ad a Ercolano.

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I MOTORI DEL LO

STATO AE RI FORME

COME PIÙ VOLTE EVIDE!\'ZIATO IL PRIMO MOTORE fN ASSOLUTO FU LA VELA O, PER MEGLIO DIRE, QUELLO CHE VENIVA USATO COME TALE NELLA FATTISPECIE UN RAMO CON FOGLLE, PELLI O STUOIE. IN SEGUITO Sl PERFEZIONARONO E DIVERSIFICARONO, FORNENDO cosi UNA SERIE Dl SPUNTI PER TRARRE ANCHE A TERRA UN UTILE LAVORO DAL VENTO. fORSE FURONO LE RUOTE TIBETANE PER LE PREGHIERE I PROBABILI ARCHETIPI DEI MULINl AFGANI, CHE COSTITUISCONO IL DEBUTIO DEL MOTORE ROTANTE.

Con notevoli probabilità le rozze ruote per preghiere tibetane mosse dalla mano, furono l'ancestrale prodromo del motore primario. 35 l Seguì, con discreto ritardo, il mulino afgano che ne costituì il debutto, perfezionando sotto molti aspetti la medesima idea, fino a fornire un sia pm modesto lavoro. li loro awento si deve supporre immediatamente successivo alla corretta percezione della forza dinamica del vento, che in quelle regioni è facilmente ve1ificabile. Tuttavia affinché dalla mera sensazione di strattonamento, si passasse a un impiego prati- co mediante un adeguato organo di presa. occorse un tempo lunghissin10, la cui estrema conclusione coincise con il dissolversi della preis toria.

Nel sanscrito si rintraccia l'aggettivo tur-as ed il verbo tur-ami, col significato rispettivo di veloce e di affettarsi. Implicito il senso dinamico della radice tur, recuperata dal latino prima e dall'italiano poi, acquisendo un significato più stringente di moto veloce e vorticoso, di spostamento rotatorio, precipuo dei cicloni e dei gorghi: turbine, tornado tormenta, perturbazione e, per analogia figurata, turbamento sinonimo di una irnprowisa e radicale inversione dello stato d'animo. La stessa radice si rawisa anche in rurbante, co l riferimento all'awolginlento intorno a l capo di una striscia di tessuto!

La turbina, che ben concretizza in meccanica quanto delineato etin1ologicamente, prima di chiamarsi così fu a lungo semplicemente definita ruota a pale o, in relazione al suo impiego prioritario, mulino. In quest'ultima accezione. da intendersi precisamente come il motore di una macchina destinata a macinare, si dovette ben p resto specificare se a vento o ad acqua, per restare alle due con-enti naturali Solo in epoca recent issima saranno sostituite da fluidi liquidi o gassosi, estrema filiazione della origi naria bipartizione, obbligando perciò ad una migliore definizione.

Per restare all'arcaica ruota ad asse verticale e pale verticali può cons iderarsi una macchina abbastanza comp lessa

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atta ad intercettare r energia cinetica del vento e, in seguito. del l'acqua. Un albero azionato da tante leve: alle spalle del congegno l'equiparazione di quelle crnTenti ad una spinta mate1iale, prodotta nell'aria da invisibili ed instancabili mani. capaci di fomire un propizio aiuto. A lungo, infatti. lo si sfruttò soltanto per attizzare il fuoco, per asciugare i panni, per cernere i cereali o per seccare i cibi.

M OTORJ PRIM A RI: LA G IRANTE AFGA~A

Forse fu proprio osservando il moto delle foglie turbinanti nell'aiia che si comprese la potenzialità dinamica del vento, p1ima ancora dell'acqua . Quasi certamente, infatti, tra le prime applicazioni vi fu una rozza stuoia utilizzata per spingere le piroghe su tranquille lacune, evento avvenuto secondo complessi calcoli intorno al IV millen1ùo a.C. se non prima ancora. Nel giro di circa un millennio quel medesimo criterio infonnatore trovò impiego anche in terra, appunto nel mu lino a vento afgano o persiano. Ma, solo dopo una lunga trafi la di nùglioric , dal primitivo congegno si passò ad un mul ino, certamente ancora molto rndimentale, ma funzionante in man iera efficace. Que l fo ndamentale salto tecnologico dovette compiersi all'alba del li millennio a.C. in Mesopotanùa, come alcune allusioni del codice del grande Harnmurabi 36 l, sembrano suggerire.

Sulla sua celebre stele di basalto nero, infarti, si menzionerebbero delle mote a vento impiegate per in-igare i campi. Improbo tentare di appurare la coru1otazione tecnica d i quelle remotissin1e macclùne. plausibi le però, che non differissero sens ibilmente dai primitivi mulini a vento ad asse verticale tipici dell' Afganistan, della Mesopotanùa e della Persia. Di essi, sebbene 1'01igine si perda nella notte dei tempi, abbiamo perfetta conoscenza dal momento che molti esemp lari continuano ancora oggi a macinare il grano e sempre negli stessi siti. Come accennato, l'archetipo della nutrita tipologia ad asse vertica le, constava di un albero, con l'estremità inferiore fissata in una macina orizzontale di pietra e munito nella parte opposta di alquante stuoie, disposte a raggiera e fungenti da pale.

Tale primitiva girante veniva collocata in un apposito edificio, sulla cui sommità due travi ravvicinate, formando un approssimato ceppo per l 'estremità superiore dell'albero, ne permettevano la rotazione. Una antichissima fonte così descriveva quei mulini: " .. hanno otto ali e stanno dietro due pilastri tra i quali il vento deve spingere un cuneo. Le ali sono montate veriicalmente su un palo verticale la cui estremità inferiore muove una macina che ruota sopra un 'altra sottostante". 371

l due pilastri for mavano, in realtà, una fessura larga poco meno del raggio della girante, attraverso la quale penetrava iI vento, costante per gran parte del l'anno. Gra-

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zie a quella so11a di convogliatore, soltanto una pala per volta era spinta dalla coJTcntc, unica condizione per provocare la rotazione den ·albero.Nei mulini più esposti al vento si appl ieò alla feritoia una robusta persiana a listelli mobili, fungente da saracinesca di regolazione. Dalla pa11e opposta, la fuoriuscita del vento avveniva attraverso un vano svasato, che per la sua pa11icolare conformazione evitava il fonnarsi di dannose turbolenze. Ovviamente né allora né in seguito gli ingegnosi costrnttori del sofisticato sfogo ne compresero la ragione, limitandosi a utilizzarne i vantaggi sulla rotazione.

Dal punto di vista funzionale lo schema di siffatti mulini risulta identico a quelli manuali, nei quali il grano era tritmato tra due dischi di pietra, fisso l'inferiore e rotante il superiore. Tramandava un'altra fonte più recente che:"nell 'Afganistan tutti i mulini a vento sono mossi dal vento del nord e quindi orientati in questa direzione. Tale vento è molto costante in quel paese e sojfìa con maggior costanza e più.forza durante l'estate. Applicate ai mulini a vento vi sono delle.fìle di persiane che vengono chiuse o aperte per trattenere o immetrere il vento. infatti se questo è troppo.forte la farina bmcia e diventa nera e la stessa macina può sun-isca/darsi e guastarsr·.38)

Il desc1itto mulino eolico ad orientamento fisso, non si avvaleva di alcun cinematismo né di alcun riduttore dentato, peculiarità che nonostante l'infimo rendimento, ne spiega la longevità, forse la maggiore nell'ambito della storia della tecnologia.

Si conosce un secondo tipo di mulino a vento ad asse verticale reputato più del precedente di stretta derivazione dalle ruote delle preghiere azionate dal vento, tipiche dell' Asia centrale. TI suo debutto, pe11anto, rimonterebbe alla metà del I millennio a.C. Grazie alla collocazione invertita della girante, fissata sotto la macina, non solo risultava più razionale dell'altro ma non richiedeva neppure supporti per l'albero e triturava con maggiore pressione.

Il vetusto modello afgano, che in modo imprecisabile raggiunse l'Europa nell'età antica, non vi scomparve del tutto neanche in età moderna. Lo si 1itrova, infatti, in un disegno redatto da Girolamo Veranzio del 1595, peraltro puramente teorico. La sua vera novità, e forse il suo maggior apporto, consiste in alquante pale fisse, della stessa altezza di quelle rotanti. Disposte con un preciso angolo, avrebbero dovuto convogliare sulle seconde il flusso d'aria, sempre con la medesima incidenza indipendentemente dalla direzione del vento.

L'idea, che non conobbe nei secoli successivi alcun impiego, 1icomparve però nella turbina Francis, dove una corona di pale fisse dirigono altrettrmti, violentissimi, getti d'acqua sulle pale della girante. esaltandone il rendimento.

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413

413. Batteria d i ruote tibetane per preg h iera az io nate a mano.

414. Ruota tibetana portati le per preghi era.

415. Tu rb ante.

416-4 17-4 18 Ricostn1zione virn1ale, ruderi e ri li evi planimetrici o rtogonali del m ulin o afgano . 417

414 415 416 305
4 18

NOTE

1-Cfr R.J. FORBES. L'uomo.fa il mondo, Torino 1970, pp 47-48.

2 -Cfr. P LODTGTANI, Barche tradizionali italiane, Milano 1992, pp. 13 - 26.

3-Cfr. A.MONDTNI. Storia della tecnica, vol. I Dalla preisroria , ci t. , pp. 154- 173.

4-Cfr. U.TRT PTCCHIO, Arte e tecnica nal'Gle. Napoli 1975, pp. 169- 194.

5 -Cfr. V.FOLEY, W.SOEDEL. Antiche nm·i da guerra a remi. in Le Scien::.e n° 154, 1981, pp. 95-106.

6- La citazione è tratta da A. CHERlN l , Archeologia della vela dalla quadra alla latina, versione elettronica http: //www w e bali c e .it/che rin/Nasci ta del la ve la. Al rigua rdo cfr. P.DE LL'ORCO, Remote origini della vela latina. in Rivista Marittima, gennaio 1978 .

7 -Da L. R USSO, La rivoluzione cit., pp. 153 - 154.

8-Cfr. VG.CIULDE, L'alba della civiltà europea, ristampa Torino 1973, pp.20-4 1.

9-Sulla figu r a di Archita, cfr. B G I LLe Storia delle tecniche , cit., pp. 172-174.

10-Cfr. R.MARTTN, Architeflura greca. in S!Oria universale dell'architettura. Architettura mediterranea preromana, Venezia 1972, pp. 193-214 .

11-Cfr.F.RUSSO, 79d.C. rotta su Pompei c it.,pp. 126- 152.

12-Cfr. PLINTO Tl, 234, 7, che tradotto:'' il mare .in generale. viene ca lmato ragion per cui i sommozzatori ne espeL!ono con la bocca. per cui atlenua l'agitazione e restituisce la visibililà . .. .._ La prat ica di gettar e o li o sul mare per attenuarne il moto ondoso s i r iscontr a a ncora nel secolo scorso; quanto alla visibilità magg iore così ottenuta deve supporsi una conseguenza del lo smo r zars i del mo to ondoso.

13-Sulla figura e l'opera di Konrad Kyeser cfr. B GILL E, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento, Varese 1972, pp. 63- 77.

14-Cfr. M.LSALVAD0Rl (a cura di), La Storia. La Grecia e il mondo ellenistico, Novara 2007, voi. II, pp. 44 4-453

15-La citazione del brano di ARISTOTELE, Problemara. è tratta da h ttp://www.abo u tus .Org/Po rtal :subacquea

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16-Da V.L.GROTTARELLL I trasporti e gli sca mbi, in Ethnologica cit., voi.li, pp 647-652

17-Da SENOFONTE, A11abasi, traduzione F.FERRARl, Milano l 995, lib. 111, 5 , pp 209- 211.

18-DaANONIMO, De rebus hel/icis. Expositio asrngejj,ri. cit.. pp. 28 - 30.

19-Cfr. POLIBIO, Historiae, XXI, 28. 15.

20-Cfr. V.L.GROTTARELLl. Le armi , in Eth11ologica , c:it.. voi. II. pp. 196-204

21-Cfr. E.BRAVETTA. L ·artiglieria e le sue meraviglie. dalle origi11i.fìno ai 11os1ri giorni, Milano 1919, pp . 51-60.

22 -La BELOPOEJCA di filone è stata tradotta in inglese e pubblicata da E W.MARSDEN, Greek and roman artillery. Technical ireatises, New York 1971, pp. I 06- 182.

23- Cfr. V.L.GROT TARELLI, La produzione del jùoco, in Ethnologica ... ,cit., voi. II , pp. 391-392.

24- Cfr.F. R USSO, Tormenta navalia , c i t., pp. 106-117.

25- Cfr. AA. VV., Le trasmissioni del/ ·esercito , cit., p. 8.

26- AA.VV., Le trasmissioni de/l'esercito ... .. cit., pp. 6-7. La notizia riportata da Omero v iene dettagliata da Eschilo nella sua tragedia Agamennone.

27- AA.VV., le trasmissioni de/l 'esercito cit , p. 12

28- Cfr. G.PLINIO SECONDO, Storia naturale , lib . lll, 73.

29 -Cfr. F.R U SSO, 79 A .D. , Coursefor cil., parte seconda.

30-Da F.R.VEGEZIO, L 'arte militare, lib. lll , 5.

31-Cfr. C.SVETONIO TRANQUILLO, Le vite dei dodici cesari, traduzione di A. Vìgevano, Milano 1972, p. I 07, lib. lll, 63.

3 2 -Cfr. F.RUSSO 79 A. D. Coursefo,: , cit., pp. 86-89.

33-Cfr. F.RUSSO, la d[/'esa costiera del Regno di Sicilia da l XVI al XIX secolo. Roma 1994, voi.I, pp.87-94.

34-Cfr. M.PAGANO (a cura di), Gli scavi di Ercolano, P om pei 2003, p 67.

35-Cfr. L.WHlTE jr, Tecn ica , cit., p. 15 l.

36-Cfr. P.JAMES, N.THORPE, li libro delle , ci t.. pp. 400-402.

37-R.J. FORBES, L ·uomo , cit., p 107.

38-R.J. FORBES, L uomo , cit , p. 107

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PARTEQUARTA -FUOCO-

La scoperta del fuoco in qualsiasi modo sia avvenuta segna il passaggio della vicenda umana dalla jàse meramente animale a quella inteilettiva. Con il jì,oco s'infrangeva l'oscurità e si contrastava il freddo : nel primo caso si diveniva padroni dell'altra metà della giornata, nel secondo di tu/li gli ambiti geografici dal clima troppo rigido. Un ampliamento del tempo e dello spazio. che a sua volta innescò una serie di ulteriori mutazioni: la fiamma intorno a cui ci si scaldava o si trascorreva una parte della notte, era l'ideale catalizzatore per lo scambio di notizie, per l'emulazione di soluzioni vantaggiose. per ulteriori conoscenze. E la luminosità del/afìamma consentiva pure quei viaggi che la notte invece scoraggiava. Si poteva anzi aiutare chi si spostava sul mare, con dei falò ben visibili da lontano, che testimoniavano la terra; ma si poteva pure in qualche modo comunicare con quelle luci, superando distese marine altrimenti invalicabili. Lo farà Agamennone per comunicare la sua vittoria a Troia, preparandosi inconsapevolmente la morte. Ma lo faranno ancora meglio i Tolomei su di un isolotto dinanzi ad Alessandria, dallo strano nome di Pharos: diverrà la più famosa e suggestiva infrastruttura navale. Ilfiwco e il mare, una lotta che vede sempre soccombente il primo anche quando sarebbe invece auspicabile il contrario. Ma qualcuno, quando Roma era ancora una repubblica, inventò una torcia che l'acqua non solo non riusciva a spegnere ma/orse addirittura accendeva!

Il fuoco sul mare divenne la massima manifestazione bellica, essendo la maniera più rapida per distruggere il naviglio nemico. Dal che lanciafìamme rudimentali ma efficaci che erano in sostanza dei colossali cannelli ferruminatori azionati da grossi mantici Ma anche sifoni, simili con buona probabilità a quelli impiegati per lanciare getti d ·acqua sugli incendi, che lanciavano invece getti di liquidi incendiari detti pirofori, capaci in alcuni casi di accentuare la loro combustione a contatto con l'acqua. Forse, però, quello che più stupì gli antichi dando vita ad un vasto campionario di ragioni per dubitarne nei moderni,fu il jùoco che gli specchi ustori di Archimede accesero sulle navi romane.

Gli specchi fi1rono senza dubbio tanti, non necessariamente esagonali e non certo di vetro: forse furono gli scudi tirati a lucido a concentrare con precisi comandi la luce del sole in un unico punto! Stranamente anche oggi molti specchi concentrano la luce del sole in un unico punto: si chiamano centrali eliotermiche.

Un passato che ritorna per rendere meno improbabile il futuro!

STATO DEL PLASMA

DAL FUOCO AL PLASMA

La temperatura che può considerarsi anche il livello d'agitazione delle molecole costituenti la materia. ha come minimo la loro stasi completa, definita per convenzione zero assoluto, ma non ba un massimo. Pertanto, se intorno ai I 000 C 0 si ha l'emissione di luce, intorno ai 5000 C 0 la materia è ormai un aeriforme luminoso. Superati i 6000 C 0 tutti gli atomi hanno perso i loro elettroni per cui, oltre a emettere luce , sono anche fortemente ionizzati: tale condizione fu definita, a partire dal 1923, del plasma. In sostanza inizia con la rossa fiamma per giungere alla azzurra luce dei fulmini, corrispondente a circa 30.000 C 0 1 l

Dal punto di vista fisico l'uso sistematico del fuoco e la sua padronanza nelle varie applicazioni costituisce la presa di possesso della prima fonna di energia naturale disponibile. Grazie ad essa tornava possibile intervenire su molteplici processi produttivi, in precedenza magmi noti parzialmente ma non per questo discrezionali. E tornava possibile anche mitigare il rigore del clima, 1iscaldando il piccolo ambito esistenziale, e le tenebre della notte.2i

Anche in questa elementare schematizzazione gli effetti immediatamente percepibili del fuoco sono due, la luce e il calore. In quanto tali conobbero adozione fin dalla più remota preistoria, al punto che il loro utilizzo consapevole definisce il passaggio fondamentale della specie umana dalla condizione di mero animale a quella di essere intelligente. Appresi i rudimenti del suo impiego si susseguirono pure le esperienze per tentare di esaltarne quei due esiti, in modo di poter così allargare vi1tualmente lo spazio e il tempo vivibili, sconfiggendo il freddo e le tenebre.

Nel corso dei millenni successivi alla padronanza del fuoco seguì quasi come owia conseguenza la scoperta e la lavorazione dei metalli, prodromica a sua volta di una serie clj potenzialità tecnologiche straordinarie. Innumerevoli le applicazioni pratiche alcune delle quali persino casalinghe. Tal i furono ad esempio i sistemi di 1iscaldamento domestici, i sistemi di illuminazione privata e pubblica, i sistemi di segnalazione a distanza e di teletrasmissione. Molti di essi hanno lasciato una esplicita traccia ed una chiara menzione archeologica, come ad esempio i primi e i secondi, di alni invece non disponiamo di sufficienti riscontri diretti e di indubbie indicazioni letterarie. Fonti oscure, certamente, ma non per questo mute e del tutto prive di attendibilità.

311 419

Quale che fu l'evoluzione dell'impiego del fuoco le sue potenzialità, presero presto a diversificarsi in molteplici aspetti, dapprima connessi con l'alimentazione, poi con la coltivazione, infine con la produzione dei metalli. Ma già in precedenza si era avuto modo, magari incidentalmente e poi volutamente, di verificare la capacità distrnttiva del fuoco. Significativamente quando il ferro assurse a metallo della gue1rn per antonomasia il fuoco ne divenne il suo inseparabile complemento!

ACCENSIONE DEL FUOCO

SPESSO ED A GIUSTA RAGIONE VIENE CELEBRATA LA SCOPERTA DEL FUOCO COME LA TAPPA BASILARE DELL'EVOLUZIONE UMANA. IN REALTÀ PIÙ CHE LASCOPERTA FU LA SUA PADRONANZA A SANClRE TALE AVVTO, QUANDO ClOÈ SI RIUSCÌ AD ACCENDERLO E A GOVERNARLO. PER SECOLI, FORSE ADD[RJTIURA PER MJLLENNl, ST SARÀ SEMPLICEMENTE UTILIZZATO QUELLO

DNAMPATO SPONTANEAMENTE, PRTh,fA DI FARLO SCATURfRE CON LE SCINTILLE, CON L'ATTRITO E CON IL SOLE. ARCHIMEDE SI DEDICÒ ALLO STIJDlO DELLA CONCEN1RAZJONE DEI RAGGI IN UN PUNTO, NON A CASO

DETTO FUOCO, IN CUI LA TEMPERATURA ATTINGEVA VA -

LORI ALTISS1Ml. f ORSE INCENDIÒ LE '-'AVI ROMANE SOTTO SIRACUSA CON DEGLI SPECCHI COMPOSID. DI CERTO ALCUNI SECOLl DOPO l ROMANI ACCENDEVANO

lL FUOCO E CAUTERIZZAVANO LE FERITE CONCENTRANDO I RAGGI DEL SOLE CON DELLE LENTI SFERICHE.

ACCIARINI OTTICI

Che la forte percussione di pietre silicee generasse scintille fu subito evidente, dmante la loro lavorazione tesa a ricavarne lame; che le stesse potessero accendere un'esca molto secca, fu in breve risaputo. Alquanto più recente la constatazione che le scintille, scaturite dalla percussione di un oggetto di ferro sulla medesime pietre, erano più idonee per grandezza e densità, alla accensione dell'esca. Ma solo in un contesto storico notevolmente più avanzato si inventò un metodo completamente diverso per conseguire quel risultato, basato sull'impiego di sfere di vetro. Forse fu la constatazione degli effetti dei raggi del sole attraverso un recipiente di vetro, o di una sfera di cristallo di rocca.

Tornando per un momento alla produzione del vetro, già esaminata per vari aspetti inerenti la ricerca, oltre alle produzioni di tipo industriale per l'edilizia, di tipo civile per i vari contenitori di uso quotidiano e di tipo artistico per oggetti di ragguardevole pregio,

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420-422. Un lluido ad a ltissima temperatura. sia prodotto da una scarica elettTicu che da una v iolenta ossidazione ha delle caratteristiche fisiche del rutto particolari. a cui è s ta to dato i l nome di stato del plasma. In pratica il quarto stato di aggrcgazi{mc della materia.

421. Percussori e sc hegge silicee utiliz/,a tì per produ1Te scinti ll e per accendere i l lì.loco.

423. Lente d'ingrandimento rinvenuta a Pompei. Con sfere di cristallo e con lenti simil i i Romani sapevano accende re il fuoco.

420 421
422 313
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se ne conosce pure una di nicchia, che non sarebbe esagerato definire di tipo scientifico. Ovviamente fu di entità modestissima, ma ancora una volta, per quanto già precisato, appare per noi importantissima in quanto premessa di attuali produzioni di massa. 3 > Fra queste, ad esempio, i prismi di c1;stallo , di straordinaria precisione e regolarità, usati per scomporre la luce nei colori dello spettro: per l'epoca una variante a domicilio dell'arcobaleno!

Sono affiorati ancora dei piccoli vetri di più curiosi, rotondi leggermente convessi, capaci di fornire una immagine ingrandita: in breve vere e proprie lenti d ' ingrandimento, nelle pienezza del significato. I medici militari solevano cauterizzare le ferite con una spessa lente o una sfera di cristallo di rocca, concentrandovi sopra i raggi solari. La conferma la si trova in Plinio che scrivcva:"invenlo apud medicos, quae s in! urenda co;porum, non a/iter utilius uri putari quam cristallina pila adversis apposita solis radiis ". 4l Ovvero: " ho scoperto che, tra i medici si crede non esistere miglior sistema di cauterizzare le parti del corpo [ferite] che impiegando una sfera di cristallo posta in maniera da essere attraversata dai raggi del sole ."

Lenti del genere sono state ritrovate in varie regioni dell'Impero ed anche a Pompei. Le più spesse, servivano senza dubbio per uso medico, ma quelle più sottili furono necessariamente impiegate proprio come lenti da vista , per consentire la visione ai soggetti anziani e, soprattutto, agli incisori. Assurdo, infatti, immaginare l'esecuzione dei microscopici castoni e cammei, tanto ammirati dai Romani e frequenti fra i reperti pompeiani , non disponendo di tale sussidio! Senza contare, inoltre, che l'abilità artistica si conseguiva con l'incrementarsi dell'età , esattamente al contrario dell'acutezza visiva!

Del resto è abbastanza noto l'impiego di qualche filtro di smeraldo, classico quello usato da Nerone, per riposare gli occhi o forse per coJTeggere qualche difetto visivo. Forse, e si entra nell'ambito delle ipotesi meno suffragate, lenti del genere vennero applicate anche ad alcune diottre, rendendole molto più precise, grazie all'avvicinamento vi1tuale di quanto traguardato. In alcuni manoscritti di epoca medievale, sono raffigurati astronomi che scrutano il cielo attraverso un tubo, che:"si è deciso che dovesse tratta,:çi di tubi vuoti. Ruggero Bacone nel V libro de11 '0pus Majus parla con entusiasmo della capacità degli 'Antichi· di ingrandire gli oggetti piccoli e di avvicinare quelli lontani con opportune comhinazioni di lenti Prima [di lui] la possibilità di usare i.fenomeni di rtfrazione per costruire microscopi e can-

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11occhiali era stata lucidamente esposta da Roberto Grossatesta.'>5) Per l'esattezza, come in precedenza già citato, aveva scritto che era possibile far sembrare vicini oggetti lontani e, a discrezione, grandi oggetti piccoli. Era una precognizione paranormale del cannocchiale e del microscopio con quasi quattro secoli di anticipo, o non piuttosto 1'estre ma rimembranza con quasi quattordici secoli di ritardo, di quanto effettivamente realizzato! Per tornare a Pompei tra le altre singo larità è stato, inoltre, ritrovato un esemplare di lente assolutamente eccezionale, sebbene cti minuscole dimensioni. Si tratta di w1 perfetto ellisse con l'asse maggiore di cm 2.3 e quello minore di 2, montato su di un supporto di bronzo al quale è fissato con due perni filettati di pochi millimetri. Già queste due insignificanti viti, costituiscono un sofisticato prodotto della tecnologia dell'epoca, non essendosene ritrovate altre simili. Ma lo stupore maggiore, deriva dal constatare che sul vetro ellittico e convesso, vi è dipinto da un lato un ritratto di ottima fattura e ragguardevole fedeltà. Ora, ponendovi dietro la fiamma di una candela o di una lanterna, sarebbe stato possibile proiettarlo su di una parete bianca, realizzando una mdimentale lanterna magica! 6l

Sensato concludere che si trattasse appunto di una so11a di antesignana diapositiva o di un sistema per rendere visibile, perché ben ingrandita dalla convessità del vetro e dall'illuminazione posteriore, l'anacronistica diapositiva.

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424
424. Prismi di crista ll o di rocca di straordinaria precisione esecutiva, utilizzati per scomporre la luce e rinvenuti a Pompei.

FUOCO MARINO

l BIZANTINT CHIAMARONO COSÌ UNA LORO MISCELA PIROFORACAPACEDIBRUCIAREANCHE SOTTO ACQUA O, ADDIRITTURA, ACCESA DALL'ACQUA. P ER TALE TERRIFICANTEPROPRIETÀLAIMPIEGARONONELLA

GUERRA NAVALE, DA CUT LA DEFINIZIONE. Q UALCOSA DELGENERE, TUlTAV!A, CONOBBERO GlÀ MOLTI SECOLI PRIMA ANCHE I ROMANI, OWERO DELLE CANDELECHEIMMERSENELTEVEREO NON SI SPEGNEVANO O, APPUNTO, SI ACCENDEVANO!

LA CANDELA ROMA NA

La definizione di candela romana è relativa ad un particolare fuoco di artifizio, di largo impiego per la sua semplicità, che produce scie luminose capaci di innalzarsi ad alcune decine di metri. Nel passato sembra che siano stati i Tartari i primi ad impiegarle. come ordigno bellico. ricavandole da canne di bambù svuotate e riempite a strati alterni di polvere pirica e di materiale incendiario, per lo più palle di stoffa impregnate di nafta. L'effetto era appunto una emissione continua, simile al getto di fuoco di un piccolo lanciafiamme. Tuttavia l'attribuzione di tale ordigno ai Romani, o più genericamente a Roma. potrebbe non essere del tutto gratuita e, forse, nascondere una diversa origi ne , almeno come archetipo o criterio inf01matore.

Non vi è, infatti, alcun dubbio che l'esercito romano avesse anni, o per lo meno proietti di tipo incendiario, e che ne facesse sistematico impiego sia ne gli investimenti ossidionali, sia in scontri campali, sia soprattutto nella guerra navale. Miscele incendiarie di varia potenzialità e violenza ne esistevano quindi numerose; molto meno noti , invece, i metodi usati per il loro innesco e per evitarne un troppo facile spegnimento. 11 che indurrebbe a una più ampia ricerca, relativa ai probabili catalizzatori della reazione di ossidazione.

In parole povere, estendere l'indagine agli esaltatori della combustione, capaci non solo di velocizzarla ma anche di consentirla negli ambiti fisici altrimenti ostativi. Tra questi, in particolare, suU 'acqua o sott'acqua: fiamme perciò capaci di bruciare anche se abbondantemente cosparse di acqua o addirittura immerse! Di queste ultime, si sa di un curioso esempio tramandatoci da Livio, che lo accenna, senza la benché minima meraviglia, in un rito orgiastico del 186 a.C. Così il brano:" matronas Bac harum habitu crinibus sparsis cum ardentis.facibus dec urre ad nherim , demissasque i11 aquam Jètces , quia uiuum sulpurcum calce insit, integraflamma efferre ... ". 7l

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Dunque stando alla citazione. l'episodio-che per inciso diede 01igine ad un senatoconsulto sui Baccanali dal quale scaturì un severissimo contro l lo de i misteri bacchici, già ampiamente diffusi ad opera della sacerdotessa Annia Pacu la in Campania ed in Etruria - aveva questo svolg imento . Nel cuore della notte, numerose matrone più o meno invasate. o molto più probabilmente ubriache, raggiunta la riva del Tevere immergevano nel la sua acqua delle singolari lorcc impregnate di calce e zolfo, e le ritraevano fiammanti. Dal che delle due l'una: o le torce erano già accese prima dell'immersione o lo divenivano in conseguenza della stessa, agendo l'acqua da innesco della reazione di ossidazione, come più tardi si dirà del.fuoco greco!

In entrambi i casi il fenomeno non può ascriversi alla semplice presenza di zolfo e calce viva ma implica reagenti più sofisticati, g l i stessi che andranno a far parte appun to del fuoco greco e, verosimilmente, ancora prima di giochi pirotecnici del tipo della candela romana. Sensato supporre che alcuni decenni dopo i Romani disponessero di l iquidi pirofori per uso bellico di notevole efficacia.

gavc origin to a senale consult on the Bacchanals and consequent severe monitoring of the Bacchic mysterics. al ready widcspread by the priestess Annia Pacula in Campania and in Etruria - took piace as fol lows. ln the middle of the night, numerous matrons who were more or less possessed, or more likcly drunk, went to the shores of the Tiber and therein immerged special torchcs impregnateci with lime and sulphur, retrieving them aflame. Either the torches were already ignited prior to the immersion or lhey became so as a consequence of the imme r sion, with the water acting as the ignition factor promoting oxidation, as will later be said of Greekfire!

In both cases the phe nomenon cannot be anributed to the simple presence of sulphur and quicklime, but imp l ies more sophisticated reagents, the same that wiJI later be used in Greek fire and, even before that, for the pyrotechnical effects of the Roman candle. Logica! to suppose that a few decades later the Romans would bave highly effective pyrophoric liquids to use in warfare.

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425 425. Candela romana. 426. Donna romana con torcia accesa. 427. Moderna torcia capace di bruciare sott'acqua. 426 427

LANTERNE A VENT O

SULLA COLONNA TRAIANA È RAFFIGURATO CHIARAMENTE TRAIANO SU Dl UNA NAVE DA GUERRA CHE RECA SOSPESA A POPPA UNA LANTERNA: FORSE SJ

TRATTAVA DI UN FANALE DI NAVIGAZIONE FORSE DT

UNA LANTERNA PER lL PILOTA: Dl CERTO ERA CAPACE

DI FUNZIONARE ANCHE CON IL VENTO E CON LA PIOGGIA LANTERNE DEL GENERE GIÀ DA TEMPO SI ERANO

DIFFUSE DAL MONDO MARITTIMO A QUELLO TERRESTRE, TANT'È CHE A POMPEI NE SONO STATE RlTROVATE ALCUNE rN PERFETTE CONDLZlONI, PRONTE A FUNZIONARE DT NUOVO.

Le case romane e peggio ancora quelle greche, anche quando di notevole lusso non disponevano d'adeguati impianti per l'illuminazione notturna, di significativa portata. Tn pratica i mezzi usati per disporre di un minimo di luce di notte si riducevano soltanto a tre: piccole lucerne a olio, candele di sego e lanterne ad olio, in grado di resistere al vento per una apposita schermatura di vetro . Questo ultimo tipo fu verosimilmente una derivazione di quelle utilizzate sulle navi da guerra e negli accampamenti. cioè in ambiti in cui era indispensabile un impiego prolungato e una ampia resistenza al vento ed alla pioggia.

L'archeologia pompeiana ce ne restituito un discreto numero, perfettamente sim i li a quelle raffigurate sulla Colonna Traiana, a bordo delle navi militari Constavano di un contenitore di bronzo, formato da un basamento e da un coperchio sollevabile su delle sottili guide. All'interno, fissato al fonde llo, un serbatoio per l'olio combustibile, simi le ad un calamaio, da cu i fuoriusciva il lucignolo. Lungo il bordo del fondello vi era una scanalatura destinata a ricevere il vetro, uguale a quella de l coperchio per lo stesso scopo. Per accenderla si sollevava quest'ultimo e, dopo aver ripulito il vetro, si dava fuoco al lucignolo, regolandone la lunghezza in modo da ottenerne una maggiore o minore luminosità. Dopo di che si abbassava il coperchio, e una volta incastratovi il vetro, se ne bloccavano i fermi.

A quel punto la lanterna poteva essere sospesa tramite la catena a l suo supporto ed alla sua altezza, in grado di funzionare anche con forte vento. Questo tipo di lanterna, ad eccezione della sostituzione dell'olio con il petrolio, restò in uso fino alla metà del secolo, e sopravvive ancora come lampada d'emergenza.

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428

428-430. Lucerne ad olio romane. 429. Rlcostrnzione virtuale di lanterna a VClllO

431. Ramgmazionc sulla Colonna Traiana e reperti rinvenuti ac.l Ercolano, della stessa lanterna a vento.

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430

J FARI DELL' ANTJCHlTA'

COME PER MOLTE ALTRE IN VENZIONI NON FURONO I

ROMANI A CREARE lL FARO: AD ALESSANDRIA NE

VENNE ERETTO IL PRIMO PER LA VOLONTÀ DEI TOLOMEI, RITENUTO UNA DELLE SETTE MERAVIGLlE DEL MONDO ANTICO. I ROMANI PERÒ SEPPERO COSA FARE

DI QUELLA SUGGESTIVA JNVENZIONE DAL MOMENTO

CHE LE LORO NAVl PERCORREVANO CONTINUAMENTE

LL MEDITERRANEO: RICAVARNE UN FONDAMENTALE

AIUTO PER T PILOTI. SEBBENE I FARI ANCORA ESISTONO E FUNZIONANO LL COMPITO DEI LORO PROGEN ITORJ ERA BEN DIVERSO.

Fuoco PER ESSERE VISTI: I FARI ROMA NI

Per quanto siamo in grado di stabilire sul finire del LV secolo d C., i fari romani ancora funzionanti lungo le coste dell'Impero, ammontavano ad oltre 400. Tutti in buona sostanza traevano origine dalla leggendaria torre eretta sull'isolotto di Pharos dinanzi Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico, assurta a.faro per antonomasia. La grande costruzione, voluta da Tolomeo Sotere e terminata dal figlio Tolomeo Filadelfo sul finire del III secolo a.C., ebbe già in fase di progetto, ascritto a Sostrato di Cnido, un 'ambigua destinazione, indicando ai naviganti il porto ma anche, e soprattutto, lo splendore della dinastia. Una sorta di emblema della sapienza che si irradiava dalla sottostante e altrettanto mitica biblioteca.8l Dal punto di vista architettonico il faro alessandrino si articolava su tre sezioni, ben distinte e di dimensioni e altezze decrescenti, insistendo su un vasto zoccolo quadrato di pietra, con torri minori ai vertici. La sezione di base è ricordata a h·onco di piramidale quadrata, alta un sessanta metri per trenta di lato. Ali 'interno un corpo di fabbrica ottagonale che sovrastava il precedente di una buona metà. Fra le due una doppia rampa ad elica, forse impiegata per il trasporto della legna da ardere . Sopra il corpo ottagonale un tamburo cilindrico, alto a sua volta una decina di metri, lungo il cui bordo, svettavano le co lonne che sostenevano la copertura conica, sonnontata dalla statua di Nettuno, al cui interno stava collocato il grande braciere della lanterna.

L'enorme fiamma ardeva, perciò, fra quelle colom1e e ne fuoriusciva attizzata ed agitata dal vento, risultando ben visibile fin quasi ad una sessantina di chilometri. Secondo alcune fonti. intorno al braciere stavano collocati specchi rotanti, per orientare la luce emessa

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432-434-435. Il faro di A lcssandria riprodotto. nclrordine: su di una moneta. in un mosaico cd in una lanterna di terracotta.
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433. Raffigurazione musiva del faro di Ostia.

dalla fiamma, come in ultima analisi nei fari moderni. Ma il paragone fra le due similari costruzioni è corretto'? I rispettivi compiti sono effettivamente equiparabili, da l momento che la navigazione notturna era all'epoca insignificante?

1 mercantili. infatti, cabotavano senza mai perdere di vista la terra, per cui al calare delle tenebre gettavano l'ancora nella prima insenatura, per ripartirne all'alba. Certamente un faro così potente come quello di Alessandria tornava utilissimo alle navi, che varcavano il Mediterraneo facendo rotta per la città. Ma nel III sec. a.C. tali navi erano così scarse, persino d'estate, da non giustificare la colossale opera e, meno ancora, la sua onerosa gestione, a legna, ad olio o a nafta che fosse. 9 l

Di ciò si sono sempre resi chiaramente conto i tanti studiosi che ne hanno affrontato il funzionamento: nessuno, tuttavia, ne ha mai indagato la logica sottesa. Anzi, moltiplicandosi nei secoli analoghe strutture, sia pure di formato minore, l 'ovvietà della destinazione sembrò imporsi tacitando qualsiasi riserva. Per cui nessun dubbio che i Romanj, presa confidenza con il mare iniziassero a dotare di fari i maggiori approdi. Eppure anche i loro mercantili ben d i rado navigavano di notte lontano dal po1io, proprio per gli eccessivi rischi derivanti dalla scarsa visibilità. A cosa gli sarebbe servito un faro e soprnttutto a chi? Non certo ai pescatori che, pur uscendo spesso di notte, si allontanavano ancora meno dalla terra?

Quel che più stupisce é che i mosaici. gli affreschi, i bassorilievi e le monete che ci tramandano i fari romani nel loro contesto portuale, lo rappresentano sempre vistosamente diurno, come si deduce dal fervore del lavoro di carico e scarico delle navi, dal movimento della gente sui ponti delle navi e sulle banchine. dal fondo chiaro delle immagini nettamente diverso da que ll o dei notturni. Su tanta attività svettano le vivide fiamme dei fari: erro re sistematico degli a,tisri o, piuttosto, errore sistematico nostro ne l volerli equiparare agli odierni?

li faro romano che, come delineato 1iuscìva scarsamente utile se non superfluo di notte tornava, invece, utilissimo e quasi indispensabile, di giorno e proprio alle navi di lungo corso che perdevano di vista la terra. In un ce1to senso, si potrebbe concludere che non fu la navigazione in alto mare a richiedere i fari quanto, piuttosto, la presenza di questi a incentivarla! La soluzione del paradosso appena ribadito è nella diversa visibilità dei fari, non mediante la fiamma ma mediante la colonna di fumo che sp1igionava! Essendo la funzione del faro quella di indicare la teITa, quando da bordo non si poteva più scorgere, e non i I porto faci le da trovare una

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volta guadagnata la costa, divenne sensato collocarli non alla loro imboccatura, bensì sulla maggiore altura limitrofa. 10> La nera colonna di fumo, innalzandosi per migliaia di metri, si poteva individuare a distanze non di una decina ma di un centinaio di km!

Pertanto, grazie a quel.fil di.fumo, anche i naviganti che percorrevano le famose rotte trasversali non perdevano mai di vista quell'esile traccia della terra prolungando, perciò, virtualmente il cabotaggio persino dove, per ovvie ragioni, non sarebbe stato possibile. La funzione del faro, col tempo divenne quella rimasta poi immutata fino ai nostri giorni, finendo per essere percepita anche con una valenza simbolica. Il faro che indicava nelle tenebre della tempesta la via della salvezza, divenne il simbolo della fede! Con indubbia coerenza proprio le chiese delle popolazioni che commerciavano con il vicino oriente, per tutte quelle della costa di Amalfi, iniziarono a dotarsi di campanili che erano la riproduzione in miniatura del faro di Alessandria, ancora saldamente in piedi. Quei modesti epigoni ancora si ergono a differenza del mitico archetipo crollato definitivamente nel I 323. Nel 1480 sui suoi ruderi, iJ sultano d'Egitto Quaitbay costruì un f01te, utilizzandone le pietre.

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436-437. Ricostrnzionc vi1tuale del faro di Miseno e della sua lancerna.

Fuoco PER RISCAT,DARE: IL RISCALDAMENTO DOMEST ICO

Chiunque visiti Pompei o Ercolano non può sottrarsi alla sensazione di trovarsi fra i ruderi di una città dal cl ima tropicale, mai raggiunta dal freddo invernale: nella cattiva stagione, tutt'al più, la temperamra si abbassava lievemente! Il che potrebbe essere stato anche vero, coincidendo il contesto storico di quelle residenze con uno dei tanti cicli caldi, avvicendatisi negli ultimi due millenni. Non così. però, in altre regioni dell'Impero, dove la stagione gelida era ben presente. Lì le finestre ebbero i vetri e le case un vero riscaldamento . persino più razionale dell ' attuale . Era in definitiva una variante domestica dell'ipocausto ampiamente adottato nelle terme. Una caldaia, funzionante a legna , produceva una grande quantità d'aria calda fatta circolare, per differenza di pressione con quella fredda, sotto i pavimenti e dietro gl ' intonaci dei muri. Allo scopo apposite colonnine e supporti , detti sospensure, mantenevano sollevato il pavimento, mentre dei mattoni forati, disposti lungo le pareti, detti parietes tubulati e collegati al vano sottostante il pavimento, permettevano al l ' aria calda di sfogare all' esterno dopo aver riscaldato anche i muri.11 >

Ovviamente la temperatura di circolazione dell'aria era relativamente bassa, ma un paio di giorni bastavano per portare l'interno dell'edificio ad un gradevole tepore. La legna non mancava, al pari della mano d'opera per mantenere la caldaia sempre in funzione. Va ancora osservato che con la medesima caldaia si riscaldava pure l'acqua delle tenne domestiche e dei bagni, sfruttandone al massimo la resa , che restava comunque estremamente bassa.

L' AC Q UA C A LD A

NON FU OVVIAMENTE UNA SCOPERTA, A DIFFERENZA

DELLA MANIERA PER SCALDAR LA IN GR.Ai'\JDI QUAN-

TITÀ, PRASSI CHE E BB E ALLE SPALLE LA SOL UZIONE DI UN GRAN NUMERO DT PROBLEMI T ECN IC I, MOLTI

D EI QUALI CONNESSJ CON IL POMPAGGIO E CON LA CONDUZIONE DELL'ACQUA

S ISTEM I DI RI SCALDAMENTO T E RMALE

Come accennato una concezione analoga alla precedente provvedeva al riscaldamento dell'acqua delle vasche e dei locali delle terme romane. Queste, al pari degli acquedotti, pur non essendo una loro precipua

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438. Bracie re pom pe iano a forma di quadriburgum. 439. Brac iere pom pe iano a tripode. 440. Grande caldaia da incasso. da Ercolano. 441 . Fo rn o pe r vivande da Pompei.

invenzione ne divennero una peculiarità distintiva. T Romani andavano alle tern1e non soltanto per fare il bagno e magari ginnastica, ma per passeggiare, per divertirsi , per incontrarsi, per discutere di affari, per mangiare e bere , per assistere a spettacoli e per ammirare opere d'arte. In definitiva , per vivere più intensamente in un ambiente che, come le nostre spiagge, favoriva i contatti e agevolava le confidenzc. 121 Nessuna meraviglia , pertanto che la costrnzione delle tenne, finì per divenire un preciso impegno politico e degli imperatori e dei maggiorenti locali e persino dei privati benestanti. Ed tmo dei primi impegni dei reparti del genio militare, i fabri delle legioni, quando il campo diveniva permanente. Alle spalle degli impianti si coglie un'esigenza igienica e sanitaria non altrimenti appagabile almeno nella fase arcaica. Un impianto, che ci è pervenuto sostanzialmente integro sebbene di medie dimensioni, quello delle Te1me Stabiane di Pompei . garantisce dei precisi riscontri. Sotto il profilo storico è il più antico fra i conosciuti, iisalendo al li secolo a.C.. Le tenue:"divise in due settori, uno per gli uomini e l'altro per le donne, disposti su di un unico asse longitudinale ai lati di una fornace comune. erano estese su una superficie di oltre 3500 mq. compreso l'ampio cortile, porticato su re lati, che serviva da palestra e al quale era s tata aggiunta in un secondo tempo una grande piscina con uno spogliatoio e altri ambienti, abbastanza vasti da potere essere utilizzati per gli esercizifìsici al coperto". 13l Volendo meg lio precisare gli aspetti tecnic i connessi a quei grandi impianti, ne va ricordato innanzitutto l'enonne fabbisogno d'acqua: per le sue terme Agrippa , il fondatore della marina da guerra romana, fece costruire appositamente l'Acquedotto della Vergine, che da Marino immetteva sulle alture del Pincio, circa l 00.000 mc al giorno. Prima però di essere usata l'acqua veniva racco lta in colossali cisterne, che verosimilmente ne stabilizzavano il flusso per quantità e pressione. Pertanto a partire:"da/le cisterne, attraverso un articolata rete di distribuzionefonnata da tubazioni di piombo o di terracoua, l 'acqua veniva immessa nelle vasch e per il bagno .fi-eddo e nella piscina natatoria, mentre quella che doveva essere riscaldata veniva convogliata nel settore deijòrni, donde poi raggiungevo le vasche del bagno caldo mediante tubazioni e derivatori che partivano dalle caldaie. 1/jòmo (hipocausis). che nei primi balnea era spesso sistemato al di sollo dell'unico ambiente riscaldato, era ubicato nella parie centrale de/! 'edifìcio balneare Il combustibile usuale era la legna. che veniva accantonata in speciali depos iti in quantità tali da bastare fino

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442. Saim-Romain-cn Gal , Francia, sistema di riscaldamento ad ipocausto, con colonnine a mattoni sotto il pavimento e tubuli nei muri. 443 -444-445 Rilie v i assonometrici di dettaglio del riscaldamento ad ipocausto 444

ad un mese Le caldaie che servivano al rL,;;caldamento erano generalmente di bronzo, oppure di bron::o nella parte ir!feriore. che era direttamente lambita dalle jìamme, e in lamina di piombo nella parte superiore. Di solito. erano poste entro una <(Camicia» in muratura che ne assicurava la stabilità e al tempo stesso limitava la di5persione del calore. Molto usato il sistema a hatteria, con/ 'impiego di due o tre caldaie nelle quali l'acqua veniva riscaldata a temperali/re diverse

Le stesse caldaie erano tra loro comunicanti per mezzo di rubiforniti di rubinetti, in modo che mano a mano che veniva erogata l'a cqua più calda contenuta nella prima caldaia, essa poteva essere rimpiazzata da quella già tiepida della calda ia vicina con grande risparmio di tempo e di combustibile

Un modo per impedire il raffi·eddamento delle vasche, o per mantenerla a temperatura costante, era quello descritto da Vitruvio che s'avvaleva de/1 'impiego della cosiddetta testudo alvei (lellera!mente 'targatura dei/a vasca '..Jl~l: un recipiente di bronzo semicilindrico, in forma di testuggine. riscaldato dal/ 'esterno, e cioè direttamente dal forno. e appoggiato sul.fondo della vasca con la parte convessa in alto, dal quale il calore passava ail 'acqua in maniera continua ed un{forme".' 5 l

Va osservato che le piscine calde o fredde che fossero erano alimentate con acqua corrente, non essendo in alctm modo possibile depurarla come nelle attuali con filtri e apposite pompe. li che detemlinava un flusso cospicuo di acqua uscente dalle terme, usata per molteplici impieghi a secondo della sua temperatura. In un caso sembra addirittura che facesse funzionare un mulino, confenna della razionalità degli impianti miranti a minimizzare le perdite e gli sprec hi non strettamente necessari.

Quanto al riscaldamento delle sale era realizzato con il sis tema di circolazione dell'aria calda innanzi descritto utilizzando l 'aria calda prodotta dalle caldaie per l'acqua. 446

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446. Ruderi di ipocausto romano di c:poca imperiale.

447. Ercolano. lo spogliatoio femminile ùt:lle Lcrmc.

448. Il grande impianto tennale romano ùi Bath, ancora in funzione.

449. Pompei. la sala del repidarium

450. Le tem1e ùi Stabia: apodyterium. 451. Canna romana per ipocausto.

452. Vasca da bagno domestica in bronzo rinvenuta ad Ercolano. verosimilmente ùa incasso.

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45J sion. 452

IL DOPPIO SAMOVAR DA SALA

Un giro per le strade dell'antica Pompei porrà in evidenza i tanti locali pubblici destinati alla consumazione del vino caldo, variamente miscelato. Ovvio, pertanto, che i ceti abbienti si fossero in qualche modo organizzati per poter gustare la medesima bevanda durante i pasti. Allo scopo provvedeva una sorta di grande samovar, realizzato in bronzo artisticamente decorato e di notevole capacità. Nel corso degli scavi ne sono stati recuperati diversi, tutti in buona sostanza si mili per forma ed equivalenti per capacità. A differenza dei samovar moderni, quelli romani una volta caricati di brace nello scomparto centrale, munito sul fondo di una griglia per la fuoriuscita delle ceneri, potevano venire continuamente rabboccati, tramite un apposto imbuto laterale. La disposizione evitava che particelle di carbone o di brace finissero nella bevanda. ln pratica s i trattava di una grossa anfora di bronzo, la cui capacità deve stimarsi intorno alla quarantina di litri, munita in basso di un rubinetto a spina, analogo alle chiavi d'arresto innanzi descritte. L'estremità inferiore era dotata di tre piedi, che le consentivano di mantenersi verticalmente in modo stabi le. L'estremità superiore, poi, era completamente aperta ed immetteva nel cilindro centrale destinato alla brace con griglia sul fondo, e nella pancia dell'anfora. Un coperchio anulare chiudeva quest'ultima ma lasciava aperto il cilindro, permettendo di integrare con nuova brace quella già inceneritasi e evacuata dalla griglia sottostante

Se il vino era apprezzato tiepido, l'acqua però la si preferiva gelida, condizione che poteva essere soddisfatta soltanto ricon-endo al ghiaccio, conservato per tutto l'anno nelle cosiddette nevaie. Si trattava di va ni sottc1nnei, o anche caverne e pozzi, ubicati in montagna dove durante l'inverno veniva ammassata la neve, che si trasfonnava in ghiaccio compatto conservandosi così anche durante l'estate

Tagliato a pezzi veniva vend uto come refiigerante o come supporto per sorbetti. Nel primo caso, dei pezzi di adeguate dimensiÒni venivano introdotti in anfore del tipo di quella descritta, per abbassare la temperatura dell'acqua.

Si conosce, perché minuziosamente de scritto, un doppio samovar, fatto costruire da un generale romano per fornire ai commensali vino caldo ed acqua fredda. La scelta avveniva ruotando il supporto dei due vasi, collocato su di un perno centrale ad una mensa anulare, fino ad aver il rubinetto desiderato a portata di coppa. 161

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453. Rilievo grafico eseguito in base alle ùcscr izioni per ven uteci de l doppio samovar rotante per acqua fredda e vino caldo.

454 -455. Samovar romano rinven uto in vari esemp lari a Pompei ed Ercolano. fotografato nelle s ue varie eormo taLi oni 456. Spaccato assonometrico de ll o stesso.

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o o

F uo c o PER C O MBATTE RE : SPECC HI UST ORI

Sugli specchi ustori che Archimede avrebbe messo in opera per incendiare a distanza le navi del la flotta romana. che str ingevano d'assedio Siracusa. molto si è fantasticato e, per contro, nulla si è mai riusciti a riscontrare. 11 che ha fi n ito per far re legare la vicenda nell'ambito della pura fantasia, della puerile leggenda. Tuttavia, una s toria così singolare non può inventarsi di sana pianta, mancando il presupposto tecnico indispensabi le. Nessuno né allora né dopo infatti, poteva sapere e, meno ancora per quanto detto. verificare speri menta Imente c he fosse possibile concentrando con degli specchi i raggi del sole accendere alcunché Non avendosi questa conoscenza non si poteva avere neppure la conclusione: ovvio perciò ritenere che qualcosa del genere in realtà venne compiuto. Forse non si trattò di un grande specchio diviso in scomparti esagonali m, ma piuttosto di tanti picco l i specchi, magari i semplici scudi tirati a lucido, con i quali si facevano convergere i raggi da vari punti su l la stessa nave.

E l'archeologia sperimentale questa volta ha dimostrato che. con u n sistema del genere, una nave d i l egno e la sua velatura, prendevano effettivamente fuoco alla distanza di un centinaio d i metri!

Se mai sussista al riguardo qualche perplessità viene fugata dalle modernissime centrali e l iotenniche, ne ll e quali i raggi solari vengono concentrati tramite un gran nWllero di specchi su di un 'unica caldaia, orientati non da accorti serventi ma da puntuali servomotori

IL L AN CIAFIAMME NAVALE DI TUCIDIDE

lL FUOCO rN GUERRA FU IL CLASSICO ALLEATO DEL 1 •

FERRO CHE ENTRAVA IN SCENA PER COMPLETARE LE

DEVASTAZI0Nl rNFERTE DAL PRIMO: SUL MARE lL

RUOLO FU rNVERSO. NAVI DI LEGNO STAGlONATO E

rMPREGNATO DI PECE E DI OLIO ERANO IDEALI PREDE

DELLE FlAMME, DAL CHE LO STUDI O PER AVERE DEI

SISTEMI DI LANCIO ADEGUATl. DI QUESTI QUELLO

DESCRITTO DA TUCIDIDE FU SENZA DUBBIO VALIDO, DIFFONDENDO CON IL SUO IMP[EGO [L PACIFTCO CANNELLO FERRUMTNATORIO.

Scafi di legno stagionato e frequentemente ca lafatati con pece ed olio, risultavano prede ideali per le fiamme. Logico, pertanto, l'ampio ricorso a sostanze incendiarie solide o l.ìquide neUa guerra navale, riversate sulle imbar-

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333 tesca raffi- - ·ca stampa scttccen 4:,7. Anu __ de Ji specchi ustori gurante 1 unp1ego o ~ella difesa di S iracusa. 457

cazioni nemiche da appositi ordigni scagliati da macchine da lancio o da sofisticati proiettori. Tra gli archetipi di questi ultimi Tucidide ce ne descrive uno inventato dai Beoti, nella guerra del Peloponneso, per attaccare il campo trincerato ateniese di Delio. 181 Tl rudimenta le lanciafiamme constava di un tubo di legno rivestito di lamiera alla cui estremità posteriore stavano collegati dei grossi mantici ed a quella anteriore un largo braciere. ln dettaglio stando allo storico:" tagliata in due una grossa trave, la svuotarono tutta e la riadattarono come.fosse un flauto. Ad una estremità per mezzo di catene vi appesero un braciere e posero in esso un tubo di ferro che proveniva dalla trave; ed era ri11/òrzato dijèrro per gran tratto anche il resto della trave. Coi carri la accostarono alle mura da lontano, là dove esse erano costruite soprattutto con le viti e il legname. Quando la macchinafù vicina. introdotti dei grossi mantici alle estremità della trave dalla parte loro vi soflìavano. Con il sofjìo, arrivato violentemente al braciere pieno di carboni ardenti zolfò e pece. fèce sorgere una gran fiamma e diede fuoco al muro, sì che nessuno poté restarvi, ma dovettero abbandonarlo e darsi alla.fuga: in tal modo il muro fu preso ". 19 > In linea di larga massima il congegno descritto, più che un lanciafiamme propriamente detto, deve considerarsi un gigantesco cannello fenuminatorio, del tipo di quelli usati già da millenni dagli orafi egiziani. In quanto tale poteva generare una fiamma dardiforme ad alta temperatura, capace di calcinare persino le pietre delle muraglie e di incendiare, in pochi istanti, ogni struttura di legno

Per la sua semp lice, quanto terribile, efficacia trovò sicuro impiego nei combattin1enti navali, ovviamente con alcune significative ma non stravolgenti modifiche La trave cava divenne perciò una sorta di bompresso sorreggente un grosso braciere ben al di fuori della prua. per intuibili ragioni di sicurezza, che riusciva perciò ad incenerire qualsiasi battello nemico si fosse incautamente lasciato awicinare a meno di una decina cli metri.

Un eccezionale graffito, rinvenuto sulle pareti affrescate della Necropoli di Anfushi 201, presso Alessandria d'Egitto ed attribuito verosimi lmente a un soldato di Giulio Cesare, raffigura una prora di nave da guerra sormontata da una curiosa torre da combattimento. Da essa, infatti, si protende anteriormente un lungo palo che appena più innanzi della prua sorregge un recipiente , simile ad un calderone, da cui si alzano numerose lingue di fuoco. Facile rawisare, pur nell'approssimazione de l graffito, un lanciafiamme del tipo di quello innanzi descritto, debitamente modificato ed alleggerito per renderlo idoneo all'impiego navale, restando all'interno della torre il grnppo dei mantici.

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458
,... mantice t:-.. braciere contenente carbone, pece, wlfo i:· tubo di ferro fissato al mantice d· ltoooo di legno cavo

458. Ipo tesi rest itutiva de l lanc iafiamme di Tucidide in configu razione terrestre.

459. Gratlìto egizia no del I sec a.C., raffigura n te il la nciafiamme d i T ucid ide a p ru a di una nave da gue rra.

460 . R icostruz ione virtua le del la n eiati a m mc nava le di Tuc idide.

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LA POM PA D I VALVERDE

CHE L'INV ENZIO NE Dl C TE SIBIO FOSS E ESTRE MAMENTE VE RSATIL E LO AVE VA PERF ETTAMENTE CAPITO LUl STESSO IMM EDIATA ME NTE : NON A CASO COSTRUÌ

CO N LA STE SSA UN A POMPA PER ATTIN GERE L' AC QUA, PER GETTAR LA SULL E FI AMM E, PER SUONA RE L' ORGANO , PER SCAGLIARE PALL E DI PIETRA E PERSINO PER EFF ETTUARE INI EZ IONI MEDI CHE . N ESSUNA MERAVIGLIA CH E l BIZANTINI ADOPERARONO PROPRI O

QUELLA SUA POMPA PER LA NC IAR E GETTI DI PIROFORI, FORS E BENZINA, SULLE NAVI NEMICHE

IL L ANCIAFIAMME DI CTESIBIO

Sul finire del XIX secolo nelle profondità dì una antica cd abbandonata min iera romana spagnola. ubicata a Huelva Valve rde non lontano da Barcellona, fuscoperto un incredibile reperto. Si trattava d'un s ofisticato meccanismo in bronzo, un congegno in perfetto stato di conserva z ione , costituito di due cilindri coi relativi stantuffi e valvole , di una cassetta anch ' essa cilindrica munita di due valvole e d i un lungo tubo, capace di rnotare di 360°, recante alla estremità un nebuli zzatore a contrasto meccanico , capace a sua volta di rnotare di 180° : un sistema onnidirezionale.

Dopo un'accurata pulizia il congegno, ben 26 pezzi, tutti di ottimo bronzo co n le superfici esterne riv estite di uno strato di z inco per preservarle da qualsiasi corrosione , fin ì a l Museo Archeologico Naziona le di Madrid , dove attualmente si trova in una distinta teca. Fatto salvo il curioso tubo snodato, nessun dubbio circa l ' identificaz ione: una macchina di Ctesibio.

La macchina, come si è detto, constava di due cilindri , alti circa 26 cm con un diametro interno di 8.5, di una scatola di compressione, 16 cm di diametro per 4 di altezz a, e di un tubo a snodi, lungo comple ssivamente quasi un metro e tenninante con un singolare ugello ad Y.

Quattro le valvole di due distinte tipologie; quanto ai cilind1i mostrano cort is simi risalti per il fissaggi o al supporto, come pure la scatola di compressione, tipici de lle pompe romane a s tantuffo. Che la tecnologia della pompa sia romana lo si evince da un dettaglio: l ' alloggiamento per la spina della biella è ricavato s u lla test.a degli stantuffi e non al loro interno , al pari dei pi s toni moderni. pur essendo ugualmente cavi. Straordi naria la loro p r ecisione, ottenuta al tornio con una tol leranz a di O. I mm rispetto a i cilindri.

Evidente per la scatola la funzione di stabilizzatore,

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LONGITUDINALE PIANTA PARTICOLARE IN PIANTA 461. Pompa a doppio effetto rinvenuta a Valverde, in Spag na. 462. R il ievi ortogona li e sez ion i della stessa. PROSPETTO
TRASVERSALE (.1". . I, ~,'/ 337 462
SEZIONE
SEZIONE

per sopprimere la pulsazione del getto; altrettanto evidente per il terminale ad Y la funzione di nebulizzatore a contrasto. Un 'immagine della pompa di Ctesibio completa di bilanciere e di nebulizzatore si trova in una riedizione rinasci mentale del la sua Pneumatica. Del contenitore e del bilanciere, tuttavia, non si è rinvenuto nulla, perché dissolti dall'umidità della miniera. È comunque sensato immaginarli somigliante ad una moderna irroratrice a zaino, con la so la differenza della collocazione davanti al torace e non dietro le spalle. Molte, comunque, le interpretazioni che si scatenarono già da li 'indomani del ritrovamento. Ognuna però urtava contro la sua evidenza: il repe1to appariva troppo piccolo e troppo complicato per una pompa idrovora o antincendio; e il tubo snodato troppo sofisticato dal momento che per dirigere uno schizzetto a destra o a sinistra sarebbe bastato deviare di poco una nonnale manichetta. Perché poi assemblare due cilindri, una scatola di compensazione e quattro valvole per evacuare la stessa quantità d'acqua che un secchio avrebbe raccolto in minor tempo? Perché un rivestimento dì zinco quando il bronzo notoriamente resiste nell'acqua sa lata svariati millenni?

U na ipotesi tutt'altro che ineale potrebbe consistere nel ravvisarvi i resti di un lanciafiamme bizantino. Stando alla pagine dell'Alessiade scritto dalla principessa Anna Comnena, figlia dell'imperatore Alessio Comneno ( l 08 I - l 118), il terrificante fuoco greco veniva proiettato tramite gli strepla e per mezzo di tubi, verso qualunque punto volesse il direttore del tiro, da destra a sinistra e dall'alto in basso. Il che lascia facilmente immaginare un tubo dotato di uno snodo universale, un tubo flessibile Ed appunto col termine.flessibile viene abitualmente tradotto l'enigmatico vocabolo greco strepta Ma una simile interpretazione non fornisce alcuna spiegazione sulla pressione necessaria per la proiezione. Occorre una pompa e prima del suo ugello di lancio un nebulizzatore per esaltarne le prestazioni.

È 1isaputo che i cosiddetti mangiafuoco per mutare in una nube ardente un sorso di benzina, lo espellono a labbra serrate trasfonnandolo in un aerosol, prima di accenderlo con una torcia. Traducendo strepto come ritorto, piegato o angolato, definizione perfettamente calzante ad un ugello di espulsione angolato, si avrebbe un nebulizzatore del liquido in pressione inviatogli da una pompa a doppio effetto, cioè da un sifone. Non tutti gli studiosi ritengono che quel s ifone fosse la pompa di Ctesibio: per alcuni il vocabo lo , in greco sifonon - cmpcovrov, significa so lo tuho. L'obiezione, sensata per il greco e per i I latino decadente, non

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o e 339 463
463. Ricostruzione vittuale della pompa di Valverde ndla inte rp retazione come lanciafiamme portatile e. in dettaglio, le va lvole. Ne l riquadro il reperto sco m posto in tutte le sue componenti.

risulta tale per il latino raffinato: la denominazione usuale e specifica di tubo è quella dijìsto!a. mentre il sifone definisce la pompa a doppio effetto. Quanto al greco il vocabolo sifone indica sia il tubo che la pompa a doppio effetto. A favore di quest'ultima accezione, tuttavia, interviene la voce verbale sifonizo= aspiro come un s(fò11e, azione che nessun tubo è in grado di effettuare senza essere connesso ad una pompa! inoltre tanto Erone quanto P linio il Giovane, chiamano sffo11e una pompa antincendio a doppio effetto, stesso nome che aveva abitualmente la pompa di sentina.

La somiglianza cli un sifone lanciafiamme con un sifone di evacuazione o antincendio finisce qui 211 , proprio per l'esigenza di un nebulizzatore prima della lancia Secondo una consuetudine la denominazione di una componente finisce per definire l'intero congeg no: la presenza di un turbo compressore ha fatto chiamare iurbo l'intero motore. Nessuna meraviglia perciò che l'adozione d'un nebulizzatore angolato sia l'origine di strepto, cioè l'angolato per antonomasia.

UN ALTRO P RO BAB ILE L ANCIAF IAMME A P OMPA MONOCILIND RICA

Presso l'Antiquarium comunale di Roma è custodito un singolare reperto, del quale purtroppo si ignora sia l'epoca che il sito del ritrovamento. incerta pure la sua verosimile collocazione storica: unica certezza la sua acquis izione nel 1888 A un sommario esame l'oggetto appare costituito da due cilindri paralleli, uno maggiore e uno minore, che 1ivelano di essere i corpi rispettivamente di una pompa a stantuffi e di un serbatoio di accumulo. Quanto alla pompa, tuttavia, pur h·adendo evidenti analogie con le similari rinvenute in Spagna e in Gran Bretagna, per lo più fatte risalire al lll-IV secolo d.C., ostenta una sua singolarità che la rende notevolmente più interessante: sia il cilindro che la biella sono unici per entrambi gli stantuffi e non hanno alcun bi lanciere, essendo azionati da una sola leva.

La soluzione appare straordinariamente innovativa ed aderente a uno schema tecnico che trova un preciso riscontro sto1ico nel curioso mantice a stantuffo cinese e nel coevo lanciafiamme. realizzato verosimilmente nel medesimo scorcio cronologico, magari dagli stessi inventori.

Anche questa pompa. perciò, potrebbe essere stata ben diversa da una piccola macchina idraulica di enigmatico impiego. Del resto che la macchina di Ctesibio si prestasse ali 'adozione in sofisticate atmi lo dimostra proprio la sua balista a molle pneumatiche.

340

464. Roma. Musci Capitolini. reperto di origine ignota e di epoca romana rclati vo ad una pompa a cilindro unico e doppio stantuffo.

4 65 -466. Antica raffigura7ionc di utilizzo di lanciafiamme a mano durante un·a5scdio.

467. Ricostruzione virtuale della pompa monocilindrica di Roma.

341
465
467

MOT O RI TERMTCl

TL PRIMO MOTORE NELLA ACCEZIONF MODERNA DEL TERMfNE FU U)JA CURJOSA TURBll\A A VAPORE, DEFINITA 'PALLA A VENTO'. lN SEGUTTO EBBE ULTERIORI MODlflCHE E VARIANTI, PUR RESTA'.'IDO SEMPRE IN SOSTANZA 1.JN GIOCATTOLO: AFFINCHÉ UN'ALTRA MACCHlNA A VAPORE FOSSE IMPIEGATA PER UN MEZZO DI TRASPORTO TN MANIERA AFFIDABILE E SISTEMATICA OCCORRERÀ ATTENDE JL BATTELLO DI FULTON QUASI DUE MILLENNl DOPO!

LA TURB l ::'IIA A VAPORE

Alla nostra mentalità pragmatica e speculativa ripugna pensare che si possano ideare congegni di notevole complessità e rilevanza senza una precisa esigenza e senza altro stimolo che il puro diletto. Assurdo immaginare delle macchine o dei processi tecnologici rivoluzionari per il bene del] 'umanità. bloccati allo stadio di trastullo per adulti benestanti, affrancati da ogni impegno lavorativo. Eppure questo fu l'atteggiamento dei massimi intelletti dell'età classica dinanzi alle loro più avanzate elucubrazioni. Si spiega così l'apparente paradosso di ravvisare, alle spalle di molte invenzioni che cambiarono il mondo negli ultimi due secoli, precisi precursori di due millenni p i ù antichi. Tra le due manifestazioni del medesimo pensiero, il vuoto, imputabile a l ripud io del lavoro manuale, prassi accentuata da una oscura religiosità

Nessuna meraviglia. pertanto, che intorno al 11 secolo a.C. Erone dì Alessandria, abbia concepito e realizzato due piccolissime, quanto rivoluzionarie, turbine a vapore dì cui una addirittura a reazione. Conscio, per le molteplici esperienze e indagini sulla potenza dinamica del vapore, ne vagliò l'uso come fluido motore. In dettaglio osservò che ponendo su di una fiamma un recipiente metallico, parzialmente pieno d'acqua ed ermeticamente chiuso ad eccezione di un minuscolo foro, dopo breve tempo un sibilo annu n ciava la fuoriuscita del vapore. Collocando dinanzi al getto rovente una piccola ruota a pale questa girava vorticosamente, fino all'esaurime n to dell'acqua .m

Erone non poteva neppure lontaname n te immaginare che macchine, funzionanti secondo l'identico principio ma di mostruosa potenza. si sarebbero fatte carico di sostenere tutta la fatica fisica delle future metropoli!

342

LA TURBJ~A A VAPORE A REAZIO~E

Non contento di quella prima significativa dimostrazione della potenza dinamica del vapore. ne ideò una seconda per l'epoca ancora più stupefacente. Lo stimolo glielo fornì la constatazione che quella sorta di caldaia, durante remi ssione del va pore, si spostava leggermente nella direzione opposta. Tn assoluto il fenomeno non appariva inedito, costituendo una frequente esperienza il moto di un otre galleggiante, quando si sgonfiava su di uno specchio d 'a cqua. Pertanto, vagliate le analogie costruì una sfera cava di bronzo, munendola di un asse e di due ugelli angolati sul relativo equatore. Riempitala parzialmente d'acqua e collocato l'asse sopra due forcelle, pose il singolare congegno su di un braciere. In breve il vapore iniziò ad uscire violentemente dagli ugelli, che per la loro angolazione generavano una coppia di reazione sul recipiente-caldaia facendolo ruotare. Erone forse ne intuì la spiegazione, forse ne immaginò pure l'importanza, ma non ne poté in alcun modo pronosticare le applicazioni, limitandosi a battezzare quel curioso giocattolo eolopi!ia, palla a vento.

Non seppe, perciò, mai che quella sibilante trottola era il debutto di una nuova tipologia di girante: la sua palla a vento, infatti, costituiva l'archetipo della turbina a reazione, propulsa nella fattispecie da ben quattro reattori! Neppure poteva lontanamente immaginare che motori della stessa concezione avrebbero consentito, oltre venti seco li dopo, di passeggiare sulla Luna.

468

469. Ricostrnzione della eolipila di Erone.

469

343
468 Girolamo Veranzio. 1595. ratrìgurazione della turbina a vapore di Eronc.

NOTE

1-La definizione sintetica esposta nella Enciclopedia della Scienza e della Tecnica. Dc Agostini 1995, così recita alla vocc:"Stato di aggregazione della materia che si aggiunge ai tre comunemente noti , costituito da un gas altamente ionizzato. cioè tale che gli atomi o le molecole costituenti risultano privi di tutti o quasi gli elettroni. Poiché il p. è neutro dal punto di vista elettrico, esso appare come una miscela di ioni positivi e di elettroni negativi. le cui cariche si neutraliz:a110 a vicenda.··

2- Cfr. C.PERLES, Preistoria de/Jiwco. Alle origini della sLOria de/l'uomo. Torino 1983, pp. 73-97.

3 -Cfr. AA. VV.. Glass1Vay, il vetro: ./i-agilità attraverso il tempo, Palcnno 2004. pp. J 5-50.

4 -Da G.PLINIO SECONDO, Storia naturale, lib. XXXVIL 28

5-Da L.RUSSO, La rivoluzione , cit.. p. 400.

6-Da un punto dj vista meramente cronologico l'invenzione della lanterna magica è ascritta al gesuitaAthanasius Kirchcr, nel 1645. Tuttavia sono note le spc11 ienze di Leonardo sulla camera oscura e forse persino quelle di Aristotele al 1iguardo.

7- Da T. LIVIO, Ab Urbe condita, lib .XXXIX, 13.

8 - Cfr. F.RUSSO, i.fari romani, in Rivista Marittima. febbraio 2007.

9- Cfr. W.EKSCHMITT, li .fàro di Alessandria, in ARCHEO, supplemento n. 3, marzo 1993, pp. 36-47

10-Cfr. F.RUSSO 79 A.D. Corsefor Pompeii , cit., pp. 66-75.

11 -Cfr. A.STACCIOLI, Le terme dei romani.in ARCHEO, n° 68, ottobre 1990, pp 65-107.

12-Cfr. J.CARCOPTNO, La vita quotidiana a Roma ali 'apogeo Bari 1982, pp. 290-30 I

13 -Cfr. A .S TACC IOLT. Le tenne ... , cit.. p. 70 .

14-Cfr. A.STACCJOLI, Le terme , cit., p. 93.

15-Cfr A.STACCIOLT. le terme cit.. p. 94.

16-Cfr E.SALZA PRINARJCOTTT, Cibi e banchetti nell'antica Roma in ARCH EO. n° 46 dicembre 1988, p 53-97.

344

17-Cfr. V.J'v1ELEGART. ! grandi assedi. Milano 1972, pp. 40-43.

18- Cfr. Y.GARLAN, Guerra ciL.,p. 171.

19-Da TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, lib. IV. 100, 1-4.

20-Cfr. F.RUSSO, Gli armamenti namli. Armamenti collettil'i in M. MAURO (a cura di)! porti antichi di Ravenna. Il pono Romano e le flotte, voi. I, pp. 143 - 146 .

2 1-Cfr. F.RUSSO, Fuoco marino. in Rivista Marittima. febbraio 2004.

2 2-Cfr. LRUSSO, la rivolu-::.ione , cit.,p. I54.

345

RINGRAZIAMENTI

Gli Autori ringraziano sentitamente per la cortese collaborazione:

• La Soprintendenza Archeologica del Molise nella persona del Soprintendente dott. Mario Pagano per quanto concerne il materiale archeologico in generale.

• La Soprintenden~a Archeologica di Pompei.

• La Componente Marittima del Comando Alleato di Napoli.

• L'Osservatorio Vesuviano (edificio storico in Ercolano).

• L'arch. Gioia Semina1io e Giuseppe Massimiliano Ronga per la realizzazione delle tavole ortogonali tecniche.

• Il fotografo Emilio Pinto di Ton-e del Greco, Napoli.

347

PRESENTAZlOXEp.5

PREFAZIONE p. 9

PR EFAZIONE p. 11

PREMESSA ..... . ................................. . .. . ... . ............. p. 13

Introduzion e : La Scintilla Divina

Costruzione e distruzione: il ruolo del mare p. 16

Dai Greci ai Romani p. 20

Dinamica della tecnologia militare p. 28

Le incongruenze dell'arruale pubblicistica p.32

Le incongruenze delle interpretazioni p. 40

Riservatezza e tabù ..... .. ............ .... ................ .. .. .. ....... .. p. 42

Le protesi tecnologiche ........................................ ........ p. 46

Un minimo di chiarezza: scoperte ed invenzioni p. 50

Meccanica e macchine p.52

Cronologia relativa , p. 56

Disprezzo o superiorità della tecnica? p.62

meccanizzazione mancanta

Motore e ambiti nan1rali , p 74

Premesse e promesse p. 76 Un mito da sfatare p. 78

11 passato non passato p. 80

L'enigmatico cannone a vapore

Principi di sussidiarietà

84

PARTE PRIM A : Terra - Stato Solido

L'accampamento legionario

Le tende dei legionari

Odometro

Baculo , pI16

Groma p.118

Squadro agrimensorio , p.118

Corobatc , p. 122

Diottra di Ero ne

Abaco ro111ano ............................................................

Calcolatore di Antikythera

349
INDICE
La
. .... ................ .... ... . .... . p. 66 11 motore ............................. ....................... .. . .... ... ,... .. p. 70
<li Archimede p.
Analogie e differenze .................................. ....... .. .... .. p. 86 La mancanza di una rappresentazione tecnica .. .... ... .. p. 88
p.
p.
Non............................................................................p.
92 Ambiti cronologici d'indagine , p. 92 Convenzioni grafiche p. 98 I quattro elementi classici
l 00
102
p. 108
p. 11O
Strumenti topografici p. 112
Archipendolo p.112
Odometro................... .. ... ... ........................................ p. J 14
di Erone .. .. ......... .. .. . .................................. p 114
p. 122
Strnmenti calcolato,i ......................................... ....... . p. 126
p. 126
Mesolabio p. 128
p.
130

Diametri e definizioni dei tubi di piombo

Chiavi d'anesto

Telegrafo ad acqua .................. .. .... ..... .........................

I motori dello stato liquido........ ..... .... .... ..... .. .. ...........

Girante ad asse ve rticale e pale drirtc

Girante ad asse verticale e pale oblique

Girante ad asse orizzontalc

Ruote idraulich e per caduta e per trascinamento

La ruota di Venafro

li mulino galleggiante ......................... ....... ... ..... .........

li battello a ruote ...................................... ..... ....... .. ....

232

232

236

236

238

240

242

244

246

248

250 No11: ................. .. ..................................... .. ........ ... .......

Osservazioni mcccaniche

350 Strumenti cronometrici .... ... ... .. .... ... ......... ........... .. .. .. . p. 132 La clessidra di Ctesibio.............................................. p. 135 L'utensile per costruire p. 140 Supporti contro l'attrito p. 142 Macchine per sollevare p. 142 lmballaggi ruotati p. 148 T carri romani p. 152 I bina1i di Pompei .............. . ....................................... p. 160 La comparsa del semovente ... ..... ..... ........ ............... .. p. 162 I motori dello s tato solido p. 164 Motori a gravità p. 164 Motori clastici a flessione p. 168 Motori clastici a torsione p. 170 Motori elastici a flessione metallica .......................... p . l 72 Piccoli moto1i a molla ....... .................. ...................... p. 174 Serrature e lucchetti p. 174 Cinematismi ed automatismi p. 180 NOTE p. 184
SECONDA: Acqua - Stato Liquido Tdue terzi della superficie del pianeta...... ........ .... ...... p. 190 Le prime macchine idrauliche elcmentari ........ .. ... ...... p. J92 Il trabucco p. 194 Macchine per il sollevamento dell 'acqua p. 198 La noria p 200 Sifoni e pompe p. 204 Pompe a bindolo p. 204 Vo lano e manovella......................................... . ........ . p. 206 Pompa a doppio effetto p. 208 Organo ad acqua ................................................ . ... .... p. 21O Pompa a vite senza fine p. 212 Acquedotti e cisteme p. 214 Le grandi cistcrne p. 216 La Piscina Mirabifis p. 218 I ripartito re idrico di Pompei p. 220 Pressione e tubature p. 222
p.
PARTE
Le torrette piezometriche...... ........................ ............
222
p.
Tubature ...................... .. ........... .......... ..... ...................
226
p.
228
p.
p.
Telecomunicazioni p.
228 Miscelatore monocomando
230
p.
p.
p
p.
p.
p.
p.
p.
p.
p
p 252

PARTE TERZA: Aria - Stato Aer(f'orme

PARTE QUARTA: Fuoco - Stato del Pla~ma

351
L·invotucro del pianeta p. 258 Vele sul mare , , p. 260 li mulino cretese ...................................... ..... ..... ........ p. 264 Vele nel cìclo ......................................... ................... p. 266 Anività subacquee p. 270 La campana pneumatica di Aristotele p. 272 Ponti e battelli pneumatici p. 274 L'aria compressa p. 278 Mantici a stantuffo p. 280 Am1i pneumatiche ....................................... ..... ..... .... p. 282 Balista a molle d'aria ....... ...... .... . ..... ..... ...... ....... ........ p. 282 L·aria come supporto: le telecomunicazioni p. 287 Torrette semaforiche p. 290 Telegrafia ad asta p. 294 Telecomunicazioni mobili p. 298 Posta aerea ....... ........................................................... p. 298 Bloccare l'aria: le lastre di vetro ................................ p. 298 I motori dello stato aerifom1e p. 302 Motori primari: la girante afgana p. 303 NOTE p. 306
Dal fuoco al plasma................ ... .. .... .......................... p. 3 I O Accensione del fuoco .................. ............................... p. 312 Acciarini ottici p. 312 Fuoco marino p. 316 La candela romana p. 316 Lanterne a vento p. 318 l fari delrantichità p. 320 Fuoco per essere visti: i fari romani .... .. ..................... p. 320 Fuoco per 1iscaldarsi: il riscaldamento domestico ..... p. 324 L'acqua ca lda p. 324 Sistemi di riscaldamento termale p. 324 11 doppio samovar da sala p. 330 Fuoco per combattere: specch i ustori p. 332 Il lanciafiamme navale di Tucidide ........................... p. 332 La pompa di Valverde .. ............................................... p. 336 II lanciafiamme di Ctesibio p. 336 Un altro probabile lanciafiamme p. 340 Motori tennici p. 342 La turbina a vapore p. 342 La turbina a vapo re a reazione p. 343 NoTF. .... .............. ................. ............... ........... ............... p. 344 Ringraziamenti ....... ............... ................ .................. p. 347

Finito di stampare nel mese di Dicembre de l 2007 presso la t.ipografia Cang iano Grafica - Napo li co l patrocinio dell'ALLIED MARITL\1ECowos;ENTCOMMAND- NAPLES

ISBN 978-88-95430-05-8

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LA TURBJ~A A VAPORE A REAZIO~E

2min
pages 303-305

MOT O RI TERMTCl

1min
page 302

J FARI DELL' ANTJCHlTA'

19min
pages 280-296, 298-301

LANTERNE A VENT O

1min
pages 278-279

STATO DEL PLASMA

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pages 270-277

PARTEQUARTA -FUOCO-

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page 269

I MOTORI DEL LO

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pages 262-268

TELECOMUNICAZIONI MOBILI

3min
pages 258-261

TELEGRAFIA AD ASTA

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L'ARIA COMPRESSA

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pages 238-253

ATTIV ITA' SU B ACQUEE

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pages 230-237

STATO A ERIFORME

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Ruon: IDRAULICHE PER CADUTA E PER TRASCINA.:VIE!\"TO

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TELECOMUNICAZIONI

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ACQUEDOTTI E CTSTEAAE

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VOLANO E MANOVELLA

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STATO LIQUIDO

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- ACQUA -

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CINEMATISMI E AUTOMATISMI

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MOTO RI ELASTICI A TORSIO~E

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pages 130-139

IMBALLAGGI R UOTAT I

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SUPPORT I CONT RO L'ATTRITO

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L'UTENSILE PER COSTRUIRE

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STATO SOLIDO

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PARTE PRIMA -TERR A -

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PREMESSA

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PREFAZIONE

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PREFAZIONE

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POMPEI!

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