Il tutto nell’essere umano. La visione olistica della persona.
Riccardo Mancini
Riccardo Mancini
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Il tutto nell’essere umano La visione olistica della persona
Riccardo Mancini
Il tutto nell’essere umano. La visione olistica della persona.
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Indice Introduzione............................................................................ p.
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Cap. 1 Prospettive e connettività nell’olismo..................... p.
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1.1 Livelli identitari della pedagogia olistica........................................ p. 1.2 Radici olistiche.................................................................................. p. 1.3 Educazione del/al movimento......................................................... p.
Cap. 2 Nel cuore dell’educazione umana: le emozioni..... p. 23 2.1 Intelletto ed emozioni....................................................................... p. 2.2 Analfabetismo emozionale.............................................................. p. 2.3 Per una scienza del benessere: morale, etica e felicità.................. p. 2.4 Il mondo dei valori............................................................................ p. 2.5 Evoluzione umana e benessere........................................................ p.
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Cap. 3 Interdipendenze educative....................................... p. 35 3.1 La famiglia: contesto emozionale ................................................... p. 3.2 Genitorialità consapevole................................................................. p. 3.3 Tra inversione dei ruoli e richieste sociali...................................... p.
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Cap. 4 Principi sociali ed apprendimenti emozionali..... p. 47 4.1 Dall’educazione emozionale alla educazione olistica................... p. 4.2 Apprendimento significativo: intuizione emotiva........................ p. 4.3 L’apprendimento trasformativo....................................................... p.
49 51 52
Cap. 5 La creatività: l’eccellenza della persona ................. p. 57 5.1 Il patrimonio e la dimensione personale....................................... p. 5.2 Formae mentis creativa.................................................................... p. 5.3 Creatività del pensiero e dell’azione................................................ p.
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Cap. 6 L’intuizione ed il pensiero creativo......................... p. 68 6.1 Pensiero lineare ed intuizione......................................................... p. 6.2 Intuizione, logica ed apprendimento.............................................. p. 6.3 Tecniche e strumenti neutrali.......................................................... p.
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Cap. 7 Adattamento ed ambiente: la personalità................ p. 79 7.1 L’urgenza ecologica........................................................................... p. 7.2 Diversità olistiche.............................................................................. p. 7.3 Implicazioni soggettive ed educative ............................................. p.
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Cap. 8 Valori aggiunti dell’educazione..................................... p. 90 8.1 Olismo valoriale e valori olistici...................................................... p. 8.2 Per una relazione educativa olistica................................................ p. 8.3 La mitologia quale aneddoto nella formazione della personalità ..... p.
94 97 99
Bibliografia............................................................................... p. 103
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Introduzione di LANFRANCO ROSATI
La giusta maniera di interpretare questo testo è quella di collocarlo all’interno di uno sviluppo di pensiero e di approfondimento di alcune tematiche che hanno trovato i natali all’interno del volume “Pedagogia olistica e unità della conoscenza”, edito da Margiacchi-Galeno nel 2013. Un principio di continuità che tende a legare e legittimare i concetti derivanti dalla pedagogia olistica con quelli che comunemente tratteggiano le pagine della letteratura pedagogica classica. Di qui la doverosa presa in carico dei principi, delle finalità, delle prospettive e dell’epistemologia della pedagogia olistica che si presentano all’interno di questo volume e che si palesano nelle espressioni e potenzialità umane. La ricerca di un approccio integrato dell’educazione e l’enfasi che spesso questo argomento suscita nelle speculazioni teoriche pedagogiche appartenenti alla grammatica più che altro straniera, trovano la loro collocazione naturale nell’ambito dell’educazione olistica, la quale si pone come risposta alla sfida educativa e l’urgenza di un esercizio che si faccia carico di ogni caratura umana. Nonostante sotto la semantica dell’olismo risiedano numerose tendenze, alcune di esse a volte contraddittorie, questo tipo di educazione risulta un’emergenza, un metodo ed importante elemento con cui guardare il mondo. Se, infatti, il secolo trascorso ha concentrato la sua spinta propositiva in una visione prettamente materialistica, utilitaristica e razionale, oggi l’olismo si presenta come una idea radicata nell’ottica ecologica e spirituale. Si tratta di rompere gli approcci ormai arcani e obsoleti appartenenti a vecchi -ismi e accogliere un equilibrio tra le varie antinomie dell’essere umano: mente e corpo, ragione e sentimento, pensiero analitico e pensiero sistemico, informazione ed esperienze, istruzione e creatività, scienza e arte. Non siamo più in grado di sostenere un sapere fondato sul solo pensiero analitico e meccanicistico. 7
Occorre una sintesi creativa, come amava definire Gino Capponi, un’analisi che sfoci nel sorreggere l’uomo nel suo incessante avanzamento morale, intellettuale, fisico e spirituale. Uno sviluppo, quindi, che si conceda ed oscilli tra emozioni, corporeità e spiritualità. Dovremmo saper riconoscere questo equilibrio nelle diverse situazioni di vita, per imparare da essa e saper distinguere ogni convivenza in cui siamo inseriti. Una stabilità ed una sensibilità che la pedagogia olistica offre, quale garante di relazioni positive tra individuo e società, prodotto e processo, fantasia e creatività, ragione ed intuizione, apprendimento ed esperienza, etc.. Tali presunte antitesi oltre a possedere un’anima unitaria si sposano con la libertà personale quale veicolo per la spontanea realizzazione di ogni progetto di vita: il vero apprendimento si realizza spontaneamente dall’esperienza diretta, affermerebbe Dewey. La proposta avanzata da questa fatica oltre a ribadire la validità scientifica di un progetto olistico attraverso le diverse caratteristiche appartenenti ad ogni soggetto, tenta una traduzione educativa dei concetti chiave della letteratura pedagogica del nostro tempo, non anche a rilevare, associandosi a numerosi studi psicologici, sociologici, etc., l’insufficienza dell’architettura educativa contemporanea nel promuovere la persona. Ecco, allora, riconosciute le emozioni quali fuoco umano capace di dirigere la persona verso le vette più alte, così come quei valori soggettivi che si tramandano attraverso la creatività e l’intuizione. Certo è che ognuna di queste priorità umane trova una sua realizzazione solo nel momento in cui si abbraccia una visione dell’ambiente e della mitologia capaci di coadiuvare ogni passo evolutivo della personalità. Di qui la necessità di presentare ed indagare le principali caratteristiche di questo movimento avendo in animo quello di dare voce a dimensioni e domini che spesso sono lasciati in disparte e poco sviluppati all’interno delle agenzie educative di ogni ordine e grado.
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Cap 1. Prospettive e connettività nell’olismo Nata sulla scorta delle idee espresse dal filosofo De Kerckhove, una delle principali caratteristiche dell’educazione olistica è la connettività. Il pensiero integrale, infatti, ha da sempre cercato di unire le parti in un tutto, pur nella consapevolezza che sia una azione tortuosa, laboriosa e non sempre giunge a risultati certi. Sotto tale ottica la sfida dell’educazione olistica sarà quella di cercare di costruire tutti i tipi di collegamenti, come, ad esempio, tra pensiero lineare (logico) e pensiero divergente (intuizione), mente e corpo (intelletto e oggetto), domini di conoscenza (contatto tra il soggetto e i gradi di conoscenza), il sé e la comunità (singolo e gruppo), l’individuo e ambiente, sé e sé (interiorità). Esaminare queste relazioni significa ottenere la consapevolezza e la competenza necessaria per una “dissoluzione delle frontiere” del sapere. Utilizzando le cinque prospettive evidenziate da Jackson1, all’interno del saggio Educazione integrale di Rafael Yus Ramos, è possibile giungere ad una prospettiva funzionale che legittimi l’armonia delle parti. Valutando nel dettaglio è possibile distinguere: 1 - La prospettiva conservatrice, in cui l’idea principale è quella della forma stabilita e prescritta, cioè a-priori ed avente il desiderio di mantenere, difendere o riscattare (“back to basics”) i metodi di insegnamento appartenenti al passato. I fautori di tale impostazione vedono l’esistenza di un solo modo “giusto” per insegnare ed apprendere, e ciò può avvenire solamente attraverso contenuti specifici, predeterminati e perenni. Se a primo avviso questa angolazione può risultare 1 Jackson, P. W. (1992). Handbook of research on Curriculum. New York: MacMillan.
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priva di fondamento, considerando il continuo divenire sociale e individuale, tuttavia, si avverte che l’olismo non rifiuta gli elementi della scuola tradizionale, anzi ne fanno parte: l’educazione interpella e promuove un riconoscimento ed una riflessione sulla condizione di “bilanciamento” interdisciplinare della conoscenza; 2 - La prospettiva del discente, sostiene che il processo educativo dovrebbe concentrarsi sullo studente. Saranno le sue abilità, conoscenze, bisogni che dovranno essere esercitate, soddisfatti e rafforzate. Si tratta di una “consistenza personale”, secondo cui il soggetto deve essere dotato di mezzi e competenze capaci di “sbloccare” il proprio potenziale. Copiosa è la letteratura riguardante i sistemi ed i paradigmi educativi che manifestano questo orientamento, tra cui non possono non essere ricordate le “free school” anglosassoni. In questa visione, afferma Rosati, “si concepisce così una nuova realtà educativa globale in cui l’esperienza diviene davvero socializzatrice e educativa. L’antiautoritarismo è assunto come metodo”2. Il criterio motivazionale è il solo principio ad apprendere: “insegnare è entusiasmare”. Non esistono pregiudizi e competizione tra gli studenti, né, tanto meno, attività rigide e prefissate. Un simile sfondo è perfettamente compatibile con i principi appartenenti all’educazione olistica. Infatti, la natura del discente è una parte essenziale nell’educazione e nella formazione di un “uomo globale”, o, come avrebbe osservato Rosati, di un “uomo totale”3. Le proprietà di connettività, di inclusività e di equilibrio delle posizioni integrali sono quelle di fornire al soggetto l’opportunità di accrescere la sinergia tra il sé e l’alterità, tra gli elementi di indipendenza e interdipendenza e tra il mondo materiale e quello metafisico-spirituale; 2 Rosati, L. (2008). La fine di un’illusione. Le scienze dell’educazione al bivio. Perugia: Morlacchi. 3 Rosati, L. (2004). Didattica della cultura e cultura della didattica. La sostenibile leggerezza del sapere. Perugia: Morlacchi.
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3 - La prospettiva del cambiamento sociale, avverte che l’educazione può portare ad una nuova società attraverso forme di cambiamento. Questo rappresenta il movimento di “ricostruzione sociale”, il quale evidenzia la necessità di un coinvolgimento attivo del cittadino nella comunità. Esempi attuali di questa prospettiva non mancano: l’educazione ai diritti umani, il curriculum proposto da Pike e Selby4, la domanda di cambiamento espressa da autori come Freire e Illich ed il riconoscimento del conflitto espresso attraverso la pedagogia critica del Giroux (1990). Il cambiamento è una parte importante della prospettiva olistica. L’educazione, infatti, non è solo “orientata al sevizio”, ma prevede un coinvolgimento del soggetto ai “programmi di azione sociale”. Occorre che l’uomo oltrepassi la sua caratterizzazione di essere individuo e si diriga verso una coscienza del proprio sé dialogico. L’obiettivo diviene quello di un cambiamento non solo all’interno delle leggi che vigilano su di una data società, ma della stessa persona e del suo modo di pensare in modo tale da promuovere una vera trasformazione collettiva; 4 - La prospettiva di valutazione e misurazione, si tratta di un approccio essenzialmente “tecnologico”, il quale si dirige verso la ricerca di una elevata eccellenza ed efficienza. Domenici definisce la funzione della valutazione secondo tre variabili: “la valutazione consisterà nella determinazione – con il più alto grado di sistematicità, affidabilità e obiettività – del livello di pertinenza, di efficacia e di efficienza delle attività svolte nel sistema in rapporto agli scopi con esso perseguiti”5. Secondo questo modello la valutazione ha il compito di rendere chiaro e percepibile quale sia l’attinenza dell’istituzione educativa di riferimento, attraverso la messa a fuoco: degli 4 Pike, G. & Selby, D. (1988). Global Teacher. Global learner. London: Hodder&Stoughton. 5 Domenici, G. (1993). Manuale della valutazione scolastica. Bari: Laterza.
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ordinamenti, del percorso di studi, delle risorse disponibili (ambiente, corpo docente, spazi, orari ecc.), del rapporto tra i costi e i benefici e di quale sia il grado di relazione che intercorre tra gli scopi prefissati e il loro raggiungimento. Sotto tali aspetti gli insegnanti devono essere dotati di competenze tecniche volte al controllo dell’efficacia del percorso di studi (Tyler, 1973 e Bloom, 1975). Si tratta, quindi, di un orientamento comune a tutti i sistemi educativi ed è particolarmente ricercato dai governi in un periodo di costrizione economica. La crudezza delle misure adottate in tali circostanze ha permesso, però, di sottolineare la necessità di un equilibrio e di un orientamento olistico. In teoria, la qualità nella formazione olistica porterebbe ad un equilibrio tra quantità e qualità, tra economia ed ambiente, tra persona e società, etc. senza la necessità di interventi urgenti. 5 - La prospettiva cognitiva, sottolinea la esigenza di formare il soggetto da un punto di vista cognitivo, cioè capace di risolvere problemi che mano a mano gli si presentano nel suo vivere quotidiano. Ogni agenzia formativa ha l’obbligatorietà di agevolare la persona nello sviluppare le abilità, ricorda Eisner. Questo comporta la messa in opera di piani di intervento volti a dotare ogni soggetto di un marcato senso critico e creativo, così da rendere possibile il passaggio da un piano prettamente teorico a quello empirico appartenente ai problemi della “vita reale”. Il principio dell’equilibrio dell’educazione olistica trova terreno fertile in questa impostazione cognitiva, in quanto porterebbe a rilevare le capacità razionali e quelle intuitive necessarie per risolvere i problemi. Di qui la connessione tra il pensiero lineare e l’importanza di coltivare l’intuizione nell’acquisizione di nuova conoscenza. In sintesi, le cinque prospettive delineate da Jackson offrono un’immagine della persona spiritualmente, realisticamente e profondamente connessa con se stessa, con la comunità e con l’ambiente.
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I principi su cui si erige l’olismo consentono di dare vita a piani educativi capaci di contrastare l’isolamento e l’esclusione dell’uomo moderno, nonché i problemi sociali che offuscano l’orizzonte sociale.
1.1 Livelli e identità della pedagogia olistica Sviscerando la proposta pedagogica che si è sviluppata durante il decorso del XIX e XX Secolo si possono distinguere sentieri che portano alla presa in carico di paradigmi epistemologici indispensabili per una visione corretta dello sviluppo umano, ma che a volte sono costruiti su fondamenta sabbiose che minano la percezione della complessità della persona. Anche se la scienza ha da tempo messo in discussione l’universalità del pensiero newtoniano e degli studi meccanicistici, essi dominano ancora nel mondo accademico e politico, tanto da essere stati soggetti a mutazioni e ripensamenti per poter essere rivenduti. Certamente occorre una nuova prospettiva, diremmo olistica, che si maturi secondo due direzioni: La base di conoscenze: deriva dalla comprensione della connettività degli eventi e delle cose. Un tipo di conoscenza, quindi, generativa che poggia il suo essere nella soggettività creativa e sintetica. Una teoria che si rifà necessariamente alla filosofia kantiana, nella sua idea di unità nel molteplice, o hegeliana capace di richiamare la necessità di raccogliere le differenze nel tutto; Le competenze: sono necessarie per rendere un qualunque apprendimento significativo e funzionale. Questo presuppone oltre che competenze specifiche (lettura, scrittura e calcolo), anche competenze olistiche (sistemi di pensiero, creatività, risoluzione dei problemi, pensiero critico e la capacità di prende le decisioni). Un “trattamento paideico” che non è di certo rivolto all’acquisizione di elementi professionalizzanti specifici, ma che accolga e valorizzi “esperienze dell’anima”.
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Il “dualismo” esposto si plessa, oggi più che mai, nella diade mente e cervello. Se quest’ultimo regola il funzionamento biologico e chimico dell’essere umano e di ciò che è il processo cognitivo, la mente si astrae verso un mondo metafisico, appunto il pensiero, quale garante di acquisizione di competenze specifiche. Il rapporto che ne deriva tra corpo – il cervello- e pensiero – la mente- è, secondo Ruggieri, “assimilabile al rapporto che c’è tra uno strumento musicale e la musica. La musica è infatti una funzione dello strumento! Non è immaginabile un suono di un violino senza il violino, così come è difficile immaginare di poter pensare senza il cervello o poter camminare senza le gambe. A nessuno però verrebbe in mente di dire che la musica è il violino o che camminare è le gambe mentre molti studiosi, specie biologi e fisiologi, non esitano ad affermare che il cervello è il pensiero”6. Mente e cervello sono in un relazione biunivoca, ma non possono essere la stessa cosa. La mente può oltrepassare il muro della fisicità umana e dirigersi verso quegli apprendimenti e quelle coscienze che risiedono all’interno dello spirito umano. Se allora il cervello può essere descritto come “pilota automatico”, la mente può rappresentare la direzione dell’automatismo, ed essere descritta come “scatola magica”. In tale modo l’espressione personale avviene attraverso la condivisione di competenze e conoscenze olistiche. Non a caso insegnare agevola la costruzione di relazioni, sulla base della reciprocità e del riconoscimento dei legami sinaptici ed empatici. Un aspetto fondamentale di ciò è rappresentato dal “connessionismo neuronale”, cioè la capacità che il cervello possiede nel mettere in rete i vari neuroni: creare cioè le sinapsi. “L’architettura del nostro cervello, con la sua dotazione genetica iniziale, ci fornisce una base di connettività necessarie, predisposte per il futuro. L’incremento delle connessioni dipende dalle risposte che saranno fornite alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente. Durante la 6
Ruggieri, V. (2004). Mente corpo malattia. Roma: Il pensiero scientifico.
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vita di ciascun individuo, dotazioni genetiche ed esperienze interagiscono per formare lo sviluppo”7. Così come la biologia dota l’uomo di capacità di connessioni generando un organo completo e funzionale all’evoluzione umana, anche queste attività devono provvedere ad instaurare legami con e tra gli eventi. Il passaggio concreto tra una prospettiva analogica ad una digitale appare l’unica via attraverso cui è possibile una evoluzione equilibrata e di senso. Il cervello umano si forma e si trasforma in base alle necessità ed alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente, tale da rendere l’educazione di fondamentale importanza. Di qui un ulteriore aspetto nella meccanica cerebrale: il principio degli “effetti delle emozioni”. Il ruolo svolto dalle emozioni, dichiara l’Ellerani, “è particolarmente importante nel guidare i processi cognitivi durante le esperienze, che vengono tradotte in segnali per le sinapsi. […] Le neuroscienze confermano che la dimensioni emotive e cognitive sono intrecciate”8. Purtroppo tali condizioni non sempre si riscontrano nei vari curricula. Spesso, infatti, essi sono incentrati sul dare un valore quantitativo al patrimonio conoscitivo, mentre raramente si chiede di condividere le nostre emozioni, sogni, speranze e pensieri. “Si conosce il prezzo di tutto ma il valore di niente”, dichiara Oscar Wilde. Insegnare senza la partecipazione e condivisione di esperienze, sentimenti e pensieri significa limitarsi a trasmettere delle informazioni fredde e sterili, sicuramente poco funzionali.
7 Ellerani, P. (2012). Metodi e tecniche attive per l’insegnamento. Creare contesti per imparare ad apprendere. Roma: Anicia 8 Ellerani P. (2012). op. cit.
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1.2 Radici olistiche Come è facile dimostrare l’Educazione olistica, affondando le sue radici nelle teorie “romantiche” di Jean Jacgues Rousseau, Pestalozzi, Rudolf Steiner e Johan Friedrich Froebel, trova spinta propositiva tanto nell’idealismo e nel trascendentalismo, quanto in alcune forme di esistenzialismo e misticismo. Questa sua caratteristica dona la capacità di accreditare una “saggezza perenne” che, a partire dai “Lumi” fino a giungere a Gandhi, si pone come trasformazione e miglioramento sociale ed individuale. D’altra parte, l’olismo evita l’isolamento relativistico e pragmatico ed accetta i valori come ruolo centrale dell’umano vivere. Tuttavia, lo stesso J. Miller riconosce che il curriculum olistico e la filosofia perenne non sono immuni da problemi, soprattutto per quello che concerne la polisemica e la traduzione empirica. Termini come anima, spirito, potenziale, coscienza e pensiero si dirigono verso un approccio sovra-concettuale, che ha bisogno di essere alimentato continuamente da fede, volontà, credenza e dogmi. L’educazione olistica così si diversifica, pur incorporandole, dalla segmentazione comportamentista e cognitivista, avanzando la categoria traspersonale e la percezione di un sé totale. A ragione di ciò sono le idee espresse dello psicologo americano William James, il quale sottolinea che i limiti delle nostre esperienze sono solo da rintracciarsi nella cieca dimensione di vita fenomenica e logica. Nel momento in cui si oltrepassa tale “stato”, ci si addentra in un “mondo” meramente invisibile, il quale risulta impossibile da analizzare, esaminare e scrutare analiticamente e sperimentalmente, ma che comunque produce effetti nella “realtà” sensibile. Similarmente J. Miller cita il pensiero della psicoterapeuta Vaughan, secondo la quale ci sono diversi livelli di esistenza:
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Fisico Emotivo Mentale Esistenziale Spirituale Le relative associazioni (connessioni)
Ogni livello non appare come una caratteristica isolata, ma si relaziona alle altre determinando anch’essa un principio esistenziale. Per spiegare i fenomeni transpersonali dell’uomo, cioè relativi al passaggio dal mondo fisico alle associazioni, Assagioli propone uno schema in cui l’Io cosciente è posto al centro, e a sua volta è circondato dalla zona dell’inconscio. Tutto questo si collega con quello che Carl Gustav Jung chiama “inconscio collettivo”. La realtà superiore, afferma lo psicologo svizzero, non deve essere dimostrata, è un’esperienza che possiamo afferrare solo attraverso la coscienza, una realtà psicologica che deve essere sperimentata e che appartiene alla spiritualità umana. Lo spirito risiede nell’Io a cui si può accedere per mezzo, ad esempio, di varie forme di meditazione. 1.3 Educazione del/al movimento Le connessioni di cui abbiamo riferito fino a questo momento partono dal principio universale della corporeità, quale elemento che assolve una propria funzione nella totalità dell’essere umano. Sotto le spinte del cognitivismo il valore del corpo assume una notevole importanza. Come indicato da Salas e Serrano9, per sviluppare un corpo espressivo occorre un’elevata armonia interiore, la quale deriva da un’accettazione incondizionata della nostra fisicità. 9 Salas, B. & Serrano, I. (1998). Aprendemos a ser personas. Barcellona: Universidad Barcellona.
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Gli stessi pedagogisti spagnoli confermano quanto espresso attraverso l’esempio del “relax”, quale forma per pensare a se stessi. Questo è uno stato naturale che deve essere salvaguardato, praticato e conservato: un vero e proprio diritto inalienabile. Il corpo è il luogo della molteplicità e dell’interpretazione, come amava dichiarare Nietzsche, in cui la realtà “interna e quella esterna vengono riprodotte e proposte sotto forma di segni, di forme e di giudizi. Nello Zarathustra, partendo dal copro come istanza interpretativa, Nietzsche si serve della metafora gastrica, secondo la quale il corpo, al pari di uno stomaco, assimila e secerne materiale proveniente dall’esterno, per descrivere l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della realtà, della società e della cultura. La metafora gastrica si fonda su una concezione allargata della fisiologia, per cui questa tiene in sempre minor rilievo la distinzione fra i regni della natura per cercare le spiegazioni dei fenomeni fisiologici fin negli strati ultimi e nelle loro conseguenze metafisiche. Infatti Nietzsche descrive sì i fenomeni che riguardano il corpo nella lor specificità biologica e con un linguaggio tecnico, ma per poi conferire loro un contenuto filosofico”10. Nel corpo, continua ancora il filosofo tedesco, vi è più ragione che nella migliore saggezza. La percezione che ognuno di noi possiede della propria natura fisica diviene punto nodale in ogni processo di maturazione olistica. Di qui, da un punto di vista pedagogico, assumono notevole importanza alcuni strumenti per l’educazione e la formazione come: la danza, lo psicodramma, i giochi di ruolo, il metodo Waldorf e la psicomotricità. La danza La danza è da sempre l’espressione dell’uomo attraverso l’utilizzo del corpo; una tendenza educativa, soprattutto a livello primario, che trova le sue origini nella notte dei tempi. Essa è capace di collegare il 10
Schettino, T. (2005). Il corpo in Nietzsche. Francenigo: Jubal Editore.
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movimento con i sentimenti per mezzo di esercizi eseguiti non solo come allenamento muscolare, bensì quale risultato atteso ed esteso di una coscienza. Qualsiasi serie di movimenti dovrebbe essere percepita come un’esperienza della globalità della persona. Dimonstein (1971), agli inizi degli anni Settanta, conviene che esistano tre fasi del movimento: a – esplorazione dei vari movimenti conformi al proprio essere fisico attraverso schemi motori di base; b – collegamenti tra i sentimenti più profondi ed il movimento. A questo livello si comincia ad utilizzare il gesto come espressione del sé; c – perfezionamento della percezione interna dei sentimenti e della loro forma espressiva fisica. Il corpo, comunque, rimane il centro simbolico che, attraverso la danza, sviluppa il “senso muscolare” e/o la partecipazione attiva e cosciente del soggetto. Così l’educazione motoria diventa veicolo di espressione della vita interiore della persona stessa. La nostra è cultura di transizione, afferma Gaetano Mollo, “in graduale, se pur lenta, via di riconciliazione con le esigenze originarie della natura umana. La riconsiderazione del rapporto vitale con l’ambiente ne è un chiaro indice. È una processo d’armonizzazione con il mistero stesso della vita, e pertanto con la sacralità dell’esistenza umana. A questo corrisponde la sintonizzazione con la realtà esperienziale e sorgiva, identificabile negli archetipi e rappresentabile nei simboli. All’essere umano oggi, si offre l’opportunità di considerare l’intimità della propria anima e l’immensità dell’universo. Nell’espressione ritmica e nel racconto l’uomo ha sempre ricercato questa significativa risonanza interiore. Da sempre, agli albori delle civiltà, il danzare, ritmicamente scandito e comunitariamente vissuto, ha permesso l’acquisizione del senso d’identità e la consapevolezza dell’essere al mondo. Da qui la grande funzione di riscoperta e di significazione dell’esistenza attraver-
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so la danza: la danza come riconoscimento, di consapevolezza, di relazione e di comunicazione”11. Quello che la pedagogia olistica estrapola dalla danza è il riconoscimento del mondo dei significati, attraverso cui prende forma la coscienza integrale. Questo avviene grazie alla connettività estrinseca, cioè l’uomo nella relazione dialogica con l’alterità, ed intrinseca, quale comunione armonica dei livelli di esistenza. La danza a cui facciamo riferimento, quindi, allude ad una riscoperta del sé e ad una modalità attraverso cui è possibile educare, condividere, relazionare, esprimere l’identità soggettiva di un uomo totale. Lo psicodramma e gioco di ruolo Un valido strumento per la congiunzione integrale tra mente e corpo, è certamente lo psicodramma. Questa tecnica psicologica implica un’espressione di situazioni (reali o immaginarie) con elevata carica emozionale. Naturalmente il dramma non deve coinvolge conflitti personali specifici, ma, dato che include varie forme d’improvvisazione, può dare attenzione agli aspetti che si riferiscono ad un dilemma sociale. Tale tipo d’intervento è legato al Playback Theatre e al dramma Terapia. Si parla anche di Psicodramma Psicoanalitico (d’ispirazione Freudiana) e di Psicodramma Analitico (d’impostazione Junghiana) per distinguerli dallo Psicodramma Classico derivante dalle riflessioni del sociologo Moreno. Un’altra tecnica psico-pedagogica è il gioco di ruolo (noto anche come drammatizzazione o role-playing), che può essere usata per specifici scopi educativi. Proprio questa sua duplice veste d’utilizzo gli conferisce il merito di fare chiarezza in seno a vari dualismi (benessere-malattia, individuo-società, interno-esterno) o in situazioni di disagi psicologici. Sotto tali termini il role-playing si configura come “trait d’unione” fra due discipline apparentemente tanto sparate quanto in continua relazione: la Psicologia e la Pedagogia. 11 Mollo, G. in Naccari, A. G. A. (2004). Le vie della danza. Pedagogia narrativa, danze etniche e danzamovimentoterapia. Perugia: Morlacchi.
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Diversamente da Moreno, Perls propone una tecnica di role-playing in cui viene chiesto ai vari interpreti di agire secondo tutte le proprie componenti e i propri vissuti. In tale maniera l’esagerazione dei comportamenti viene ad essere messa in secondo piano rispetto al modo in cui ogni “personaggio” agisce. Il metodoWaldorf Una delle manifestazioni più coerenti ai principi dell’educazione olistica viene dal metodo euritmico ideato dal filosofo/educatore austriaco Rudolf Steiner. Come fondatore del movimento delle “Scuole Waldorf ”, Steiner basa la sua pedagogia in una concezione olistica dell’essere umano, che è possibile sintetizzare nella sua espressione: “il destino si compone di due ordini di fatti, i quali si fondono a formare quella unità che è una vita umana. Il primo scaturisce dagli impulsi dell’anima, il secondo si avvicina all’uomo tramite il mondo esteriore”12. In effetti, Steiner vede la persona come qualcosa che possiede quattro peculiarità salienti che l’educazione ha l’obbligatorietà di far esprimere e potenziare: a - corpo fisico. È l’organo sovrano per i primi sette anni di vita. È necessario che l’ambiente sia ricco di forme, oggetti, colori, etc. per offrire esercizi che il bambino può compiere liberamente o per imitazione; b- corpo eterico. Dominante dai sette anni in avanti. Il corpo è costituito da “forze attive”, e non di materia come nel caso del corpo fisico. L’educazione, durante gli anni della scuola primaria, dovrebbe essere basata sull’immaginazione piuttosto che sull’intelletto, in quanto non sono le idee astratte che 12 Chistolini, S. (1988). Scuola Rudolf Steiner. Teoria prassi sviluppo. Roma: La Goliardica.
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influiscono sullo sviluppo del corpo eterico, ma il vivere le immagini, cioè fare esperienza; c - corpo senziente. Veicolo del panico e del piacere, dell’entusiasmo e della passione. Il corpo senziente, conosciuto anche come “corpo astrale” è predominante durante tutta l’adolescenza e si sviluppa grazie all’intelligenza critica. L’elemento artistico delle fasi precedenti viene mantenuto, ma è orientato in modo da incoraggiare lo sviluppo di una autonomia intellettuale; d - ego umano. Con il termine “ego” Steiner si riferisce ad un Io superiore, dal momento che identifica il sé all’interno di una persona che inizia a dominare il suo tutto; quando una persona parla, il suo ego è attaccato al corpo fisico di chi ascolta, e questo ascolto è la partecipazione. L’euritmo è utilizzato in tutti i livelli di educazione Waldorf, anche se è più importante durante gli anni della scuola primaria, a partire, cioè, dal primo corpo eterico. L’euritmo, quindi, non è semplice danza o movimento, bensì un modo “fisico di parlare”. I gesti sono presi dai movimenti della laringe, delle braccia, delle mani etc.. L’euritmia “è materia obbligatoria in tutte le scuole steineriane per la forte compenetrazione delle componenti artistiche, morali, fisico-motorie. Non si tratta né di una danza, né di una ginnastica., è il linguaggio e canto resi visibili nel movimento del corpo”13. La psicomotricità L’educazione del corpo è particolarmente importante nei primi anni di vita di una persona. Appare innegabile che il bambino usa fin da principio il corpo come strumento di esplorazione e di contatto con l’altro e con tutto ciò che gli è prossimo. Copiosa è la letteratura psicologica e pedagogica che riconosce l’importanza della scoperta della propria forma e della conquista del mondo fin dal primo vagito. È proprio grazie a questo incontro che
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successivamente siamo in grado di organizzare l’attività fisica sulla base di un’azione riflessiva ed emozionale. Sotto tali termini la percezione corporea interviene in determinate funzioni: l’acquisizione di competenze, l’interiorizzazione degli schemi fisici, la funzionalità motoria, l’esplorazione del proprio corpo e la comprensione dell’ambiente e del proprio sentire affettivo. La psicomotricità orienta l’uomo nella sua creazione verso le forme della cultura, offrendogli abilità, capacità e conoscenze che assicurano la sua affermazione nel mondo. La corrente educativa che ha origini intorno agli anni Ottanta denominata come psicomotoria, concepita come stadio evolutivo del bambino e caratterizzata dalla espressione dei loro sentimenti ed emozioni attraverso il corpo, ha posto l’accento circa l’assoluto valore che la percezione di sé e della propria fisicità possiede per il raggiungimento di un benessere olistico. Nella V Conferenza sulla psicomotricità tenutasi a Malaga nel 1987, Torre Prado evidenzia la psicomotricità come “l’unità di espressione motoria”. Proprio il concetto di unità porta alla presa in carico di una psicomotricità tendente al conseguimento di tre obiettivi: I. II. III.
l’apertura del soggetto alla comunicazione; lo sviluppo della creatività; la formazione del pensiero critico ed operativo.
Questi obiettivi, che fanno il paio con quelli riferibili all’educazione olistica, tengono al centro del discorso il soggetto nel suo complesso. L’educazione psicomotoria ha come obiettivo, quindi, quello di aiutare e sostenere un’evoluzione capace di promuovere il pensiero operativo e critico. Di qui la certezza che la psicomotricità permetta di apprendere il corpo non solo contenitore, piuttosto mezzo dia-
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logico e strumento primario per la scoperta e per la soddisfazione dei propri bisogni. Il corpo, infatti, concede al soggetto di appagare: piaceri sensoriali, giochi simbolici e la costruzione di un sé olisticamente centrato.
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Cap. 2 Nel cuore dell’educazione umana: le emozioni Quando il concetto e l’idea che si hanno dell’uomo si perde nei meandri di una sua specificazione prettamente ideologica si rischia di imprigionare e castrare la sua vera natura, e, di conseguenza, la promozione di solo alcuni dei suoi aspetti. In questo modo, piuttosto che sviluppare il “tutto umano”, si risolverebbe in quello che Incadorna13 definisce come “pedagogia della gabbia e didattica dell’ingabbiamento”. Preso coscienza che l’essere umano è espressione di un valore assoluto ed universale e come tale deve essere concepito, coltivato ed educato, non possiamo prescindere dalla sua caratteristica emozionale; questo soprattutto perché la scuola convenzionale ed i curriculum tradizionali non sono soliti prestare molta attenzione a tali aspetti, mentre, paradossalmente, ogni pedagogista ne segnala l’importanza. In un società che richiede sempre più competenze specifiche, l’abilità emotiva è lasciata in disparte, a favore di altro, come se risultasse secondaria. Tutto ciò ha portato a supporre che ognuno di noi sappia mantenere disgiunti le emozioni dalla cosiddetta intelligenza razionale. Preso atto di questa impossibilità, di questo ingabbiamento, non si intravvede ulteriore strada se non quella in cui la dimensione affettiva dell’uomo sia percepita all’interno di una alfabetizzazione di competenze moderna, la quale reclama la totalità della persona. L’educazione all’umana e la promozione dell’umanità, amava dichiarare alle soglie degli anni Ottanta Alberto di Giovanni, avvengono solo nel momento in cui si siano sviluppate tutte le caratteristiche in modo 13 Incadorna, N. (1995). Idealismo della filosofia ed esperienza storica. Palermo: L’Epos.
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olistico ed integrale, e tra esse quelle emotive spiccano prepotentemente per importanza. Non si può essere contraddetti nel dire che i problemi di natura psicologica che derivano da tali discrepanze educative generino una mole farmacologica senza pari. Note a tutti sono le statistiche di distribuzione dei farmaci antidepressivi, i quali si collocano tra i medicinali più venduti in una fascia di età compresa tra il 18 e 44 anni, con un incremento annuo di circa il 13%. Il continuare ad ignorare questa essenziale dimensione umana, porta non solo deficit sociali, ma anche ad un aumento della spesa pubblica sanitaria da non sottovalutare. L’educazione olistica, essendo una prospettiva generale di sviluppo della persona in ogni sua plissettatura, non può trascendere dalla dimensione emozionale, in quanto parte integrante e fondamentale di un “tutto”, quel tutto che non ingabbia, anzi libera. Per fortuna oggi, molti studi psicologici, sociali, neurologici ed educativi hanno deciso di annoverare il ruolo fondamentale svolto dai sentimenti e dalle emozioni nella corretta gestione della qualità della vita, anche se tardano ad essere veramente tradotti in azioni e direttive governative.
2.1 Intelletto ed emozioni Le emozioni, come stati complessi dell’organismo, ci permettono di affrontare e superare situazioni che a volte possono risultare troppo difficili da risolvere solo con l’ausilio dell’intelletto e della logica. Spesso, infatti, siamo trasportati da una forza che sfugge anche al nostro controllo e comprensione: sono le emozioni. Il ruolo delle emozioni non si esaurisce in volontà straordinarie, ma offrono significato duraturo agli apprendimenti. Ogni emozione predispone ad una diversa modalità di azione,
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nella stessa maniera in cui la nostra logica sfocia in determinati condotte osservabili. Visto il ritardo della nostra civiltà nello stabilire una giusta collocazione ed influenza che possiede il mondo degli affetti, spesso siamo costretti a convalidare percorsi di maturazione parcellizzati e “monchi”, carenti, cioè, di quel naturale divenire che appartiene all’essere umano. Nei vari contesti esistenziali, dichiara Bruno Rossi, “non poche volte i sentimenti sono trascurati, censurati, sprecati, e per questo non accreditati e utilizzati quali poteri in grado di connotare e qualificare il conoscere, il volere, il decidere, il sentire, il convivere, l’apprendere. Dimenticandoli, disattivandoli, estromettendoli, privilegiando il pensiero logico e l’intelligenza razionale e tecnica, si ignora o si sottovaluta che nella maturità affettiva può essere trovato il fondamento delle autonomie dell’essere umano e che, in fin dei conti, nell’educazione del cuore è da individuare il cuore della formazione umana”14. Numerose ricerche autorizzano a stimare le emozioni come poteri dell’Humanum, spinte interiori capaci di dare un forte contributo alla persona nel processo di maturazione e nella formazione di una mentalità plurale e solidale. Tali variabili vengono ad essere prese come peculiarità soggettive in grado di qualificare il conoscere, l’apprendere, la costruzione dell’autocoscienza, la padronanza del sé attraverso il sentirsi e la propensione verso l’alterità. L’uomo si connota di necessità educative che trovano nella filosofia dei sentimenti e nella teologia del cuore un porto sicuro. Si resta comunque d’accordo e coscienti del fatto che, come sostenuto da E. Borgna, “non è la ragione, non è la ragione calcolante, che può colmare la soglia fra espressione e la sua decifrazione; ma solo l’intuizione, l’area infinita e impalpabile del cuore, può solcare 14 Rossi, B. (2004). L’educazione dei sentimenti. Prendersi cura di sé, prendersi cura degli altri. Milano: UNICOPLI.
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le acque inebrianti e oscillanti delle emozioni e delle loro espressioni”15. L’economista Lanza, in un suo agile saggio sul tema dello sviluppo sostenibile, riflette: “il mondo e i suoi abitanti continuano a mantenere sia forti sentimenti ed emozioni, sia una base che può essere definita etica, e che contribuisce a indirizzare le loro scelte e il loro comportamento. Una base etica è quella che unisce i membri di una società intorno a valori come la solidarietà, la generosità, l’attenzione verso la tutela dei più deboli. Se manca la condivisione di questi valori fra la maggioranza degli uomini e delle donne, viene a mancare la spinta alla ricerca di soluzioni più eque e le speranze di un futuro migliore, e che sia migliore per tutti, si fanno più deboli”16. Le emozioni, richiama J. Delors alle soglie del XXI secolo, si collocano come nucleo fondante del comportamento e riconoscimento del “saper essere” e del “saper stare con gli altri”.
2.2 Analfabetismo emozionale Viviamo in un’era di temperie, di crisi e trasformazioni tali che ogni paradigma e principio fino ad ora conosciuto si sgretola davanti al continuo divenire. Tutti sono concordi nel definire questa epoca come un momento decadenza del “vecchio” e ricerca di nuove soluzioni e strategie che, comunque, ancora tardano ad imporsi. L’educazione, e di conseguenza la pedagogia, non si sottrae a questa inflessione, anzi l’innalza fino al riconoscimento dell’universalità, in quanto ogni crisi dell’uomo è anche crisi dell’educazione. Ogni essere umano, dichiara la Muriel James, nasce come “qualcosa di nuovo, qualcosa di mai esistito prima. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare, toccare, gustare e pensare. E 15 16
Borgna, E. (2001). L’arcipelago delle emozioni. Milano: Feltrinelli. Lanza, A. (1997). Lo sviluppo sostenibile. Bologna: Il Mulino.
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dunque ognuno ha un suo proprio potenziale di possibilità e di limiti. […] Le persone autentiche realizzano la propria irripetibile individualità personale e apprezzano quella degli altri”17. Certamente nella realizzazione di un proprio sé autentico il ruolo delle emozioni è di fondamentale importanza, tanto da portare lo stesso Goleman a dichiarare che sia sempre più presente un “analfabetismo emotivo”. Oggi focolai di violenza, atti vandalici, azioni di bullismo, etc (cfr. Mancini R. & Gigli D. 2012) sono all’ordine del giorno nelle nostre scuole, quali testimonianza fedele di una lacerazione emozionale che tende a distanziare sempre più l’uomo dalla proprio mondo interiore. La mancanza di una educazione olisticamente intesa è maggiormente resa acuta dalla crescente complessità delle nostre società e dal fallimento dei vecchi paradigmi, i quali risultano inefficienti e decontestualizzati. Di qui derivano atteggiamenti di un uomo timoroso nei confronti dei sentimenti. Non vi è più quel doveroso passaggio da un senso di impotenza ad uno di indipendenza, il quale è l’unica via per giungere alla vera interdipendenza. La persona, così, non educata “ha paura della crescita emotiva [...] proprio perché conoscere le proprie emozioni significa cercarle nella vita, dunque essere liberi”18. Deve essere annotato, infatti, che pur affinando strumenti e tecniche di indagine, la nostra conoscenza del microcosmo o del macrocosmo non si è affatto semplificata e chiarita, anzi è diventata più oscura e complessa. Poiché ogni agenzia formativa rappresenta una fucina dove si può fare qualcosa di utile, occorre approfittare delle opportunità che si presentano all’interno e al di fuori di esse, di modo che ogni soggetto diventi capace di trasformare momenti di crisi in “lezioni” di vita. 17 Muriel, J. & Jongewart, D. (1987). Nati per vincere. Analisi transazionale. Milano: San Paolo. 18 Crepet, P. (2009). Sfamiglia. Torino: Einaudi.
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Da qui la richiesta di una cultura in cui l’educazione emozionale sia intesa come un coinvolgimento ed una partecipazione assiologica permanente. Ogni persona deve imparare che ci sono diversi modi per rispondere ad una qualche emozione e più e più modi per conoscere la ricchezza della vita. Questi componenti possono essere distinti: a - nel settore del personale: azioni che portano al rafforzamento dell’Io, all’esatta percezione del sé, all’autostima, alla propria accettazione, all’autocontrollo e alla valutazione soggettiva. “Il primo dono che possiamo fare agli altri è quello di amare noi stessi”19, andava professando Macario; b - nell’ambito sociale: comportamenti dialogici volti a migliorare le relazioni con gli altri (comunicazione attiva, empatia, il lavoro di gruppo, la collaborazione, la risoluzione dei conflitti e la negoziazione). Ecco, allora, la necessità di un’educazione emozionale, quale risposta alle impellenti esigenze sociali che non trovano particolare attenzione all’interno dei curricula formativi.
2.3 Per una scienza del benessere: morale, etica e felicità L’educazione emozionale si pone come obiettivo di dotare il soggetto di competenze emotive, tali da renderlo consapevole della propria vita psichica e “stabilire la comunicazione più aperta e autentica possibile fra la componente affettiva e quella cognitiva”20. Lo sviluppo di apprendimenti regolatori delle emozioni rappresenta una pratica da incentivare fin dalla nascita, senza interruzio19 Macario, L. (2009). Pedagogia familiare: note di metodologia pedagogica. Roma: Las. 20 Berne, E. (1974). A che gioco giochiamo. Milano: Bompiani.
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ni nel corso della vita, insomma in modo “permanente” e parallelo allo sviluppo cognitivo. Occorre che le istituzioni educative, quali la scuola, la famiglia, la chiesa e la società siano sempre presenti e vigili nel indirizzare il cammino individuale e creare i presupposti di una vita appagante e soddisfacente. Da un punto di vista pedagogico, infatti, non possono essere ancora sottaciute quelle variabili che influenzano una cattiva maturazione. Una persona che possiede le competenze emozionali è nella condizione di costruire il proprio futuro nel benessere individuale e generale. Ma di quale benessere stiamo parlando? Certamente la risposta può essere soltanto una: del benessere interiore in una prospettiva dialogica. Questo, però, comporta soprattutto la gestione e liberazione delle emozioni negative, quei sentimenti cioè che rendono critico il processo evolutivo. Il rapporto tra soggetto - società - benessere è certamente una triade delicata e problematica. Ogni società per descriversi come socialità-sociabilità esige armonia ed equilibrio delle parti, pena il male-stare o il mal-essere. Noddings21 asserisce che nei curriculum futuri ogni soggetto dovrà essere educato emotivamente, soprattutto per rispondere alle continue trasformazioni sociali che disorientano il cittadino. Il benessere e la felicità come obiettivi primari dell’educazione emozionale, afferma Bisquerra22. L’intelligenza emozionale e l’educazione dei sentimenti si traducono in una “scienza del benessere”, quale piano di investigazione circa le istanze propositive e naturali di ogni soggetto. Una cognizione che dovrà possedere una propria metodologia e proprie 21 Noddings, H. (2003). Happiness and education. New York: Cambridg University press. 22 Bisquerra, R. (2000). Educaciòn emocional y bienetar, Barcellona: Wolters Kluwer.
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tecniche: dinamiche di gruppo, autoriflessione, relazione dialogica, gioco, etc.. Deve essere ulteriormente affermato che oltre alle implicazioni antropologiche che l’educazione emozionale possiede, ad essa si riconducono anche elementi di natura etica e morale. Molti autori, infatti, nelle loro ricerche hanno posto l’accento sul fatto che una corretta educazione ai sentimenti è diretta conseguenza e causa di una società fondata sui principi etici e morali. Un vero e proprio “emotivismo morale”23, dichiarano Ayer e Stevenson. Già da Aristotele è possibile rilevare l’importanza di una vita moralmente virtuosa, decifrandola come azione eudaimonia, cioè corretta. Per il filosofo greco, infatti, il termine felicità indica “l’attività umana secondo virtù”, che in quanto non innata richiede costantemente di essere educata e formata. Dello stesso parere sono le riflessioni espresse da Spinoza e Hume i quali considerano il sentimento alla base del comportamento etico e morale. L’educazione, così, si dà come “processo volto a facilitare l’approccio della persona che si istruisce con il complesso universo simbolico della cultura umana, e (...) stabilisce percorsi omogenei, quantunque flessibili, volti a conseguire un traguardo formativo che si esprime attraverso una produzione creativa e l’assunzione di comportamenti liberi tuttavia provvisti di una forte carica etica e morale”.24 La necessità di indagare circa i valori etici, normativi e morali è descritta ottimamente da Amartya Sen, la quale chiarisce che “nel mondo contemporaneo c’è un impellente bisogno di porre domande non solo sull’economia e la politica della globalizzazione, ma anche 23 Ayer, A. J., (1954). On the analysis of moral judgments, in Philosophical Essays, London: MacMillan, - Stevenson, C. L. (1959). The emotive meaning of ethical terms, in Ayer, A. J. (1959). Logical Positivism, Glencoe: Free Press. 24 Rosati L. (2002) Il metodo nella didattica. Brescia: La scuola .
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sui valori e sull’etica che formano la nostra concezione del mondo globale”25. L’educazione ai sentimenti diviene principio e finalità dell’agire etico, stella polare per una evoluzione soggettiva e comunitaria fondata su valori e principi di “senso”. Tali riflessioni trovano una sintesi nel pensiero di Prinz26, il quale afferma che non c’è educazione emozionale senza educazione morale e viceversa. La difficoltà realizzativa di quanto espresso risiede principalmente nel fatto che fino ad ora nessuna generazione ha potuto tramandare per intero il suo credo educativo alla generazione successiva, si voglia per i mutamenti culturali che si sono susseguiti dal dopo guerra in poi, oppure per l’umana necessità di cambiare e modificare. Questa parziale possibilità di travasare tutto il contenuto da una generazione all’altra, però, era comunque sorretta da valori ed agenzie che legittimavano le nuove proposte. Oggi, pur continuando nel moto che vede l’impossibilità di assoggettare i vecchi modelli ai nuovi, si è anche assistito allo sgretolamento di quelle istituzioni che confermavano l’opera di trasformazione. Anzi in alcuni casi è proprio il nuovo che detiene il potere conoscitivo, come nel caso delle nuove tecnologie. Si è assistito alla perdita di “segreti” che, spesso, delimitavano la profondità del sapere. Ogni persona, così, è costretta a sviluppare principi morali in totale solitudine, a partire dal benessere emozionale e la realizzazione di se stesso, in quanto impossibilitato a confrontarsi con quelli di ieri. Si tratta, allora, di sperimentare e vivere con pienezza, ma anche pensare e comprendere il valore delle emozioni quale sorgente etica.
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Sen, A. (2003). Etica ed economia. Bari: L’altezza. Prinz, J. J. (2008). The emotional costruction of morals. Oxford : Oxford press.
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A supporto di tali tesi le neuroscienze evidenziano che nel giudizio morale si attivano sia aree del cervello limbico, deputate al “sentire”, sia della corteccia prefrontale quale sistema di organizzazione sociale, confermando l’ipotesi che la morale appartiene alla struttura cerebrale nel suo complesso ed in modo olistico. Nel riassumere è possibile affermare che l’educazione emozionale non è solo accompagnata da principi etico-morali, piuttosto quest’ultimi possono essere considerati come lo stesso aspetto del medesimo progetto. Empatia, compassione, amore, etc. sono alla base di ogni società. Solamente a partire da un comportamento moralmente accettabile è possibile sviluppare un “benessere ed un equilibrio emotivo”, per dirla con le parole di Levin, “sentirsi bene”. Palomera27 presenta una lista di raccomandazioni e di “buone pratiche” per la realizzazione del benessere e per il raggiungimento della felicità: -
dare e prendersi spazio e tempo per la ricerca del benessere; sperimentare ed esprimere emozioni; manifestare gratitudine e rispetto verso gli altri; dedicare i primi e ultimi cinque minuti del giorno a se stessi.
Questi consigli si traducono in valori specifici: silenzio, calma, tranquillità, rispetto, solidarietà, introspezione, meditazione etc.. Creare un ambiente entro cui si sviluppi benessere psico-fisico significa far confluire sicurezza, dinamiche gruppali positive ed organizzazioni flessibili degli apprendimenti basati sui bisogni individuali.
27 Palomera, R. (2009). Educare alla felicità. in Fernendez-Abascal, E. G., a cura di, Emozioni positive. Madrid: Piràmide
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2.4 Il mondo dei valori “La mente è uno splendido meccanismo, usalo, ma non farti usare. È al servizio dei sentimenti: se il pensiero serve i sentimenti, tutto è in equilibrio; nel tuo essere sorgono profonda quiete e gioia”28, afferma Osho in un suo recente saggio. Dello stesso parere è il lemma espresso da Morin quando assicura che “l’essere umano è un folle savio”, al cui pensiero si accodano le parole di Cambi che riflette sul fatto che “la formazione umana è soprattutto formazione affettiva” e quelle di Vauvenargues che dichiara che “i grandi pensieri vengono dal cuore, nessuno è soggetto a più sbagli di coloro che agiscono solo mediante riflessione”. Al di là dell’indiscutibile bellezza di tali citazioni, all’interno di ognuna possiamo scorgere immense verità didattico-pedagogiche, le quali possono essere riassunte nell’avvicendamento del “penso dunque sono” di cartesiana memoria con il “sento dunque sono”. Il tema del benessere emotivo e della ricerca individuale alla felicità, quali aspetti centrali della vita in ogni dove ed in ogni tempo, rappresentano un traguardo indiscutibile. A tal proposito Peterson e Park hanno presentato una tassonomia all’interno di un progetto denominato: “valori e azioni”, che prevede 24 punti nodali distinti in 6 virtù: -
saggezza e conoscenza: formata dalla creatività, dalla curiosità, dall’apertura mentale, dall’amore per l’apprendimento e dalla prospettiva con cui si osserva il mondo;
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coraggio: distinto in autenticità, caparbietà e vitalità;
-
umanità: caratterizzata da bontà, amore ed intelligenza sociale;
28 Osho, R. (2010). Il benessere emotivo. Trasformare paura, rabbia e gelosia in energia positiva. Milano: Mondadori.
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-
giustizia: attuabile per mezzo dell’uguaglianza, della libertà e del lavoro;
-
contenimento: descrivibile come capacità di perdonare, modestia, silenzio e autoregolazione;
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trascendenza: sensibilità ad apprezzare la bellezza, l’eccellenza, la gratitudine, la speranza, l’ironia e la fede.
Il risultato di una simile architettura, oltre ad evidenziare un’educazione volta al benessere, mette in risalto il fatto che per sviluppare le peculiarità e le attitudini individuali occorre la compresenza e la concomitanza di diversi fattori. Secondo Seligman29 gli elementi costitutivi del benessere soggettivo possono essere riassunti in tre variabili: - piacere nelle emozioni positive: unico valore insito nelle emozioni; - volontà: propensione soggettiva per la ricerca della felicità; - significato: traduzione dei simboli culturali in significati per il raggiungimento dei propri bisogni. Deve essere osservato che è solo attraverso l’intersezione dei tre elementi è possibile condurre una vita nella quale ogni soggetto si senta attivamente realizzato e completo.
2.5 Evoluzione umana e benessere Esiste una notevole differenza circa la realizzazione di uno stato di benessere rispetto alle varie fasi evolutive dell’essere umano. Se per un bambino, infatti, il benessere è rappresentato da una libera 29
Seligman, M. (2003). La auténtica felicidad. Barcellona: Ediziones B.
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e naturale espressione ed il contatto con le figure genitoriali, già a partire della pubertà le cose si complicano. In tale periodo vengono ad essere potenziati soprattutto quegli elementi come l’autostima, le capacità regolative e gestionali delle emozioni che via via si organizzano in un equilibrio psichico adeguato. La tappa intermedia della vita di una persona, e cioè quella compresa più o meno tra i 35 e 65 anni, è forse la meno considerata da un punto di vista emotivo, forse perché incentrata in particolare sulla produttività e efficienza. Questa, comunque, rappresenta il continuo degli anni precedenti e quindi il raccolto di quello che si è seminato. Quando si parla di adulti la crescita di competenze emozionali, di abilità prosociali e di autocontrollo, anche se avvengono in maniera più lenta, di certo non si arrestano, ma continuano a perfezionarsi lungo l’intero asse della vita. Per ciò che concerne l’ultima fase della vita, quella della terza età, questa costituisce un momento in cui riaffiora quella sfera emozionale che per mille ragioni potrebbe essere stata precedentemente soppressa o inaridita nel nome dell’efficacia e pertinenza sociale. In tale stadio l’aspetto emotivo, ci sia consentita questa espressione, torna quasi alle origini, rivestendo un punto nevralgico per l’equilibrio psicofisico. La vita emozionale della persona non vede arresti o, tanto meno, punti di arrivo, ma è manifestazione di uno sviluppo costante e continuativo. Attraverso numerose ricerche, in particolare quelle di Lyubomirsky30, è stato possibile dimostrare che il concatenarsi e manifestarsi delle emozioni è fattore vincolante per: la salute, la creazione di relazioni interpersonali proficue, il rendimento scolastico o lavorativo e per una corretta integrazione sociale. Vàzquez e Heràs31 propongono una sintesi volta a dimostrare che 30 Lyubomirsky, S. & King, L. & Diener, E. (2005). The benefits of frequent positive affect: Does happiness lead to success?, Psychological bullettin, n° 131. 31 Vàzquez, C. & Heràs, G. (2009). Psicologia positiva. Una nueva forma de entender la psicologìa. Madrid: Alianza.
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le emozioni positive possiedono determinati effetti benefici, sia a livello psicologico, che fisico: -
ampliano il campo visuale e la concentrazione; generano un pensiero flessibile, critico e creativo; favoriscono la ricerca di nuove informazioni; riducono il dubbio e l’incertezza; facilitano le relazioni interpersonale; migliorano le performance lavorative o di studio; probabilmente fanno vivere più a lungo potenziando il sistema immunitario e il benessere fisico; incoraggiano la circolazione del sapere e lo scambio di idee.
Da un punto di vista neurologico le emozioni sono responsabili di diversi fenomeni, inclusi la secrezioni delle sostanze chimiche adibite al benessere individuale. Tali sostanze inducono il soggetto a sentirsi euforico ed “eccitato”, insomma a sentirsi bene e stare bene con gli altri. È cosa risaputa che da un punto di vista squisitamente chimico i processi generati dalle emozioni “attivano determinati neurotrasmettitori: - l’ossitocina, la quale accresce la fiducia nell’altro; - l’argina vasopressina, (AVP), che assieme alla prima controlla e vigila la formazione e l’evoluzione di una determinata relazione”32. L’ossitocina “viene rilasciata in molti mammiferi quando sono stimolate la vagina o la cervice, come nel parto e nell’accoppiamento [...]. Invece l’AVP è determinante per una serie di comportamenti maschili, tra cui l’aggressività, l’impulso a marcare il territorio e il corteggiamento”33. 32 Mancini, R. (2011). Segmenti sulla pedagogia delle cultura. Perugia: Margiacchi-Galeno. 33 Aamodt, S. & Wang, S. (2008). Il tuo cervello. Milano: Mondadori.
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“Ciò che diventa fondamentale sono, quindi, i ricettori di tali sostanze che sono presenti in tutto cervello, e più precisamente nel nucleo accumbens e nel pallido ventrale. In questo processo di secrezione e ricezione dei neurotrasmettitori interviene la dopamina, quale agente essenziale per produrre una sensazione di benessere e gratificazione”34. Se da un punto di vista fisiologico e cerebrale le emozioni positive predispongono il soggetto ad uno stato di felicità e soddisfazione generale, insomma di benessere, questo si riversa nella sfera sociale, cognitiva e della salute. Infatti, nel momento in cui ci si sente bene le nostre relazioni sono tendenti ad essere maggiormente produttive e durature; si è più propensi all’apertura e al contatto con l’alterità, così come generano strategie di apprendimento efficaci promuovendo pensieri creativi ed aumentando il rendimento performante. Esse, inoltre, sono una panacea per la salute fisica e mentale in quanto, ad esempio, diminuiscono la soglia del dolore e della paura, prevengono la depressione ed innalzano le difese immunitarie. D’altra parte noti sono i disturbi generati da una cattiva gestione delle emozioni. Tra i tanti possono essere ricordati: l’alessitimia (soggetti non in grado di provare emozioni e di comprendere quelle degli altri), la sindrome di Moebius (inabilità di esprimere nel volto le proprie emozioni) e la prosopagnosia (incapacità nella percezione facciale).
34 Mancini R. (2011). Op. cit.
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Cap. 3 Interdipendenze educative Le emozioni sono causa e conseguenza della risposta che ogni soggetto compie nei confronti di se stesso e dell’ambiente che lo circonda. Possiamo affermare che un uomo adulto possiede schemi emotivi capaci di donare significato agli eventi, formando una sorta di corredo fenotipico. Questo implica notevoli istanze educative e sociali. Per esempio, se vogliamo potenziare la lettura conviene, e sarà più produttivo, che il discente possa sperimentare emozioni favorevoli, magari sentendo quel calore effettivo che lo mette in contatto con le lettere che sta leggendo. In tale modo si genera un’esperienza significativa che impressiona la memoria e diviene un apprendimento consapevole. Di contro, nel momento in cui uno studente si approccia a qualsiasi obiettivo didattico con disinteresse o senza la giusta dose di emozioni e motivazioni il percorso risulterà quasi sempre poco proficuo o addirittura insufficiente e superficiale. Di qui la stretta relazione che intercorre tra mondo interno e motivazione. A livello pedagogico spesso la motivazione è legata al trasporto che ogni insegnante cerca di trasmettere, non solo per quello che concerne le informazioni da dover veicolare, ma anche e soprattutto per boschettiana passione nell’educare. Così la motivazione viene ad essere un continuo interscambio di verità e stimoli che conducono l’essere umano alla ricerca del miglioramento del proprio sé. Maslow (1954) definisce la motivazione come “carenza di un ‘oggetto’ desiderato, tal ché la persona orienta il suo comportamento per raggiungerlo o per soddisfare il relativo bisogno”35. Per un giusto apprendimento, infatti, le emozioni e la motivazio35 Maslow, A. (1954). Motivazione e personalità. Tr. It. Roma: Armando Editore.
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ne sono indispensabili in quanto ampliano, espandono, potenziano e rendono significativa l’esperienza che si compie. Da un punto di vista didattico questo implica: -
la libera espressione del proprio Io interiore;
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di non eliminare le emozioni negative qualora si presentino, piuttosto viverle come elemento naturale del proprio essere;
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parlare delle emozioni con totale naturalità;
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riconoscere le varie forme e modi con cui si presentano;
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fare tesoro delle sensazioni che proviamo nel corso della vita;
-
comprendere il linguaggio con cui è possibile instaurare un dialogo con le emozioni;
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favorire un apprendimento ed una esperienza in modo autonomo;
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comprendere che le emozioni possono essere gestite in totale armonia e semplicità;
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percepire le emozioni altrui;
-
interiorizzare le forme espressive.
L’importanza che riveste l’educazione emozionale nella vita implica l’organizzazione e la realizzazione di azioni guidate da una metodologia attiva, partecipativa e che abbia come punto di riferimento quella del contatto diretto tra l’uomo, la sua vita interiore, il mondo ed il sapere, come suggerito anche da Bandura36 nella teoria dell’apprendimento sociale. 36 Bandura, A. (1977). Social Learning theory, Englewood Cliffs N.J: Prentice-Hall
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Impegnare gli alunni in dinamismi dialogici e di ricerca, in disegni di conoscenza e nel rapporto che ogni soggetto in apprendimento instaura con il sapere appaiono essere tre capisaldi su cui erigere ogni percorso apprenditivo. Occorre, così, saper stimolare ed impegnare ogni alunno, in modo tale da dare vita ad una partecipazione attiva e sentita nella volontà di apprendere qualcosa in un progetto di conoscenza. Di qui l’esigenza, come ricorda Delannoy, di incentivare “il desiderio di sapere e la decisione di imparare”. Il modello banduriano suggerisce una verità sostanziale: si impara da ciò che facciamo e vediamo. Così divengono fondamentali due aspetti: - il provare direttamente le emozioni; - il modello di persona (padre, madre, educatore etc.) a cui ci rifacciamo fin dalla prima infanzia, la quale orienta il nostro intendere e rapportarci con le emozioni. Partendo dall’idea che tutti gli apprendimenti contengano un significativo peso emozionale, quest’ultimo si presenta come convertitore e facilitatore di ogni forma conoscitiva. Ira, tristezza, felicità, ansia, odio, invidia, rabbia, desiderio, gioia etc. sono tutti elementi presenti nella nostra natura e che intervengono nel quotidiano agire e apprendere. La rabbia, ad esempio, è una espressione di forte disapprovazione verso situazioni che sembrano ledere valori morali, etici e di libertà personale; non a caso viene definita da Goleman e dal Dalai Lama37 come “emozione distruttiva”. Tanto le emozioni distruttive, quanto quelle positive, hanno la necessità di essere regolate, non anche sperimentate e vissute. Fattore 37 Goleman, D., Dalai Lama. (2009) Emozioni distruttive. Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio illusione. Milano: Mondadori.
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vincolante diviene, quindi, la traduzione degli stimoli emotivi che si generano con l’incontro di specifiche variabili ambientali. La regolazione emotiva interpersonale è riconosciuta come un processo interpersonale che si sposa con la teoria dell’attaccamento di Bowlby. D’accordo con Rimè38, siamo inclini a rivendicare il fatto che la taratura e calibratura emozionale derivi sia da un processo intrapsichico, sia da in percorso nella quale rivestono notevole importanza l’alterità ed il contesto. La migliore forma di regolazione delle emozioni rimane, e questo è un vero e proprio assunto, l’educazione, espressa secondo un esercizio costante e capace di controllare e modificare l’insorgere dei picchi emotivi e per giungere ad un equilibrio. Educare alle emozioni significa, a volte, modificare, sicuramente avvalorare, la percezione che il soggetto possiede nei confronti di esse. Occorre saper convivere con tutta la gamma umana delle emozioni, e ciò implica coscienza, responsabilità e volontà. Non possiamo combattere contro noi stessi, piuttosto agire con saggezza accettando coscientemente la naturalità del nostro essere e educandola alla sua massima espressione. Apprendere a vivere con una emozione significa acquisire competenze che autorizzano a venire a contatto con il proprio “mondo interno” (Solms M., Turnbull O. 2004), la propria identità e la propria natura, insomma con l’anima che ognuno possiede. “L’affermazione della dignità della persona è stata una essenziale conquista di civiltà, che domanda un’intenzionale e continuativo intervento educativo, volto a favorirne il riconoscimento permanente”39.
38 Rimé, B. (2007). Emotion eliticts the social sharing of emotion: Theory and empirical review. N.Y.: Guilford. 39 Mari, G. (2013). Educare la persona. Brescia: La scuola
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3.1 La famiglia: contesto emozionale Le riflessioni che potremmo muovere circa la famiglia e del ruolo che essa gioca nello sviluppo emozionale sono molteplici, basti considerare la copiosa letteratura che ne attesta l’importanza e la valenza. Da principio è doverosa una puntualizzazione. Per competenza emozionale è giusto intendere “il set di conoscenza, capacità, abilità e attitudini necessarie per comprendere, esprimere e dare forma appropriata al fenomeno emozionale”40.Educare alle emozioni significa sviluppare delle abilità che mettono in relazione la persona con il proprio sentire, cioè competenza attraverso cui il soggetto entra in contatto diretto con il proprio sé e con la componente dialogica. Certamente un assunto dal quale è possibile prendere le mosse è quello che la famiglia svolge una funzione educativa soprattutto nella sfera dell’affettività. La famiglia rappresenta il primo ambiente in cui si sperimentano e si incontrano i sentimenti. Da tale confronto ogni soggetto ricava una individuale percezione del sé, degli altri e schemi mentali che lo caratterizzeranno per tutto il corso della vita. La zona prossimale dichiarata dal Vygostkij di ogni soggetto è una necessità, come la definisce M. James (1987), di “riconoscimento della presenza dell’altro” e dalla propria natualità. Attraverso l’imitazione dello stile genitoriale, ad esempio, il bambino impara a gestirsi e sviluppare capacità che formeranno quella “cassetta degli attrezzi” che ognuno di noi porterà con sé per l’intera esistenza. Ogni nucleo domestico, quindi, deve avere come obiettivo quello di edificare un ambiente caratterizzato da pace, armonia e felicità, in modo tale che i suoi membri godano di benessere e relazioni positive. Si tratta di mettere in pratica, giorno dopo giorno, forme dialo40
Bisquerra, R. (2009). Psicopedagogìa de las emociones. Madrid: Sintesis.
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giche, aspetti emozionali e migliorare l’autostima, l’autonomia ed il senso di responsabilità di ogni membro. Lo sviluppo e la maturazione affettiva, infatti, “sono possibili soltanto in un positivo contesto relazionale. La dimensione relazionale è connaturata all’esistenza umana, ogni persona si trova inserita in una rete di rapporti interpersonali. Ciascuno nasce, cresce, si sviluppa grazie alle relazioni instaurate”41. In tal senso Papa Giovanni Paolo II definisce la famiglia come dimensione di “impresa d’amore, comunità di vita”. Lo stesso Platone descriveva il sentimento come “thymoeidès”, quale forza d’animo, di volontà e ragione, non stucchevole languore. Troppo spesso però i genitori lasciano i propri figli “soli” in questo percorso. Essi tendono a smarrirsi e, nella più rosee ipotesi, si eclissano dietro a comportamenti superficiali. “Nonostante l’apparente disinvoltura, non è possibile eliminare le implicazioni affettive ed emotive che spesso lasciano gli adolescenti smarriti rispetto a ciò che provano e che non riescono a definire e nominare”42. Ogni stile genitoriale errato comporta la creazione di atteggiamenti altrettanto sbagliati nella prole. I genitori “hanno paura della crescita emotiva dei ragazzi proprio perché conoscere le proprie emozioni significa cercarle nella vita, dunque essere liberi”43. Non è tanto fondamentale come, quando, cosa o perché si prova un sentimento, ma è sostanziale assumersi l’impegno del proprio sentire: “occorre aiutare i figli a legittimare i sentimenti come elementi costitutivi della loro esistenza, anziché lasciarli inespressi, soffocati, ignorati”44. 41 Simeone, D. (2008). Educare in Famiglia. Brescia: La Scuola. 42 Simeone, D. (2011). XXV Congresso eucaristico nazionale, Ancona 5 settembre. 43 Crepet, P. (2009). Sfamiglia, Torino: Einaudi. 44 Iori, V. (2006). Separazioni e nuove famiglie. L’educazione dei figli, Milano: Raffaello Cortina.
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Bisogna prendere atto che l’educazione emozionale inizia prima della nascita, da quando cioè si sviluppa l’embrione nel grembo materno. Molte ricerche, infatti, si sono soffermate sul fatto che la vita pre-parto risulta fondamentale nello sviluppo di comportamenti e abilità emozionali, quanto quella post-parto. Di qui, il fondamentale ruolo svolto dai genitori nell’esercizio delle loro funzioni. Per tali ragioni sembra doveroso indicare alcuni capisaldi che consentano una corretta educazione emozionale all’interno della famiglia. Elias (1999) sofferma la sua attenzione sul fatto che ogni educatore sia un genitore e “tratti i bambini come se trattasse i suoi figli”45. Lo stesso pedagogista spagnolo propone alcuni principi sui quali è possibile avviare un rapporto empatico e dialogico: 1 - Essere consapevoli dei propri sentimenti e di quelli altrui; 2 - Mostrare empatia e capire le opinioni degli altri; 3 - Affrontare positivamente gli impulsi emotivi; 4 - Considerare obiettivi positivi e fare piani per il loro conseguimento; 5 – Utilizzare abilità sociali positive nell’interazione. Questi consentono di costruire una salute psichica capace di promuovere sviluppo ed armoniosità all’interno dei nuclei famigliari, così come in qual si voglia contesto educativo e formativo: scuole, mondo del lavoro, gruppo dei pari, etc.. Senza l’ingresso ed il riconoscimento dell’affettività, la persona avrà scarsa adattabilità nel superamento degli ostacoli ed un’altrettanto inadeguatezza e propensione ad apprendere. 45 Elias, M. J. (1999). Educar con inteligencia emocional, Bercellona: Plaza y janès.
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Rafae Yus Ramos, riflettendo sul modello espresso da Elias, sintetizza l’intervento emozionale attraverso l’acronimo spagnolo STOPP-SPA (che in italiano diviene SIOPF/SPC), il quale si sviluppa nel seguente modo: S: Spiegare quali siano i sentimenti in gioco; I: Individuare il problema all’interno della famiglia; O: Obiettivi per la risoluzione delle problematiche emozionali; P: Pensare alle diverse strategie di intervento; F: Fornire i risultati; S: Selezionare la soluzione migliore; P: Pianificare come procedere in previsione del superamento degli ostacoli; C: Consigliare su come procedere. All’interno delle ricerche compiute da Elias questo metodo si è rivelato particolarmente adatto a chiarire situazioni di distacco emotivo tra i membri della famiglia, ed a responsabilizzare ed orientare tutti gli interessati verso un’azione maggiormente consapevole.
3.2 Genitorialità consapevole Negli ultimi anni il concetto di genitorialità ha subito notevoli trasformazioni, aumentando in complessità e dinamicità. Che l’amore sia il principale “strumento” a disposizione della persona per maturare ed evolvere è cosa certa quanto quella che tale sentimento rappresenti il miglior veicolo educativo a disposizione di ogni genitore. Difatti, se è nota l’espressione di E. Trufaut che ogni uomo “non può fare a meno di amare ed essere amato”, dall’altro lo stesso Aristo-
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tele sancisce che “i genitori amano i figli come una parte di se stessi, i figli amano i genitori in quanto derivano da essi”. Non si tratta di stipulare una scala che determini la quantità o la qualità d’amore necessaria all’armonico sviluppo soggettivo o di quanto tempo stare con i propri figli per giungere all’emancipazione, dichiarano Mariani e Schiaralli in un recente saggio, “sarebbe impossibile oltre che nemmeno auspicabile. Si tratta, molto più concretamente, di adottare comportamenti educativi adeguati ed efficaci, anche con poco tempo a disposizione. Una strada in questa direzione è promuovere nei figli in età prescolare l’intelligenza emotiva, la competenza cioè di individuare, riconoscere, gestire e modulare le proprie emozioni. Un vero e proprio vaccino affinché non incorrano in disagi e dipendenze patologiche”46. Anche se con modalità e tempistiche del tutto differenti, l’amore che unisce genitori e figli rappresenta la strada maestra di ogni sviluppo umano di senso. Essere genitori, osserva Sità, “diventa un problema perché non è più semplicemente una funzione naturale, ascrivibile a un sistema di ruoli e relazioni sancito dalla tradizione o guidato dall’istinto, ma viene sempre più concepito come una scelta, gravata di conseguenze che ogni futuro genitore ha il dovere di ponderare con attenzione”47. Comunque, indipendentemente dalla natura dell’amore tra genitori e figli, non è superfluo dire che tale rapporto è da sempre celebrato, in maniera a volte anche morbosa, nella diade madre e figli. Affidandoci alle parole di J.P.F Ricther egli evidenzia che “tutta l’antichità esalta l’amore materno di sopra quello paterno: grande, deve essere quello materno, poiché un tenero padre non ne può immaginare uno maggiore del proprio”48. Alla funzione paterna, spes46 Mariani, U., Schiaralli, L. (2013). Adolescenti giorno per giorno. Ricette per vivere con un figlio che cresce. Milano: Mondadori. 47 Sità, C. (2005). Il sostegno alla genitorialità. Brescia: La Scuola. 48 Richther, J. P. F. (1964), Levana, Torino: Utet.
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so, sono lasciate le mansioni legate ad una leadership formale con handicap positivo, la valenza del “diventar uomo” e del raggiungimento di un obiettivo sociale, come se a tale abilità, erroneamente, non fosse legata una componente affettiva. Una visione di certo antiquata nei suo principi cardini, tanto che nel corso di quest’ultimo ventennio si è andata via via modificando e sgretolando, facendo intravvedere, grazie in particolar modo alla pedagogia della famiglia e al ruolo del padre, la sempre crescente importanza di una paternità consapevole, partecipe e cosciente. La relazione genitori e figli, oggi più che mai, si accredita di una sana contemplazione di un nucleo familiare in cui tutti i suoi partecipanti concorrono ad una crescita ordinata e sempre più in sintonia con i vari bisogni ed esigenze sociali. Tutto ciò risiede nella galliana convinzione che “da solo uno di loro (i genitori) non potrà mai dare alla prole ciò che insieme sono in grado di offrirle”49. All’attiva costruzione di un nucleo familiare coeso, oltre alla piena partecipazione da parte dei genitori, è sempre più richiesta un’azione dei figli, i quali, anche nel periodo della fanciullezza, sono chiamati ad assumersi incarichi e responsabilità, ovviamente calibrate in base all’età. Con questo non si vuol intendere una prospettiva di alienazione o deresponsabilità genitoriale, piuttosto, inversamente, di una coscienza educativa completa ed olistica, in cui ogni membro possieda una propria peculiarità ed un ruolo operante.
3.3 Tra inversione dei ruoli e richieste sociali L’esperienza genitoriale si delinea come l’attitudine squisitamente umana di essere per l’altro; “il termine genitorialità può riferirsi, 49 Galli, N. (2010). Amore educativo e competenza, in Pedagogia e Vita, Bimestrale n-5-6 Settembre-dicembre, p. 11.
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infatti, ad una capacità educativa diffusa, non circoscritta ai propri figli, che istituzioni, agenzie e comunità adulta possono assumere rispetto ai minori, offrendo sostegno e tutela alla loro crescita. La genitorialità, dunque, può estendersi oltre che ai genitori che sono attenti ai propri figli e ai processi di crescita dei figli degli altri, a tutti gli adulti che all’interno della comunità locale, dentro i ruoli che rivestono nelle istituzioni e nelle agenzie educative, accettando di assumere funzioni genitoriali: di cura, di attenzione, di controllo, di accompagnamento, di emancipazione”50. L’educazione borghese, ad esempio, era legittimata dalla responsabilità che ogni adulto aveva nei confronti del futuro del bambino. In tali termini l’educazione era un fatto fondamentale della vita umana, sia in chiave culturale, sia biologica, entrambe, comunque, fondate sui principi di controllo, aiuto, giuda e motivazione. L’avvento dell’educazione borghese era sostenuta dal fatto che fino ad allora il futuro di ogni bambino era stabilito a seconda dell’appartenenza ad un ceto piuttosto che ad un altro, così da irrigidire la struttura sociale e non permettere l’ascesa e la mobilità. I principi su cui invece dovrebbe fondarsi l’educazione olistica appartengono all’idea che non sia possibile precludere nessuna strada e nessun sviluppo al discente, in quanto nella sua potenza nulla gli può essere vietato a prescindere. Esponente di spicco di tale modello educativo è certamente Rousseau, il quale impostò tutto il suo credo pedagogico nell’idea che il “bambino non fosse solo un piccolo adulto, ma anche un essere indipendente con proprie idee e propri sentimenti, e che non si dovesse perciò sacrificare la sua vita presente (di bambino) al suo futuro (di adulto)”. Lo “spirito” familiare si tratteggia come una coscienza pedagogica avente espressioni emozionali, capace, quindi, di contrastare quello che Kant sintetizza in tali termini: “uno dei maggiori problemi 50
De Natale, M.L. (2001). Educazione degli adulti, Brescia: La Scuola.
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pedagogici è il conciliare la sottomissione alla costrizione legittima con la capacità di fare uso della propria libertà”. L’assoggettamento, infatti, prevede un atteggiamento passivo di uno dei membri della famiglia, nella maggior parte delle volte la prole. Una asservimento che comunque fino a non molto tempo fa aveva un ruolo educativo fondamentale, tanto che ha guidato fino ai giorni nostri l’evoluzione non solo della famiglia, ma dell’intera società moderna. Dall’obbedienza scaturiscono momenti di dialogo, a volte anche scontro, che rompono lo status quo delle situazioni e spesso migliorano la situazione di partenza. In quest’ultimo decennio, ad esempio, si sta assistendo ad una dipendenza inversa, cioè genitori andati in crisi a causa dei continui mutamenti tecnologici. Il potere che riveste il “sapere”, che una volta era custodito nell’atto stesso di essere genitore, oggi si sgretola davanti alle nuove tecnologie. Per dimostrare ciò basti porre a mente il fatto che sempre più frequentemente all’interno della famiglia si assiste ad un ruolo insostituibile da parte dei figli nel gestire l’evoluzione tecnologica. Non di rado osserviamo delle vere e proprie lezioni da parte dei figli ai genitori su come poter ottimizzare il lavoro con il proprio computer. I genitori, afferma Norberto Galli, dovranno stipulare “un’intensa costruttiva con i figli che, senza scadere nel permissivismo e nell’autoritarismo, si serve del dialogo e della correzione, nonché della circolarità, con cui l’adulto prende atto delle istanze e dei motivi del minore per modificare il proprio modo di ragionare e d’interagire”51. Come ricorda Casotti “l’educazione dei figli è molto difficile, si dice e si ripete oggi su tutti i toni. L’educazione dei figli è molto facile, ribadirei io –l’autore-. Sì l’educazione dei figli è molto facile perché è fondata su due elementi che non possono mancare: l’imitazione (esempio) e la soggezione (obbedienza. Tutto questo affannare moderno sullo slogan conoscere i figli, sui diritti del bambino, ecc ha già di per sé una conseguenza deleteria per l’educazione. La nostra 51 Galli, N. (2010). Amore educativo e competenza, in Pedagogia e Vita, Bimestrale n-5-6 Settembre-dicembre, p. 13.
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persuasione è che i principi pedagogici generali necessari a dirigere l’educazione dei figli siano pochi e semplici: comprensibili e applicabili da tutti, anche dai genitori illetterati”52. L’educazione quindi rappresenta, la “madre della famiglia”. Ecco, quindi, che se da un lato i principali attori dell’evoluzione famigliare restano comunque i genitori, dall’altro lato la sempre maggiore richiesta di efficienza sociale, culturale, politica ed economica chiama in causa la partecipazione attiva di tutti i suoi membri. Solo in questo modo, a noi pare sia possibile, che, in un epoca in cui la complessità è ormai una metacategoria, la famiglia possa ridefinire il suo ruolo predominante di crescita armonica e responsabilmente competente. D’accordo con P. Braido, si resta comunque dell’idea che “la funzione educativa e formativa è caratteristica della famiglia. Cioè non solo la famiglia (composta per vincolo dai parents e dai figli) è per natura istituzione educativa e formativa; ma la funzione educativa e formativa è quella che giustifica il costruirsi della famiglia in istituzione, distinguendola da qualsiasi altra: l’educazione crea la famiglia”53. Una famiglia che detiene la responsabilità educativa di ogni singolo soggetto e possessore dei diritti naturali di educare e formare. Sostanzialmente, solo la famiglia possiede, aggiunge l’Autore, “la funzione educativa e formativa; le altre istituzioni, se la possiedono, vengono ad averla per delega, esplicita o implicita; per esse l’educazione e la formazione non sono, quindi, una funzione, ma un servizio. (...) non possono competere con la famiglia nel dividersi, in certo senso, le competenze educative. Esse le soddisfano in linea subordinata, come prolungamento della famiglia o in quanto collaborano con essa o la integrano o la sostituiscono”54. 52 53 54
Casotti M. (1957). Educa la famiglia?. Brescia: La Scuola. Braido P. (1967). Filosofia dell’educazione, Zurich: Pas-Verlag, p. 290. Braido P. (1967). Filosofia dell’educazione. Hamburg: PAS-Verlag.
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La realtà dell’educazione interna ed esterna alla famiglia, pur contrassegnata da profonde lacerazioni sociali, rappresenta comunque “il fondamento della convivenza democratica e della cultura occidentale, bene comune da tutelare e da promuovere per le generazioni future, ambito di analisi e prospettiva euristica della teorizzazione pedagogica” 55.
55 Malvasi P. (2010), in IX Convegno di Scholé e le relazioni educative familiari nel dibattito pedagogico in Italia degli anni Sessanta, in Pedagogia e Vita, Bimestrale n-5-6 Settembre-dicembre, p. 13.
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Cap 4. Principi sociali ed apprendimenti emozionali Sotto l’epiteto “alfabetizzazione emozionale” risiedono, soprattutto nella sfera sociale, le abilità interpersonali ed il comportamento adattivo. Lacroix sensibilizza sul fatto che l’uomo ha l’obbligatorietà di guardare le emozioni come attributo fondamentale della sua umanità, chiave di accesso a quelle potenze che declamano originalità, apertura ed autonomia. L’uomo contemporaneo, afferma ancora il pedagogista personalista, è capace di emozionarsi molto, ma risulta privo di un sentire in profondità, assente cioè di quell’apertura al dialogo con sé e gli altri. Ritornando al concetto di competenza emozionale, anche se attestiamo nella letteratura scientifica una difformità di definizioni e interpretazioni, per quello che concerne le “abilità sociali” - in quanto dipendi dal contesto culturale e dalla loro traduzione pragmatica e contestuale - è piuttosto facile intuire il significato olistico. In generale, con il termine “competenze/abilità sociali” si può intendere la capacità/intelligenza di ogni persona a trasformare attivamente e funzionalmente le informazioni che trae dal contesto in cui vive e dalle relazioni che esso instaura con l’alterità, in modo che possano generare strategie e schemi cognitivi coerenti con la specificità sociale che è sempre situazionale. Le abilità sociali sono basate su una serie di principi, che Rafael Yus Ramos e Pérez56 sintetizzano in nove costituenti: a – traggono valenza dal modello comportamentista di John Watson, secondo cui il comportamento è una conseguenza di apprendimenti che si svolgono in un determinato ambiente;
56 Perez I. P. (1998). Las habilidades sociales en el marco de la orientacòn pedagògica, in Manual de Orientaciòn y Tutorìa, Barcellona: Praxis.
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b – sono competenze acquisite attraverso l’esperienza, e mantenuti e/o modificati in base ai modelli di contingenza; c - il rigore metodologico è legato ad un impiego di tecniche e strumenti adeguati; d – oltre che un repertorio di tecniche, le abilità sociali sono intese come un procedimento psico-educativo di formazione, finalizzato sia all’acquisizione di nuove competenze, sia alla ricerca di nuovi apprendimenti; e – l’elevata specificità situazionale, la flessibilità e la versatilità delle competenze sociali sono risposte a specifiche situazioni concrete. L’efficacia del comportamento sociale dipende dal contesto entro cui si specificano le azioni; f – appartengono alla sfera interpersonale; g – sono orientate al conseguimento di determinati obiettivi, sia personali che collettivi; h – al soggetto viene assegnato un ruolo di parte attiva al cambiamento, il ché comporta l’accettazione e la comprensione della natura umana ed individuale; i - le procedure dovrebbero essere familiari e semplici. Secondo Rafael Yus Ramos57 tradizionalmente le abilità sociali fanno riferimento: - alle componenti comportamentali direttamente osservabili (espressione del viso, postura del corpo, parlare, ascoltare, etc.); - alle partecipazioni alle interazione sociali (conversazioni);
57 Ramos R. Y. (2001). Educaciòn integral. Una educaciòn holìstica para el siglo XXI. Bilbao: Desclée.
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- allo spirito di cooperare e condividere (favori, regole stabilite, gentilezza, etc.); - ai sentimenti/emozioni (espressione emotiva e risposta ai sentimenti) - alla capacità di auto-affermazione (difendere i propri diritti e opinioni, rispettare quelle degli altri, rafforzare il sé). Diviene essenziale, così, che ogni istituzione educativa sia coinvolta nello sviluppo e maturazione di ogni singolo cittadino. Molti pedagogisti, tra cui è doveroso menzionare Elias (Elias M. 1997), propongono una serie di orientamenti: 1. A tutti i livelli formativi risulta necessario programmare piani espliciti volti ad aiutare ogni soggetto a divenire consapevole e responsabile. Questo è possibile attraverso il rafforzamento di competenze sociali, della salute, della prevenzione dei problemi, della possibilità di sostegno nei momenti di crisi e dei servizi; 2. È più utile equilibrare una formazione combinata tra opportunità informali e quotidiane e programmazioni adeguate all’interno di agenzie educative; 3. I programmi devono coinvolgere il soggetto in apprendimento in qualità di “partner attivo”; 4. La pratica e l’esperienza diretta sono di vitale importanza per la percezione cognitiva, emozionale e comportamentale, così come l’integrazione tra le tradizionali materie di studio aumenta notevolmente l’apprendimento; 6. I programmi sono più efficaci quando ogni educatore è libero di adottare una prospettiva a lungo termine; 7. Stabilire una stretta collaborazione e dialogo tra ambiente familiare, scuola e mondo del lavoro;
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8. L’utilizzo di tecniche e strumenti ad hoc aumentano l’efficienza ed ampliano la ricchezza educativa e formativa dei programmi; 9. Per massimizzare i benefici, i processi di valutazione devono essere delineati e distribuiti nell’ambito dell’intero percorso didattico, il quale comunque deve portare a sé una fitta rete relazionale con gli enti che intervengono nel naturale sviluppo soggettivo. In tali termini la pedagogia si delinea come azione indirizzata a promuovere apprendimenti significativi nella persona, la quale oscilla tra mondo della realtà, che rappresenta il luogo dove si fa esperienza, e quello metafisico-emozionale, il quale dona cromature del tutto personali all’apprendimento.
4.1 Dall’educazione emozionale alla educazione olistica Nelle faconde riflessioni dello statunitense Kessler58 è presente un punto nodale nelle ricerca di una educazione integrale: collegare la dimensione emozionale dell’apprendimento umano con approcci olistici. I suoi studi ventennali, infatti, hanno dimostrato che è possibile promuovere una serie di abilità personali e sociali essenziali per la costruzione del benessere. In modo particolare egli rivela che la solidarietà sociale derivi da strategie volte alla riduzione di comportamenti violenti e autolesionistici ed al potenziamento dell’autonomia e della felicità soggettiva. Insomma, come a voler dire che se il cittadino sta bene, anche la società versa in uno stato di grazia. Prima dell’intervento massivo espresso da Goleman sull’intelligenza emotiva, Kessler stava lavorando in un campo ancora sconosciuto volto a programmare interventi di prevenzione, cura e salvaguardia di una intera “generazione a rischio”. In tali termini Kessler può essere riconosciuto il precursore dei problemi sociali che attana58 Kessler, R. (1997). Social ad emotional learning, in Holistic education review n° 10 (4)
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gliano i giovani di oggi. Il comportamento auto-distruttivo (abuso di sostanze, suicidio, gravidanze precoci, disturbi alimentari, fallimento scolastico, etc.) purtroppo è un argomento di viva attualità, sufficientemente dimostrato dalla cronaca nera presente in ogni Tg o quotidiano. Siamo convinti che ogni tipo di devianza sociale “derivi dall’impossibilità di trovare il senso del proprio esistere, dando ragione a molti autori quando sottolineano il fatto che oggi lo spirito giovanile, che ha da sempre trasformato intere società in quanto forza propulsiva di avanzamento comunitario, si stia lentamente spegnendo e trasformando in una “una forza di inerzia, una specie di sonno” (Jedlowski, 2008). Nel “deserto emotivo”, creato dal nichilismo e dall’individualismo sfrenato, prosperano e dilagano i fenomeni di devianza giovanile, dichiara Galimberti. Il disagio giovanile può esprimersi, infatti, “in modi differenti: bullismo, dispersione scolastica, abuso di droghe e alcool, comportamenti anomali caratterizzati da dipendenza e compulsività, azioni esprimenti distruttività e violenza”59. Dopo il fallimento dei metodi tradizionali e programmi governativi non rispondenti alle esigenze del singolo cittadino, Kessler prospetta uno sviluppo umano capace di riconoscersi non solo in termini di “pace negativa” ed imposta (reazione alla paura, all’isolamento e alla disperazione), ma anche come una revisione forte del significato che porta in serbo l’educazione dell’uomo. Il successo di questi programmi, che presto hanno coinvolto molti altri ricercatori, risiede nella ricognizione circa l’attuazione del potenziale umano e nella raffinatezza nel sistema di prevenzione che questo porta in serbo.
59 Di Blasio C., (2009). Psicologo a scuola, Trento: UNI Service in Mancini R:, Gigli G. (2012) Ti picchio ti rompo. Il bullismo un fenomeno alla deriva. Perugia: Margiacchi - Galeno.
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4.2 Apprendimento significativo: intuizione emotiva Se da un lato è chiaro che la conoscenza è attività ed esercizio anche spirituale, di critica ed emozionale prima che di memorizzazione e di registrazione di informazioni, dall’altro lato risulta attività ricca di insidie e pericoli, in modo particolare derivanti dalla moltitudine di variabili che intervengono in ogni processo di sviluppo delle potenzialità umane. Di qui la consapevolezza che da un apprendimento emozionale è possibile ottenere quello che alcuni ricercatori dichiarano come “apprendimento significativo”. Questo è un vero e proprio insight, capace di essere corredato di memoria contestuale, funzionalità presente e prospettiva trasformativa. Ogni soggetto in apprendimento ha bisogno di vivere in ambienti capaci di stimolare il suo interesse e soddisfare i suoi bisogni, siano essi istituzionali come la scuola o informali come il contesto familiare o gli ambienti sportivi; ecosistemi, insomma, entro cui muoversi e condividere competenze, saperi, risorse, prospettive culturali e di maturazione. Per gli educatori olistici, l’apprendimento significativo è espressione di un intuito che è diretto al di là di una formazione puramente accademica. Una prospettiva che cerca di formare soggetti capaci di percepire, a volte in maniera oscura e confusa, magari intuitiva, verità profonde ed il senso degli eventi che altrimenti possono sfuggire all’intelletto o alla ragione. L’intuizione esprime, infatti, una “percezione diretta, immediata, spontanea d’una cosa, senza sforzo, senza la mediazione di una serie di concetti o di passaggi logici, senza riflessione”60. Sia essa razionale, inventiva o metafisica l’intuizione contempla una forte componente emotiva, in quanto si attiva solo laddove si senta una forte necessità a comprendere ed apprendere. 60 Morselli E., (1993). Dizionario di filosofia e scienze dell’educazione. Milano: Carlo Signorelli.
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Lo stesso Bergson evidenzia che l’intuizione “è quella specie di simpatia intellettuale che ci trasporta nell’intimità (appunto le emozioni), d’un oggetto per coincidere con ciò che esso ha di unico, e perciò d’inesprimibile”61. L’intuizione autorizza alla percezione del vero significato degli eventi, dello spirito e delle cose e l’utilizzo di una motivazione emozionale ed intrinseca. Una “intuizione emotiva”, ci piace definirla, che eleva il soggetto verso uno stato di grazia apprenditiva e permanente. Di qui l’intelligenza emotiva viene ad essere un tipo di integrazione sociale implicante la capacità di “controllare” se stessi nella sfera dialogica ed interiore. Sotto tali termini l’intelligenza emotiva, nella sua relazione con l’intuizione, prevede le seguenti competenze: A - Auto-consapevolezza: capacità di osservare se stessi e riconoscere i sentimenti che si generano; B – Auto-controllo: abilità di gestire in modo appropriato i sentimenti (positivi e/o negativi); C – Auto-motivazione: valentia nello sfidare le emozioni per una corretta maturazione olistica della persona; D - Empatia: sensibilità nel sentire i diversi sentimenti; E – Responsabilità relazionale: attitudine nel gestire le emozioni in un contesto sociale. L’auto-consapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia e le relazioni umane fanno parte di quella che Gardner descrive come “intelligenza interpersonale”.
61 Bercson H., (1993). Introduzione alla metafisica. Bari: La Terza.
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Un apprendimento che annoveri la sfera dialogica ed emozionale deve avere un obiettivo generale, e non parcellizzato, che può essere espresso secondo questo slogan: favorire la comprensione, la responsabilità e la cura di ogni singolo soggetto. Le varie interdipendenze educative, sancite dal imperituro dialogo tra apprendimento ed emozioni, catturano, intercettano e riassumono obiettivi essenziali dell’agire olistico, in quanto consentono di creare assimilazioni significative, durature e complete.
4.3 L’apprendimento trasformativo Il passaggio da quello che è possibile definire “pace negativa”, cioè quale cura e prevenzione della violenza attraverso atti coercitivi ed imposti, ad una “pace positiva”, espressione di cultura condivisa da ogni essere umano, passa necessariamente attraverso apprendimenti trasformativi, i quali si basano sull’assimilazione ed interiorizzazione di competenze valoriali, emozionali e di senso. Un contributo importante sull’apprendimento che genera una trasformazione individuale è dato da Mezirow. Il docente della Columbia University descrive l’apprendimento trasformativo come la capacità “di esercitare una rilettura dei processi, dei contenuti dell’esperienza professionale dei soggetti”62. Secondo la Fabbri questa teoria consente “di guardare al professionista come ad un soggetto che, grazie ad una trasformazione che non vuole gestire solo gli apprendimenti strumentali, è in grado di valicare i propri modelli di riferimento trasformandoli da paradigmi culturalmente e inconsapevolmente assimilati a prospettive intenzionalmente assunte”63. In termini convergenti la formazione si configura come “congegno in grado di accompagnare e sostenere i 62 Mezirow, J. (1994). Understanding Trasformation Theory,: in “Adult Education Quarterly (4)”, p. 169 63 Fabbri L. (2007). Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo. Per una formazione situata. Roma: Carocci.
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processi di cambiamento se diventa sede di conferma, di validazione e, quando necessario, di trasformazione”64. Gli obiettivi di un apprendimento così delineato possono essere enucleati nel seguente modo: - Conoscenza: affinché ogni soggetto diventi “esperto” in un determinato settore del sapere occorre, prima di tutto, essere motivati ad apprendere. Tale stato determina la netta differenza che passa tra un apprendimento “non sentito” e “non motivato” ad uno basato sullo sviluppo di abilità relazionali ed emotive. Accodandoci al pensiero di Kessler per conoscenza è lecito intendere la capacità di connettersi a qualcosa al di là della mera accumulazione di informazioni. L’apprendimento emozionale mira a promuovere la scoperta e la creazione di connessioni significative, traducendosi in una maturazione del “pensiero critico” e di apertura agli elementi essenziali del dialogo; - Responsabilità: diventare “responsabile” dovrebbe essere una delle principali finalità di ogni intervento educativo-formativo. L’apprendimento sociale ed emotivo si collega a doppio filo al senso di responsabilità, generando capacità di risoluzione dei problemi e di processi decisionali volti a gestire se stessi e le proprie azioni; - Consapevolezza: essere in grado di indirizzare le nostre azioni verso la soddisfazione dell’Io sociale crea i presupposti per la “consapevolezza”. Questo obiettivo, comunque, è integralmente legato alla acquisizione di conoscenze e al corretto sviluppo della responsabilità. Imparare a stare in “contatto” con la zona prossimale è la base per una cittadinanza responsabilmente attiva. Essa è una competenza fondamentale nella creazione di relazioni sane e sostenibili. I programmi di apprendimento sociale ed emozionale eviden64
Fabbri L. (2007). Ibidem.
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ziati da Kessler sul finire dello scorso secolo si basano su una serie di principi olistici. È ampiamente dimostrato, infatti, che questi apprendimenti devono essere affrontati secondo un approccio globale ed integrato. Tuttavia le acquisizioni avvengono solo attraverso programmi che forniscono un’azione coordinata e continuativa nelle diverse fasi dello sviluppo umano. Affinché le nuove competenze, i valori e gli atteggiamenti siano assimilati negli schemi di comportamento quotidiano, questi hanno l’obbligo di divenire modelli culturali di vita e non “informazioni volatili”. Ciò può avvenire solo grazie al rafforzamento della collaborazione tra docente e discente, dello spirito di gruppo, del rispetto e promozione di tutti i domini del sapere e dei diversi stili di apprendimento. Questi nel loro naturale sviluppo daranno luogo ad ambienti ricchi di stimoli e ad un coinvolgimento responsabile ed attivo da parte del soggetto, in modo tale da sviluppare una “comunità autentica”. Ogni programmazione scolastica, quindi, dovrà essere in grado di offrire un giusto equilibrio tra la costruzione di abilità e il proporre esperienze dirette destinate ad incoraggiare un cambiamento positivo. Seguendo le indicazioni di Kessler, Rafae Yus Ramos (2001) indetifica l’apprendimento sociale ed emotivo sviluppato in dodici fasi: 1. - Definizione dell’identità e dell’autostima: permettono la convalida del sé nella relazione con il mondo; 2. - Capacità di comunicazione: quale azione volta a fomentare le abilità di ascolto e di espressione. Al centro di questi programmi risiede l’adesione volontaria a canoni e valori di una determinata area geografica, creando, così, un clima di fiducia, di aiuto disciplinato, di rispetto, di scelta e di salvaguardia della diversità umana;
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3. - Controllo dello stress: è strettamente legato al senso di responsabilità personale. La gestione dello stress, infatti, implica prima di tutto imparare a controllare la propria vita e le proprie emozioni; 4. - Educazione emozionale e salute psico-fisica: aiuta ogni soggetto a ridurre il distacco tra il corpo e la mente attraverso tecniche di rilassamento. Queste aiutano ad avere un maggiore controllo su se stessi e, di conseguenza, avere un consolidamento dell’autostima e dell’auto-comprensione; 5. – Educazione alla prevenzione: oltre ad un intervento diretto per la risoluzione delle problematiche individuali nelle fasi acute e conclamate, occorrono piani di aiuto preventivo capaci di indirizzare, precauzionalmente, verso la salvaguardia degli elementi naturali appartenenti ad ogni persona e alle possibili variabili negative che potrebbero insorgere; 6. – Svago e divertimento: occorre riconoscere l’importanza del momento ludico per lo sviluppo. Il gioco, in particolare nell’infanzia, è elemento centrale sia per la crescita integrale della persona, sia per distanziarsi dagli elementi stressanti presenti nella società. Pardo (1994) comprende il gioco secondo due prospettive: attività motoria spontanea e proposta pedagogica offerta al bambino. Il gioco spontaneo è importante, ma se esso è realizzato secondo i crismi pedagogici assume maggiore efficacia. In ogni caso, per assicurare che questa attività assuma un significato logico e psicologico, dobbiamo lavorare con la totalità del bambino. Secondo Ortega e Lozano65 l’importanza del gioco non può essere compresa senza analizzare gli elementi conoscitivi relativi alle componenti emotive, affettive, e soprattutto ai fattori di spontaneità, di creatività e di proiezione della propria autonomia personale;
65 Ortega, R., Lozano T. (1996). Especios de jueco y desarrollo de la autonomia e la identidad en la educacion infantil, Aula de innovacion educativa, n° 52/53.
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7.- Diversità umana: uno dei principali contributi teorici e pratici di questi programmi è quello di favorire un senso di fiducia e tolleranza rispetto alla diversità dell’esperienza umana. Spesso, infatti, si impara per pericolosi luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi di ogni genere. Apprendere a superare il senso di ostilità presente nella diversità umana è di fondamentale importanza al fine di creare una comunità euritmica; 8. – Sostenere i diversi stili di apprendimento: creare programmi flessibili e creativi oltre ad essere un dovere deontologico appare sempre più una necessità educativa. Ogni progetto, infatti, deve essere in grado di soddisfare le esigenze individuali e collettive. Ogni stile di apprendimento, pur peculiare che sia, deve essere garantito per mezzo di piani di azione elastici e duttili, certamente flessibili ed in grado di interpretare nella miglior maniera ogni necessità e peculiarità apprenditiva; 9. - Promuovere il pensiero divergente: uno degli obiettivi di ogni intervento educativo rimane, comunque, quello di incoraggiare il “pensiero divergente”. Esso rappresenta la più alta espressione della varietà umana, dal cui utilizzo dipende la percezione positiva del Sé; 10. - Problem-solving: questa è una abilità importante in un’epoca che sottolinea il lavoro di gruppo quale competenza didattica di fondamentale valore assiologico ed ontologico. Ogni componente di un gruppo deve mostrare fiducia nel lavoro in team, così da generare una varietà di attività e metodi di pianificazione capaci di ridurre al minimo il senso di isolamento e facilitare i processi decisionali che si generano nella risoluzione dei problemi; 11. - Responsabilità personale e sociale: questo obiettivo, che può essere raggiunto solo con l’intreccio della prospettiva sociale con quella emotiva, coniuga gli obiettivi specifici elencati nei punti precedenti. Infatti, questa finalità promuove un senso di connessione profonda con gli altri e con la Terra, in tutte le sue manifestazioni;
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12. - Sviluppo spirituale: lo sviluppo spirituale rappresenta l’apice della piramide degli obiettivi che l’educazione deve perseguire. Al vertice è possibile giungere solo attraverso lo sviluppo e la manifestazione più intima del soggetto persona e la sua crescita armoniosa e naturale.
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Cap. 5 La creatività: l’eccellenza della persona Una logica aspirazione di ogni sistema educativo è lo sviluppo del “pensiero creativo” e, come alcuni autori avrebbero dichiarato, del “pensiero critico”. Sebbene lo sviluppo della creatività come standard e categoria formativa rappresenti uno degli obiettivi primari, ancora una volta siamo costretti a rilevare che non trova il giusto spazio nella scuola tradizionale, la quale sembra essere focalizzata solo nella trasmissione/assimilazione di un corpo dogmatico di conoscenze stretto nella morsa di una dichiarata standardizzazione: una “acculturazione” che stenta a riconoscere l’importanza della memorizzazione di informazioni, diretta all’attivazione del pensiero divergente. Il pensiero critico, infatti, si attiva solo allorquando si conoscano i termini del discorso o del problema. L’educazione olistica, per definizione, è interessata alle molteplici dimensioni umane, e, quindi, non può prescindere da quell’aspetto fondamentale rappresentato dal potenziale creativo, il quale esprime l’unione della conoscenza quantitativa con la soggettività interpretativa. La comprensione del sistema uomo, dichiara la Santoianni, “è dunque olistica e le scienze si pongono in modo non riduzionista. In un ideale triangolo in cui vi siano ai vertici i concetti di individuo, sistema adattivo e società della conoscenza si ha una interazione e una integrazione che comporta la messa a fuoco sia di aspetti che concernono specificamente la singolarità individuale, quindi il concetto di individuo nella sua complessità, sia la società della conoscenza, quindi l’ambiente attuale nel quale l’individuo si sviluppa, sia il sistema adattivo, cioè l’interazione che può sussistere proprio tra individuo e società della conoscenza”66. 66 Santoianni, F. (2012). I modelli sperimentali della formazione, Brescia: Atti del Convegno di Scholè.
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Dello stesso parere sono le idee espresse da Martino Paola quando afferma che “l’educazione è un processo di umanizzazione dell’uomo che lo coinvolge nella sua totalità come essere, valore, senso”67. Occorre ristabilire il nesso tra esistenza e cultura, riconsegnando all’educazione il suo spartito riflessivo capace di dare quel “senso” di aconiana memoria, soprattutto oggi nell’era, come ama definirla Ulrch Beck, del “rischio”. L’educazione, infatti, finisce sempre per rilevarsi in “luoghi eterocliti dell’inatteso e dell’altrove, fecondando anche ciò che, almeno programmaticamente, non la riguarda”68. Una immanenza che tratteggia una educazione dell’uomo nell’esperienza e che rileva quest’ultima come problema, risolvendosi solo nell’intreccio tra contingenza e trascendenza, esperienza e riflessività, metaforicamente sintetizzati nel bastone di Asclepio e nell’incontro dei due serpenti. La singolarità umana non viene ad essere più concepita come congiuntura, ma come espressione di “singolarità, concretezza ed incomunicabilità” (Riccardo di S. Vittore). Questa definizione è quella che oggi esprime al meglio il termine persona e risale al XIII secolo. Proprio l’incomunicabilità è il tratto innovativo, stante ad indicare la totalità umana, tanto da non poter essere circoscritta e divulgata attraverso il verbo. Sono queste le ragioni che hanno spinto sul finire degli anni Settanta M. Mencarelli (Mencarelli 1972) a definire l’atto creativo come uno stato di “interfunzionalità”, quale momento in cui concorrono e si fondono, in una comunione di intenti, tutti gli elementi e facoltà che contraddistinguono l’essere umano. Una eucaristia che alcuni scienziati riportano in un contesto matematico. All’interno del periodico Le Scienze si legge: “le nostre 67 Martino, P. (2009). Pedagogia contemporanea. Teorizzare l’umanizzazione dell’uomo tra ontologia e biotecnologie, Roma: Anicia, p. 18. 68 Madrussan, E. (2012). Briciole di pedagogia. Cinque note critiche per un’educazione come inquietudine: Roma: Ancia.
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abilità matematiche dipendono da dialogo tra gli emisferi. [...] Uno studio spiega in che modo le operazioni aritmetiche attivino il nostro cervello, scoprendo che la sottrazione, ad esempio, incrementa la comunicazione tra gli emisferi. [...] La performance individuale nei calcoli dipende dal livello di connessione tra i nostri emisferi, ossia il colloquio interemisferico”. Non solo, quindi, una distinzione tra emisfero sinistro, quello che comunemente viene ad essere identificato come emisfero logico-razionale, ma anche all’interno di operazioni matematiche subentrano fattori appartenenti all’emisfero sinistro, secondo una architettura olistica ed integrale. Ecco, allora, che occorre educare alla creatività così come si educa al calcolo matematico ed alle sue inflessioni logiche; una potenzialità che ha da essere curata ed incrementata fin da bambini, ricordando che “si nutre di incoraggiamenti e inaridisce con le critiche”69. Si è affermato altrove che la creatività rappresenta “quel fuoco sotto la pentola capace di amalgamare spezie ed aromi, generando qualcosa di straordinario e nuovo, quell’èlan vitale di cui parla Bergson o quell’appena appena sussurrato da Vygotkij e che oggi viene ad essere descritto da Goleman come spirito creativo. Di qui la consapevolezza che la creatività appartiene a tutti, una dote che accomuna ogni essere umano, la quale essendo un prodotto del cervello ha bisogno solamente di essere stimolata ed attivata per mezzo di quegli impulsi interni o esterni”70. Nella creatività, infatti “è fatta consistere l’esaltazione più nobile dei poteri della persona umana che sarà allora capace di padroneggiare se stessa, di dominare ansietà e paure, di guardare al presente con la massima oggettività, senza eufemismi e facili proiezioni sentimentali, di progettare un futuro a misura d’uomo”71.
69 Goleman et alii, in Rosati L. (2005), Le sfide del cambiamento. Perugia: Morlacchi. 70 Mancini R. (2013), Segmenti sulla pedagogia cultura. op. cit. 71 Rosati L. (2005), Il metodo nella didattica. Brescia: La Scuola, p. 128.
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5.1 Il patrimonio della dimensione personale Molte sono le implicazioni e riflessioni pedagogico-didattiche che possono essere compiute attorno al termine creatività, basti pensare alla copiosa letteratura, non solo pedagogica, che tenta di connotarne gli estremi. Senza ripercorre sentieri ormai tracciati dai più illustri pedagogisti, occorre riferire che la creatività deve essere ospitata, senza contraddizioni, nell’architettura complessiva dell’istituzione scolastica. Sovente nel mondo della scuola la creatività è fatta risalire all’aspetto poetico - romantico - artistico dell’educazione, mondo dell’ “arte”, come a voler dimostrare che essa sia solo una questione di talento innato, e quindi non debba essere educata o potenziata. De Bono72 asserisce che questa idea è così antiquata che potrebbe essere etichettata come medievale. Il fatto è che, almeno nella nostra realtà educativa, lo spazio riservato alla creatività è sempre più circoscritto a pochissimi frangenti, rilegato ad ambienti di nicchia in cui si sperimentano nuove soluzioni e strategie per lo sviluppo umano o a tecniche di risoluzione dei problemi. Come nel modello americano, più che appartenere ad una formazione olisticamente intesa, la creatività è rilegata ad enti ed agenzie speciali ospitanti soggetti il più delle volte con alti quozienti intellettivi, come se intelligenza fosse sinonimo di creatività, o che la prima determini la genesi della seconda. Oggi più che mai non mancano esempi di studenti che seppur con elevate capacità mostrano disinteresse nel quotidiano svolgimento dei programmi scolastici. I contenuti istruttivi sono così abbondanti che saturano di nozioni l’intervento didattico e non lasciano scampo ad attività che valorizzano l’espressione umana. 72
De Bono E. (1999). Il pensiero creativo. Barcellona: Paidos.
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Il problema non è di poco conto visto e considerato che l’evoluzione storico-scientifica aumenta con il passare del tempo, andando a ingrandire enciclopedie e letterature che si sommeranno a quelle precedenti. La moderna visione del sapere ormai, nell’educazione del nuovo millennio, appare essere asincrona rispetto alle reali esigenze. Valorizzare la creatività è indispensabile per la qualità dell’apprendimento e per un armonico sviluppo umano. Non è una scelta tra qualità e quantità, piuttosto esigenza di trovare una quantità sufficiente in cui la qualità non viene annullata e viceversa. Non a caso “qualità e quantità sono categorie concettuali d’uso fondamentale nell’azione didattica, perché introducono al possesso di conoscenze di carattere matematico ed artistico”73. Forte è il richiamo al senso estetico dell’educazione in queste righe, la quale può essere interpretata come una vera e propria arte dell’agire da parte del soggetto educante. Infatti, “è facile gioco dimostrare come tra quei due termini sussista un’intima relazione persino a livello di linguaggio comune: molte delle qualità degli eventi rilevate empiricamente vengono assai spesso descritte, rappresentate e ordinate per gradi, con aggettivi e avverbi, prefigurando e determinando in tal modo una insospettata dimensione quantitativa di quegli stessi eventi o di taluni aspetti”74. Non più, quindi, un “conflitto alternativo”, come lo definisce Guasti, bensì, senza diminuire il valore dell’una o dell’altra prospettiva, un continuum, dove trovano ragion d’essere non solo le differenze semantiche e di individualità, ma fondamenti e principi di ricerca sempre adatti al contesto di appartenenza. Con questo non si vuol intendere che l’una o l’altra modalità di analisi, quella qualitativa o quella quantitativa, non abbiano senso prese nella loro unicità. Anzi, una metodologia basata sulla descrizione di caratteristiche o elementi oggettivi, come proposta da 73 74
Rosati L. (1999). Lezioni di didattica. Roma: Anicia, p. 90. Domenici G. (1993). Manuale della valutazione scolastica. Bari: Laterza.
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Dewey o altri tassonomisti, risulta essere una carta vincente al fine di costruire un sapere che elabori un percorso di maturazione socialmente certificato e, che nella sua soggettività, tenga conto delle caratteristiche della persona. Non a caso lo stesso personalismo si struttura durante lo scontro tra due modelli politici: capitalista e socialista, facendosi promotore di una unione olistica tra le parti. In tale corrente, sorretta in particolare da Mounier, la persona è “anzitutto libertà, ma non nel senso del solipsistico assecondamento del proprio sé, ma come ricerca degli altri e collaborazione solidaristica con loro adducente alla rivoluzione personalistica e comunitaria”. Di qui un’educazione integrale dell’uomo capace di guardare “all’umanità comune come al comune orizzonte formativo nel quale si esprime l’originalità di ciascuno”, dichiarava Maritain. Condividendo l’idea nietzchiana, Maritain rifiuta una tassonomia della persona rilegata alla deriva materialistica che privilegia il dato sensoriale quantitativo. Di qui il personalismo, quale corrente alternativa finalizzata al far superare all’essere umano il suo stato in una continua ricerca della più amplia espressione di se stessi. “In fondo, l’uomo è fatto per essere superato” dichiara a gran voce Maritain. Questo superamento può avvenire per mezzo di una tendenza all’assoluto , la quale a sua volta genera caratteristiche come: interiorità, libertà e generosità. Il divenire persona si gioca sulla costante oscillazione tra l’espansione fuori di sé, e l’interiorizzazione. Il personalismo “non può accettare di lasciarsi bloccare sia con soggettivismo, sia col materialismo; esso vuol tentare, passando al di sopra dei loro esclusivismi, la riconciliazione dell’uomo tutt’intero contro le due alienazioni contemporanee”75. Con Maritain “la persona si eleva al di sopra di ogni altra cosa esistente, perché esprime la condizione del tutto piuttosto che quella della parte, e sa mostrare nella libertà il proprio tratto caratteristico, la cui maturazione richiede l’intervento educativo”. 75
Mari G. (2013). Educare la persona. Roma: Anicia.
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Tali concezioni hanno avuto un inevitabile eco anche a livello pedagogico. Infatti, attraverso Luigi Stefanini, Flores d’Arcais, Enzo Giammancheri, Mauro Laeng, Marcello Peretti e molti altri, il personalismo si è andato a strutturare come vero e proprio modello pedagogico, pur con le molteplici sfumature individuali. Per questo appare fondamentale rintracciare i punti di contatto tra le due “estremità” del sapere, al fine di percepirne meglio i contorni e renderli aperti al fabbisogno dell’educatore. Ancora freschi appaiono i contributi di Worthen e Sanders76, i quali sostengono che i due approcci possono essere considerati “compatibili e complementari”, soprattutto alla luce degli studi della “Commission Behavioral and Science and Education” di Council. Le proposte dei due scienziati americani fanno il paio con le parole espresse da Italo Calvino, quando riflette sulla creatività massificata: sono piuttosto diffidente, afferma il noto scrittore italiano, “con questo imperativo della creatività. Io credo che per prima cosa ci vogliono delle basi di esattezza, metodo, concretezza, senso della realtà. La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane”. In un mondo in cui dobbiamo trascinare una “cassetta degli attrezzi” sempre più pesante, l’adeguamento educativo stenta a prendere visione dell’impossibilità a continuare su questa strada. Occorre quantomeno adeguare l’accesso alla conoscenza, sviluppare competenze che siano spendibili in un mercato del lavoro in profonda trasformazione, ideare una società che non oscuri ed opprima gli elementi individuali ma valorizzi socialmente ciascun cittadino ed, infine, dotare ogni soggetto di “strumenti” il più possibile olistici e flessibili. Una conoscenza che non è più situata, bensì in ogni dove, basta avere una connessione ed il gioco è fatto.
76 Worthen B. R., Sanders J. R. (1987). Educational evaluation:alternative approaches and pratical guidelines. New York: Longman.
75
Questo è il contesto del “pensiero creativo”, strumento essenziale per far progredire la scienza e con essa l’uomo e la società. Paradossalmente, infatti, il pensiero analogico non corre verso un prodotto o in vista di un traguardo, piuttosto adempie la sua funzione attraverso la stessa volontà di esprimersi in quanto autoreferenziale. Una spinta interna diremmo, la quale autorizza un’acquisizione di informazioni, a volte in modo involontario o apparentemente superficiale, ma che comunque si traducono in lampi di intuizione.
5.2 Formae mentis creativa Il termine creatività spesso può generare fraintendimenti, in modo particolare nel momento in cui si collega alle più svariate abilità cognitive o, come espresso, al termine stesso di intelligenza. Comunemente essere creativi, infatti, significa avere la capacità di produrre qualcosa che prima non esisteva, relazionando la creatività con lo spirito di innovazione e trasformazione, oppure saper risolvere un problema in maniera diversa dagli altri. La creatività, infatti, nel suo compimento “assume quel nobile aspetto del fare umano e cioè la creazione. Creare non è difatti semplicemente un fare o un riprodurre determinati movimenti ed azioni nel corso del tempo. Esso è uno sforzo di gran lunga maggiore rispetto alla semplice azione, è una pro-azione, in quanto risulta irripetibile ed unica, un’intuizione pratica felice e risultato creativo. Quale prodotto “diverso” ed innovativo, il risultato della creazione è tanto inaspettato quanto imprevedibile, di certo funzionale ed efficiente. Creare, dunque, come atto e proclamazione del sé, opera compiuta e concepita quale passaggio dal nulla all’essere e al concreto. Anche se presuppone una materia preesistente nella quale l’uomo sbizzarrisce il proprio essere, è nella creazione che si riscontrano le più alte speculazioni pragmatiche che danno vita ad un mondo ide-
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ale, il quale spesso risulta più ordinato e conciliante del mondo reale stesso, di cui successivamente ne farà parte compiuta”77. In senso lato non tutta l’attività innovativa può ritenersi creativa, così come non tutte le trasformazioni avvengono per mezzo di un pensiero divergente. Tra gli addetti ai lavori si è ampiamente dibattuto sopra il fatto che tutte le persone sono creative. Si è diffusamente dimostrato che ognuno di noi, in qualche modo, possediamo spinte che potrebbero avvicinarci alla “creazione divina”, a patto che questa potenzialità umana sia insegnata ed appresa, studiata e ricercata, sedimentata ed educata, come qualsiasi altra singolarità umana. Sulla scorta delle riflessioni sollecitate da De Bono, Rafael Yus Ramos (1999) afferma che la creatività possiede determinate caratteristiche: a - prerogativa naturale; b - qualità propria di chi riesce a “guardare il mondo” attraverso un pensiero divergente; c – attività che investe tutto il cervello. Si è largamente dimostrato, infatti, che per esprimersi si necessita della partecipazione olistica del cervello; d – non è solo una capacità o caratteristica degli artisti. Anche se la creatività è qualcosa che è stata associata da sempre al mondo dell’arte, essa appartiene a tutti coloro che con impegno e dedizione vogliono esprimere la loro parte più naturale ed individuale; e – è possibile solo se ci liberiamo di pregiudizi. Al fine di generare nuove idee è necessario, infatti, liberarsi di tabù, preconcetti, inibizioni e paure, nonché educare il cervello ad uscire dai modelli precostituiti del mondo esterno e vedere le varie problematiche con occhi diversi; 77
Mancini R., (2012).
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f – un’azione che si lega sia all’intuizione/fantasia, sia alla conoscenza delle questioni poste in essere. L’intuizione, quale “visione del tutto”, gioca un ruolo importante nel processo di creazione, ma questa risulterà asettica ed inefficace se non sorretta da una puntuale conoscenza. Secondo De Bono, la creatività segue la logica dei sistemi di orientamento, vale a dire auto-organizzazione. Una sintassi logica che sfocia in una semantica che offre significato alle cose ed agli eventi. Questa caratteristica evidenzia la facoltà umana nel apprendere informazioni e renderle fruibili e funzionali per il proprio agire. In questo sistema le informazioni in entrata andranno ad arricchire l’esperienza soggettiva di conoscenza, in una sequenza di stati ed attività che diventano anche una sorta di via per accedere successivamente a quelle stesse informazioni. In tale modo la creatività può essere descritta come la capacità di fare una deviazione laterale delle “creazioni”, e quindi cambiare la nostra percezione delle cose attraverso il “pensiero laterale”. Su tali assunti Rafael Yus Ramos78 enuncia le fonti caratterizzanti l’atto creativo: a - Semplicità. L’idea creatività spesso non nasce da ragionamenti troppo laboriosi, ma è una idea naturale, spendibile nell’immediato ed immediatamente fruibile da tutti. Spesso, infatti, se non si conosce la procedura standard nella risoluzione di un problema, probabilmente si è più inclini a produrre una nuova idea, semplice nella sua pertinenza ed efficienza; b- Esperienza. L’esperienza, anche se svolge un ruolo fondamentale nel processo formativo, sovente può essere interpretabile come 78 Yus Ramos R. (2001). Educatiòn integral. Una educaciòn holìstica para el siglo XXI, Bilbao: Desclèe De Brouwer.
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fonte di nichilismo creativo, in quanto porta il soggetto ad esprimersi costantemente nella stessa maniera. Se, invece, l’esperienza viene ad essere interpretata come fonte evoluzionistica e di arricchimento, allora diviene fattore vincolante per l’espressione creativa; c - Motivazione. Se una persona è motivata a creare sfrutterà tutte le sue energie alla ricerca di un nuovo modo di fare e pensare. La sua curiosità porterà a sperimentare ed esplorare nuove idee in modo continuativo, generando una formae mentis capace di dare vita a modelli divergenti; d- Giudizio. Realizzare il potenziale valore di un’idea è anch’esso un atto creativo; e – Casualità. Sovente il percorso che genera nuove strade da percorrere avviene per casualità e circostanze fortuite, anche se coadiuvate e sorrette dall’associazione o assonanza di più idee e quindi dalla conoscenza e dall’esperienza; f - Libertà. Per poter creare bisogna essere liberi da vincoli di pensiero o di azione; In conclusione deve essere osservato che, contrariamente alla credenza popolare, il pensiero laterale non sempre conduce a una “divergenza”, spesso porta ad aspetti specifici della logica formale, vale a dire “convergente”.
5.3 Creatività del pensiero e dell’azione Paolo Manzelli dichiara che “il pensiero creativo diventa benessere mentale e fisico in quanto si propone come alternativa valida ad escludere i pensieri negativi che limitano la capacità di esplorare il mondo interiore ed inoltre permette di utilizzare a pieno le multiformi capacità cerebrali con il relativo beneficio.
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La creatività del pensiero libera dal malessere proprio in quanto svincola la mente dai condizionamenti acquisiti; ciò è particolarmente importante in ogni occasione in cui si ha necessità di una maturazione psichica e mentale. In seguito a cambiamenti che accadono nella vita di ciascuno infatti alcune problematiche spesso divengono irrisolvibili proprio a causa dell’insuccesso di ogni tentativo teso a cercare soluzioni sulla base di schemi mentali e comportamenti obsoleti, anziché provare a rileggere creativamente la situazione contingente”79. Se allora la creatività risulta essere fondamentale anche nella gestione degli stati psicologici, siamo costretti ad esaminare le modalità attraverso cui questo processo si compie. La creatività possiede una duplice valenza: a - abilità generale. Tutte le persone devono pensare di possedere un potenziale da comunicare, senza il quale si è costretti a seguire solo la routine, la monotonia esecutiva ed essere un ingranaggio sociale passivo, come una sorta di “fordismo intellettuale”; b - destrezza specifica. Ci sono alcune aree del sapere umano per così dire particolari (ad esempio la ricerca tecnologica), dove vi è una continua richiesta di nuove idee. Questa caratteristica della creatività porta De Bono80 (De Bono E. 1999) ad evidenziare alcune raccomandazioni circa l’educazione alla creatività: dovrebbe porre l’accento sulla pratica, perché anche se è necessario capire la logica esecutiva ed il suo funzionamento cerebrale, è essenziale che si applichi ad un contesto reale e concreto;
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http://www.benessere.com/psicologia/arg00/cervello_creativita.htm De Bono E. (1999). op. cit.
80
ogni soggetto deve avere la possibilità di ricevere una formazione necessaria per esercitare il proprio pensiero creativo; occorre imparare ad usare strumenti e tecniche “semplici”, ma efficaci, al fine di focalizzare l’attenzione sul processo, piuttosto che sul prodotto; è un azione che si realizza meglio allorquando si pratica nel concreto, cioè si elaborano idee attraverso il mondo dei sensi; è sempre un insegnamento che parte “dal centro”, cioè dal cuore del problema. È doveroso prestare particolare attenzione allo stimolo del pensiero divergente. Sollecitare la persona ad essere creativa significa, infatti, portare nuove idee ed introdurre instabilità e/o disordine in un sistema. Tale caos però verrà successivamente ridotto nell’Eureka, quale tentativo di creare un nuovo equilibrio.
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Cap. 6 L’intuizione ed il pensiero creativo Da un punto di vista teorico e pratico è bene chiarire fin da subito che l’intuizione non deve essere confusa con la creatività, anche se ne fa comunque e necessariamente parte. Questo non significa che l’intuizione possieda poco valore nei processi di creativi o di apprendimento, bensì che anch’essa ha, paradossalmente, l’obbligatorietà di essere educata ed esercitata. All’interno della scuola tradizionale l’intuizione è vista come una sorta di “escamotage”, una via di fuga qualora non si sappia affrontare, in modo logico e lineare, un determinato problema che ci viene posto. Sappiamo, infatti, che un modello di pensiero bastato sulla logica è reso istituzionale da una educazione contemporanea, che accredita un apprendimento standardizzato. Nella cultura moderna le ipotesi di oggettività, le modalità attraverso cui si forma nuova conoscenza, il controllo, la prevedibilità e l’analisi, rappresentano il tentativo di fissare principi formativi basati su “fatti oggettivi” e risposte logiche. Secondo Hart81, se si pone l’accento su una sola particolare forma di conoscenza, ad esempio quella logico/analitica, si rischia di inaridire le capacità umane. Troppo spesso il processo analitico diventa monodimensionale ed autoreferenziale, ignorando la sua natura polimorfica. Se è pur vero che un problema spesso ha una natura singolare, la soluzione non potrà mai essere rintracciata nei meandri della particolarità, se è vero “che non esiste una definizione certa, sicura, assoluta. Basta riflettere su un saggio di K. R. Popper che Antiseri ripropone per rilevare che non è possibile ammettere, lungi 81 Hart, T. (1998). A dialectc of knoeing: integreating the intuitive and the analytic, Encounters, n° 11.
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dall’empirismo e dal razionalismo, fonti privilegiate di verità quando appare del tutto fuori luogo perseguire idolatricamente la certezza e l’oggettività della scienza. Cosicché non rimane che una pista da percorrere: quella dell’assunzione di quanto più possibile punti di vista per interpretare un dato del mondo reale o, come nel nostro caso, un problema”82. In realtà, prosegue Hart83, l’ “one-answer-correct” appartiene ad una filosofia primitiva ed ormai non più funzionale e pertinente nella società della conoscenza, certamente soppiantata da quel detto inglese “more shapes than one”, in cui la dimensione pluralista rappresenta l’unione degli intenti. Hart aggiunge che questa distorsione nel modo di pensare moderno può anche essere descritta come una “mancanza di saggezza”. La varietà di criterio include la capacità di conoscenza del sé, quale principio per andare oltre i confini contestuali e cambiare idea e prospettiva. Di qui, afferma Rosati, “un dato certo è rappresentato dal fatto di dover cambiare idea, come ha sostenuto H. Gardner, che è segno di flessibilità intellettuale e non chiusura preconcetta alle scoperte scientifiche. Soprattutto, sulla spinta di una tensione etica e di un’ansia metafisica, nell’uomo c’è sempre bisogno di andare oltre i propri limiti e le proprie conoscenze, per crescere in cultura ed esperienza”84. Troppo spesso, comunque, la fatica, l’automazione dei processi di apprendimento, la paura e il trionfo della mediocrità investono le performance individuali. Ciò ha conseguenze su due livelli: 3 il dialogo interno. Alcuni psicologi sottolineano che, quando si valorizza la tendenza innata verso la consa82 Salvato R., Mancini R. (2007). Il lavoro di gruppo. Competenze per l’azione didattica. Perugia: Morlacchi Editore, p. VII 83 Hart T. (1998). A dialectic of knowing: integrating the istitutive and the analytic. Encounters II (3). 84 Rosati L. (2008). La fine di un’illusione. Perugia: Morlacchi Editore, p. 172).
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pevolezza intuitiva o non-lineare, possiamo ottenere notevoli benefici nella nostra salute psicologica. Se questo viene ad essere limitato spesso prendono forma preoccupazioni, agitazioni, inquietudini, ansie, ossessioni, etc. La libertà di esprimersi secondo la più intima naturalità dell’essere umano è chiave di volta di ogni processo educativo; 3 il dialogo con l’esterno. In aggiunta al nostro dialogo interno, l’esistenza è senza dubbio una forma dialogica, vale a dire: l’essere umano si compie attraverso le relazioni che instaura con il mondo e con gli altri. Così vediamo che un approccio parziale di alcune modalità di pensiero predeterminato (analitico) sopprimono o vanificano la dimensione intuitiva che interagisce dialetticamente tra modo esterno e mondo interno. Tutti noi comprendiamo come l’intuizione sia una sorta di visione che il nostro cervello produce degli eventi; in questo senso, essa è più simile ad una emozione, e da quest’ultima dipende in forza propositiva. Se manca il “cuore”, infatti, anche la stessa intuizione sarà flebile e poco risolutiva. In particolare l’intuizione si differenzia dal pensiero nelle sue caratteristiche temporali, cioè nella rapidità e spontaneità di imprinting, che, nella maggior parte delle volte, sorge in maniera inconscia. Infatti, se è possibile affermare che ogni processo cognitivo comporta una sequenza lineare ed osservabile di fasi, lo stesso non si può dire per l’intuizione, quale conoscenza diretta, senza filtri e mediazioni; un balzo in avanti che sembra non avere un tragitto spazio temparole. Morselli (1993) effettua una possibile distinzione o tassonomia dell’intuizione: -
razionale, che autorizza a cogliere nessi, rapporti, uguaglianze,
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etc. direttamente, per giungere alla soluzione di un problema o la sua causa-effetto; -
inventiva, la quale offre una verità nell’illuminazione, il sorgere insomma di una idea o un principio nuovo;
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metafisica, capace di cogliere “direttamente” la realtà metafisica; è immediata, personale, incomunicabile, ineffabile, s’avvicina alla gnosi della tarda antichità greca, per la quale conoscere una cosa equivale a mescolarsi e confondersi con essa.
Per Hart vi è una assoluta necessità di apprendimento non-razionale ed intuitivo, in modo particolare in una società ipercomplessa dove il soggetto è costantemente alla ricerca di soluzioni immediate ai vari problemi che gli si presentano. L’intuizione, comunque, non è un’attività semplice, ma è legata a determinate fasi di sviluppo. Vaughan85 ritiene che vi siano quattro livelli di intuizione: fisico. Espressione di soggetti che si sentono in pericolo materiale. Questo può essere confuso con “l’istinto” o come risposta per la “salvaguardia della specie”, ma da queste differisce in quanto l’intuizione mantiene la sua coscienza, a differenza dell’istinto; emozionale. L’intuizione avviene attraverso le emozioni; possono essere molto intense, tali da generare espressioni artistiche, musicali, etc.; mentali. Solitamente è una caratteristiche che appartiene alla ricerca scientifica. Difatti, l’intuizione mentale rappresenta l’Eureka che avviene durante esperimenti, prove, test, osservazioni, etc.. Lo stesso Einstein credeva che la realtà oggettiva possa essere catturata dall’intuizione e non, in maniera completa, dall’empirismo o dalla logica; 85
Vaughan F. (1979). Awakening Intuition. New York: Doubleday.
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spirituale. Si tratta del più alto livello di intuizione ed è indipendente dai sentimenti, dalla ragione, dalla logica, etc.. L’intuizione spirituale si raggiunge solo attraverso determinate tecniche di meditazione. Questo tipo di conoscenza assume molte forme: visione improvvisa, senso di direzione o, addirittura, visione globale ed olistica di un determinato evento vissuto come conoscenza diretta.
6.1 Pensiero lineare ed intuizione L’esperienza presentata circa l’intuizione appartenente alle riflessioni di Hart86, oltre ad aver evidenziato le limitazioni ed i rischi che comporta l’adozione di una ricerca “polifemica” ed unilaterale, mette in guardia da una conoscenza fondata solo sul pensiero intuitivo. Dopo aver tessuto le lodi del sapere intuitivo, occorre salvaguardare il fatto si tende a sottovalutare la conoscenza quantitativa ed il pensiero analitico, sminuendo così il rigore, la precisione, la volontà e la correttezza scientifico-metodologica. Questo può portare ad una vera e propria “palude del pensiero”, dove le informazioni non vengono interiorizzate e la fantasia e l’immaginazione padroneggiano sull’intero processo. La conoscenza diviene così puramente fattuale, incomunicabile e individualistica, di certo non dialogica. Dovrebbe pertanto sussistere un rapporto ubertoso tra pensiero analitico ed intuizione, poiché il carattere olistico tende a relazionare le due visioni, e non solo una di esse. Così il “pensiero olistico” sarà il risultato di una interazione tra lineare e intuitivo, che, come sottolinea ancora Hart, si coniuga in una 86
Hart T. (1998). Op. Cit.
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percezione sensoriale - fondamento della conoscenza empirista - ed intuito - apertura a nuove idee e capacità di cambiare- . Tutto ciò, comunque, è frutto di una simultaneità e una molteplicità di vedute, così come percepire l’unità negli “opposti”. Ecco, allora, la proposta del neoidealista Benedetto Croce, il quale prefigura un sistema relazionale di elementi omogenei, cioè appartenenti alla medesima forma. Se l’intuizione ha la stessa forma dell’analitico allora essi instaurano un nesso ciclico di sviluppo reciproco. Non dobbiamo dimenticare, però, che il pensiero analitico non è un processo puramente mentale, ma interagisce con l’intuitivo e viceversa. In questo senso Hart distingue tre caratteristiche della dialettica: I. autocoscienza e coscienza sociale. La conoscenza approfondita e integrale è possibile solo attraverso il ritorno all’esperienza diretta come fonte di conoscenza. L’apprendimento, infatti, troppo spesso risulta asettico e distaccato dal contesto di appartenenza. Copiosa è la letteratura su tale paradigma, basti ricordare le opere di illustri Maestri come Rousseau, Pestalozzi, Dewey, Bruner, etc., i quali hanno tentato di fornire riflessioni ed idee progressive basate sulla consapevolezza sensoriale; I. spontaneità e riflessione. La dialettica olistica investe nella naturalità dell’essere umano, nella sua impulsività e nella suo ragionamento critico; II. introspezione ed estrinsecazione della conoscenza. L’olismo tende a salvaguardare tanto la conoscenza interiore che quella dialogica esteriore, riconoscendone l’interdipendenza e l’osmosi. Non a caso l’istruzione prevede l’esposizione verso l’esterno (l’analisi consente l’osservazione e il dialogo con l’altro), mentre l’educazione reclama percorsi di interiorizzazione soggettiva (moralità, scelta, passione, motivazione, etica, sensibilità, consapevolezza, etc.).
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La dialettica, così, rappresenta il principale strumento a disposizione dell’uomo per conoscere il mondo che lo circonda e, in qualche misura, noi stessi. Sul finire degli anni Novanta Hart (1998, p. 16) suggerisce che questa interazione può essere riconosciuta e nutrita in tutti i livelli dell’agire umano, migliorando ogni nostra abilità. Dello stesso parere è il pensiero di J. Miller, il quale, oltre a riconoscere l’importanza e la fecondità di un simile nesso tra i due domini, evidenzia tre aspetti: a) Alcune ricerche suggeriscono che la non corretta maturazione della fantasia e dell’immaginazione portano il soggetto ad avere dei veri e propri problemi, come, ad esempio, la propensione e predisposizione alla criminalità, alla violenza, all’uso ed abuso di droghe e ad un difficile rapporto con il cibo. Questa tendenza è di facile dimostrazione, basti porre a mente il fatto che l’intuizione è una componente dell’Io interiore e se quest’ultimo non è sufficientemente sostenuto da una giusta educazione, oltre a presentare un forte deficit emozionale, provoca dei disordini psicologici rilevanti; a) Altri studi hanno dimostrato che i bambini fantasiosi possiedono meno probabilità di essere violenti ed aggressivi. Uno sviluppo completo della vita interiore rende, più autonomi, aperti, disponibili e creativi; b) Secondo un’ipotesi ancora più radicale, la coscienza intuitiva è una propensione naturale dell’essere umano; un comportamento normale, analogo alla fame. Se i bambini non esprimono tale naturalità cercano attività pericolose che possono “sostituire”, ovviamente non riuscendoci, questa componente umana.
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6.2 Intuizione, logica ed apprendimento Ammessa e dimostrata l’importanza del pensiero intuitivo e la necessità di promuovere una dialettica tra quest’ultimo e quello analitico, l’insegnamento può essere arricchito di nuove prospettive olistiche. Tuttavia, se è pur vero che sappiamo bene come promuovere, misurare, verificare e valutare il pensiero logico-razionale, la stessa cosa non può essere detta per quello che riguarda il pensiero intuitivo. Hart fornisce due linee guida per attivare un’educazione olistica basata sul perfezionamento della relazione tra le due forme di pensiero: 1 – destrutturare la nostra cognizione formativa ed incentivare l’apertura attraverso l’apprezzamento della bellezza, delle emozioni, della meditazione, dell’arte, del gioco, etc.; 2 – avvalorare la componente interiore e sociale della conoscenza. Di comune accordo alle riflessioni espresse da Hart, sono i principi avanzati da Wallas87, il quale asserisce che il processo creativo avviene secondo quattro fasi, le quali tendono ad armonizzare il pensiero analitico con quello intuitivo: i. preparazione. L’individuo cattura, ricerca e vaglia le informazioni su un determinato argomento o problema. In questa fase viene attivato il processo analitico che costruisce il bagaglio di conoscenze derivante dalla raccolta dei dati; i. incubazione. Si riflette, a volte in maniera inconscia, sui dati ricavati dalla prima fase e se ne ricercano le correlazioni, le affinità, le costanti, i legami, etc.. In questo momento viene ad essere attivata “l’intuizione analitica”, una azione che se da una parte 87 Wallas G. (1979). The Art of Thought, New York: Harcourt, in Arieti S. (1979). Creatività. La sintesi magica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, p. 15.
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richiede una conoscenza specifica, dall’altra occorre che quelle stesse informazioni siano rese soggettive; ii. illuminazione. In questo stadio l’intuizione genera un insigh; una folgorazione che origina nuova conoscenza e un nuovo modo di pensare; iii. verifica. L’idea deve essere consapevolmente ed analiticamente avvallata, legittimata e valutata secondo i canoni scientifici. Anche Rosati L. sintetizza l’atto creativo in specifici momenti. Esso “ha inizio con la preparazione, perché nulla si dà a caso, né per folgorazione. Al momento della scoperta creativa si giunge attraverso una diligente attività di osservazione, di raccolta dati, di slanci immaginativi e fantastici che pure non escludono responsabilità e sacrificio.[...] Il secondo stadio è quello della frustrazione che, contrassegnato da lunghe ore di travaglio, autorizza poi il grande balzo in avanti, sempre che il soggetto non abbandoni il campo e sia costante. Il terzo è quello dell’incubazione in cui dati assunti vengono sedimentati, ripensati, ed emergono talora nel sogno, grazie al lavoro dell’inconscio che risulta positivo, perché non sottoposto a censura. Il quarto stadio è quello del fantasticare, cosa che si fa, di solito, nei momenti di guida dell’auto a radio spenta o al momento di farsi la barba. L’ultimo è quello dell’illuminazione: è più propriamente l’insight che precede la scoperta e traduce l’intuizione in dato reale”88. Da un punto di vista neurologico, andando ad analizzare in profondità, si può osservare che la preparazione e la frustrazione appartengono ad uno studio dettagliato della situazione e delle variabili che entrano in gioco. Tali momenti sono riferibili ad una elaborazione eseguita dall’emisfero sinistro, deputato, appunto, ad un esame del contesto che ci circonda.
88 Rosati L. (2005). Dentro l’anima della professione docente, Perugia: Margiacchi, pp. 103/104
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A partire dalla terza ed in particolare in quella successiva -incubazione e fantasticare - interviene l’emisfero destro, il quale si stacca dal mondo sensibile e analitico per dirigersi nella sfera emozionale che gli consente di guardare il problema da un punto di vista differente e poterlo, così, comprendere in modo totale. Tutte queste fasi confluiscono nell’illuminazione, ove risiede tanto il lavoro e i prodotti dell’emisfero sinistro, quanto quelli espressi dall’emisfero destro, in uno stato, appunto, di “interfunzionalità”89 tra i due emisferi.
6.3 Tecniche e strumenti neutrali l modello di Wallas, quello di Rosati ed altri che delineano lo sviluppo del pensiero creativo rappresentano valide tassonomie su cui erigere ogni processo didattico-pedagogico; le esperienze “estetico-artistiche” dell’educazione possono essere utilizzate quali strumenti a disposizione di chi educa per poter far sviluppare al meglio ogni potenziale soggettivo. Miller J., ad esempio, suggerisce due tecniche per la costruzione dell’intuizione all’interno di un curriculum pedagogico: 1. La visualizzazione o immaginazione, può essere concepita come un particolare tipo di meditazione, in cui la persona è “mentalmente” attiva in una serie di immagini. La copiosa letteratura a riguardo conferma che l’idea espressa da Miller provoca notevoli consolidamenti in determinate aree del potenziale umano, quali: a. Salute, la visualizzazione può aiutare a mettere in evidenza vari disturbi e, a volte, anche alla loro cura (depressione, ansia, insonnia, obesità, problemi sessuali, panico, fobie croniche, malattie psicosomatiche, cancro etc.); 89 Mencarelli M. (1977). Creatività e valori educativi: Saggio di teologia prdagogia. Brescia: La scuola.
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b. Sport, tale pratica è molto utile per migliorare le prestazioni psico-fisiche in quanto l’atleta immagina i movimenti per poi ripeterli durante lo svolgimento dell’attività sportiva; c. Creatività, l’immaginazione non guidata può essere utile nel processo creativo. Nel modello di Wallas, la fase di illuminazione, infatti, avviene spesso attraverso l’immaginazione ed il fantasticare. J. Miller evidenzia che i risultati degli studi su questo argomento concludono che esiste una forte relazione tra l’immaginazione e la creatività; d. risoluzione di problemi, in generale, l’immaginazione è un potente alleato in determinate fasi del problem solving, soprattutto nell’incubazione e nella ricerca di ipotesi. Molti educatori olistici dimostrano che motivare il soggetto ad usare la propria immaginazione e visualizzazione come strumenti didattici può contribuire a migliorare lo stesso apprendimento in tutti i settori del sapere umano. A mo’ d’esempio Miller J. individua tre funzioni didattiche della visualizzazione: a. - Relax. Attraverso la visualizzazione all’interno di un clima confortevole è possibile la riconnessione tra mente e corpo, e quindi al controllo mentale del nostro apparato organico; b - Motivazione. La visualizzazione rappresenta una valida sorgente motivazionale, in quanto il soggetto si trova in contatto con il proprio essere e trova continuità tra ciò che apprende e la sua maturazione; c - Scrittura creativa. Una delle migliori applicazioni della visualizzazione riguarda la possibilità di usare tale azione mentale come fonte di idee, le quali, successivamente, verranno tradotte in elaborati scritti;
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2. La tecnica della metafora. Rappresenta un altro strumento per potenziare l’aspetto intuitivo-analitico di ogni discente. Il “pensiero metaforico” coinvolge e rende possibili i collegamenti tra le parole o le idee che normalmente non sono correlate tra loro. Tra i molti procedimenti che possono essere utilizzati per introdurre la metafora, Williams90 propone le seguenti azioni: - Decidere esattamente cosa si vuole ottenere e quale sia il principio generale; - Generare metafore, cioè, selezionare quello che comunica meglio il concetto o il principio che è stato scelto, classificando ed evidenziando le eventuali incongruenze; - Pianificare una lezione che comprenda la riflessione su come suscitare metafore; La metafora è una risorsa molto importante che può essere usata in molti interventi formativi, tra cui: a - stabilire connessioni e relazione tra idee; b - provocare inchieste e ricerche, in quanto incoraggia domande e promuove risposte creative; c - stimolare interesse e riflessione; d - valutare il ragionamento ed il pensiero; e - incentivare la scrittura creativa; f - potenziare pensiero critico. Alcuni educatori olistici, come ad esempio Kesson91, hanno sot90 Williams M. (1983). Underlying pattern. in Bion’s, Memory of the future, International Review of Psychoanalysis, n° 10. 91 Kesson K. (1993). Critical theory and holistic education: Carryng on the conversation. Brandon: Holistic education press
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tolineato che strumenti come la visualizzazione o la metafora possono essere considerati “neutrali”, cioè flessibili, in quanto utilizzati in modi diversi ed in numerosi contesti. Da un punto di vista olistico, l’uso di tali strumenti dovrebbe portare ad una prospettiva critica, tale da consentire un accurato esame e giudizio delle istituzioni educative e dei sistemi sociali. Si tratta, quindi, di mettere a fuoco un curriculum centrato sulle questioni essenziali che aiutino ad integrare le conoscenze e, nello stesso tempo, comprendere gli aspetti fondamentali di una prospettiva critica.
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Cap. 7 “Adattamento totale all’ambiente”: la personalità Le persone sono esseri sociali per natura: l’esistenza non ha alcun senso al di fuori della più intima peculiarità dialogica. La percezione di un Noi imperituro è caratteristica imprescindibile del soggetto, confermata dal primo assioma di Palo Alto: l’uomo non può non comunicare. Nel momento in cui un soggetto si trova inserito all’interno di un contesto relazionale è spronato a dare il meglio di sé in vista del raggiungimento di un obiettivo collettivo, e quindi a calibrare e trasformare la propria personalità per fine comunitario ed individuale. Su tali basi la comunicazione che avviene tra due o più soggetti è di fondamentale importanza, tanto da stimolare studi di settore. Di recente, infatti, si è potuto stabilire che la comunicazione umana avviene solo per il 7% in maniera verbale, mentre per il 38% in base alle inflessioni, cadenze e intonazioni della voce (tono, timbro, volume, etc.) e per il restante 55% attraverso atteggiamenti non verbali92. In questa estroversione umana l’educazione è chiamata a garantire principi universali di convivenza, basata sulla convivenza, una “banca di valori” capace di dirigere l’umanità verso un futuro. Anche se le istituzioni educative riconoscono l’importanza che riveste una formazione centrata sui diritti inalienabili appartenenti alla persona, il curriculum olistico non può tralasciare questa importante dimensione e risorsa, senza la quale l’uomo si depaupera di ciò che gli è più proprio, cioè della sua naturale identità dialogica. Anche lo stesso Rousseau riconosce l’importanza del “pantakhù”, 92 Fonte: Mente e cervello, mensile di psicologia e neuroscienze, n°90, anno X, giugno 2012.
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cioè del dappertutto, un luogo ed un tempo non circoscritti in cui ci si educa. L’educazione, dichiara Milan, “non è più un individuo che si autoeduca oppure individuo che educa l’altro, il tutto in base ad un’enfatizzazione dell’io a scapito dell’altro: essa si fonda sulla relazione interpersonale autentica tra soggetti aperti l’uno all’altro”93. Il fondamento per una vera educazione, infatti, è la concezione dell’essere umano, inteso come non oggettivabile: “la persona non è oggetto, essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come oggetto”94. In tale esamina l’educazione diviene un processo che porta l’uomo alla realizzazione di sé all’interno della comunità nella quale è inserito. Le scuole cercano di affrontare tale sfida attraverso programmi di educazione civica e la formazione di valori universali su cui poter erigere ogni sviluppo umano. Nel documento redatto dall’EACEA del 2012 si legge che “gli obiettivi analitici e i contenuti dell’educazione alla cittadinanza variano a seconda dei paesi europei, ma l’obiettivo principale di quest’area tematica è in genere assicurarsi che i giovani diventino cittadini attivi in grado di contribuire allo sviluppo e al benessere della società in cui vivono. Si ritiene comunemente che l’educazione alla cittadinanza includa quattro aspetti principali (a) alfabetismo politico, (b) pensiero critico e abilità analitiche, (c) comportamenti e valori e (d) partecipazione attiva. Nonostante tutti i sistemi evidenzino l’importanza dell’educazione alla cittadinanza e l’acquisizione delle competenze sociali e civiche, le modalità di attuazione dell’area tematica a livello scolastico varia da paese a paese. Questo capitolo, quindi, esamina la posizione dell’educazione alla cittadi93 Milan, G. (1999).Disagio adolescenziale e strategie educative. Padova: Cleup Editore. 94 Mounier, E. (1978). Il personalismo, Roma: A.V.E.
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nanza nei curricoli ufficiali e offre una panoramica dei diversi approcci utilizzati”95. Nei paesi anglofoni questo aspetto della formazione integrale è conosciuto come “formazione della personalità”. Nel definire la personalità Hans Eysenck dichiara: “è la più o meno stabile e durevole organizzazione del carattere, del temperamento, dell’intelletto e del fisico di una persona: organizzazione che determina il suo adattamento totale all’ambiente”96. La scuola è chiamata a sviluppare la formazione della personalità del soggetto, soprattutto sotto un profilo sociale e di cittadinanza democraticamente intesa. Certo è che il modello liberale, di cui avanza la pretesa la visione democratica, ha portato, come viene ad essere descritta da Norberto Bobbio, ad una “età dei diritti”. L’individuo è posto al centro del divenire sociale, in quanto possessore di uguaglianza sociale, tanto da aprire le porte a vantaggi che ancora oggi godiamo: questo però nei casi di abuso ha generato categorie sociali come quella della solitudine. La libertà si è trasformata in principi narcisistici ed autoreferenziali sia nell’agire che nel pensare: tutto è ricondotto all’Io e non più al Noi. Non possiamo arrenderci allo stato di fatto che si acutizza con il passare del tempo. Occorre una educazione prodiga nel far emergere le potenzialità individuali e alimentare gli stimoli culturali che sviluppano l’agire umano. Tutto ciò è possibile solo attraverso una riconferma della libertà, non più vista in una prospettiva possessiva, ma vera e propria capacità innata ad autoguidarsi e autosvilupparsi nel bene comune. Da ciò deriva che tutte le agenzie formative dovrebbero lavorare in modo collaborativo con le famiglie, con altre istituzioni e membri della comunità per sviluppare e attuare programmi di educazione civica, la quale è fondamentale per il mantenimento della democrazia. L’educazione civica rappresenta un’educazione 95 Tratto da:. Cacea. Ec. Europa. CV Education. 96 Tratto da: http://psycnet.apa.org/psycinfo/1954-05669-000.
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trasversale o metacategoria entro la quale operano tutti i programmi scolastici. Uno degli scopi esplicitamente elencati nel curriculum di ogni paese, infatti, è quello di maturare una competenza morale e civile, tale da rendere il percorso educativo completo ed a misura di discente. In senso generale la morale è la capacità di imparare ad applicare un insieme, a se stessi ed agli altri, di norme a cui si attribuisce un determinato valore; mentre, in senso lato, possiamo accreditarla come “educazione alla cittadinanza”, quale risposta alle sollecitazioni ad una vita sempre più in contatto con l’alterità e la morale. Appare giusto sottolineare che per “civiltà” si intendono quei paradigmi, appunto morali, che risiedono all’interno dell’etica, dei valori, delle abitudini, delle virtù e della pacifica condotta comune. Pertanto una questione fondamentale nella formazione della personalità è la sua esperienza diretta, perché la cittadinanza più che una mera acquisizione di uno status, è, piuttosto, un’attività pratica di impegno collettivo. Per Barcena97 l’educazione civica deve tener conto di due fattori: a - La scuola è chiamata a rispondere alle continue esigenze di cittadinanza e di una nuova cultura che armonizzi l’individualismo liberale con i valori della comunità; b - Lo sviluppo della competenza civica esige occasioni di riflessione, discussione ed interiorizzazione delle sue diverse caratteristiche. Secondo l’Autore, l’obiettivo fondamentale dell’educazione civica è quello di aumentare la competenza di uomo come cittadino, il quale potrà, così, essere in grado di prendere decisioni intelligenti per il bene individuale e collettivo. 97 Baracena F., Gil F., Jover G. (1999). La escuela de la ciudadania. Bilbao: Desclère De Brouwer.
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7.1 L’urgenza ecologica Una prospettiva che tenda a relazionare il “tutto”, non può non partire dal presupposto che l’attività umana sia interconnessa all’ambiente: ad ogni azione dell’uomo corrisponde una reazione dell’ecosistema e viceversa. Un punto di vista che, riflette Nuttin, è “orientamento dinamico continuo che regola il funzionamento, ugualmente continuo, dell’individuo in interazione costante con il suo ambiente”98. La comprensione umana non deve limitarsi solo alla conoscenza e all’accoglienza dell’altro, ma anche della terra madre da cui trae i natali olistici. Un senso “eco”, oltre a richiamare l’esigenza di un rispetto olistico, comicia dalla premessa che la vita umana sia solo una parte di un più ampio disegno. Molti sono gli esempi che potremmo portare a sostegno dell’importanza di un principio unificatore tra uomo e natura, il quale sembra ormai evirato a favore di uno sviluppo sempre più “insostenibile”, risultato di una mentalità che compensi l’immediato e l’effimero. Siamo purtroppo colpevoli di non avere un “senso naturalistico” all’interno delle nostre culture e delle nostre azioni, tale da rendere ogni condotta pericolosa e nociva. Pur risultando demagogici siamo costretti a rilevare che è finito il tempo in cui potevamo sfruttare illimitatamente ogni tipologia di risorsa senza vedere risultati catastrofici. Questo tempo, anche se non è mai esistito, non è di certo questo. Siamo in un periodo in cui subiamo le conseguenze delle nostre azioni pregresse e presenti. L’unica soluzione è quella di progettare un futuro tale da appianare gli interventi funesti effettuati nella nostra epoca. Il fisico Capra99 ricorda che l’esistenza di un sistema naturale è supportato dalle interconnessioni che ogni elemento instaura con esso. Non possiamo pensare di essere solo l’ultimo anello di una catena che non si chiude; dobbiamo costruire una coscienziosa e sana interconnessione con ciò che ci circonda. In questo contesto è possibile vedere 98 Nuttin J. (1983). Teoria della motivazione umana. Dal bisogno alla progettazione. Roma: Armando. 99 Capra F. (1989). Il tao della fisica. Tr. It. Milano: Adelphi.
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l’universo come una sfera di relazioni: ogni singola mente umana è inserita in più ampio sistema sociale ed ecologico, e questo crea quello che viene ad essere definito come “planetario mentale”; una sorta di mente universale. Se, allora, forte è l’esigenza di un modello culturale capace di una ristrutturazione del rapporto che ogni uomo dovrebbe avere con l’ambiente, nello stesso modo occorre un piano ed un progetto su cui fondare il nostro essere: l’uomo è la misura, dichiarava Protagora, ma l’ambiente è il metro! Nella ricerca di un futuro sostenibile non si vedono le ragioni per trascurare questo semplice principio: tutto dovrebbe essere concepito a grandezza d’uomo e di natura, anche se tale prospettiva trasposta il problema sul piano personologico, e cioè su quale sia la giusta misura dell’uomo nei confronti della Terra. Una idea, quindi, che affonda le sue radici olistiche in Claparède e nel suo concetto di giusta “misura”: quella senza sprechi, eccessi ed eccedenze. I valori fondamentali di questa dimensione includono l’integrità individuale, la cooperazione comunitaria, l’armonia con la natura, la distribuzione del potere e l’autosufficienza. Per quanto importante sia la tematica in questione, purtroppo, si muove ben poco in questa direzione, anzi molti governi spingono verso politiche aggressive e deleterie per l’ambiente o al massimo attuano piani palliativi che poco modificano la situazione.
7.2 Diversità olistiche I principi su cui si basa la “non violenza” sono stati scanditi da illustri Maestri, tra cui è impossibile non ricordare Thoreau, Tolstoy, Gandhi e King. Tanto per fare un esempio, Lev Nicolaevic Tolsoj, nel riflettere sui paradigmi educativi, afferma che “l’educazione è l’azione coercitiva,
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unilaterale, esercitata da un individuo su un altro individuo; mentre la formazione culturale implica un rapporto libero tra le persone. [...] la formazione culturale è libera”100. Il rapporto con l’alterità non è espressione di sottomissione violenta di una cultura rispetto ad un altra, piuttosto, come scandito dallo stesso Gandhi, una continua ricerca di riduzione della diversità. Uno spazio, quindi, entro cui far incontrare le diverse realtà umane, tutte reciprocamente predisposte all’accettazione e alla cooperazione attiva. È difficile se non impossibile ledere o non rispettare un essere vivente nel momento in cui si vede in esso la vita come parte di un insieme connesso ed integrale. La diversità è elemento di un tutto omogeneo che deve essere tutelata attraverso una trasformazione culturale interna ed individuale. Di qui la certezza di un diverso cambiamento culturale, che “non dipenda dalla tecnologia, poiché la tecnologia è solo uno strumento … ma il problema chiave è se vogliamo cambiare veramente il nostro comportamento, sia come economia sia come società e cultura: qui è necessario un cambiamento culturale. Dobbiamo dunque cambiare la nostra coscienza, perché quando cambia la nostra visione cambiano i valori ed i comportamenti. La visione preponderante oggi è quella della separazione uno dall’altro: si può separare tutto, possiamo usufruire dell’ambiente come più ci piace, è una visione meccanicistica, materialistica che non è più supportata dalla scienza, ma è sempre dominante nell’economia e nella politica ed in tante parti della società civile è ancora un valore accettato e condiviso. Questo deve cambiare, oggi è importante avere una visione più vasta che vede noi stessi come elementi di un processo più grande, di un processo co-evolutivo. Questo cambiamento è necessario e io penso sarà decisivo nei prossimi anni. Oggi è essenziale il ruolo dell’educazione e della scuola perché la società capisca l’importanza di questo cambiamento”101.
100 Tolstoj, L. N. (1978). Quale scuola?. Milano: Mondadori. 101 Laszlo E. (2009). Intervento al Convegno: “La rete della Vita - verso una visione integrata della realtà”, 27 novembre, Iseo
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Un cambiamento che seppur deve essere educato fin dalla primissima infanzia, oggi sono gli adulti ad essere chiamati in causa per primi. Non appena veniamo in contatto con il centro del nostro essere, esso si sviluppa rendendoci soggetti più completi ed armonici. Quanto espresso pone le basi per relazionare i presupposti dell’olismo con quelli dello sviluppo dell’adulto, assegnando un ruolo cruciale alle trattazioni di Malcom Knowles. Per il famoso uomo di scienza americano, l’andragogia rappresenta una teoria unitaria dell’apprendimento degli adulti, e, in quanto tale, calibrato sulle esigenze e motivazioni appartenenti ad una specifica fase della vita. L’andragogia, quindi, può essere descritta, ripercorrendo le parole espresse da Mialaret nei confronti della pedagogia, come l’arte e la scienza per aiutare ad apprendere ed evolvere, mentre la scienza andragogica come “modello di assunzioni riguardanti l’apprendimento o come una cornice concettuale che serve come base per una teoria emergente”102. Sullo stesso pensiero si accostano le riflessioni espresse da J. Miller, il quale vede l’androgogia come uno stato in cui il soggetto non viene ad essere inteso solo come entità parcellizzata e quantitativa, ma come persona completa: una totalità che ci appartiene in modo del tutto naturale. L’obiettivo di ogni processo di apprendimento, diverrà, quindi, quello di garantire una progressiva acquisizione di autonomia, libertà e singolarità da parte di ogni soggetto e la percezione di una totalità che si frastaglia in diversità individuali. Un processo che prevede la rivalutazione dell’esperienza, della soggettività e della eterogeneità dei bisogni umani. Ecco che vengono ad essere giustificate le distinzioni della polarità individuale che sono presenti tutte le culture. Esempio palese ne sono lo yin e lo yang rintracciabili nella filosofia cinese. Essa vede le due espressioni come elementi complementari appartenenti alla stessa persona e quindi inesistenti l’una senza 102 Knowles M. (1996). La formazione degli adulti come autobiografia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
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l’altra. Notoriamente, infatti, lo yin è associato alle qualità intuitive ed emozionali, mentre lo yang, il suo opposto, è legato al carattere razionale ed analitico: possiamo e dobbiamo convivere con questi assunti, senza, però, rimanere intrappolati in uno di essi. A tal proposito J. Miller ricorda che da alcune correnti della psicologia (Jung, Maslow, etc.) sono tendenti a proclamare la necessità di accettare e integrare le diverse parti del sé, al fine di giungere ad una vera crescita integrale. Secondo alcuni psicologi, esercitando entrambe le peculiarità umane si può passare a livelli superiori di coscienza, in modo tale da raggiungere un certo tipo di libertà attraverso l’elevazione della tensione tra due modi di pensiero apparentemente incompatibili tra loro. Sotto tale lente l’androgogia è un’altra metafora del tutto. Non a caso il termine androgogia deriva dal greco andros, “uomo”, e gine, “donna”. In questa linea si collocano le riflessioni espresse da J. Singer, il quale, essendo uno dei principali sostenitori dell’andragogia come metafora dell’intero, considera quest’ultima come archetipo e riscoperta interiore. In questi termini, inoltre, è possibile concepire tale scienza come norma capace di promuovere una società meno “sfruttatrice”, sia per ciò che concerne l’ “eco”, sia di riconoscibilità del sé e delle altre culture.
7.3 Implicazioni soggettive ed educative In senso generale divenire cittadini attivi significa capire criticamente ciò che socialmente ci circonda ed “essere in grado di analizzare e valutare le diverse concezioni di cittadinanza”. L’educazione civica, così, si ritrova e si completa nell’educazione morale e nella coscienza, come profeticamente sosteneva Freinet. Un individuo non può davvero essere moralmente retto se non è un
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buon cittadino e viceversa. Bethel103, assieme al filosofo nordamericano Norton, ravvisa che nei paesi occidentali ed industrializzati la moralità pubblica e privata è sempre più in evidente stato di crisi, tanto da portare alcuni ricercatori a parlare di “crisi di carattere morale”. Huxley, profondo sostenitore della teoria darwiniana, afferma che la morale non è un semplice prodotto della cultura, bensì ha derivazione genetiche, obbligandoci a dare ragione ancora una volta a Rosusseau ed affermare che la natura umana è buona ed altruista. Se infatti ciò non fosse vero la stessa morale dovrebbe provenire dall’ambiente e razionalizzata per mezzo della ragione. Molte ricerche hanno stabilito che la morale è presente in ognuno di noi ed è capace di guidare intere comunità se solo ascoltata e perseguita come virtù. Le criticità del post moderno è attribuita al fatto che l’integrità e la moralità raramente sono date come una caratteristica personale a priori. Anzi, gli esempi che costantemente vengono forniti sono spesso in negazione delle “virtù” umane. Dare primaria importanza allo sviluppo del carattere individuale, secondo ancora Norton, significa dare rilevanza alla produttività oltre la mera ricezione. Ogni persona, infatti, ha diritto a tutto ciò gli è necessario per raggiungere la felicità, che lo stesso Aristotele definì “attività in base alla virtù”. Un’importante implicazione e compressione filosofica della felicità aristotelica è che la vita ben vissuta risiede in quello che si fa. Questo mette Norton in opposizione alla concezione moderna, il quale vede il lavoro come una necessità sgradevole a cui tutti devono sottostare. Se, quindi, per Norton il lavoro non è responsabilità soggettiva per giungere alla felicitià, anzi un ostacolo ad essa, Henry David 103 Bethel D. M. (1998). The role of work in personality development and holistic learning, Encounter, n°11.
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Thoreau la tratteggia come “invitante e gloriosa”, capace, cioè, essere intrinsecamente appagante ed estrinsecamente produttiva. Ciò che appare evidente è che comunque non vi è alcun tentativo di armonizzare le persone con un lavoro, e, di conseguenza si genera un vortice di mediocrità molto pericoloso e di certo poco produttivo. Si è parlato altrove104 dei NEET, quale classe giovanile che ha smarrito la verve di cercare lavoro o di formarsi. In questo senso, Bethel formula una proposta di insegnamento che si fonda su alcuni principi che appartengono alla letteratura olistica: 1. La Terra viene percepita come un’unità, e tutti i fenomeni, compresi quelli umani, sono visti come interdipendenti. Secondo Reale G. (1999) questa unità nella molteplicità deriva dalla filosofia orfina che presuppone l’immortalità dell’anima; 2. La formazione è organizzata in un ambiente in cui l’apprendimento avviene attraverso la sperimentazione diretta; 3. Il curriculum olistico è composto da fenomeni interconnessi e da progressioni integrali; 4. L’apprendimento esperienziale comporta il suo ingresso in una nomenclatura di fenomeni naturali e sociali; 5. L’apprendimento non è mai imposto, ma nasce dalla curiosità del discente, in altre parole, deve essere un processo di espressione e promozione umana; 6. L’apprendimento è condiviso da tutti i membri appartenenti al contesto di riferimento.
104 Mancini R. (2013). Segmenti sulla pedagogia della cultura. Perugia: Margiacchi
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Non è possibile considerare tutte le implicazioni che derivano da tale modellistica, anche se Bethel ne evidenzia due in particolare: 1 - Nella concezione tradizionale l’educazione è percepita come un progetto che inizia quando si entra per la prima volta a scuola ed è responsabilità degli insegnanti ed degli amministratori che si compia. Nella proposta olistica, invece, l’educazione ha inizio dalla nascita, secondo il modello di educazione permanente, ed è responsabilità dei genitori, degli insegnanti, di ogni soggetto in apprendimento, etc.; 2 - Il mezzo attraverso cui l’educazione deve attuarsi non potrà non essere quello di un apprendimento diretto ed attivo, dove ogni soggetto è coinvolto in qualche tipo di esperienza significativa. La natura delle esperienze, nel progredire nella scala evolutiva, avrà come fine quello responsabilizzazione ed emancipazione delle proprie azioni. Se, quindi, la filosofia dell’educazione risiede “nel processo di produzione di un nuovo modello umano, quello dell’uomo che si auto–educa e per il quale lo studio e il lavoro non sono incompatibili, deve prendere il suo carattere duro e astratto e deve evolversi sulla scia della vita di ogni giorno”105. Un quotidianità che attraversa lo spirito critico di ogni soggetto e reclama quella funzione olistica di intuizione che trova la sua radice più significativa nella prassi di vita. In sostanza “la specie umana avrebbe un cuore costituito da una innata tendenza a cooperare, rivestito da uno strato di empatia, quindi di altruismo psicologico, il tutto ricoperto da un sottile strato di giudizio morale, che rappresenta la razionalità applicata all’emozione”106. A conferma di ciò le ultime scoperte in campo neurologico atte105 Vico G. (2005). a cura di, Pedagogia e filosofia dell’educazione. Seminari itineranti interuniversitari di pedagogia generale, Milano: Vita & Pensiero, p. 5) 106 Joyce R. (2007). The evolution of morality, MA: MIT PRESS
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stano che la stessa empatia, quale capacità di instaurare un dialogo positivo con l’altro, è un principio fondamentale per far emergere le emozioni morali ed etiche. Una “cultura pubblica della convivenza” richiede il rispetto delle norme, delle leggi collettive e delle virtù identitarie, senza le quali ogni processo educativo si sgretola e diviene obsoleto e non pertinente. Effettivamente l’educazione mira a sviluppare un “buon carattere”, il che significa conoscere ed agire in relazione a valori etici fondamentali: l’assistenza, l’onestà, la correttezza, la responsabilità e il rispetto di sé e degli altri. Non si può pretendere che ogni singolo cittadino si assoggetti alle leggi e alle norme che vigilano su una determinata comunità senza dare la giusta formazione civica. Per questo siamo profondi sostenitori di quella didattica delle “buone abitudini”, più che di azioni politiche una tantum che risultano poco aderenti al tessuto sociale e altrettanto scarsamente funzionali ed interiorizzabili come modello di comportamento. Se è vero, allora, come professato da Francesco Bacone che “l’abitudine è la grande guida della nostra vita”, allora occorre sensibilizzare ogni cittadino a seguire le “buone abitudini”, intendendo con questi termini il più profondo benessere individuale e collettivo. Ogni azione, infatti, è guidata da obiettivi ed alimentata da motivazioni intrinseche ed estrinseche. Mano a mano, però, la motivazione iniziale diminuisce la sua influenza, e l’azione che inizialmente era totalmente volontaria diviene abitudine.
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Cap. 8 Valori aggiunti dell’educazione Anche se si è costretti a rilevare dell’inesistenza di una teoria generale di riferimento e di rari casi di attuazione pratica, educare ai valori significa contribuire ad assumere norme che vigilano sul benessere individuale e collettivo. In particolare il passaggio da una prospettiva olistica ad una situata, dovuto principalmente al legame che essi instaurano con la cultura che li circonda, rende difficoltoso il sottrarsi da riflessioni e speculazioni teoriche capaci di legittimare l’universo valoriale. Addentrandoci maggiormente nella querelle circa la poliformia che può assumere il sistema valoriale, occorre fare un passo indietro. La definizione data negli anni Sessanta da Mario Mencarelli dell’educazione asserisce che occorre “un’educazione totale (in quanto educazione democratica rivolta a tutti); integrale (in quanto mirante alla realizzazione della capacità di composizione delle antinomie insite nella vita personale); educazione alla critica (in quanto capacità di esercizio della responsabilità morale insita nella chiara coscienza della centralità dell’uomo); alla sintesi operativa personale di valori guida per la propria vita; al dialogo ed alla tolleranza”107. In tale direzione Sergej Hessen, pedagogista russo, rivela che la cultura rappresenta un’attività intesa a realizzare ideali assoluti, i quali danno libero sfogo ad un processo di crescita e ad un costante sforzo di adeguamento umano al metafisico ed eterno mondo dei valori; un’azione che costituisce il permanente atto di autoeducazione. Certo, sarebbe facile controbattere al fatto che i valori non possono essere considerati come olistici, soprattutto assumendo come prospettiva d’indagine quella avanzata dal neocriticismo. 107 Mencarelli M. (1964). Educazione permanente. Dall’educazione di base all’educazione dell’adulto. Brescia: La Scuola, p. 53.
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In questo caso i valori esprimono una scienza dello spirito, che compara un determinato principio di comportamento umano ad uno assoluto. Tale giudizio, però, è sempre stimabile come soggettivo e non universale. Il risultato che ne deriva è una presunta oggettività che resta ancorata alla semplice utilità del valore di riferimento. Il valore aspira al carattere assoluto, ma essendo contestualizzato ed utilizzato dall’uomo sfugge a leggi universali pur appartenendoci. La persona è, infatti, centro di diffusione di valori ed espressione di volontà sociali e soggettive: equilibrio dinamico tra collettivo e personale. Fink108, alle porte del nuovo millennio, propone un approccio suddiviso in tre elementi, i quali cercano dialogo tra i principi per l’educazione della personalità con i valori che ogni spirito educativo ha l’obbligo di possedere: l - contenuti, competenze, processi, atteggiamenti, abilità che ogni soggetto necessita per avere successo; 2 – un filtro di valori che autorizzino il soggetto ad entrare in contatto con i problemi del mondo reale; 3 - strategie di insegnamento per coltivare atteggiamenti e personalità positive. Contestualmente, Rafael Yus Ramos, sulla scorta delle idee espressa da Bolivar (Bolivar A. 1998), cerca di identificare alcuni principi universali per l’educazione morale: coniugare la socializzazione con lo sviluppo di autonomia morale, di ragionamento, di dialogo e di rispetto. Questa relazione darà luogo ad una prospettiva globale della persona, nella sua tripartizione di autonomia, singolarità ed apertura.
108 Fink K. (1998). Character education, Utah: Utah State Office of Education.
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Come analizzato da Berkowitz109, la personalità morale è composta da molteplici sfaccettature, tra cui: comportamento, carattere, valori ed emozioni. La competenza morale comprende componenti relazionali ed affettive: portare a situazioni di conflitto valoriale, perché, come sottolineato da Puig e Martin (Puig J. M., Martin X. 1998), le capacità di giudizio e il giudizio morale non sono dati a priori, ma sono trasmessi e creati attraverso una costruzione continua di esperienze e decisioni; gli approcci cognitivi hanno sottolineato che ogni azione e situazione dovrebbe essere agevolata attraverso il dialogo. Questo include la discussione morale su questioni controverse che costringono ad assumere posizioni diverse. Coerentemente con un apprendimento costruttivista, l’interazione è una attività appositamente studiata per portare a mettere in discussione il punto di vista inizialmente individuale, in modo tale da ottenere un risultato comune; il dilemma o conflitto morale è particolarmente utile in quanto richiede riflessione, critica e scelta tra le varie alternative valoriali; l’obiettivo non è tanto quale valore adottare, ma chiarire il loro reale significato al fine di una auto-esplorazione ed una auto-creazione che autorizzi il soggetto ad esprimere ciò pensa o sente, insomma a crearsi una propria “identità valoriale”. In questo senso, Bolivar mette in evidenza le caratteristiche dei due programmi principali che hanno dominato il campo dello sviluppo socio-morale: a) approcci di socializzazione. La sociologia classica, appartenente a Durkheim, Parsons e Merton, insieme con la psicoanalisi ed al comportamentismo, ha spiegato come gli individui si integrano ai valori di un determinato sistema sociale. Il soggetto, infatti, una volta cor109 Berkowitz M. W. (1998). Educar la persona moral en su totalidad, Madrid: Organizaciòn de Estados para la Educaciòn.
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rettamente socializzato, dovrebbe essere in grado di agire in modo autonomo nell’adeguarsi alle norme stabilite. Questa dipendenza è ascrivibile nel concetto di “relativismo morale”. Il buono o il cattivo saranno, così, subordinati alla situazione culturale ed all’ambientale di appartenenza. Alcuni sociologi dell’istruzione, tra cui Dubet e Martuccelli110, mettono in discussione il fatto che, nella società di oggi, avente un elevato grado di de-istituzionalizzazione, si possa continuare a mantenere i principi della sociologia classica. La costruzione morale non è più assoggettabile ad una “autorità morale” che impone delle norme. Il processo di soggettivazione delle norme stesse richiede una dissociazione, e questo significa che, in assenza di unità valoriali prescrittive, ogni soggetto deve affrontare la situazione sociale con una ventaglio di possibili risposte predittive. Il modello durkheimiano non funziona più in una società in cui ogni soggetto è collegato con il mondo, in quanto valido solo per le persone pre-inserite correttamente nelle reti sociali prossime; a) sviluppo e costruzione dell’autonomia. Ogni soggetto non si limita solo ad assimilare le norme, gli atteggiamenti ed i valori imposti, ma li costruisce socialmente nelle relazioni tra gruppi di pari. I valori, quindi, sono costruiti cognitivamente ed autonomamente in determinate fasi di sviluppo umano. Incoraggiare e promuovere lo sviluppo del ragionamento morale, del giudizio analitico ed emozionale risulta essere un’azione pedagogicamente inappuntabile, sia da un punto di vista teorico, sia pragmatico. Questo, infatti, mira a responsabilizzare il soggetto in apprendimento e dotarlo di competenze che gli consentono uno sviluppo integrale. Con il progressivo decentramento della visione soggettiva, narcisistica e centristica, è possibile comprendere le ragioni, i sentimenti ed i valori degli altri, insomma entrare empaticamente in relazione. Attualmente, senza abbandonare l’obiettivo finale di una autonomia e configurazione della propria personalità, si ritiene necessario recupe110 Dubet F. e Martuccelli (1996). A l’École: sociologie de l’expérience scolaire. Paris: Edition du Seuil
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rare una dimensione di vita che sia garantita dal giusto valore espresso dalla cittadinanza. Secondo Bolivar, siamo in un momento di “riconcettualizzazione ed integrazione” delle teorie che hanno dominato dalla seconda metà del XX Secolo. In primo luogo, infatti, l’educazione è un patrimonio innegabile in una società democratica. Questa prospettiva individualistica, purtroppo, possiede dei seri limiti: si presuppone un uomo che agisce in modo imparziale. Le teorie dello sviluppo morale hanno rilevato che non è possibile raggiungere l’autonomia se, in precedenza, non si siano assunte le norme convenzionalmente legate ai valori comuni. Si tratta di un obiettivo educativo quello di far socializzare le norme civili con valori comuni che devono essere condivisi. Pertanto, rimane un patrimonio irrinunciabile della modernità quello di promuovere l’autonomia morale, ma anche nuove prospettive per la (ri)valutazione della società stessa. Unire le due dimensioni significa portare rispetto ai valori che modellano la nostra migliore tradizione educativa.
8.1 Olismo valoriale e valori olistici L’educazione olistica sia per affrontare le diverse dimensioni umane, sia per non incorrere in una falsa onniscenza, sembra essere orientata verso una educazione “nella cura dei valori umani e nella cooperazione alla crescita che ogni attore (istituzionale e non) deve interpretare e deve sentire come un impegno non soltanto professionale, ma soprattutto etico”111.
111 Binanti, L. (2012). Scuole a rischio: una possibile risorsa. Roma: Ancia, p. 11.
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Anche Forbes112 rileva che la crisi dell’educazione moderna risieda nei paradigmi materialistici, i quali dimenticano che le persone possiedono connotazioni ben oltre la sfera estetica e formale; piuttosto gli sono propri elementi che si estendono oltre il soggetto stesso e che gli olistici descrivono come “ordine universale” o semplicemente “spirito”. Aldous Huxley tratteggia tali peculiarità umane con la semantica di “filosofia perenne”; verità perenni alle quali ogni soggetto deve rifarsi e dalle quali non è possibile prescindere in qualsiasi percorso educativo. Molti pedagogisti, infatti, ritengono che qualsiasi espressione, approccio o ricerca della verità può essere solo parziale e l’adesione ad una pluralità di proposte aiuta le persone a vedere se stessi al di là di ciò che è culturalmente limitato. In queste parole vi è un impegno che costringe a fare i conti con la realtà, per misurare le capacità comunicative e relazionali che si costruiscono e si perfezionano nel tempo, nella ferma intenzione di crescere in senso propriamente umano, nella condivisione di valori e di grandi idee nelle quali si può conciliare e ritrovare l’intera umanità113. A partire da questi principi generali, nel 1996 Forbes definisce quattro principi attraverso cui è possibile delineare un’educazione ai valori in modo olistico, che poi verranno ripresi dallo stesso Delors (Delors J. 1999) nel suo rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’educazione per il Ventunesimo Secolo redatto nel 1999: 1 - Imparare a vivere insieme. I rapporti basati su strutture di significato è uno dei motivi per cui l’educazione olistica ha dato un valore centrale a tre competenze relazionali: la perce112 Forbes, S. (1996). Values in Holistic education. London: Roehampton Istitute London. 113 cfr. Mencarelli, M. (1981). La sfida dell’educazione. Teramo: Lisciani &Giunti.
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zione di ciò che serve per imparare a vivere in una prospettiva dialogica, la costruzione di comunità fondate sull’armonia e sull’equilibrio sociale e la tendenza verso obiettivi comuni che si ritrovano nella scoperta dell’alterità. Per questo motivo gli educatori olistici ritengono che le dichiarazioni rese dai tradizionalisti per promuovere la democrazia e la libertà sono utopicamente false, o per lo meno partono da principi sbagliati. Un’educazione integrale dichiara che ogni ambiente educativo debba essere un luogo in cui le relazioni, l’apertura, l’onestà e la comunicazione siano simmetriche, non anche le differenze valutate in quanto portatrici di benessere comune ed appartenenti ad una cultura che si fa plurale. L’ambiente ed il clima che si crea in un processo di apprendimento sono caratterizzati da un senso di appartenenza, organizzazione e partecipazione. Per la stessa UNESCO l’atmosfera che si respira in ogni contesto educativo è la misura dell’efficacia dell’apprendimento. Un clima solidale, stimolante e motivazionale viene ad essere creato e “rispecchiato” in ogni soggetto. Secondo Cole e Griffin114, infatti, il contesto educativo è da intendersi come “insieme di trame interdipendenti”, i cui fattori principali sono l’organizzazione, le relazioni, le conoscenze ed il tempo. Contestualizzare l’apprendimento significa in tal modo assorbire gli elementi che influenzano lo sviluppo umano secondo un assioma integrato ed olistico. Il modello che ne deriva si esplicita secondo caratteri intrapersonali, al fine di esibire un’azione coerente che la Dozza sintetizza come “campo dinamico”115; 2 - Imparare a collaborare. L’enfasi sullo spirito di cooperazione e cooptazione, piuttosto che sulla concorrenza e competizione appare essere una strategia vincente di ogni educazione. Una formazione centrata e volta alla classificazione, 114 Cole A. e Griffin M. (1987). Contextual factors in education. New York: Department of Education. 115 Dozza, L. (2006). Le relazioni cooperative a scuola. Il lievito e gli ingredienti. Milano: Erickson.
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alla comparazione e alla ricompensa sviluppa concorrenza, lotta ed antagonismo. Da questo punto di vista l’educazione appare essere fonte primaria di formazione e di dialogicità intrapersonale ed interpersonale; un dialogo intrinseco ed estrinseco che stimola la parte più profonda del nostro essere e che reclama continui orientamenti, sollecitazioni e riflessioni. In questo senso la responsabilità di ogni individuo nei processi decisionali sarà partecipativa ed collaborativa, fattori imprescindibili per il raggiungimento dell’interdipendenza positiva e democratica; 3 - Imparare la democrazia. Ogni governo, pur essendo stato eletto democraticamente, può cadere nell’irresponsabilità di sostituirsi all’uomo/cittadino e di regolare a suo comodo le esigenze che altrimenti dovrebbero essere collettive. Secondo Freire (Freire, P., 1969) abbiamo ancora bisogno di un cambiamento radicale nella struttura tradizionale dell’autorità. Forbes continua asserendo che l’unica soluzione che si scorge all’orizzonte è rappresentata dalla concezione romantica del soggetto, dove la persona non è vista semplicemente come una piccola parte di un sistema sociale o economico, ma quale insieme di spirito, trascendenza e umanità. L’uomo, così, viene ad essere salvaguardato in quanto espressione di entità contenente il “sacro”, riconosciuto e trattato, quindi, come tale. La competenza sociale oltre a prevedere un avanzamento di tipo conoscitivo su un determinato tema o nella risoluzione di problematiche, richiede abilità interpersonali e di gestione di se stessi. In tale modo occorre promuovere esperienze dirette che potenzino il lavoro in team e creino situazioni che possono e devono essere apprese per facilitare il raggiungimento degli obiettivi. La competenza sociale diviene un “insieme di abilità consolidate, utilizzate spontaneamente e con continuità per avviare, sostenere e gestire un’interazione all’interno di uno specifico contesto”116; 116 Ellerani, P. (2012). Metodi e tecniche attive per l’insegnamento. Creare contesti per imparare ad apprendere. Roma: Anicia.
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4 - Imparare dalla diversità. Se si è concordi che all’interno di ogni uomo c’è del sacro, allora l’umana espressione è da salvaguardare e rispettare. Tutto ciò porta a riflettere che l’educazione ha bisogno di essere principalmente un processo di sviluppo espressivo e ricerca di se stessi negli altri. Di qui una nuova concezione di identità, che “rende possibile superare gli aspetti ordinari degli individui e sottolineare ciò che si ha in comune, piuttosto che le differenze”, sancisce Jacques Delors. Solo nel momento in cui ci “sarà la convinzione diffusa, principio comune, che ognuno di noi è uguale all’altro e ognuno di noi è diverso dall’altro, la qualità della vita potrà migliorare per tutti e per ciascuno: nel gioco complesso di uguaglianza e di diversità si svilupperanno le dinamiche costruttive per una società interculturale”117.
8.2 Per una relazione educativa olistica Nel corso di poco più di mezzo secolo ogni agenzia ed istituzione educativa, tra cui certamente l’Università, ha subito delle trasformazioni che non hanno pari nella storia, a partire da quella rivoluzione dell’insegnamento che poneva il discente al centro del progetto educativo descritta dal Richmond118 sul finire degli anni Sessanta o dalle innovazioni tecnologiche che hanno dato i natali alle Università on-line. Ogni opera e processo formativo investe sulla persona e sul suo più intimo potenziale; un’azione che tocca le corde scoperte dell’uomo, il senso più vivo e rappresentativo, quanto mai delicato e bisognoso di attenzione e cura. L’educazione può annientare ed annichilire, se mal gestita, così come può sviluppare e maturare se esercitata con coscienza, onestà, antologica e prospettive dialogiche. 117 Santelli Beccegato, L. (2003). Interculturalità e futuro. Analisi, riflessioni, prospettive pedagogiche ed educative. Bari: Levante, p. 22. 118 Richmond, W. K., La rivoluzione dell’insegnamento. Roma: Armando.
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Ecco, allora, che riecheggiano parole di G. Steiner, il quale descrive alcuni maestri (educatori) come “vampiri dell’anima”119, usurai dello spirito umano che si nutrono delle vitalità altrui in quanto incapaci di valorizzare ed apprezzare quell’humanum appartenente in ognuno di noi. La vicinanza tra soggetto docente e discente ha l’obbligatorietà di orientarsi ed indirizzarsi verso un percorso di miglioramento continuo. Non basta, quindi, la simultanea presenza di più soggetti per rendere un rapporto una “relazione educativa”, ma occorre che si instaurino delle congetture basate sulla fiducia, sulla volontà e sul rispetto reciproco. La relazione educativa, insomma, può essere descritta come uno scambio “d’amore con amore, fiducia con fiducia”. Essa, infatti, “non è soltanto una delle molteplici esperienze mondane che il soggetto può vivere, ma è, invece, la sua condizione esistenziale primaria. Vale a dire che il soggetto non è se non nella relazione con l’altro e con gli altri”120. In questa sinergia d’intenti è d’obbligo tenere presente che “non si insegna ciò che si sa, ma ciò che si è”, professa un antico adagio. Dello stesso parere sono le idee di H. Murcami (Murcami H. 1992) quando asserisce che “l’io che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore”. Quello che è possibile estrapolare ad tali riflessioni appartiene, o dovrebbe far parte, di una moderna professionalità docente, quantunque sottomessa alle regole del gioco normativo, ma sempre coscienziosa nello sviluppare nel discente le sue più intime altezze, espressioni creative e di pensiero critico. 119 Steiner, G. (2004). La lezione dei maestri. Milano: Garzanti 120 Madrussan, E. (2012). Briciole di pedagogia. Cinque note critiche per un’educazione come inquietudine. Roma: Ancia
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Questo può e avviene solo con una relazione dialogica diretta alla ricerca di ciò che entrambi, docente e discente, non conoscono, verso, cioè, una privata scoperta che scaturisce dall’unione di due singolarità creative e da vere e proprie fatiche d’amore. Di qui la ricetta espressa dal P. Perrenoud121 di un casellario di competenze per poter insegnare, tra cui: -
spirito organizzativo e contestualizzazione animata dell’apprendimento;
-
gestione e ottimizzazione degli apprendimenti significativi;
-
ideazione e evoluzione dei dispositivi di differenziazione;
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coinvolgimento dei discenti;
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stimolare il lavoro di gruppo;
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partecipazione attiva alla gestione dell’agenzia formativa;
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dialogo con i genitori;
-
auto realizzazione delle tecnologie dell’apprendimento;
-
formazione di una identità etica, deontologica e morale;
-
aggiornamento continuo.
L’atto educativo non risiede solo nella conoscenza di una determinata area disciplinare o nei sui gangli più oscuri, ma in una forma mentis capace di maturare e progredire in comunione con lo sviluppo fisico e trascendentale appartenente alla persona umana. “Non lo so cerchiamolo insieme”, professa un aforismo educativo; una ricerca che non esaurisca il suo mandato nel momento in cui si firma uno statino d’esame o si viene interrogati, ma che perduri in una rela121 Perrenoud, P. (2002). Dieci nuove competenze per insegnare. Invito al viaggio. Roma: Anicia
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zione d’amore, perché è solo attraverso il donarsi reciproco che può nascere e sorgere il vero senso educativo.
8.3 La mitologia quale aneddoto nella formazione della personalità J. Miller presta particolare attenzione alla mitologia, cioè alla possibilità di collegare ed intrecciare storie appartenenti alla cultura popolare con le vicende ed episodi personali. La mitologia in tal senso può essere paragonabile ad un continuo aneddoto avente un’elevata significatività, che sottende delle verità indirette. Infatti, nell’aneddoto, così come nei racconti epici, non vi è solo l’opera di ascolto e di narrazione, ma intervengono facoltà specifiche che innalzano il piano della storia da semplice esposizione a valore. L’abilità dell’oratore nel descrivere i passi cruciali arricchendoli di elementi e descrizioni, così come il saper setacciare criticamente gli elementi educativi da parte dell’uditore, creano situazioni e atmosfere senza pari. I miti, le metafore ed i vissuti, infatti, possono essere considerati un intento educativo e rappresentano dei momenti di alto valore relazionale. Quante volte, infatti, il grande maestro porta i racconti personali in classe per spiegare una verità che il discente percepisce come un qualcosa d’importante, tanto da restare ben salda nella memoria. Questa memorizzazione è totalmente diversa da una informazione trasmessa normalmente. Perché delle storie? Bateson, nel Metalogo risponde: “anche quando racconto storie tratte dalla mia esperienza, non è della mia storia personale che parlo. Le storie riguardano qualcos’altro. La storia delle lontre riguarda il fatto che due organismi per giocare devono essere capaci di emettere il segnale <<questo è un gioco>>. E allora ci rendiamo conto che questo tipo di segnale, la metacomuni-
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cazione, cioè un messaggio che riguarda un messaggio, far sempre parte della loro comunicazione”122. Presentare storie, per Bateson, ha una forte rilevanza educativa. Gli aneddoti rappresentano dei momenti entro cui è possibile spiegare la natura umana. Le azioni, i comportamenti, i vissuti e le esperienze singolarmente compiute vanno pensate in termini di storie, poiché ritraggono una vera e propria fonte di vita. Ogni atto conoscitivo è collegato in modo indissolubile con altre esperienze, ogni vissuto è relazionato ad altri vissuti, così come ogni esperienza non deve essere custodita come qualcosa che può esserci portato via, piuttosto come qualcosa da condividere, in quanto facente parte di una coscienza culturale comune. In altre parole, Bateson, per descrivere qualsiasi evento, fenomeno naturale non si serve di dati quantitativi, ma, analizza le forme, i contorni e le relazioni che sono insite nel processo. Ad un livello più profondo, molte delle storie e delle espressioni mitologiche ed aneddotiche sono messaggi su come possiamo vivere una vita migliore. Anche se oggi tali elementi sono compresi solo come momento di svago, ludico, di divertimento, o, nella migliore delle ipotesi, intrappolati in oblii di saggezza che ormai non viene più tramandata, possiedono ancora molto significato, in particolare quando, di fronte alle transizioni da una fase della vita ad un altra, cerchiamo un significato, magari olistico, che possa fornire risposte alle inquietudini che a volte ci tormentano. Il racconto mitologico e la storia compresa nell’aneddoto possono offrire risposte al discente che comunque provengono da loro stessi in base alla traduzione dell’insegnamento compreso nel racconto. 122 Bateson G, Bateson M. C. (1989). Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro. Milano: Adelphi.
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Campbell123, un noto mitologo, ha sottolineato il fatto che la ragione per cui alcuni adolescenti soffrono di problemi psicologici è perché non sono guidati in maniera interioristica. Molti giovani, infatti, pensano che l’alcol, la droga, il sesso, la criminalità, il bullismo ed il vandalismo possano divenire dei veri e propri miti moderni ed avere, perciò, un significato sociale. Non avendo una posizione critica su tali questioni sembra che molti cerchino proprio il significato all’interno di rituali ed esperienze promiscue. Campbell suggerisce che abbiamo bisogno di una nuova mitologia, capace di parlare alla gente in un nuovo linguaggio. Questo dovrebbe affrontare le interconnessioni e le interdipendenze tra le diverse culture e fornire una base per una società globale in cui le persone vivono insieme nella fiducia reciproca. L’educatore deve essere capace di modificare la conoscenza contenuta nelle mitologie, così come cercare le risposte ai grandi interrogativi, in modo tale da creare un nuovo “mito ed aneddoto olistico”. Ecco, allora, che attraverso l’educazione è possibile integrare: - il cuore: fiducia,emozioni, amore, rispetto, etc.; - la testa: organizzazione, conoscenze, sapere, etc.; - la mano: abilità,competenze, capacità pratiche, etc.. Una sinergia che si realizza nella sfera olistica, dalla cui traduzione tutto nasce e a cui tutto si rifà. In quanto esseri globali, abbiamo bisogno di vedere noi stessi, di avere un ambiente favorevole e di una dialogicità rispettosa. Chiaramente, il nuovo diventa una prospettiva globale che è “interglobalizzata e intralocalizzata”.
123 Campbell J. (1988). The power of myth. Toronto: Doubleday
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