Il Giornale dei Biologi - N. 5 - Maggio 2021

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Scienze

Alterazioni dell’EEG durante veglia e sonno nella malattia d’Alzheimer Per la prima volta sono state evidenziate specifiche differenze nell’attività elettrica cerebrale durante il sonno che discriminano la malattia di Alzheimer dal decadimento cognitivo lieve e dagli anziani sani

di Valentina Arcovio

L

a malattia di Alzheimer (AD) è una sindrome neurodegenerativa che rappresenta la causa più comune di demenza nella popolazione anziana. L’elettroencefalografia (EEG) consente di rilevare i cambiamenti nell’attività corticale associata all’AD, anche nelle fasi iniziali. Il segno distintivo dell’EEG a riposo nei pazienti con AD è il rallentamento dei ritmi corticali, costituito da un aumento delle basse frequenze (0,5-7,0 Hz) e una diminuzione dell’attività ad alta frequenza [1]. Caratteristiche EEG simili colpiscono soggetti con deficit cognitivo lieve (MCI), una condizione che è prodromica all’AD in più della metà dei casi [2]. Il rallentamento dell’EEG è correlato ai cambiamenti funzionali, strutturali e cognitivi tipici della progressione della malattia [2] ed è stata considerata un’espressione nell’EEG del processo neurodegenerativo [3]. Anche l’attività EEG durante il sonno è influenzata da MCI e AD. Studi recenti hanno riportato una significativa riduzione dei fusi del sonno [4] e complessi K [5] durante la fase Non Rem o Nrem (Non rapid eye movement) in pazienti con AD e MCI. Invece, le osservazioni preliminari nel sonno REM hanno suggerito un aumento dei ritmi a bassa frequenza parallelamente alla riduzione delle alte frequenze, rispecchiando quelli che si verificano nell’EEG durante la veglia [6]. Vale la pena notare che le oscillazioni dell’EEG nel sonno hanno un ruolo cruciale nei processi di apprendimento e nei meccanismi plastici. In particolare, diversi segni elettrofisiologici sia dell’NREM (cioè, onde lente, fusi del sonno, ecc.) che del sonno REM (cioè, attività theta) sono attivamente coinvolti nel consolidamento della memoria [7]. A partire da questa evidenza, la valutazione delle alterazioni locali del sonno e del loro significato funzionale ha una rilevanza clinica essenziale nel campo dei disturbi neurodegenerativi. È interessante notare che recenti scoperte suggeriscono che l’alterazione dell’elettrofisiologia del sonno potrebbe essere correlata allo stato cognitivo dei pazienti con AD e dei soggetti con MCI. Ad esempio, sia la riduzione del fuso del

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sonno che la densità del complesso K sembrano associate al grado di declino cognitivo [1]. Il pattern che caratterizza l’attività corticale in questi pazienti imita l’effetto della privazione del sonno in soggetti sani, suggerendo che potrebbe essere, almeno in parte, una conseguenza diretta della loro scarsa qualità del sonno. In altre parole, l’aumento dell’attività corticale a bassa frequenza durante la veglia potrebbe anche riflettere una forte spinta al sonno, legata a una disfunzione dei processi di regolazione omeostatica legati al sonno. Alcuni studi supportano l’idea di un legame tra la progressione dei fenomeni neurodegenerativi e la compromissione del ciclo sonno-veglia [8] Secondo questa visione, il deposito precoce delle placche amiloidi in specifiche regioni del cervello, tipico dell’AD, potrebbe interferire con la regolazione del ciclo sonno-veglia, con conseguente frammentazione del sonno e riduzione del sonno a onde lente (SWS). D’altra parte, una buona qualità del sonno sembra svolgere un ruolo protettivo contro l’accumulo di amiloide: i livelli di β-amiloide aumentano con il tempo di veglia nei topi, mentre il sonno NREM prevede la clearance della β-amiloide [9]. Segni di interruzioni del sonno sono associati ai biomarcatori di AD negli esseri umani [10] e animali [11]. La privazione del sonno e l’interruzione selettiva dell’SWS aumentano i livelli di β-amiloide [12] e la diffusione della tau [13]. Infine, studi longitudinali suggeriscono che l’interruzione del sonno è associata a esiti correlati all’AD [14]. Pertanto, i disturbi del sonno, aumentando il tempo trascorso nella veglia, potrebbero contribuire negativamente alla condizione di AD. Sorprendentemente, nessuno studio ha studiato la relazione tra le caratteristiche EEG durante la veglia e il sonno nei pazienti con AD. Nel nuovo studio [15] coordinato da ricercatori della Sapienza e dell’IRCCS San Raffaele Roma, in collaborazione con l’IRCCS Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e dell’Università dell’Aquila - Aurora D’Atri, Serena Scarpelli, Maurizio Gorgoni, Ilaria Truglia, Giulia Lauri, Susanna Cordone, Michele Ferrara, Camillo


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