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16-02-2009
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di Dio», la città in cui egli aveva la sua «casa», il Tempio (Salmi 87,3; 122,1). L’idea di una Gerusalemme celeste è illustrata dall’Apocalisse (21-22). Essa era già stata suggerita da san Paolo («La Gerusalemme di lassù»; Galati 4,26). Nelle sue Omelie, Teodoro di Mopsuestia ha ripreso e spiegato questa immagine ai suoi catecumeni: «San Paolo ha detto: ‘La Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre’. Egli diede il nome di ‘Gerusalemme di lassù’ alla dimora del cielo in cui, attraverso la resurrezione dai morti, noi nasceremo e diventeremo immortali ed eterni, quando godremo veramente della libertà in una gioia perfetta (...) Aspettiamo di godere di questi beni di cui Cristo Nostro Signore fu il preludio (...), e che donò anche a noi la speranza di essere uniti a lui. Occorreva dunque che le Sacre Scritture ci insegnassero non soltanto che egli è resuscitato dai morti, ma anche che è salito nei cieli, così che sperassimo lo stesso anche per noi»6.
Un’ultima osservazione a proposito di questi segni escatologici. Questo ambito, che trascende la storia, è dominato da un mondo di «rappresentazioni» simboliche di realtà ultime. Sarebbe rischioso interpretare ingenuamente queste rappresentazioni come descrizioni, come sostituti di un reale invisibile: in quanto rappresentazioni, esse hanno senso solo nel loro ruolo di vettore puntato verso un reale indicibile. Di fronte ai tentativi di localizzare il paradiso, ad esempio, Agostino avrà in definitiva la saggezza di affermare che è Dio stesso ad essere il «luogo» in cui riposeranno le nostre anime7. Ma parlare di «luogo» a proposito di Dio non è ancora un’immagine inadeguata? Tuttavia, la vocazione dell’uomo alla vita eterna implica necessariamente una partecipazione alla vita divina, alla «divinizzazione» (theosis), come amano dire i Padri greci. In breve, tutte le rappresentazioni cristiane dell’aldilà non sono che variazioni sull’unico tema «essere-con»: essere con Cristo, con Dio. La parola decisiva su questo tema è quella di Gesù al buon ladrone: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23,43). La speranza cristiana è riassunta da queste parole di san Paolo ai Tessalonicesi: «Saremo sempre con il Signore» (I,4,17). IL SIMBOLISMO DEI RITI FUNERARI La fede cristiana nella resurrezione e nella vita eterna si esprimerà attraverso i riti funerari. L’incinerazione era in uso presso i Romani assieme all’inumazione. Queste pratiche molto diverse tra loro non sono prive di significato, poiché implicano una certa concezione dell’uomo e dell’aldilà. Nella cultura greco-romana dei primi secoli cristiani, la crescente influenza del neopitagorismo e del neoplatonismo negli ambienti intellettuali introduceva una visione dualista dell’uomo, considerando il corpo «prigione» o «tomba» dell’anima. Pertanto, la morte è vista come liberazione dell’anima immortale che ritorna alla sua origine astrale, celeste. Secondo questa concezione, l’incinerazione del cadavere 222
I SIMBOLI ESCATOLOGICI
1. Gerusalemme, mosaico, base sinistra dell’arco trionfale, basilica di S. Maria Maggiore, Roma. 2. Stele funeraria con mensa (tavola adibita ai banchetti funerari) su cui sono rappresentati utensili, piatti, cucchiai e vassoi colmi di cibo, Museo di Timgad, Algeria.