nell‟opera De inventione di Cicerone, per cui “semper ad utilitatem rei publice leges interpretande sunt” (I, 68), citato da Dante, la cui definizione del diritto come “ius realis et personalis hominis ad homenem proportio, que servata hominum servat societatem, et corrupta corrumpit”,678 non soltanto non coincide con la descrizione “per notitiam utendi” del Digesto, ma neanche con l‟esprit ermeneutico che anima l‟esegesi romana, la quale intende il “bonum comune” e il relativo “finis societatis”, come salvaguardia dello Stato e non certo della “hominis ad hominem proportio”, per cui il “finis iuris” in senso romanistico di “bonum rei publice” non è lo stesso bene soteriologico dei cristiani, che vedono lo Stato come strumento e non come fine per l‟uomo. Pensare che Dante criticasse la mondanità della Chiesa romana per mettere al suo posto lo Stato sarebbe certamente incongruo, ma soprattutto sbagliato, e l‟errore nascerebbe dalla indebita identificazione del “romanus populus” con il “genus humanum”, e la romana “pax” con la cristiana “libertas”, da cui l‟identità tra la “gloria” romana con la “salus” del genere umano.679 Eppure tale incongruità è presente nel testo dantesco, proprio perché la fruizione anfibologica delle stesse categorie giuridiche provoca un complessivo sincretismo teorico che rende ambigua l‟esegesi del testo in un duplice possibile senso, aperto tanto alla riabilitazione dell‟Impero romano (in senso anti-agostiniano), che all‟inveramento del suo principio imperiale (in funzione mitopoietica cristiana), e pertanto il riferimento alla fattualità dei “signa exteriora” per la determinazione della “intentio ex electione” di chi agisce non è punto risolutiva, come invece vorrebbe Dante.680 Infatti, gli stessi gesti caritatevoli di Gesù - e dei successivi martiri della fede cristiana – possono essere intesi come manifestazione visibile della radicale bontà divina, da chi ha fede in Lui, e viceversa come pericolose minacce all‟ordine religioso dello Stato da parte dei suoi detrattori e avversari all‟interno della logica esclusiva dell‟orizzonte politico, senza che Gesù, com‟è noto, abbia mai pensato di costituirsi esplicitamente ed intenzionalmente come parte polemica in senso politico.
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Dante, Monarchia, II, V, 2-4, pag. 184. Ivi, 20- 25, pagg. 185-186. Ivi, 28-29, pag. 186.
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