natura”, si presenta storicamente come il custode dell‟ordine. E poiché l‟ordine naturale fu voluto da Dio, la sua perfezione anche morale non può essere messa in discussione.693 Si chiude il sillogismo, specificando il compito dell‟uomo riferendolo al suo ruolo naturale di “medium necessarium ad finem nature universalem”, che è appunto l‟ordine giuridico, il quale peraltro, non potendo essere conseguito “per unum hominem”, viene realizzato assegnando da parte della natura a “una moltitudine d‟uomini incarichi diversi”, coordinati allo stesso fine. Da qui la destinazione di alcuni uomini o di interi popoli a dominare o a essere dominati, secondo quanto riporta Aristotele nella sua Politica, in cui il ruolo delle parti viene ricordato non solo come utile ma anche giusto.694 Ed è quanto predetto da Giove, evocato da Virgilio nel IV libro dell‟Eneide, per il popolo romano, il quale appunto “subiciendo sibi orbem de iure ad Imperium venit”.695 La correlazione storica del iustum col factum, che è implicita nella identità metafisica del factum col verum quale presupposto dell‟ontologia greca, viene però radicalmente smentita dall‟esperienza cristiana a partire dalla passione di Cristo, che è l‟evento storico più reale dell‟umanità quanto il più ingiusto, a partire dal quale si dispiega una fenomenologia storica fondata su categorie spirituali che, assegnando un grande significato escatologico a realtà fenomeniche inattuali, risultano negative rispetto alla positività di quelle razionalistiche greche, basate sulla esclusiva rilevanza teoretica del fattuale. Infatti la prospettiva cristiana ribalta la visuale noetica greca, assegnando all‟altroda-ciò-che appare un valore d‟essere superiore a quello di ciò che attualmente è. Un valore di verità che, restando invisibile alla logica del Potere, rimane inaccessibile alla cognizione di Pilato, rappresentante dell‟Imperium romano per antonomasia. Dante dunque un teorico pagano? No, in quanto da cristiano egli ammette l‟insufficienza della ragione umana di fronte ad eventi superiori all‟esperienza comune o singolare, alla cui bisogna soccorre la fede, che perviene “de gratia spetiali” a cogliere, “aut expresse, aut per signum”, la
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Ivi, VI, 10-15, 19-22, pagg. 193 e 194. Ivi, VI, 26-36, pagg. 194-195. Ivi, VI, 51-60, pag. 195.
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