LAZIO GOURMAND MAGAZINE n°1 - Estate 2020

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ESTATE 2020 dell’estate! Tutti i colori e i sapori N° 1 2020 Storia, cultura, tradizioni e itinerari del gusto 2 ricette con il pollo tutte romane! Lazio Gourmand I FANTASMI DI ROMA Intervista a Beatrice Cenci SAPORI DEL NOSTRO MARE ANZIO: zuppe e primi gourmand da favola! SPECIALE AMATRICE A 4 anni dal terribile sisma un tour per ripercorrere il suo splendido territorio magazine

Benvenuto

“Lazio Gourmand magazine!”

Sono molto emozionata ed orgogliosa di presentarvi il primo numero di Lazio Gourmand magazine on line. Ne sono previsti 4 all’anno, uno per ogni stagione!

Il sito è nato grazie all’idea di Elena Castiglione, grafica editoriale e food blogger, romana di nascita e cerveterana di adozione. Elena 5 anni fa coinvolse Candida De Amicis, Laura Becchis e me in questo progetto che rappresentasse la nostra Regione. Dopo un’accurata ricerca in rete ci rendemmo conto che parecchi siti simili erano fermi da tempo e poi i testi, un copia-incolla generale, le foto poco appetibili. Cosi, nacque Lazio Gourmand, le competenze c’erano, la passione anche e il rispetto per le tradizioni dentro le nostre memorie.

Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma in questo periodo storico, di cui rimarrà un ricordo indelebile in tutti noi, siamo riuscite a dedicare a Lazio Gourmand una parte del nostro tempo in lockdown. Anche lo smartworking ci ha fatto risparmiare ore e ore nel traffico o sui mezzi pubblici e questo tempo che di solito ti viene sottratto è diventato tesoro per creare questa rivista.

Il confinamento ha offerto a tutti noi, gourmand navigati, il tempo per preparare piatti gustosi: abbiamo impastato, lievitato, infornato a più non posso, ma soprattutto condiviso sui social, divulgando la nostra cultura culinaria anche ai più restii. La forza del cibo ha unito tutta l’Italia e ci ha fatto comprendere che a volte la scusa di non preparare piatti in casa per mancanza di tempo è ingiustificata.

Ora, però, che con prudenza possiamo riprendere le nostre attività abbiamo il desiderio di muoverci, di uscire a cena fuori, andare a pranzare al mare o al lago. Ecco,

proprio ora e più di ora dobbiamo ricordarci che abbiamo una meravigliosa Regione e che il nostro paese è il più bello del mondo.

Visitando tutta l’Italia riportiamo dignità aiutando la nostra economia, sempre con attenzione e rispetto delle regole sanitarie per tutti.

Nel nostro piccolo, noi inizieremo da qui, dal Lazio la nostra Regione. Il centro Italia è meraviglioso e ricco di piccole realtà legate al territorio e alla cura dei loro prodotti.

In questo numero troverete descritti dei mini tour, dove vi racconteremo la nostra esperienza. Luoghi incantevoli e romantici come il lago del Turano (RI) e città drammaticamente famose come Amatrice dove, nel 2016, il terremoto, proprio in questo periodo, devastò sia lo spirito che il territorio, senza piegarlo!

Noi abbiamo visitato, per Laziogourmand, cinque realtà colpite dal sisma, ma forti più di prima Caseificio Storico Amatrice; Agriturismo Piccolo Lago; Casale Nibbi Azienda Agricola Bio – Amatrice; Birra Alta Quota, MelaMille di Andrea Feliciangeli e Agriturismo Fattoria Santarelli.Ognuno di loro merita una visita, sentire la loro storia e assaggiare i loro prodotti vi lascerà un ricordo indelebile, ma ce ne sono molte altre di realtà che con i prossimi numeri vi faremo conoscere.

E poi ci sono loro, i prodotti del territorio: piselli, lattuga, zucchine, ciliegie, pomodori, melanzane, fagiolini e i piatti di mare con le tradizioni provenienti dai luoghi descritti e quelli di terra come il pollo dove la tradizionale cucina romana ci regala piatti gustosi e colorati.

Da non dimenticare il lago: in questo numero vi porteremo in un luogo magico Castel di Tora riflessa sul Lago

2 EDITORIALE

del Turano. Qui regna la pesca al pesce di lago dove i ristoranti locali, sapientemente ne esaltano le qualità poco conosciute.

E un pizzico di mistero non lo potevamo negare a Roma nostra, dove durante la notte aleggiano fantasmi storici con tristi storie che ci stringono il cuore come Beatrice Cenci. Beatrice è stata “intervistata” dalla giornalista Sabrina Turco, l’autrice dell’ultimo articolo che trovate in questo numero, a chiudere questa edizione estiva con un poco di malinconia e con un argomento tristemente attuale anche oggi: la violenza sulle donne.

Nella speranza che questo magazine sia di vostro gradimento noi torniamo al lavoro per il prossimo numero. Vi anticipiamo già che sarà dedicato al vino, alle uve, ai vigneti alle tecniche di produzione e ai loro rappresentanti.

Dobbiamo ancora scegliere le aziende. Chi saranno i protagonisti del prossimo trimestrale?

LAZIO GOURMAND MAGAZINE

SOMMARIO

EDITORIALE

2 Benvenuta “Lazio Gourmand magazine!”, di Sabrina Tocchio ESTATE AL MERCATO 6 Bontà estive 7 5 buoni motivi per seguire le stagioni

PRODOTTI DEL TERRITORIO

REDAZIONE

Lo staff di Lazio Gourmand: Elena Castiglione Sabrina Tocchio Candida De Amicis Laura Becchis

Hanno collaborato: Sabrina Turco Girovagainside

Grafica Elena Castiglione Foto Elena Castiglione Sabrina Tocchio Candida De Amicis Laura Becchis Canva Pro Pexels Stocksnap

Tutti gli articoli delle ricette sono stati scritti dagli autori che sono anche proprietari delle immagini

9 Piselli da sgranare... a Roma da scafà, di Sabrina Tocchio 12 La lattuga romana, di Elena Castiglione 27 La zucchina romanesca, di Elena Castiglione 34 Pomodoro casalino, di Elena Castiglione 36 Torpedino, il pomodoro di nuova generazione, di Sabrina Tocchio e Elena Castiglione 37 Pantano romanesco, il pomodoro storico, di Elena Castiglione 37 Scatolone, il pomodoro scrigno, di Elena Castiglione 41 Fagiolini a corallo, di Elena Castiglione 42 Le melanzane “de noantri” le “marignane”!, di Elena Castiglione 59 La ciliegia ravenna della Sabina, di Elena Castiglione 63 Cocomero o anguria?, di Elena Castiglione

In copertina: Spaghetti con le tellinei (foto: Elena Castiglione)

PRODOTTI DEL TERRITORIO NELLE NOSTRE RICETTE

10 Saltimbocca alla romana, di Sabrina Tocchio 14 Frittata alla burina, di Elena Castiglione 14 Lattuga stufata, di Elena Castiglione 18 Bucatini all’Amatriciana, di Sabrina Tocchio e Elena Castiglione 19 Ravioli liquidi di amatriciana, di Sabrina Tocchio e Elena Castiglione 20 Supplì amatriciani, di Sabrina Tocchio e Elena Castiglione 28 Concia di zucchine, di Laura Becchis 30 Fiori di zucca con mozzarella e acciughe, di Candida De Amicis 32 Zucchine ripiene alla romana, di Sabrina Tocchio 35 Pomodori a mezzo, di Elena Castiglione 38 Pomodori ripieni col riso, di Elena Castiglione 41 Facioletti a corallo cotti a crudo, di Elena Castiglione 43 Melanzane ripiene alla giudia, di Elena Castiglione 57 Peperoni in padella, di Elena Castiglione

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SAPORI DEL NOSTRO MARE

49 Zuppa di pesce portodanzese, di Sabrina Tocchio 51 Spaghettoni con la colatura di alici di Anzio, di Candida De Amicis 53 Vermicelli al sugo di gallinella di mare, di Sabrina Tocchio 54 Spaghetti con le telline, di Elena Castiglione

2 RICETTE CON IL POLLO

56 Pollo alla romana, di Elena Castiglione 57 Pollo coi peperoni, di Elena Castiglione

DULCIS IN FUNDO

59 Gelato di ricotta e composta di ciliegie, di Elena Castiglione 59 Composta di ciliegie, di Elena Castiglione 60 Confettura di ciliegie di Sezze, di Candida De Amicis 62 Mousse ghiacciata alla ciliegia, di Candida De Amicis

LG IN TOUR

15 Amatrice e il lago di Scandarello, di Sabrina Tocchio 21 Alteterre tour, di Candida De Amicis e Sabrina Tocchio 44 Lago del Turano, di girovagainside.it 45 Lago del Turano/2 Alla scoperta del pesce di lago, di Candida De Amicis e Sabrina Tocchio 47 Porto di Anzio... dal pesce di lago a quello di mare, di Elena Castiglione e Sabrina Tocchio

IN VINO VERITAS

23 Le strade del vino nel Lazio, di Laura Becchis 24 Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, di Nick Carter

LIQUORE FATTO IN CASA

25 Ciliegino, di Elena Castiglione 25 Nocino, di Elena Castiglione e Nick Carter

RITRATTI

40 Ada Boni, una piccola grande percorritrice dell’arte culinaria, di Elena Castiglione

TRA STORIA E LEGGENDA - I FANTASMI DI ROMA

64 Intervista a Beatrice Cenci, di Sabrina Turco

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SOMMARIO 49 15 64 25 40 59
ESTATE AL MERCATO Bontà estive aglio basilico bieta carote ceci cetrioli cipolla fagioli fave fagiolini Albicocche Angurie Ciliegie Fichi Fragole lamponi Melone more Nespole Pere lattuga melanzane menta patate peperoncini peperoni piselli pomodori prezzemolo ravanelli ORTAGGI FRUTTA 6
5 buoni motivi per seguire le stagioni Sapore Salute Ambiente Risparmio FRUTTA E VERDURA MATURATE NELLA LORO STAGIONE RACCOLTE E TRASFERITE SUBITO NEI MERCATI HANNO SAPORI PIÙ INTENSI E PROFUMATI UN CONCENTRATO DI VITAMINE, SALI MINERALI E FITONUTRIENTI! PIÙ TEMPO PASSA ... PIÙ CALA IL LORO CONTENUTO. SÌ ALLA DISTRIBUZIONE VELOCE E ANCOR PiÙ SPAZIO A KM 0! È IL CICLO DELLA NATURA A DETTARE LE LEGGI! OGNI STAGIONE PRODUCE CIÒ CHE È PIÙ SALUTARE PER NOI. FA CALDO? TANTA FRUTTA E VERDURA RICCHI DI ACQUA, SALI E CAROTENOIDI PER PROTEgGERCI DALLA DISIDRATAZIONE E DAI RAGGI DEL SOLE. FA FREDDO? ECCO IN SOCCORSO TANTI AGRUMI RICCHI DI VITAMINE PER TENERE A BADA RAFFREDDORI E INFLUENZE STAGIONALI. LE COLTIVAZIONI STAGIONALI HANNO MENO BISOGNO DI ANTIPARASSITARI E FERTILIZZANTI. LA MATURAZIONE NELLE SERRE PRODUCE EMISSIONI DANNOSE PER L’AMBIENTE. ABBATTIAMO ANCHE L’INQUINAMENTO DOVUTO AL TRASPORTO SE ... A PRODUZIONE LOCALE E KM 0 DULCIS IN FUNDO... LE NOSTRE TASCHE RINGRAZIANO! FRUTTA e verdura di stagione COSTANO MENO, perchè risparimamo l’energia per riscarldare le serre. Natura 7
PRODOTTI DEL TERRITORIO

PISELLI DA SGRANARE… A ROMA DA SCAFÀ

I piselli sono tra le più antiche piante di legumi e si presentano in svariate forme: tappezzanti, a cespuglio e a singole piante rampicanti, che possono raggiungere anche i 2 m di altezza se sostenute da apposite strutture. In commercio, si distinguono (anche se non è sempre così evidente) i piselli rugosi da quelli lisci o i piselli da sgranare…a Roma da scafà. I primi contengono glucidi, soprattutto sotto forma di fecola, hanno un gusto leggermente farinoso e si usano per lo più essiccati. I piselli lisci, più delicati, contengono invece glucidi generalmente sotto forma di zucchero, e non possono essere essiccati perché i loro grani non recuperano la consistenza originaria al momento della cottura.

Nella cucina romana i piselli godono di una notevole considerazione.

Non c’era domenica a casa nostra senza un contorno di piselli e rigorosamente al prosciutto! Ricordo mamma che cercava proprio il gambuccio (la parte terminale del coscio destinato a prosciutto), parte ormai dimenticata che non era apprezzabile a livello commerciale, proprio per questo veniva svenduta, a favore delle massaie, sempre inclini al risparmio, che lo utilizzavano per cucinare. Quante volte ho aiutato mamma a sgranare i piselli! Ora esistono tutto l’anno grazie alla catena dei surgelati dove oltretut-

to danno un ottimo risultato. Qui infatti troviamo diverse misure, dai più piccoli, teneri e dolci ai più grossi e più economici. Ma un tempo questa distinzione non si faceva. Si compravano i piselli freschi a primavera, si sgranavano e si cuocevano. Se acquistati al momento giusto e sono freschissimi, hanno una cottura breve e sono buonissimi al di là della misura. Il loro impiego in cucina è prevalentemente come contorno, ma esistono piatti dove i piselli fanno da padroni! Oltre a dare lustro e sapore a diversi tipi di minestre e risotti non posso non menzionare lo spezzatino con i fagioli e piselli, le seppie coi piselli e le “ciriole” e piselli (così chiamate le piccole anguille a Roma).

I piselli sono tra gli ortaggi che più si consumano anche surgelati, per cui praticamente sono disponibili tutto l’anno! Nelle pagine a seguire ve li consigliamo come contorno ai saltimbocca alla romana!

PISELLI

Saltimbocca alla romana

• 400 g di noce di vitello

• 100 g di prosciutto crudo

• salvia

• burro

• sale, pepe e vino bianco secco q.b

• piselli al prosciutto

1. Battete le fettine di noce per renderle sottili e più o meno tutte uguali anche di forma.

2. Al centro di ogni fetta di carne adagiate una fettina di prosciutto crudo della stessa grandezza o poco meno e sopra a tutto una foglia di salvia fermando con uno stecchino.

3. In una padella fate sciogliere il burro e quando è caldo adagiate, senza accavallare, i saltimbocca.

4. Regolate di sale (attenzione perchè c’è già il prosciutto) e pepe. Cuocete a fuoco vivace dal lato senza prosciutto, poi giratele e tenetele molto poco dall’altro.

5. Bagnatele col vino bianco muovendole leggermente con un cucchiaio di legno.

6. Al momento di servirle distribuite la salsa sulle fette di carne.

Si accompagnano con purè di patate o quando la stagionalità lo consente con piselli cotti con il prosciutto.

SCUOLE DI PENSIERO

Dove va la foglia di salvia? Va sopra a tutto oppure tra la carne e il prosciutto?

Sinceramente io non l’ho mai vista tra la carne e il prosciutto, anche per un ovvio motivo, sia cromatico che estetico e anche nella tradizione della mia famiglia è stata sempre seguita la prima successione.

Farina si o farina no?

Nella versione originale il saltimbocca si prepara senza farina mentre la piccatina (altro piatto tipico romano, simile al saltimbocca) va infarinata. Sempre nella mia famiglia, ho visto infarinare il saltimbocca solo dalla parte senza prosciutto, passato in padella con del burro e poi sfumato con il vino. In questo modo si crea una leggera crema che accoglie il saltimbocca profumando il piatto.

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INGREDIENTI PER 4 PERSONE
PISELLI

Curiosità

Il saltimbocca alla romana è l’unico secondo piatto, nella cucina nazionale, a poter vantare una ricetta discussa e approvata da un’assemblea di cuochi, riuniti in “Costituente”. Ciò avvenne nel lontano 1962, a Venezia, nel salone centrale di palazzo Grassi.

In questa sede i cuochi aderenti all’associazione di categoria decisero di discutere le ricette, frase per frase un po’ come si fa in Parlamento per gli articoli di legge. Il relatore che si occupò della ricetta del saltimbocca fu Luigi Carnacina, ex direttore di grandi alberghi, esperto di cucina e autore di molti ricettari.

La parola saltimbocca è uno di quei nomi fantasiosi che il pubblico accetta volentieri per ciò che evoca ed è caro, per questo motivo, ai gestori dei ristoranti. Una preparazione facilissima, ma molto gustosa e… da qui il nome! Come per dire uno tira l’altro! In pratica uno di quei piatti dove elaborando pochissimi ingredienti si riescono a rendere saporite delle fettine di carne magra. Se lo vediamo nell’ottica attuale possiamo affermare che il saltimbocca è una specie di precursore del fast food, inserito più per il nome che per la sostanza, nella cucina laziale.

L’Artusi mangiò i saltimbocca alla romana proprio a Roma alla trattoria “Le Venete”, un locale che si trovava in Via Campo Marzio e ne fece la ricetta numero 222 del suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Ma la Ada Boni pose dei dubbi su questa ricetta screditando le sue origini romane e la indicò come una ricetta d’importazione forse proprio perché suo zio Adolfo Giaquinto la riportava, molto simile, nel suo “Manuele Pratico di Cucina” col nome di saltimbocca alla bresciana.

11 PISELLI

LA LATTUGA ROMANA

di Elena Castiglione

PRODOTTI DEL TERRITORIO 12

La lattuga romana (Lactuca sativa ) appartiene alla famiglia delle Compositae, varietà longifolia. Le foglie sono dritte, con nervature evidenti, il cespo è allungato e compatto. La parte centrale è bianca mentre man mano che si arriva alle foglie più esterne diventa gradualmente di un verde più intenso, soprattutto nei bordi. La grossa costa centrale è la parte più succosa e fragrante. Il nome deriva dal latino “lactuca”, che a sua volta deriva dalla parola latte: “ricca di latte”, per la presenza di una sostanza lattiginosa contenuta nei gambi. Una volta veniva raccolta per produrre il “lactuario”, che, preso regolarmente per una decina di giorni, preveniva i dolori reumatici e le malattie da raffreddamento tipici della stagione invernale. Si otteneva incidendo con un taglio obliquo il gambo, raccogliendo il liquido che usciva copiosamente e poi fatto essiccare al sole. Si formava così una sostanza fatta di pezzi irregolari di colore giallo, rosso bruno, dal sapore amaro. Nella medicina popolare è rimasta la fama della lattuga come rimedio contro i reumatismi.

La pianta della lattuga è molto antica. Già al tempo degli antichi Egizi la ritroviamo riprodotta sulle pareti delle tombe insieme agli altri alimenti che si ritenevano necessari nell’aldilà. Considerata pianta lunare, il suo legame con la luna la rendeva adatta a essere consumata durante le cerimonie funebri: un rituale con la funzione di guidare il defunto verso la nuova dimora.

Per le sue virtù salutari e il gusto appetitoso, era rispettata e apprezzata anche dagli antichi romani. Era la norma che quando una legione impiantava l’accampamento militare fortificato (castrum), i soldati la coltivassero per integrare il loro pasto con l’insalata “di casa”. Ancora oggi per trovare tracce dei campi romani in Britannia, in Gallia,

in Iberia, gli studiosi seguono le tracce della lattuga che cresce spontaneamente nei campi allo stato selvatico.

In epoca repubblicana, la lattuga chiudeva ogni pasto serale, per passare in epoca più tarda ad antipasto. Già Plinio e Columella ne testimoniavano diverse varietà e utilizzo: insalate, zuppe e minestre!

Nel cinquecento era nota anche per le sue proprietà rinfrescanti e calmanti.

Di sapore più dolce rispetto le altre insalate, è gradita quasi a tutti, bambini compresi.

Povera di calorie (circa 15 cal. per 100 g) è ideale per le diete e nello stesso tempo ricca di proprietà e benefici: fitonutrienti antiossidanti, sali minerali e tante vitamine: vitamina A e caroteni con potere antiossidante, flavonoidi per prevenire i tumori, vita-

mina K utile per il metabolismo osseo e per rallentare il danno neurale al cervello ai malati di Alzheimer. Presente anche la vitamina C.

Tra i sali minerali ricordiamo la presenza di ferro, calcio, magnesio e potassio.

Inoltre ha proprietà depurative, dovuta all’alto contenuto di acqua, oltre a quelle lassative e diuretiche.

nella pagina seguente, vi proponiamo due ricette che utilizzano la lattuga in maniera insolita: non come insalata, ma cotta! due piatti della cucina romana, oggi dimenticati, ma che vi invitiamo a provare perché, pur nella loro infinita semplicità, sono veramente deliziosi!!

◊ Frittata alla burina ◊ Lattuga romana stufata

LATTUGA

FRITTATA ALLA BURINA

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 4 uova

• 1 cespo di lattuga romana

• 4 cucchiai di pecorino romano dop

• 3 cucchiai di olio extravergine di oliva

• sale e pepe q.b.

1. Lavare accuratamente la lattuga, asciugarla bene e ridurla a listarelle.

2. In una terrina battere le uova con il sale, il pepe e il pecorino romano. Aggiungerele listarelle di lattuga.

3. Nel frattempo far scaldare un cucchiaio di olio in una padella e quando è ben caldo versarci il composto.

4. Una girata e una rivoltata… e la frittata è fatta!

5. Personalmente la preferisco fredda, o tiepida.

VARIANTE

È La “Frittata di lattuga” dove ritroviamo gli stessi ingredienti, ma con l’aggiunta della mollica di un panino bagnata e strizzata. Da provare!

Curiosità

Il termine “burino”, in dialetto romanesco si riferisce al contadino, colui che viene dalla campagna. Oggi è anche sinonimo di persona rozza, a volte volgare.

La frittata alla burina, piatto preparato con i tipici prodotti della campagna romana, lattuga e pecorino, porta alla mente proprio i contadini. Erroneamente si pensava che provenisse da “buro – burini”, cioè burro, venditori di burro. In realtà da una ricerca più attenta salta fuori che deriva dal latino “buris-is”, ovvero il manico dell’aratro in riferimento ai braccianti della Romagna, all’epoca dell’appartenenza al territorio dello Stato Pontificio, ingaggiati come lavoratori stagionali nell’Agro Romano, come riporta Fernando Ravaro nel suo “Dizionario Romanesco” un’opera con oltre 11.000 voci, 18.000 citazioni di autori di ogni tempo, più di 7000 locuzioni e forme tipiche, frutto di un ventennio di studi, osservazioni, ricerche. E quindi mi fido!

lattuga stufata

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 4 cuori di lattuga romana

• 100 g di pecorino romano dop semistagionato

• 100 g di olive di gaeta

• una manciata di capperi

• 4 cucchiai di olio extravergine di oliva

• sale pochissimo, vista la presenza di prodotti molto saporiti

ESECUZIONE

• Utilizzare cespi di lattuga piccoli, altrimenti se grandi tagliare a metà il cuore.

• Togliere le foglie esterne alla lattuga.

• Farcire i cuori con lamelle di pecorino, olive di Gaeta denocciolate e tagliate, lasciandone qualcuna intera per guarnizione e una manciata di di capperi dissalati e sciacquati sotto l’acqua corrente.

• Ungere una padella capiente fornita di coperchio che li possa ben contenere, adagiarvi sopra i fagottini di lattuga, cospargere con pochissimo sale e olio.

• Chiudere con il coperchio e lasciar cuocere fin quando diventa tenera. Se mai ci dovesse essere bisogno, aggiungere poca acqua. Se invece l’acqua fosse in abbondanza (ne rilascia anche la lattuga!) prima di spegnere, togliere il coperchio, alzare un po’ la fiamma per farla riassorbire. Da provare!

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di Elena Castiglione
LATTUGA

AMATRICE E IL LAGO DI SCANDARELLO

24 agosto 2016, ore 3:36: la terra trema È IL TERREMOTO

DI AMATRICE

Una terribile scossa di terremoto di magnitudo 6.0 viene registrata nel Comune di Accumoli (RI), a circa 8 chilometri di profondità. Il sisma distrusse non solo i centri abitati in prossimità dell’epicentro, ma coinvolse in maniera devastante, anche Amatrice (sempre in provincia di Rieti, nel Lazio), Arquata del Tronto e Pescara del Tronto, nelle Marche. Danni più o meno consistenti coinvolsero molti Comuni delle province di Rieti, L’Aquila, Perugia e Ascoli Piceno.

L’impatto del sisma su Amatrice fu terribile! É qui che si registrano 239 delle 299 vittime dirette del terremoto. Perchè è qui che in pieno agosto le persone si erano riversate nelle seconde case estive e per l’imminente e famosa sagra degli Spaghetti all’amatriciana che si sarebbe svolta appena tre giorni dopo!

Lazio Gourmand, appena 4 mesi prima, aveva pubblicato un minitour su Amatrice e il lago di Scandarello. Vogliamo riproporvelo nella sua interezza e bellezza: un augurio affinché un territorio così bello e ricco di arte, cultura, paesaggi mozzafiato, tradizioni possa ritrovare al più presto tutto il suo splendore!

LG
inTour
Torre Civica del XIII secolo

Amatrice

Bellissima d’inverno, dove vista l’altitudine, la troviamo innevata e magica, stupenda, tutta da vivere anche d’estate. Organizzatevi un fine settimana e non lontano dalle città potrete immergervi in un weekend all’insegna della cultura: un patrimonio storico artistico, con le Cento Chiese sparse nelle sue 78 frazioni, la natura e il buon cibo.

Dal 1991 il territorio amatriciano è incluso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga cui la cittadina dedica un piccolo parco turistico-fotografico.

Amatrice si colloca nel bacino superiore del Tronto, a 955 metri sul livello del mare e per questo la chiamarono “Lazio Adriatico”, una definizione che ha precise motivazioni, sia geografiche che storiche: non può essere dimenticato che Amatrice è, sì, Lazio, ma un Lazio ex abruzzese, nato nel 1927, quando venne creata la provincia di Rieti. Si spiegano i tantissimi punti di contatto di quest’area con l’Abruzzo aquilano e teramano (per abitudini, costumi, parlata, architettura e artigianato), con l’ascolano (il capoluogo delle Marche non

dista più di 45 chilometri) e con la vicina Umbria della Val Nerina e dello Spoletino. Però, se quelle relazioni sono oggi di buon vicinato e di cordialità, un tempo erano caratterizzate da ruvidezza… per non dire ostilità.

Amatrice è raggiungibile tramite la “SS4 Salaria” da Roma, proseguendo per Rieti ed Antrodoco.

Continuando la strada e passando il bivio per Borbona e Posta l’indicazione da seguire è sempre Ascoli. Si prosegue su un lungo rettilineo fino all’indicazione per Amatrice e qui si apre uno scenario mozzafiato: sulla destra si inizia ad intravedere il bacino artificiale del Lago di Scandarello.

Seguendo la dolcezza delle curve si arriva alla diga di sbarramento del Lago di Scandarello.

Questo “piccolo” lago nasce dal Rio Scandarello, affluente del Tronto, ed ha una superficie di quasi 1 km quadrato per una profondità a centro lago di 40 metri mentre il punto più alto è sicuramente vicino la diga (55 metri).

La costruzione della diga avvenne nel 1924. Le sue acque vengono convogliate nella sottostante centrale idroelettrica, la prima del fiume Tronto.

LA FAUNA ITTICA

Il lago è ricco di carpe regine, carpe a specchio, tinche, persici reali, persici trota, persici sole, anguille, lucci italici, siluri ed altre specie quali scardole e alborelle.

Quando il lago si svuota e il livello dell’acqua cala ritornano alla luce i resti del ponte di epoca romana.

Proseguendo ancora, lasciando il lago e la sua diga, dopo poco si arriva ad Amatrice. Un po’ complicato parcheggiare ma con pazienza, rispettando le segnalazioni del Centro Storico si arriva al parcheggio a pagamento. Vale la pena farsi un giro per il centro e visitare tutto ciò che è segnalato, benissimo devo dire, dai cartelli marroni comunali.

Ma mentre passeggiate e godete della bellezza storica della cittadina, sbirciate nei negozi tipici di prodotti locali! Come potete vedere avete l’imbarazzo della scelta, ma non dimenticate il kit per farvi una Amatriciana coi fiocchi a casa!

Due cose ve le devo proprio dire: I bucatini all’Amatriciana hanno una doppia origine, nacquero dapprima con un condimento fatto di guanciale di maiale rigato di magro, di giusta grassezza e un pochino disfatto tra lo strutto fuso; con l’aggiunta

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Non solo patria dei famosissimi spaghetti all’Amatriciana ma luogo di rara bellezza incastonato tra Umbria, Marche e Abruzzo e circondata da rilievi che superano i 2400 m. con il Monte Gorzano (la vetta più alta del Lazio) e il romantico Lago di Scandarello.
LG IN TOUR

poi di un formaggio pecorino di montagna, non troppo piccante e una spolveratina di pepe nero forte al piatto! Quando fu importato il pomodoro dalle Americhe nel XVII secolo, nella ricetta fondamentale venne introdotta questa variante “colorata”, ma anche notevoli modifiche. Oggi

nel tegame è preferibile “mettere prima il guanciale a pezzetti e quando incomincia ad arrotolarsi si aggiunge il pomodoro, con un po’ di peperoncino forte…. Il sugo dev’essere tirato fino ad un colore un po’scuretto, ma appena appena. Per il formaggio bisogna scegliere sempre il pecorino”.

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bucatini

all’amatriciana

A tutta... amatriciana!

Esecuzione

• In una capiente padella versate un poco di olio extravergine.

• Tagliate il guanciale a dadini e versatelo nella padella con un peperoncino che poi eliminerete.

• Fate andare a fuoco vivace tanto basta per far diventare il grasso trasparente e leggermente colorato. Sfumate con vino bianco. Appena il vino sarà un poco evaporato eliminate la pancetta e tenetela in un piatto al caldo coperta da pellicola.

• Ora aggiungete all’intingolo di grasso e vino i pelati tagliuzzati e il loro sugo.

• Fate restringere il sugo a fuoco basso per almeno una decina di minuti mescolando spesso, facendo attenzione che non si asciughi troppo.

• Ora aggiungete il guanciale e fatelo ammorbidire nel sugo per pochi minuti.

• Nel frattempo cuocete i bucatini e una volta portati a cottura mantecateli nella padella col sugo aggiungendo il pecorino.

• Servite caldi.

La classica

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Ingredienti per 4 persone • 400 g di bucatini • 450 g Pomodori pelati • 150 g Guanciale • 4 cucchiai abbondanti di pecorino
Vino bianco q.b.
1 peperoncino
olio extravergine di oliva q.b.

La proposta... gourmand!

ravioli liquidi di amatriciana con

Esecuzione

• Preparate la pasta all’uovo con gli ingredienti elencati.

• Per il sugo seguite sempre la stessa procedura, a differenza del guanciale che non va rimesso nella salsa ma va tenuto da parte per decorazione e il pecorino va aggiunto direttamente nel sugo.

• Aggiungete i 3 g di agar-agar, mescolate con cura con una frusta e poi fate raffreddare la salsa. Con questo composto riempite delle semisfere in silicone da tenere in freezer fino a completa gelificazione.

• Stendete la pasta all’uovo e con un coppapasta ricavate dei dischi di circa 10 cm.

• Inserite le semisfere di amatriciana all’interno dei dischi e sigillate con albume formando una mezzaluna.

• Tenete i ravioli in freezer fino al momento della cottura.

• Per la fonduta sciogliete a fuoco lento 30 g di pecorino con un poco di latte fino a formare una crema.

• Cuocere i ravioli in acqua salata in ebollizione, scolateli e conditeli con la fonduta di pecorino e il guanciale messo

parte.

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Ingredienti per 4 persone Per la pasta all’uovo • 2 uova intere • 6 tuorli • 500 g di Farina tipo 1 • 15 ml di olio extravergine di oliva Per il ripieno • 100 g di guanciale • 400 g di pomodori pelati • 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva • 75 g di pecorino • 1peperoncino • 3 g agar-agar
da
fonduta di pecorino di Elena Castiglione e Sabrina Tocchio

S upplì irresistib il i ! ! supplì amatriciani

Esecuzione

• Il sugo va preparato con le stesse modalità e quantità della ricetta classica, ma il guanciale va tagliato a dadini più piccoli e lasciato nella salsa e per renderla più liquida è stato aggiunto brodo vegetale preparato con solo sedano, carota e cipolla, fatto bollire fino a sfruttare i profumi delle verdure e poi filtrato.

• Aggiungendo un poco alla volta il brodo, portate a cottura il riso che a fuoco spento va mantecato col pecorino grattugiato.

• Stendete il riso in un vassoio e lasciatelo raffreddare.

• Formate i classici supplì, passateli nel pangrattato e metteteli nel freezer per circa 30 minuti.

• Togliete i supplì dal freezer, avvolgeteli prima nell’albume leggermente sbattuto e poi di nuovo nel pangrattato.

• Friggeteli in abbondante olio alla temperatura di circa 170°

di Elena Castiglione e Sabrina Tocchio
Ingredienti per circa 25 supplì • 500 g di riso Arborio 500 g • 100 g di pecorino grattugiato • Sugo all’amatriciana • olio di semi di arachidi Per la frittura • 2 albumi • pangrattato q.b. 20

Prima tappa:

CASEIFICIO STORICO AMATRICE

dei  fratelli Petrucci, che da oltre 50 anni opera nel settore. Abbiamo assistito alle fasi di lavorazione de “Il Giuncato”, pecorino dalla breve stagionatura, realizzato con una fuscella particolare, che richiama gli antichi canestri, utilizzati sin dai tempi antichi, dai pastori. La lavorazione dei pecorini è manuale, fatta secondo il metodo artigianale: dal Caseificio storico di Amatrice, vengono successivamente trasportati nella sede di Rieti per la stagionatura; le forme vengono messe su tavole di legno e girate all’incirca ogni 15 giorni, dipende dal tipo di prodotto, dove rimangono a stagionare da un minimo di 6 mesi a un massimo di 15 mesi.

Con il siero ottenuto dalla rottura della cagliata viene prodotta la Ricotta Romana DOP che viene messa nelle tipiche fuscelle forate e in seguito, etichettata e distribuita.

Seconda tappa: AGRITURISMO PICCOLO LAGO

Siamo arrivate in questo posto meraviglioso immerso nella natura sulla riva del lago di Scandarello. Il lago è un in-

ALTETERRE

cantevole bacino artificiale circondato dalle montagne, a Est la Laga, a Nord il Vettore, l’Utero e il Pozzoni. L’Agriturismo, gravemente ferito dal terremoto, ha riaperto dopo 2 anni.Si può mangiare nel lato ristorante, oppure i loro prodotti si possono gustare in riva al lago. Sulla loro pagina facebook troverete anche il menu da asporto. Chiamate però un giorno prima. Vuoi mettere un’amatriciana in riva al lago?!!!

Terza tappa: CASALE NIBBI AZIENDA AGRICOLA BIO

mamma di  Amelia Nibbi, ha grinta da vendere! Forte, gentile e sincera, come la gente di queste parti, ci racconta le innumerevoli difficoltà di questo lavoro. Nonostante lo sconvolgimento provocato dal sisma la voglia di ricostruire, di andare avanti, non è crollata, come dimostra Amelia, la figlia che con grande tenacia e dedizione porta avanti l’azienda di famiglia.

L’azienda parte dalla coltivazione dei cereali per alimentare gli animali da cui si ricava un latte eccellente, non scremato, con cui si producono mozzarelle, ricotta, uno stupendo stracchino stagionato e lavorato a mano, yogurt arricchito con la frutta biologica coltivata nell’azienda. Ha dedicato anche una piccola superficie di terreno alla coltivazione di grano duro, concimato con il compostaggio del letame prodotto dagli animali allevati. Un’azienda virtuosa, a conduzione familiare, in cui il processo di produzione è imperniato sulla filiera, che fa dell’azienda agricola un luogo di produzione, trasformazione e vendita.

Quarta tappa: BIRRIFICIO ALTA QUOTA

Qui ci troviamo tra le montagne reatine, un posto bello e selvaggio, con acqua pura e limpida. Emanuela ti accoglie con la sua ospitalità, la sua bellezza e un sorriso che incanta. Racconta la sua avventura tra luppolo, malti, cereali e aromi che hanno consentito al birrificio di arrivare ad “alta quota” nei vertici delle birre artigianali.

Claudio, più riservato, con orgoglio e mente aperta, ci racconta perchè ha deciso di aderire al Progetto Alte Terre.

Visitiamo il birrificio con la guida di Emanuela che ci spiega le varie fasi di lavorazione della birra: dalla cotta, al passaggio nel fermentatore, all’imbottigliamento e lo stazionamento in camera calda, a temperatura controllata, per la rifermentazione in bottiglia, naturalmente senza aggiunta di conservanti e

21
A lteterre, Il Tour: 21 aziende aderenti al progetto. Cerchiamo di farvene conoscere il più possibile per portare una parola, una piccola voce che possa far conoscere alcune realtà produttive locali del post terremoto: Caseificio Storico Amatrice;  Agriturismo Piccolo Lago;  Casale Nibbi Azienda Agricola Bio – Amatrice; Birra Alta Quota; MelaMille di Andrea Feliciangeli e Agriturismo Fattoria Santarelli. LG IN TOUR
di Candida De Amicis e Sabrina Tocchio Anche qui purtroppo il terremoto ha lasciato i suoi effetti. La struttura in pietra ha subito gravi danni. Ma la signora che abbiamo trovato,

additivi. La gasatura è quindi naturale, non c’è aggiunta di anidride carbonica, questo rende la birra più digeribile. Farro luppolo fresco, grano “Senatore Cappelli”, peperoncino, sono alcuni ingredienti locali, utilizzati nella produzione, che testimoniano il forte legame con il territorio. Nel birrificio c’è anche un’osteria per la vendita, arredata con materiale di riciclo. Ci si può fermare anche per degustare le loro ottime birre.

Vi rilasserete in queste zone, a pochi chilometri da Roma, tra vette, gole profonde, borghi suggestivi, fiumi, laghi e cascate, un’esperienza gastronomica da condividere su un prato e da riportare a casa.

si del recupero delle antiche varietà di mele della Valle Falacrina, con cui oggi produce confetture, è un custode della biodiversità, ammirevole. Meli speciali, perché Andrea è iscritto  alla rete di conservazione e sicurezza delle risorse vegetali della regione Lazio. Produzioni perse e recuperate con estrema saggezza e capacità, le mele antiche, la cui coltivazione era persa, che con il marchio ‘Melamille‘ di Cittareale vivono di nuova luce. Man mano che ci guida alla scoperta del suo frutteto emerge l’amore e la voglia di raccontare il suo lavoro, emerge la competenza e la consapevolezza delle difficoltà che si incontrano: le basse produzioni, i frutti che hanno un mercato difficile perché non sono perfette nella forma come quelle della grande distribuzione anche se i sapori sono unici; per questo la scelta di farne confetture.

Le principali varietà oggetto di recupero sono: Renetta del Canada, Renetta grigia, Renetta all’Olio, Ranettoni, Ruzza, Rosa, S. Giovanni, Cerina, Verdone Romano, Oanaja, Piana, Francesca, Paoluccia, Pontella, Capo d’Asino, Appia, Deliziosa, Calvilla rossa e bianca, Limoncella, Cipolla, Agostinella, Vespa, Gelata, Muso di bue, Rosso dentro incarnato, Abbondanza

SESTA tappa: AGRITURISMO FATTORIA SANTARELLI

L’Agriturismo Fattoria Santarelli nasce a Torrita di Amatrice nel 2005 con lo scopo di condividere

la vita e le abitudini dell’azienda agricola con le persone al di fuori di questo mondo.

Nello stupendo scenario del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, poco distante dal Lago Scandarello e da Amatrice, la famiglia Santarelli vi accoglierà nella sua casa con il calore e la cordialità tipica dell’ospitalità rurale.

Qui troverete mucche, cavalli e pecore per gli amanti della vita semplice in armonia con la natura circostante.

ta oltre 600 km quadrati di incontaminata bellezza tra alte vette, straordinarie vallate, borghi suggestivi, fiumi, cascate e laghi che non mancano mai di lasciare i visitatori a bocca aperta.

La filosofia dell’Agriturismo Fattoria Santarelli è provare piacere nell’ospitare persone dentro la propria casa e la propria vita.

L’agriturismo Fattoria Santarelli da oggi ha la Bandiera del CAI SENTIERO ITALIA come punto di arrivo, con alloggi e ristoro sotto l’immensa quercia di famiglia. Ma oltre la quercia nelle vicinanze ci sono gli scavi di una delle residenze dell’Imperatore Vespasiano, lungo la Consolare Salaria nella Valle Falacrinae.

Melamille è un’azienda agricola biologica gestita da  Andrea Feliciangeli. Andrea ci accoglie con un timido sorriso e qualche frase di benvenuto, è un giovane discreto che all’età di 18 anni, nel 2011, ha deciso di occupar -

L’Agriturismo partecipa al Progetto Alte Terre del Consorzio Salaria con l’obiettivo di proporre il pic-nic diffuso, una bag box contente i prodotti del territorio e delle realtà partecipanti al progetto, da portare a casa o da gustare in uno dei magnifici prati o in riva al lago. Un format perfetto per un territorio che van-

CONCLUSIONI

Ci sono volute circa 12 ore per fare questo giro, comprese di viaggio, soste, pranzo, chiacchiere, risate e visite alla produzione del  Caseificio Storico Amatrice, del birrificio  Birra Alta Quota, acquisti a  Casale Nibbi Azienda Agricola Bio – Amatrice, una visita all’Agriturismo Piccolo Lago e Agriturismo Fattoria Santarelli per concludere con una passeggiata istruttiva tra i meli di Andrea. Non è impossibile!

Vi invitiamo a visitare queste terre di bellezza indiscussa, ospitalità e prodotti eccellenti.

E ora sbirciate il nostro divertente video!

LG IN TOUR
Quinta tappa: MELAMILLE

LE STRADE DEL VINO NEL LAZIO

Come tutte le strade portano a Roma, le strade del vino nel Lazio portano a casa a ben  3 DOCG, 26 DOC e 6 IGT (dati aggiornati al 2014 )

Terreni vulcanici, escursioni termiche e vicinanza al mare fanno un mix esplosivo per la produzione vinicola di questa terra in cui i bianchi predominano, ma si stanno facendo largo anche i rossi; la tendenza a spostarsi da una produzione massiva verso la ricerca di un più attento e mirato occhio alla qualità e all’eccellenza soprattutto autoctona, stanno premiando la nostra Regione.

Proveremo insieme a percorrere idealmente – per ora – le strade del vino nel Lazio partendo da Roma e i suoi Castelli Romani per poi spingerci verso sud e risalire con qualche deviazione verso l’interno e toccare insieme le realtà vinicole di questo nostro Lazio.

Nelle immediate vicinanze di Roma –nelle colline dei Castelli Romani – a  Frascati troviamo subito 2 delle 3 DOCG:

Frascati Superiore e Cannellino di Frascati – minimo 70% di Malvasia con Trebbiano giallo o Toscano, Bellone, Bombino bianco, Greco bianco da soli o uniti per un 30% massimo consentito.

A queste si affiancano le innumerevoli DOC – Castelli Romani DOC, Frascati DOC, Colli Albani DOC, Marino DOC, Velletri DOC , Zagarolo DOC, Velletri DOC solo per citarne alcune, prevalentemente costituiti da uve Malvasia e Trebbiano.

Allontanandoci da Roma verso Sud, avvicinandoci al litorale incontriamo Circeo Nettuno e Terracina DOC e il Lazio IGT Moscato di Terracina secco clone autoctono del Moscato bianco.

Per rimanere in provincia di Latina, vinificato da uve di diversi vitigni prodotte nel ristretto territorio di Cori e parzialmente di Cisterna, si ottiene  Cori DOC : Malvasia di Candia, Trebbiano Toscano e anche Trebbiano Giallo e Bellone.

I 3 Cesanese (Cesanese del Piglio, Cesanese di Olevano Romano e l’ormai raro Cesanese di Affile) i protagonisti oramai noti della  zona del frosinate a cui si è aggiun-

to anche la DOC di Atina che da valore al cabernet nel Lazio.

Il Cesanese del Piglio ha 3 DOCG : Cesanese di Affile e/o Cesanese comune 90% minimo; vitigni complementari, idonei alla coltivazione per la Regione Lazio, per non più del 10%.

La provincia del viterbese non può che portarci al celebre  Est! Est! Est! di Montefiascone che ci accompagna sin dall’inizio del XII secolo in cui – si racconta – il Vescovo Monsignor Giovanni Defuk , al seguito dell’imperatore Enrico V, avesse incaricato il suo coppiere a selezionare per lui i migliori vini scrivendo “Est!” vicino alle porte delle osterie.

Fermatosi a Montefiascone segnalò la presenza di un vino così buono con un “Est! Est! Est!”: Procanico (Trebbiano Toscano), Malvasia Bianca Toscana e Rossetto prodotto anche nel tipo spumante.

Il Grechetto, vitigno coltivato soprattutto nelle zone del Viterbese  ai confini con l’Umbria ottenuto da uve Greco Bianco al 85% minimo, il Viganello DOC, l’Orvieto DOC e un po’ più a nord, il celebre vino dolce  Aleatico di Grado-

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li DOC completano la produzione dei Colli Etruschi Viterbesi.

La leggenda vuole che in una grotta poco fuori il paese di Gradoli (chiamata ancora oggi Poggio del Diavolo) vivesse un demonio; questo era solito terrorizzare con brutti scherzi gli abitanti di Gradoli. Molti giovani valorosi avevano tentato di ucciderlo ma erano stati tutti sconfitti. Un giorno il demonio, tornando a casa, trovò un leone che dormiva nella sua grotta. Tentò di svegliarlo e di cacciarlo, ma il leone riuscì a sconfiggerlo e il povero demonio dovette sprofondare nell’Inferno. Il suo bastone però rimase conficcato nel terreno. Il leone casualmente vi dormì sopra e l’indomani sul bastone era cresciuta una vite: la vite dell’Aleatico. Per riconoscenza gli abitanti di Gradoli misero nel loro stemma proprio il leone e il bastone con la vite.

Tornando verso Roma ci fermiamo ancora lunga la costa per incontrare il Tarquinia DOC ed il Cerveteri DOC ambedue bianchi secchi, frizzanti e amabili. Trebbiano Toscano eTrebbiano Giallo per un minimo del 50% a cui si aggiungono Malvasia di candia e/o Malvasia del Lazio per un massimo del 35%. A questi possono essere aggiunte – per un massimo del 30% – altre uve a bacca bianca della zona ad esclusione del Pinot Grigio.

Abbiamo così segnato quelle che saranno, magari non tutte, le tappe della nostra attività sul campo fra le strade del vino nel Lazio nel prossimo autunno – concedetecelo fa caldo ora – alla scoperta delle note e meno cantine, produttori grandi e piccoli di questo nostro prezioso territorio.

Seguiteci!

Est! Est!! Est!!! di Montefiascone

Bibliografia

Vini D’Italia, Mondadori

Giuseppe sicheri, Il libro completo del vino, De Agostini

Luca Maroni, Conoscere il vino, La Feltrinelli

Giravino, Movimento Turismo del Vino  Wikipedia

Vino doc tipico dell’Alta Tuscia, nel viterbese. Prodotto principalmente a Montefiascone (Viterbo), estendendendosi poi anche agli altri comuni contornanti il lago di Bolsena: Bolsena, San Lorenzo Nuovo, Marta, Capodimonte, Gradoli, Grotte di Castro e si ricava da uve “Trebbiano toscano” “Malvasia bianca “e “Rossetto”.

Vino che deve la sua fama a Martino, lo scudiero del Vescovo Giovanni Defuck (o Fugger) che mandatolo in avanscoperta per segnare con un “EST!” (c’è) i posti dove c’era del buon vino. Giunto a Montefiascone di “EST!” ne scrisse addirittura tre!!!

Questo vino ha colore giallo paglierino brillante, profumo vinoso, sapore asciutto od abboccato (forse quello più noto).

Gradazione alcolica 11°-12°. Temperatura di servizio sui 10-12 °C.

Il tipo secco si adatta ad accompagnare pastasciutta e pesci, l’abboccato (o più esattamente l’amabile) è un tipico vino da dessert.

Se vi capita di fare un’escursione nei comuni del lago di Bolsena non dimenticate di visitare le tipiche “fraschette” (caratteristiche non solo dei Castelli Romani!) dove potrete degustare questo vino speciale appena spillato da botti tenute al fresco in profonde grotte scavate nel tufo.

IN VINO
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VERITAS

In questo periodo non manchiamo di preparare due liquori strepitosi che ci accompagneranno anche nei mesi a seguire... e se siamo previdenti potrebbe anche essere un’idea da regalare per Natale.

In questo caso... raddoppiate o triplicate le dosi!

ciliegino nocino

INGREDIENTI

• 500 g di ciliegie

• 500 g di zucchero

• 500 ml di alcool

1. Lavare bene le ciliegie e asciugarle. Togliere il picciuolo.

2. Sterilizzare 2 barattoli capienti che possano contenerle insieme allo zucchero.

3. Inserite lo zucchero e le ciliegie nei barattoli. Chiudeteli e sistemateli al sole per 40 giorni.

4. Dopo 40 giorni filtrate lo sciroppo e aggiungete l’alcool. Mescolare e imbottigliare.

5. Far riposare almeno 2 settimane prima di gustare il ciliegino… Ottimo fresco.

INGREDIENTI

• 2 litri di alcool

• 60 malli di noce

• 1 stecca di cannella

• semi di una bacca di vaniglia

• 2 chiodi di garofano

• una decina di foglie di limone.

PER LO SCIROPPO PER OGNI LITRO DI ALCOOL

• 1 litro di acqua

• 750 g di zucchero

1. Tagliare i malli utilizzando solo quelli verdi, con l’interno tutto bianco.

2. Metterli in un contenitore idoneo con tutti gli altri ingredienti.

3. Versare l’alcool e chiudere.

4. Mettere al sole per 40 giorni avendo cura di agitare il contenitore almeno a giorni alterni.

5. Dopo 40 giorni preparare lo sciroppo:

6. Portare ad ebollizione 2 litri di acqua e versarvi 1500 g di zucchero.

7. Abbassare la fiamma, far sciogliere a fuoco basso. Far raffreddare.

8. Travasare il contenuto della bottiglia attraverso un colino.

9. Aggiungere lo sciroppo. Mescolare, travasare in bottiglie scure e gustare dopo due tre mesi (se ci arriva!)

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FATTO
LIQUORE
IN CASA
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26 PRODOTTI DEL TERRITORIO

LA ZUCCHINA ROMANESCA

di Elena Castiglione

Le Zucchine (Cucurbita Pepo) appartengono alla famiglia delle Cucurbitacee, Cucurbita pepo è il loro nome scientifico. Oggi sono coltivate ovunque e, grazie alle serre le possiamo trovare tutto l’anno, ma in estate, quando crescono all’aria aperta, danno il meglio e il loro prezzo

Originarie dell’Asia Meridionale e dell’America centrale iniziarono a diffondersi in Europa nel XVI secolo, e oggi rappresentano un’importante produzione nel nostro paese.

Lasciate crescere, le zucchine raggiungono dimensioni non indifferenti, ma se vogliamo un’ottima qualità, vanno raccolte o acquistate quando sono lunghe non più di quindici centimetri. Così sono molto fresche, delicate e adatte a diverse preparazioni.

Sono tra le verdure che presentano minore scarto. Per capire se sono state colte da poco, al momento dell’acquisto basta controllare la buccia, che deve essere ben tesa e lucida, assolutamente priva di grinze o macchie. Quanto alla polpa deve essere compatta e non elastica. A volte, vengono vendute ancora con il fiore attaccato e questo si sa…è indice di estrema freschezza.

A proposito di fiori, quelli presenti nella zucchina, che impropriamente ma comunemente vengono detti fiori di zucca, si possono consumare. La pianta ne produce due tipi differenti: quelli femminili che si trovano all’apice della zucchina, mentre i più adatti ad essere cucinati fritti, ripieni o cotti in vari modi sono i fiori maschili che crescono su un gambo e spesso vengono venduti in mazzetti. Questi ultimi devono essere colti al mattino quando sono ben aperti e quindi facili da pulire e da farcire. Come abbiamo già accennato, le zucchine si possono trovare tutto l’anno (ma ricordatevi sempre di consumare prodotti di stagione) e ne esistono diverse varietà, almeno una ventina. A dire il vero non

c’è una sostanziale differenza di sapore tra un tipo e l’altro anche se l’aspetto può differire. Le diversità consistono soprattutto nel colore e nella presenza o meno di striature o macchioline chiare. E proprio delle striature così caratteristiche e caratterizzanti della varietà Romanesca, fanno di questa piccola e chiara zucchina dalla forma stellata, la zucchina caratteristica laziale, soda, poco acquosa, dolce e dal sapore deciso!

Rinomate le zucchine della zona di Cerveteri e Maccarese, di Formia, di Terracina.

La zucchina poi è una verdura che si presta molto anche nelle diete (12 calorie per 100 g di prodotto), perché povera di calorie e ricca di acqua. Oltretutto è ricca di potassio e vitamine C ed E e di acido folico, di conseguenza, conferiscono un’azione disintossicante, diuretica, sedativa, antinfiammatoria e stimolanti delle funzioni intestinali.

Sono disponibili da maggio a novembre. La loro preparazione è piuttosto facile, mentre il loro gusto neutro permette una varietà infinita di ricette e di abbinamenti. Possono essere cotte in tutti i modi: bollite, fritte, stufate, marinate, al forno, mescolate a minestroni e risotti o usate per condire pasta o riso. Scavate le possiamo farcire di carne, di pesce di formaggi e diventano così piatti unici. Di seguto ve ne diamo un “assaggio” caratteristico del territorio laziale.

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concia di zucchine

• 1 kg di zucchine romanesche

• 1 o 2 spicchi di aglio

• basilico fresco

• menta fresca

• prezzemolo

• aceto q.b.

• peperoncino

• sale

• olio di semi di arachide per friggere

1. Spuntate le zucchine, lavatele e tagliate per obliquo in fette di circa 1,5 cm di spessore.

2. Raccogliete le zucchine in un colapasta, cospargetele di sale e lasciatele così per un paio d’ore.

3. Trascorso il tempo strizzatele quindi friggetele, poche alla volta, in abbondante olio di semi di arachide sino ad ottenere una doratura omogenea; raccoglietele via via su carta assorbente.

4. Disponete le zucchine a strati in un contenitore cospargendo su ogni strato qualche pezzetto d’aglio, del basilico e menta freschi e prezzemolo tritato.

5. Versate in un pentolino quel tanto di aceto necessario a ricoprire tutte le zucchine, unite un pizzico di sale e un pezzetto di peperoncino; portate a bollore e versate l’aceto caldo sulle zucchine.

La concia di zucchine, da non confondere con le zucchine marinate, è un’antica ricetta della cucina giudaico romanesca, originaria della comunità ebraica del cuore del ghetto di Roma, la cosiddetta cucina kosher che segue le ferree regole della religione ebraica. Si prepara rigorosamente con le zucchine romanesche ed è un piatto che fa da eccellente contorno o antipasto.

Ada Boni nel suo libro di cucina romana le chiama zucchine marinate e se è vero che per qualcuno marinate e concia sono sinonimi, in realtà esiste una differenza fra i due metodi di preparazione: nella concia le zucchine vengono fritte mentre le zucchine marinate sono semplicemente cotte in padella; le zucchine marinate sono poi raccolte in un contenitore e condite con olio, aceto, aglio, menta e un po’ di prezzemolo tritato e lasciate insaporire per un paio di ore; la concia prevede che le zucchine, opportunamente condite , siano lasciate marinare nell’aceto per almeno 24 prima di essere consumate. Comune il fatto che le zucchine vanno tagliate in obliquo e che si tratta in ogni caso di una ricetta da preparare in estate quando le zucchine romanesche sono spontanee.

6. Coprite, riponete il contenitore in frigorifero e lasciate insaporire le zucchine per un giorno prima di mangiarle.

Note: potete mettere l’aglio su uno strato sì e uno no di zucchine anziché su ogni strato, se non amate il sapore pungente e spiccato dell’aglio.

Sostituite il peperoncino con del pepe nero macinato di fresco se non amate il piccante.

28 ZUCCHINA ROMANESCA
INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Invitante vero?

Una gustosa e facilissima pizza di pastella e fiori di zucca. La chiamo pizza solo perché la pastella invece di avvolgere il fiore per essere fritto, diventa la base per poterci affogare voluttuosamente i fiori aperti. Ma attenzione però, sembra innocente, ma di fatto non lo è, perché è vero che non si frigge nulla, ma una cosa che non dovete far mancare è un ottimo olio extravergine di oliva. La teglia va accuratamente unta senza lesinare, poi versata la pastella e attenzione che non sia troppo piccola la teglia, lo spessore della pastella deve essere basso, appena appena per alloggiare i fiori.perché resti croccante.

CONSIGLIO GOURMAND: aggiungete qualche pezzetto di acciuga sopra e mozzarella tritata (ma solo dopo che si è cotta), proprio come si fa la pizza!

PIZZA di pastella e fiori di zucca

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 150 g di farina

• 2 uova

• 200 ml di latte

• sale q.b.

• olio extravergine

• fior di sale

• fiori di zucca

• Aprite i fiori togliendo il picciolo centrale e adagiateli a libro sulla pastella, abbondate, anche se lo spazio vi sembra occupato, fate in modo che non ci siano zone senza.

• Cospargete con fior di sale.

ZUCCHINA ROMANESCA
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fiori di zucca con mozzarella

e acciughe

I fiori di zucca con mozzarella e acciughe appartengono, insieme ai carciofi alla giudia e ai filetti di baccalà, alla cucina ebraico-romanesca.

La pastella si può fare, come suggerisce Ada Boni, con farina acqua e sale e unendo gli albumi montati a neve prima di friggere, oppure la pastella lievitata che io preferisco.

INGREDIENTI

pastella lievitata

• 250 g acqua

• 250 g farina 0

• 5 g lievito di birra

• 1/2 cucchiaino di sale

fiori

• 12 fiori di zucca

• 12 filetti di acciuga

• 150 g di mozzarella

Pastella

Mescolare con una frusta tutti gli ingredienti e lasciar lievitare a temperatura ambiente per 2h oppure in frigorifero per 8-10h.

Fiori di zucca

Lavare delicatamente i fiori di zucca, togliere il pistillo e le foglioline esterne. Metterli capovolti in uno scolapasta per farli asciugare.

• Diliscare le acciughe o utilizzare quelle sott’olio, e tagliare a pezzetti la mozzarella.

• Aprire i fiori e introdurre all’interno un filetto di acciuga e un pezzo di mozzarella.

• Scaldare l’olio in una padella profonda, quando raggiunge i 170°C, im-

mergere i fiori nella pastella e metterli nella padella, girarli una sola volta.

• È necessario friggere pochi pezzi per volta, perché la temperatura dell’olio si abbassa, e alzare la fiamma appena immersi nell’olio per riportarla velocemente a temperatura, poi abbassare la fiamma e completare la cottura. Saranno pronti quando avranno assunto un bel colore dorato scuro.

• Toglierli dalla padella e metterli su carta paglia o carta da fritti per togliere l’unto in eccesso. Servire caldissimi!

Curiosità

Talmente buoni da mandare in estasi Paul Valéry e far definire a Henry de Régnier il profumo delle fritture nello strutto, effluvi degni dell’odorato degli dei. Nelle osterie romane i fritti, in particolare quelli vegetali, i “pezzetti”, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale. Come ci ricorda Ada Boni, i “pezzetti” erano una frittura con la pastella fatta con piccoli pezzi di ortaggi, baccalà, zucca, venduti a “cinque pezzi un soldo”: “Il friggitore maestosamente dall’alto del suo… trono, dinanzi al quale si allineavano le monumentali scolafrittura stagnate, prendeva un foglio di carta, spesso scritta!, la metteva sulla mano sinistra, ci faceva una specie di conca, nella quale deponeva, prendendoli, naturalmente, con le mani, i pezzetti.”

30 ZUCCHINA ROMANESCA
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ROMANESCA
ZUCCHINA

zucchine ripiene alla romana

Le zucchine ripiene alla romana! Ancora oggi uno dei miei piatti preferiti, della cucina di mamma. Le preparo ancora con il suo stesso metodo e sono sempre uguali, tutto a occhio e sempre lo stesso sapore! La massima espressione questo piatto la raggiunge con le zucchine dell’orto, dolci, tenere… una vera delizia.

Unico neo riguarda la forma delle zucchine, perché quelle comperate sono tutte uguali e più adatte per essere riempite, mentre le zucchine dell’orto di casa, assumono forme strane e diverse fra loro, ma la dolcezza e la delicatezza di queste ultime è tutta da provare! Nella nostra regione, la zucchina romanesca, è considerata un pilastro, un prodotto unico da preservare e valorizzare al meglio ecco perchè, nella tradizione culinaria laziale, la zucchina romanesca ha un posto di prestigio in diverse preparazioni. Tutti conosciamo la sua versatilità fuori dal comune, perchè dolce e delicata. Uno dei tanti piatti tipici a noi caro e familiare sono appunto le zucchine ripiene alla romana!

Una particolarità è che non abbiamo l’abitudine di tagliarle a metà e svuotarle a “barchetta”. No, a noi non piacciono così! Noi le svuotiamo da crude e integre, con un apposito scavino, con delicatezza e precisione, per non rompere la parete esterna molto croccante e facilmente soggetta a spaccature.

Nei due brevi video nella pagina accanto, vi facciamo vedere con quale attrezzo si svuotano e come si riempiono.

ZUCCHINA ROMANESCA

Se avanza una parte della carne macinata fate delle piccole polpette da aggiungere in cottura. Le zucchine si cuociono in tegame facendole stufare con la cipolla, il pomodoro e un poco di acqua fino a completa cottura. Se dovessero avanzare, il giorno dopo saranno ancora più buone per cui non lesinate nel prepararle.

INGREDIENTI

• 4/5 zucchine medie

• 250 g di macinato di vitellone

• 1 uovo intero

• 2 cucchiai di parmigiano reggiano

• 60 g circa di pane raffermo bagnato

• un piccolo spicchio di aglio

• prezzemolo, sale e pepe q.b. Per la salsa

• 3 pomodori rossi maturi tipo Casalino o pelati

• 1 cipolla media

• olio extravergine di oliva

1. Eliminate le due estremità alle zucchine, dividete a metà e svuotatele, come descritto nei video, aggiungete un poco di sale al loro interno e tenete da parte.

2. Preparate la carne macinata: in un contenitore versate la carne e aggiungete l’uovo intero, il parmigiano grattugiato, il pane bagnato e strizzato, l’aglio sprumuto o appena grattugiato, prezzemolo, sale e pepe. Mescolate bene il tutto con le mani, formando un impasto omogeneo.

3. Procedete al riempimento delle zucchine.

le zucchine

Riempire le zucchine

4. Salsa. In un tegame piuttosto comodo, che possa raccogliere le zucchine possibilmente in un solo strato, versate la cipolla affettata con la mandolina o tritata, insieme all’olio extravergine di oliva. Fate soffriggere un poco e aggiungete i pomodori a pezzi o i pelati. Lasciate andare il sugo per un po’ e poi adagiate le zucchine sul fondo. Passate un poco di sale sopra, aggiungete acqua (circa mezzo bicchiere), coprite la pentola e a fuoco moderato lasciate cuocere senza girare per almeno 15 minuti.

5. Con delicatezza e con una forchetta, cercate di girare le zucchine e vedrete che avranno tirato fuori un po’ di liqui-

do. Ogni tanto “movimentate” il contenuto della pentola tenendo la pentola chiusa, prendetela per i manici, sollevandola dal gas e ruotandone il contenuto. Rimettetela sul fuoco e ogni tanto infilate i rebbi della forchetta per testarne la morbidezza.

6. Quando sentite la forchetta scendere bene, sono cotte! Se occorre a pentola scoperta fate restringere il liquido che però deve rimanere abbondante, perché con le Zucchine Ripiene alla Romana si mangia tanto pane da inzuppare.

ZUCCHINA ROMANESCA
PREPARAZIONE svuotare

Pomodoro casalino

La spagnoletta è un pomodoro tipico del Lazio, meglio conosciuto a Roma e dintorni con il nome “casalino”.

Dalla forma schiacciata e ricco di arricciature ir regolari, gode di un sapore intenso, leggermente aci dulo. A completa maturazione è di un rosso intenso e sapore delicato, leggermente acidulo e molto saporito.

Originario della zona dei castelli romani, viene oggi coltivato per lo più nella zona di Formia e Gaeta.

Si usa non ancora maturo in insalata, mentre è ottimo per la preparazione di sughi giunto a maturazione, e l’unico utilizzato per la preparazione dei dori a mezzo. Ottimo anche per la preparazione dei pomodori secchi.

La sapidità del sapore è dovuta soprattutto all’uso di acqua salmastra e cresce bene in zone sabbiose. Una volta veniva coltivato tra una vite e l’altra e concimato con la cenere del camino.

Se ne gustava la produzione sin da maggio. Oggi la produzione è nettamente diminuita, forse dovuto al fatto che tende facilmente a marcire e perché soppiantato dalla maggiore coltivazione di altre varietà di pomodoro che danno maggiore resa e meno scarto. Alcune aziende riproducono il seme da circa 70 anni.

Il raccolto va da giugno a agosto.

PRODOTTI
TERRITORIO
DEL

pomodori a mezzo

Il CASALINO è il pomodoro protagonista indiscusso di questa ricetta! Piatto tipico della tradizione giudaico romanesca, per essere gustato a pieno deve assolutamente essere preparato con questi pomodori maturi, dal sapore intenso, leggermente acidulo. Ricordate che di regolare il pomodoro casalino nella forma ha solo l’irregolarità delle sue arricciature! Se troppo perfetto e liscio sotto, non si tratta di casalino, ma di altri buoni pomodori, che però non sono adatti a questa ricetta, perché tutto il gusto dei pomodori a mezzo è racchiuso nel gusto e nella sapidità del pomodoro stesso.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 1 kg di pomodori casalino maturi

• qualche rametto di prezzemolo

• 2 cucchiai di origano secco

• 2 spicchi di aglio tritato

• una “spolverata” di zucchero

• sale e pepe q.b.

• olio extravergine di oliva

1. Lavare i pomodori, privarli del picciuolo e tagliarli a metà nel senso della larghezza.

2. Una volta spaccati vi troverete davanti piccole celle con i semi che vanno tolti con l’aiuto di un cucchiaino, oppure semplicemente con le dita.

3. Salarli e metterli capovolti i un colapasta per far perdere l’acqua in eccesso.

4. Una variante consiste nello sbollentarli appena per privarli della pelle… ma io li preferisco così, perché mi piace il loro sapore abbrustolito.

5. Cospargere di aglio tritato finemente e pepe. Se qualcuno non gradisce l’aglio può metterlo a spicchi grandi nella teglia. Aggiungere l’origano

6. Aggiungere il prezzemolo

7. Olio senza lesinare

8. infornare a 200 °C per 40 minuti.

9. Sfornare, mettere nel piatto, togliere il prezzemolo seccato dal calore e aggiungere l’olio di cottura e altro olio extravergine di oliva a crudo, se occorre.

Per quanto riguarda l’arricchimento con gli aromi, io ho scelto prezzemolo, origano e aglio. Ma ci sono varianti con menta romana, o con il basilico. Mentre altri preferiscono usare solo solo olio, sale e pepe, proprio per assaporare a pieno il gusto di questo pomodoro giunto a maturazione

Porta il sole in tavola!

Consiglio

Gustare freddi e con tanto pane! Il segreto per l’ottima riuscita di questa ricetta risiede nell’uso esclusivo di pomodori casalino, di aglio profumato e di ottimo olio extravergine di oliva.

35 POMODORO CASALINO

altri POMODORi del lazio di Elena Castiglione e

TORPEDINO

Il pomodoro di nuova generazione!

Il Torpedino® è un pomodoro di piccola taglia, di forma allungata, appartenente alla categoria dei mini San Marzano. Caratterizzato da un sapore intenso ma delicato, ha decise note aromatiche e un equilibrato rapporto fra dolcezza e acidità. E’ un ibrido ricavato dall’innesto tra il San Marzano e una particolare varietà del Costoluto; ha due differenti modalità di raccolta: “fiammato” e rosso dalla polpa succosa, consistente e croccante.

Il Torpedino può essere definito come l’unico progetto a marchio identitario nello scenario ortofrutticolo del Mercato di Fondi. Il prodotto è coltivato nel periodo estivo da maggio a novembre unicamente nella Piana di Fondi.

(fonte:www.torpedino.it)

POMODORI

PANTANO ROMANESCO

Il pomodoro pantano romanesco è un’antica varietà di pomodori laziali, dal sapore ricco e intenso, proprio quello dei pomodori di una volta. E a proposito di una volta, questo fino a pochi decenni fa forse era il più diffuso. Si acquistava verde per gurstarlo in insalata e si attendeva che maturasse bene per fare i pomodori con il riso. Molto apprezzati anche grigliati.

Si presenta con forma tonda leggermente appiattito, costoluto. Il peso può variare dai 200 ai 300 grammi.

La polpa è spessa e soda. Si conserva a lungo.

SCATOLONE della Tuscia Viterbese

Lo Scatolone si contraddistingue per i suoi frutti a polpa soda e buccia spessa. Ma soprattutto per essere vuoti al loro interno; da questa caratteristica ne deriva il nome, a indicare una “scatola” da riempire. È particolarmente indicato per la preparazione di sughi e salse. Viene coltivato nella zona del Lago di Bolsena.

Sono ottimi crudi, in insalata, cotti e ripieni.

Di facile deperibilità, conviene consumarli presto.

Molto utilizzati anche nella produzione di conserve e di pelati.

Ha ricevuto la denominazione PAT (Prodotto Agroalimentare Tipico), ma la sua produzione è a rischio, perché è diminuita fortemente la sua diffusione. (fonti varie internet)

POMODORI
Il pomodoro storico! Il pomodoro scrigno!

pomodori ripieni col riso

Questa è la mia versione dei pomodori col riso, quella della mia famiglia, poi ognuno ha la sua variante. Per quanto riguarda le erbe aromatiche… alcuni ne usano altre, altri ancora aggiungono il parmigiano.

• 8 Pomodori grandi tondi

• 8 cucchiai di riso (carnaroli, superfino arborio…)

• basilico, prezzemolo, origano, aglio q.b.

• sale e pepe

• olio extravergine di oliva

• Eventuali patate da contorno

Dopo aver lavato bene i pomodori, asciugarli e tagliarli in due orizzontalmente avendo l’accortezza che la parte superiore sia più piccola e funga da coperchio.

• Svuotarli con un cucchiaio e raccogliere la polpa tritata (o schiacciata con una forchetta) in una insalatiera. Salarli e metterli capovolti in un piatto a far perdere la loro acqua.

• Aggiungere alla polpa nell’insalatiera il basilico, il prezzemolo, l’origano, il sale e il pepe, lo spicchio di aglio tritato fine, gli 8 cucchiai di riso e mescolare bene.

• Riempire ogni pomodoro con questo composto e lasciare insaporire.

• Nel frattempo accendiamo il forno a circa 180° centigradi e siccome nei nostri pomodori con il riso non mancano mai le patate…

• Sbucciare le patate e lasciarle un po’ in ammollo in acqua fredda, poi scolarle, asciugarle, condirle con sale, pepe e un po’ di olio extravergine di oliva.

• Trasferire i pomodori in una pirofila

da forno e riempire gli spazi vuoti con le patate. Se è avanzato un po’ di liquido della polpa dei pomodori, aggiungerlo sopra a tutto.

• Tempo di cottura circa 40 minuti.

• Sono buoni caldi, ma si apprezzano molto di più tiepidi e freddi.

Alternativa: a un buon piatto di pomodori col riso non si rinuncia mai! E io in una caldissima giornata – accenedere il forno potrebbe essere arduo.– ho usato il fornetto Versilia e li ho cotti sul gas… Vengonocosì.buoni lo stesso!

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INGREDIENTI PER 4 PESONE
POMODORI

La versione di Ada Boni

Si scelgono dei pomodori piuttosto grossi e si tagliano orizzontalmente in due parti, di cui la superiore, il coperchio, dovrà essere molto minore della inferiore. Servendosi di un cucchiaino, si liberano i fondi dai semi e dal sugo che si raccoglierà in una scodella, e si pongono questi fondi in una teglia, no vicino all’altro. Si condiscono queste specie di scatole con sale, pepe, un pizzico di zucchero e un nonnulla di cannella in polvere e ci si mette poi il riso in modo da riempire i vuoti. Sul riso si sgocciola un po’ di olio, aggiungendo un pizzico di prezzemolo trito e qualche pezzettino di aglio tritato. Si rimette ad ogni pomodoro il suo coperchio, si spolverizza un altro po’ di sale, si innaffia con altro olio, e sopra a tutto si versa il sugo dei pomodori raccolto nella scodella, facendolo passare attraverso un setaccino o un colabrodo. Si cuociono in forno di moderato calore. Possono mangiarsi tanto caldi che freddi.

i fagottari

Il boom economico degli anni sessanta portò la voglia di divertirsi di nuovo: il litorale di Ostia, dopo gli anni bui del dopoguerra e della ricostruzione, fu di nuovo meta di turisti e bagnanti, soprattutto famiglie della piccola e media borghesia. Chi poteva prendeva in affitto la casa per un mese estivo, ma i più si accontentavano di un turismo domenicale (il sabato era ancora un giorno lavorativo! niente week end ancora!). Così, carichi di fagotti (sporte piene di viveri, borse

Chi è tra noi romani degli anni Sessanta che non ha ancora fisso nella mente il sapore dei pomodori col riso portati nelle nostre “scorribande” fuori porta? Facevano compagnia all’allegra brigata insieme a frittate di pasta, fettine panate, zucchine ripiene… Non c’è volta che non li prepari che il mio pensiero non corra a una di quelle bellissime e indimenticabili gite tra Ostia e la vicina Pineta… La mattina al mare e poi all’ora di pranzo una passeggiata a piedi per raggiungere la pineta dove i nostri genitori, nonni, zii, che non amavano venire al mare, avevano allestito tutto per il banchetto.

Ebbene sì, perché anche noi andavamo in giro colonizzando porzioni di pineta con tavoli, sedie, (me ne ricordo uno in formica verde che si chiudeva a valigetta e raccoglieva all’interno 4 sgabelli! Anche negli anni Sessanta eravamo ben organizzati!), ceste di vimini con piatti bicchieri e poi sporte con ogni ben di Dio, ognuno ben racchiusa in un canovaccio annodato che teneva insieme ben salde teglie e coperchi!

piene di asciugamani e costumi, e tutto l’occorrente per trascorrere la giornata al lido di Ostia), nacquero i cosiddetti...

FAGOTTARI! i pasti venivano consumati o sotto l’ombrellone, ma per lo più nelle cabine o nei “casotti”!

39 POMODORI

Ada Boni: una piccola grande percorritrice dell’arte culinaria

Ada Giaquinto nasce a Roma nel 1891, nella casa paterna di via Ripetta. Una donna minuta, dolce, dedita alla famiglia e alla cucina, come amano ricordare i nipoti. Giunge alla cucina praticamente per hobby. Fin da bambina, probabilmente influenzata dallo zio Adolfo Giaquinto autore di famosi ricettari e fondatore della rivista “Il messaggero della cucina”, nutre una vera passione per i fornelli e già a dieci anni idea e prepara la prima ricetta che dedicherà al papà Alfredo. Si sposa giovanissima con Enrico Boni, discendente da una illustra famiglia di orafi romani. Prosegue nel suo intento di ideare e preparare manicaretti che destano indubbiamente l’ammirazione degli invitati alle numerose feste organizzate dal marito a Palazzo Odescalchi, il quale,

quando libero dai suoi impegni di critico musicale, non disdegna affatto di affiancarla in cucina. Dal 1915 Ada decide di divulgare le sue esperienze culinarie pubblicando “Prezioso”, una rivista di bon ton, economia domestica, poesie e ricette di cucina. Da qui il successo che neanche lei si aspettava. Migliaia di giovani donne romane si abbonano per seguire i suoi consigli, soprattutto per i primi passi in cucina, motivo questo che la spingerà a fondare una scuola di cucina per le amiche dell’aristocrazia romana.

Questa esperienza la stimola poi a pubblicare le squisite ricette da lei concepite nel suo famoso e intramontabile libro “Il talismano della felicità”, intitolato così perché pensava che la felicità in una famiglia nascesse intorno alla tavola. Tale fu il successo che il libro venne tradotto in inglese e spagnolo e la sua fama raggiunse le Ame-

riche. Oramai a questo punto la sua celebrità la porta ad essere presente ai numerosi inviti che le vengono rivolti: tavole rotonde in materia di gastronomia, concorsi, manifestazioni, cicli di trasmissioni radiofoniche settimanali della Rai, collaborazioni a numerose riviste femminili nelle rubriche dedicate alla gastronomia. La collaborazione con la rivista Arianna dove curò “la cucina regionale”, si rivela un altro enorme successo di Ada.

La cucina romana” rappresenta un altro grande e non ultimo cult che ci ha lasciato in eredità! Grazie a lei le ricette della tradizione culinaria romana sono state riunite in una bella raccolta dando anche spazio a quei piatti che altrimenti sarebbero stati dimenticati: una preziosa fonte di riferimento per tutti gli amanti delle tradizioni culinarie di Roma! Morirà a Roma nel 1973, lasciando a noi un inestimabile patrimonio!

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RITRATTI

FAGIOLINI A CORALLO

di Elena Castiglione

Il fagiolino a corallo è una varietà di fagiolini, tipici del Lazio. Presenta il baccello verde, piatto e largo, all’interno del quale si trovano fagioli in embrione. Appartiene alla stessa specie dei fagioli, Phaseolus vulgaris, della famiglia delle leguminose, con la differenza che la parte commestibile non sono i semi, presenti solo in embrione, bensì il baccello. Quindi legumi, ma fuori dagli schemi classici: per proprietà nutrizionali e digeribilità vengono “considerati” più una verdura. Inoltre sono poco calorici e non provocano quel fastidioso gonfiore intestinale tipico dei fagioli. Il fagiolino a corallo presenta meno proteine rispetto gli altri legumi, è povero di calorie, appena 19 cal. per 100 gr, ma è ricco di acqua e fibre, di potassio, di vitamina A e ha una discreta presenza di vitamina C e di inosite, una sostanza dalle proprietà cardiotoniche. Per questo sono ottimi per le diete, per gli stati di affaticamento, per depurare fegato e pancreas. Sono consigliati anche per depurare i reni, per la calcolosi renale e per la ritenzione idrica. Possono tranquillamente essere inclusi nell’alimentazione delle persone diabetiche perché non innalzano la glicemia. Presenti nei nostri mercati dalla primavera inoltrata fino alla fine dell’estate.

• Spuntare i fagiolini e spezziarli a metà se sono eccessivamente lunghi. Mettiamoli a bagno in acqua, sciacquiamo bene e scoliamo. • Strizzare un po’ con le mani i pelati e mettere tutti gli ingredienti in una pentola capiente, aggiungendo qualche cucchiaio di acqua (eventualmente se occorrerà ne aggiungeremo ancora altra durante la cottura)

• Far cuocere dolcemente con il coperchio per circa 40 minuti. Poi togliamo il coperchio e continuare a cuocere a fuoco un po’ più vivace per qualche minuti per addensare il sughetto.

PRODOTTI DEL TERRITORIO FAGIOLINO A CORALLO
facioletti a corallo cotti a crudo INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 800 g di fagiolini a corallo • 100 g di pomodori pelati • 1 cipolla media • 70 g di olio extravergine di oliva • sale e p epe q.b. • basilico e prezzemolo, facoltativi
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Le melanzane “de noantri” LE “MARIGNANE”!

La melanzana (Solanum melongena ) appartiene alla famiglia delle Solanacee, come i pomodori, le patate, i peperoni. Di forma tonda, allungata o ovoidale, a seconda delle varietà, di colore che può variare dal viola intenso, al rossastro o bianco. La polpa è bianca con accenni verdastri, è carnosa e ricca di semi.

Il frutto della pianta può essere consumato, ma solo previa cottura, perché la melanzana cruda ha un gusto amaro che si attenua con la cottura. La cottura inoltre la rende più digeribile e ne esalta il sapore assorbendo molto i grassi alimentari tra cui l’olio creando piatti ricchi e saporiti. Anche se la cottura non elimina del tutto la parte tossica (la solanina), è pur vero che il suo contenuto, quando ben maturate al sole e dopo cotte, è al di sotto del grado di pericolosità.

Originarie dell’India, si diffuse nell’area mediterranea grazie ai mercanti arabi, venne introdotta nell’area del Mediterraneo. Tra il 700 e l’800, arrivò anche in Italia, a partire dalla Sicilia che rimane tutt’oggi una delle regioni italiane, insieme alla Campania, con la maggiore produzione di melanzane. Ne esistono tante varietà che si distinguono per forma del frutto, per il colore della bucca. Generalmente quelle più scure e allungate sono più piccanti, mentre quelle tondeggianti hanno un sapore più delicato, quelle dal colore violaceo sono più tenere. In Italia da giugno ad ottobre è possibile trovarle nei nostri mercati, anche se il mese migliore per la raccolta è agosto.

Ricche di acqua e con basso contenuto di grassi, zuccheri e proteine le melanzane stimolano le attività epatiche e renali; di grande uso anche nelle diete dimagranti perchè ipocaloriche e sazianti, e abbassano anche il colesterolo nel

sangue. Quando si è a dieta, però visto che assorbono molto i grassi, bisogna scegliere una modalità di preparazione che limiti l’uso dei grassi. Anche la buccia ha delle sostanze benefiche per il fegato, il pancreas e l’intestino.

Nel Lazio la produzione di melanzane si concentra soprattutto nelle provincie di Latina e di Roma.

A roma le melanzane, vengono dette MARIGNANE.

La cucina laziale, quella classica, è quella legata agli ingredienti rurali delle campagne, abbondantemente presenti sulle nostre tavole e tra questi sono fortemente presenti anche le melanzane: sapientemente “sposate” con altri prodotti delle campagne per preparare tanti piatti tramandati nella loro semplicità e genuinità da generazioni: ripiene, fritte, al forno, grigliate, sott’olio… dagli antipasti fino ai contorni, che fanno sempre festa in tavola. Oggi ve ne proponiamo una legata alla tradizione giudaico romanesca, che una volta provata, assaggiata… entrerà nei vostri cuori!

PRODOTTI DEL TERRITORIO
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La ricetta è tratta dal Libro “La cucina romana e ebraico-romaesca” di Giuliano Malizia, nel pieno rispetto della tradizione casher. Non troverete in questa ricetta burro o formaggi vari, perché secondo la tradizione ebraica è vietato accostare la carne (di animali “privi di zoccolo e di unghia fessa e che non ruminano”) con latte e suoi derivati, come dettato dal precetto dell’Esodo (23,19) che impone al popolo ebraico: “Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre”. Ma nonostante le limitazioni imposte dall’osservanza della religione, la cucina ebraica ci offre dei piatti talmente buoni e gustosi da meritarsi un posto d’onore nella cucina tradizionale!

melanzane ripiene alla giudia

di Elena Castiglione

INGREDIENTI PER 4 PESONE

•  4 melanzane lunghei

• 600 g di carne macinata di manzo

• 1 cipolla.

• 1 spicchio di aglio

• sale e pepe

• olio extravergine di oliva

• 400 g di passata di pomodoro

• origano e menta romana qb

1. Lavare le melanzane, tagliarle a metà e scavarle con l’aiuto di un coltello e di un cucchiaino fino a lasciare circa un cm di polpa

2. In una padella soffriggere uno spicchio di aglio con mezza cipolla. Quando si sono imbionditi aggiungere la carne macinata con la polpa delle melanzane che abbiamo scavato e tagliato a tocchetti. Cuocere a fuoco vivace per circa 10 minuti, mescolando ogni tanto. Salare e pepare. Aggiungere 1/2 bustina di zafferano e portare a cottura

3. Abbassare la fiamma continuare a cuocere fin quando la polpa delle melanzane risulti sfatta.

4. Riempire con questo composto le barchette di melanzane. Metterle in una teglia ben oliata e poi distribuire ancora un po’ di olio sopra. Fare cuocere a circa 200 ° per circa 3 quarti d’ora

5. Nel frattempo preparare un sughetto semplice con un po’ di olio, cipolla, la polpa di pomodoro una spolverata di origano, sale e pepe, e due o tre foglioline di menta romana fresca.

6. Una volta sfornate le melanzane, vanno condite con questa salsa. Sono molto buone tiepide, e si apprezzano molto anche fredde.

MELANZANE

inTour

Lago del Turano

tra relax, pesca e folklore

di girovagainside.it

Se avete deciso di passare qualche giorno in perfetta tranquillità, il Lago del Turano è il posto che fa per voi! Lontano dal turismo di massa è ancora conservato come luogo ideale per chi desidera relax, ma anche per le famiglie che vogliono passare una giornata lasciando giocare i bimbi all’aria aperta. Noi abbiamo trascorso un fantastico ponte di primavera tra i borghi che fanno da contorno alla luccicante acqua azzurra del lago.

Ipiccoli paesi di Colle e Castel di Tora, Paganico, Ascrea, con le loro piccole viuzze, ospitano numerose sagre già dall’inizio della bella stagione, dalla polenta al pesce, dalle castagne ai fiori… folklore, natura e storia in un solo posto.

Il lago artificiale è direttamente collegato attraverso una galleria sotterranea al lago del Salto, ed è creato grazie ad una diga che conduce a Stipes e al comprensorio Valleverde da cui si gode una splendida vista dall’alto.

Abbiamo passato una giornata sulle rive del lago, le fresche acque balneabili, basse sulla riva hanno reso davvero felici i bimbi che non vedevano l’ora di bagnarsi i piedi per poi giocare sui verdi prati e correre liberi e che anche per noi genitori sono l’ideale per godersi un po’ di sole, giocare a palla e fare un gustoso picnic… per i più avventurosi c’è anche la possibilità di noleggiare piccole imbarcazioni per fare un bel giro in canoa o in pedalò nella parte più interna del lago e per chi può, addirittura di pescare.

Molto interessante da visitare, solo su prenotazione all’associazione camminandocon.org, se avete bambini che amano camminare, è il borgo perduto di  Antuni, dove si trovano i resti del castello del Drago, delle abitazioni che un tempo ne facevano

parte e dei resti di un labirinto di pietra che divertirà molto i più piccoli. La sua particolare posizione al centro del lago collegato

alla terraferma solo da un sottilissimo istmo, rende la visita davvero entusiasmante.

Nel secondo giorno di permanenza abbiamo pensato di girare un po’ i borghi e con stupore abbiamo scoperto al di là della diga un vero gioiellino… si tratta di Posticciola, una frazione di Rocca Sinibalda che assolutamente merita una sosta. L’intero paese è un museo a cielo aperto che racconta le tradizioni contadine e artigiane del posto, ma quello che ci ha sorpreso e ci ha divertito durante tutto il cammino verso il Duomo e i resti di un fortino, sono i particolari dipinti che troviamo persino sulle cassette dei contatori di energia elettrica, davvero simpatici!

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LG

Proseguendo poi verso Rocca Sinibalda abbiamo ammirato l’imponente  Castello Sforza Cesarini, visitabile solo in parte e su prenotazione (tutte le informazioni su  info@ castelloroccasinibalda.it. Purtroppo però noi non avevamo prenotato, ma questa sarà una buona scusa per poter tornare a visitare questi meravigliosi luoghi!

COSA VEDERE:

Borgo di Colle di Tora

Borgo di Castel di Tora Spiagge del Lago

Borgo perduto di Antuni e Castello del Drago

EVENTI E FESTE:

Festa del Polentone a Castel di Tora (febbraio)

Sagra delle Fettuccine ai Funghi Porcini ad Ascrea (agosto)

Sagra delle Sagne Strascinate a Paganico Sabino (luglio)

Sagra degli Strigliozzi a Castel di Tora (settembre)

DOVE MANGIARE:

”Il Tartufo” Via Lago del Turano, Stipes (RI)

”La Vigna” Via Turanense, Colle di Tora (RI)

“Il Pescatore” Via M.Giuliani, Colle di Tora (RI)

“L’Angoletto” Via Coltodino, Castel Di Tora (RI)

NEI DINTORNI:

Posticciola

Rocca Sinibalda

Lago del Turano/2 Alla scoperta del pesce di lago

di Candida De Amicis e Sabrina Tocchio

Una bella giornata alla scoperta del pesce di lago per valorizzarne le carni che, se ben cucinate, risultano ottime e delicate e tutte da scoprire.

Una giornata insolita alla scoperta del pesce di lago, alle sue carni delicate e ai piatti sapientemente cucinati tutti da scoprire.

L’arrivo al bellissimo Turano Resort, ci ha lasciato senza fiato con la sua hall con affaccio sul lago. Dopo un caffè con vista lago dove si rispecchia nelle verdi acque, Castel di Tora, il giro in barca a vela è stato inaspettato, ma auspicato vista la giornata, infatti presso il molo, ad attenderci c’era la barca a vela Mirtilla. La navigazione dolce e silenziosa ci ha condotto al centro del lago dove, gettata l’ancora

abbiamo assistito al recupero delle reti con il pescato del giorno: lucci, brema, aspio, gamberi e persici reali

Al ritorno presso il Resort, il pesce è stato pulito e sfilettato abilmente da Tonino Pandolfi, pescatore e proprietario della Trattoria del Pescatore a Colle di Tora e cucinato dallo chef Mohabbat Bapare • Prosciutto di trota salmonata, Crudo di persico reale;

Ravioli di pesce di lago su crema di fagioli pisello, Taglierini con trota salmonata e lime;

Coregone all’amatriciana su purè di pa-

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LG IN TOUR

Design ITALY, ha deliziato i presenti con una delle sue coloratissime creazioni a base di crudi:

Tris di crudo di lago e giardino di verdure croccanti

• Carpaccio di luccio marinato all’aceto di mele, olio EVO, semi di papavero, erba cipollina (evocazione del Tirolo)

• Tartare di persico in cetriolo con mandarino, limone di Amalfi e zenzero (Evocazione di Costiera Amalfitana)

• Tartare di coregone all’olio Evo e sale al tartufo bianco (Evocazione d’autunno)

Salse allo yogurt portulaca e mentuccia all’olio Evo (Evocazione Mediterranea).

Fabio Piscicchia, F&B manager Turano Resort, ha preparato:

• Filetti di persico fritto con farina di mais al mandarino.

Il pesce di lago possiede

tate sono stati i piatti degustati guardando il lago.

La giornata è continuata in cucina con gli Chef APCI Lazio, per creare un nuovo menu con pesce di lago. La Chef Designer Fabrizia Ventura ci ha mostrato una presentazione artistic del crudo di lago.

Al termine della giornata la cena con il crudo di lago e i piatti preparati dallo Chef Nicola Gallo e dalla brigata in combinata APCI LAZIO e TURANO Resort.

Il presidente APCI Lazio, Delegazione Rieti, Nicola Gallo ha preparato: Maccheroni rigati su crema di Peperone di Pontecorvo D.O.P. con dadolata di luccio, aglio, olio, peperoncino e timo limonato.

Fabrizia Ventura, Chef Designer CooK

molti elementi nutrizionali ed è digeribile.

Ha un sapore delicato e poco sapido per via dell’habitat costituito da acqua dolce.

I pesci d’acqua dolce hanno un costo decisamente più contenuto rispetto a quelli di mare; sono ricchi di Omega 3, vitamine, sali minerali.

Il pesce di lago deve avere un’etichetta obbligatoria che riporti la denominazione della specie, il luogo di pesca o di allevamento e il lotto.

Sull’etichetta deve essere indicato anche se il pesce è pescato o allevato.

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Per l’acquisto del Pesce di Lago contattare: Tonino Pandolfi, Via della Gioventù , Colle di Tora, Rieti Per un meraviglioso soggiorno nel Turano Resort  contattare: Fabio Piscicchia Via Parodi 93, 02020 Colle di Tora (RI) Tel. +39 0765 1893586  Email: prenotazioni@turanoresort.it
dello Chef
Tris di crudo di lago e giardino di verdure
Fabrizia Ventura
Filetti
di persico fritto con farina di mais al mandarino dello Chef Fabio Piscicchia
LG IN TOUR
Cozza e gambero di lago Il menu degustato alla Trattoria del Pescatore preparati dello Chef Mohabbat Bapare

Porto di Anzio

.. dal pesce di lago, a quello di mare!

Dopo aver visitato uno dei nostri bellissimi laghi e gustato i sapori del pesce di lago, ci trasferiamo al porto di Anzio, in provincia di Latina. L’attività principale del porto è certamente la pesca che influenza in maniera determinante la sua gastronomia. Ricca di pesce azzurro, spigole, orate, triglie, sogliole, rombi, cocci, scampi gamberi, cozze, vongole e telline, aragoste... come non si fa ad apprezzare questa bontà! I ristoranti del posto sono abili nel cucinare questo pesce in un perfetto equilibrio tra il sapore e il profumo del pesce fresco e prelibato, la semplicità di esecuzione, tramandata dalla tradizione, il condimento e i tempi e le modalità di cottura.

Nel totale rispetto delle tradizioni, nelle pagine a seguire vi proponiamo alcune ricette classiche, tra le più famose del luogo: la zuppa di pesce portodanzese, gli spaghettoni con la colatura di Alici e i vermicelli al sugo di gallinella di mare, spaghetti con le telline.! Non perdetele perché solo a leggerle sentirete il vero PROFUMO E SAPORE di mare!

A proposito di zuppa di pesce...

La Zuppa di pesce non è mancata mai nemmeno a Roma, oltre che nei centri marinari. Primo fra tutti Civitavecchia, poi Anzio e, ultima arrivata, Ladispoli. Oltre le località di grande rinomanza ittica, lungo le coste della Provincia di Latina, che già tanto sanno di “napoletanità”.

Nel 1929 nel suo ormai classico volume sulla cucina romana, Ada Boni non accoglie la Zuppa di pesce. Una trentina d’anni più tardi, allargando il proprio orizzonte geografico, in una grande carrellata sulle Zuppe di pesce italiano, includerà pure la Zuppa di Civitavecchia e quella delle coste laziali in generale. Con 9 qualità di pesce per ciascuna. Oggi si arriva al massimo a 7-8.

Arriva a 9 varietà anche la Zuppa di Pesce Portodanzese, come si ritrova in un ricettario della gastronomia marinara anziate.

Dieci varietà si riscontrano invece nella Zuppa di pesce alla romana, che Carnacina e Buonassisi hanno curato in particolare, con un testo molto lungo. E sempre con 10 qualità di pesce!

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S.T.
SAPORI DEL NOSTRO MARE

diSaporemare!

zuppa di pesce portodanzese

Ingredienti per 6 persone 200 g di seppie 300 g di polpi 300 g di cozze 300 g di vongole veraci 800 g di pomodori pelati 1/2 bicchiere di vino bianco aglio, peperoncino, sale 2 alici salate olio extravergine di oliva 500 g di pane raffermo

Esecuzione

Con gli scarti preparate un fumetto: prima tostateli con l'olio extravergine, quasi a bruciacchiarli, poi aggiungete 3 litri di acqua, il sedano e la carota. Coprite, fate alzare il bollore, schiumate e poi lasciate a pentola scoperta e fuoco basso. Deve diventare la metà del volume.

Filtrate il brodo con un colino a imbuto (si chiama chinoise) e schiacciate bene ciò che rimane proprio per utilizzare tutto il liquido e il sapore.

• sfilettate tutti i pesci, privando i filetti di ogni traccia di spine;

• eliminate il carapace alle canocchie e tenete da parte gli scarti.

• preparate il fumetto /eseuzione nel riquadro accanto).

• In una capace pentola mettete l’aglio, il peperoncino e l’olio extravergine fate soffriggere e aggiungete le alici diliscate.

• Con i rebbi di una forchetta schiacciate le alici fino a completo scioglimento e aggiungete i polpi e le seppie a pezzi. Fate soffriggere un poco, poi aggiungete il vino bianco, fate evaporare e ora aggiungete i pelati crullati con un minipimer.

• Fate bollire a fuoco basso per circa mezz ’ora.

49 ZUPPA DI PESCE PORTODANZESE

• Nel frattempo tagliate i pesci a pezzi più o meno di 5 cm e passata la mezz ’ora di cottura del pomodoro adagiare, senza mescolare, i pezzi di pesci immergendoli nel sugo.

• Fate cuocere per almeno 15 minuti e poi aggiungete le cozze (prima aperte in un tegame solo con il calore della fiamma e un coperchio) e le vongole veraci (prima lavate poi spurgate in acqua e sale e aperte allo stesso modo delle cozze). Aggiungetele senza conchiglia per non rompere i filetti di pesce e lasciarne qualcuna per decorare il piatto.

• In ultimo a pentola spenta mettere le canocchie pulite senza carapace cosi si cuociono solo con il calore della zuppa.

• Aggiungere il prezzemolo fresco tritato a mano e servire il tutto con fette di pane casareccio tostate e profumate con un poco di aglio.

• Fate particolare attenzione allo scorfano e alle tracine, hanno delle pinne sul dorso e spine e spuntoni un po’ ovunque nel caso dello scorfano.

• Usate prudenza nel maneggiarli, anzi eliminate il prima possibile con delle forbici le parti che possono ferirvi.

I filetti dei pesci puliteli bene eliminando le parti dure e tutte le spine con le apposite pinzette.

Dopo varie ricerche il mio testo di riferimento è stato un libro a me caro: “La Cucina Romana e del Lazio” di Livio Jannattoni, Newton Compton Editori, Tradizioni Italiane Newton

In basso vi metto la sua versione (le variazioni degli ingredienti sono tra parantesi e sono state fatte per mancanza di reperibilità di alcune specie di pesce). Anche l’esecuzione della mia ricetta ha delle varianti, ma prettamente tecniche.

200 g di seppie

300 g di polpi

1 kg di pesce per zuppa (scorfano, tracina, coccio, trance di palombo, lucerna, marmora) (*io: al posto della lucerna, che non ho trovato, ho scelto delle canocchie e al posto della marmora ho scelto un fragolino e omesso le trance di palombo)

300 g di cozze

300 g di vongole veraci

800 g di pomodori pelati mezzo bicchiere di vino bianco aglio, peperoncino, sale 2 alici salate olio extravergine di oliva 500 g di pane raffermo

Tagliate le seppie e polpi, metteteli in una pentola e fateli rosolare in un soffritto di olio extravergine, aglio e peperoncino. Versate il vino e lasciate evaporare.

Aggiungete le alici salate e diliscate, i pomodori e fate cuocere, a pentola scoperta, per circa mezz’ora. Quindi mettete giù il resto del pesce (bene mondato e pulito) e pochi minuti dopo le cozze e le vongole.

Andate avanti così per un quarto d’ora. Fin quando la zuppa sarà pronta. Mettete nei singoli piatti il pane, sul quale vanno distribuite, sempre equamente le varie specie di pesce e le cozze e vongole con la conchiglia. Bagnate tutto con un sugo abbondante, e cospargete di prezzemolo.

Servite immediatamente calda.

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La versione di Jannattoni
ZUPPA DI PESCE PORTODANZESE

spaghettoni con la colaura di alici di anzio

Gli Spaghettoni con la colatura di alici, una ricetta buona e semplice della tradizione di Anzio

La produzione della colatura di alici, ha origini lontane nel tempo. Vanta una nobile discendenza dal Garum, la salsa di pesce tanto amata dai Romani; Apicio, nel De re coquinaria, suggerisce in gran parte delle sue ricette, con la specifica funzione di salare le vivande.

La colatura nasce dal processo di maturazione delle alici sotto sale, metodo che i pescatori utilizzavano per conservare le alici, ricavandone anche un saporito condimento.

Sembra che la produzione della colatura di alici sia stata recuperata dalle sapienti mani dei monaci cistercensi Amalfitani. Gli abitanti di queste terre ne impararono poi la tecnica. L’antico procedimento, tramandato di

padre in figlio dai pescatori di Cetara, è tuttora seguito da molte famiglie del piccolo borgo della costa amalfitana. Nel 1700, con l’arrivo dei pescatori dal napoletano e dal basso Lazio nel piccolo borgo di Anzio, la pesca divenne stabile si sviluppò una intensa attività di conservazione del pesce.

Le acciughe vengono pescate ancora usando il metodo secolare del “cianciolo” (rete e lampara), nei pressi della costiera amalfitana per la colatura di Cetara, nel triangolo Anzio Ponza Civitavecchia per quella di Anzio. Le acciughe vengono “scapezzate” (viene tolta la testa e e viscerate) a mano; dopo 24 ore di riposo sotto sale vengono sistemate nel “terzigno”, usando la tecnica “testa/coda“, alternate a strati di sale. Il contenitore viene poi coperto con

il “tompagno“, un disco in legno, sul quale si collocano dei pesi, generalmente pietre marine.

La pressione e la lenta maturazione delle acciughe fanno affiorare un liquido in superficie che sarà la base della colatura. Raccolto in contenitori e esposto al sole nei mesi successivi, maturerà e sarà pronto per la fase finale di produzione. Il liquido tornerà nuovamente nel “terzigno” con le acciughe in maturazione, attraverserà lentamente i vari strati arricchendosi di profumi e sapori, migliorando le caratteristiche organolettiche. Solo adesso potrà essere recuperato; con un attrezzo chiamato “vriale”, grazie ad un foro presente nella piccola botte e trasferito in un altro recipiente. Il prezioso liquido dal colore ambrato e dal gusto deciso e di grande sapidità è pronto.

51 SPAGHETTONI CON LA COLATURA DI ALICI

E voi siete pronti per la ricetta degli Spaghettoni con la colatura di alici? La scelta degli ingredienti in questo piatto così semplice è fondamentale, la qualità dei pochi ingredienti necessari, faranno la differenza. Ho scelto eccellenze del nostro territorio: Colatura di Alici di Anzio  Manaide, salsa antica dallo straordinario profumo e dal sapore deciso; olio extravergine di oliva Olivastro  Quattrociocchi e spaghettoni del pastificio artigianale LAGANO. Protagonista di questo piatto è la colatura di alici, l’olio e la pasta sono due importanti comprimari.

Rapida l’esecuzione, grande bontà e costi contenuti usando prodotti di grande qualità: 2,85 euro a porzione!

ESECUZIONE

• g 60 di olio extra vergine di oliva Olivastro Quattrociocchi

• 2 spicchi di aglio

• peperoncino

• prezzemolo

• Cuocere gli spaghettoni in abbondante acqua non salata.

• In una ciotola mettere gli spicchi d’aglio schiacciati, un po’ di peperoncino tritato, la colatura d’alici, l’olio extravergine di oliva, un po’ di prezzemolo tritato ed emulsionare il preparato con

una forchetta; aggiungere 3 o 4 cucchiai di acqua di cottura della pasta continuando ad emulsionare.

• Scolare la pasta al dente e versarla nella ciotola con il condimento e mantecare a crudo. Impiattare, aggiungere il prezzemolo precedentemente tritato e servire subito.

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INGREDIENTI PER 4 PESONE g 400 di spaghettoni Lagano g 40 di colatura di alici Manaide
SPAGHETTONI CON LA COLATURA DI ALICI

vermicelli al sugo di gallinella di mare

Nel dialetto locale il còccio  è la gallinella di mare. La ricetta proviene da un libro bellissimo dove sono raccolte le ricette della cittadina di Anzio: “Le ricette dei Nonni, Piatti Tradizionali della Cucina Portodanzese” – A cura di  Andrea Mingiacchi – Associazione Culturale Tre Zeri 42, 00042, trovato tempo fa sbirciando in rete per cercare le notizie sulla Zuppa Portodanzese Cercando di capire dove poterlo acquistare, ho scoperto che non lo era affatto o meglio non

era più possibile reperirlo presso l’Associazione Culturale Tre Zeri. Così decisi di scrivere direttamente all’autore e lui fu cosi gentile da inviarmene una copia.

Il libro è ben costruito, ci sono delle bellissime foto di Anzio ma sopratutto ci sono i ricordi che, attraverso i sapori dei piatti tradizionali locali, ti riconducono a casa dei nonni quando a tavola c’erano per tutti i piatti più semplici.

Più che un libro è un progetto: una raccolta di ricette tradizionali locali per

tracciare la memoria di un territorio. Qui trovi la semplicità degli ingredienti e dell’esecuzione nella realizzazione di piatti saporiti e variegati con prodotti poveri.

Il mare e la terra caratterizzano i piatti di Anzio. Molti i legumi con pasta e fagioli, pasta e ceci e pasta e lenticchie. Proteine nobili che unite a rimasugli di pasta sfamavano famiglie intere. Il mare, con la “mazzana” (pesce povero) e lo “sgavajone” una varietà au-

53 VERMICELLI AL SUGO DI GALLINELLA DI MARE

toctona simile alle gallinelle di mare, regalano sapore a minestre semplici spolverate di pecorino.

Le alici, altra fonte importante di cibo, da utilizzare sia fresche in tortini o con la pasta per primi piatti o nell’attività conserviera casalinga. Chi non faceva, o forse fa ancora, un “cugnetto” d’alici in casa? Si tratta di alici sotto sale, una risorsa che si prepara adesso da maggio ad agosto quando le alici sono più adulte.

Anche la palamita, molto meno costosa del tonno, è perfetta per la conservazione sott’olio.

Tra le tante ricette descritte, ho scelto questa dei Vermicelli al sugo di gallinella di mare,un piatto semplice ma saporito e per renderlo ancora più carico di sapore ho voluto seguire il consiglio scritto nel libro a nota della ricetta stessa:

“Per arricchire il sapore del piatto, potete preparare un brodo con le rimanenze del “coccio”, utilizzandolo poi nelle diverse fasi della cottura”.

VERMICELLI AR SUGO DE CÒCCIO

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 1 kg di gallinelle

• 1 kg di pomodori pachino e san marzano

• 320 g di vermicelli

• 100 g di pecorino romano

• 100 ml di vino binco

• 10 cucchiai di olio extravergine di oliva

• 1 spicchio di aglio

• 1 filetto di acciuga (consigliato)

• peperoncino q.b.

• prezzemolo q.b.

N.B. La mia variante, seguendo i consigli dell’autore, è stata di utilizzare gli scarti delle gallinelle per farne un brodo insieme a sedano, carota e cipolla. Ho abbondato con l’acqua perché il brodo saporito che ne è derivato, è stato il liquido di cottura dei vermicelli.

• Lavate con cura e sfilettate le gallinelle, chiamate “còcci” in dialetto portodanzese.

• In una padella con l’olio fate soffriggere per qualche minuto lo spicchio di aglio, il peperoncino e l’acciuga.

• Poi aggiungete i filetti delle gallinelle e il vino, e quando l’acool sarà evaporato unite i pomodori tagliati in pezzi lasciando sul fuoco per 8-10 minuti.

• A parte fate cuocere i vermicelli in abbondante acqua salata, facendo attenzione a scolarli molto al dente.

• Versare la pasta nel sugo ancora in cottura, spolverare di pecorino e mantecate il tutto per un paio di minuti.

• Servite in tavola adagiando i filetti sopra la pasta con del prezzemolo tritato.

spaghetti con le telline

Vi passo la ricetta degli spaghetti con le telline, così come è sempre stata cucinata a casa mia, da quando sin da bambina non esisteva un ritorno dal litorale senza il nostro bottino pescato praticamente a riva, con secchielli, rastrelli e tanto divertimento!

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 800 g di telline

• 400 g di spaghetti

• 400 g di pomodori pelati

• 1 spicchio di aglio

• 1 peperoncino

• prezzemolo q.b.

• 4 cucchiai olio extravergine di oliva

Preparare un buon piatto di spaghetti con le telline è estremamente semplice. L’importante è avere a disposizione prodotti freschi, di qualità! L’aglio deve essere profumato, il peperoncino fresco, il prezzemolo appena tagliato e l’olio… buono, e naturalmente telline freschissime!

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Oggi gli spaghetti con le vongole veraci hanno soppiantato per lo più gli spaghetti con le telline, soprattutto nei ristoranti. Ultimamente stanno riprendendo, giustamente, quota. Anche vicissitudini legali dovuti alla regolamentazione della loro pesca avevano contribuito alla quasi sparizione sulle nostre tavole.
SUGO DI GALLINELLA
VERMICELLI AL
DI MARE

PREPARAZIONE

• Per prima cosa mettere a spurgare per qualche ora le telline e poi sciacquarle abbondantemente sotto l’acqua corrente.

• In un’ampia padella far aprire a fuoco vivace le telline. Una volta aperte, filtrare l’acqua avendo l’accortezza di mettete da parte sia l’acquache le telline.

• Asciugare la padella e imbiondire nell’olio extravergine uno spicchio di aglio e il peperoncino.

• Aggiungere i pomodori pelati schiacciati, salare e fare saltare il tutto qualche minuto. Aggiungere l’acqua filtrata (mi raccomando… le telline vivono in acque molto sabbiose!) e le telline e far cuocere ancora qualche minuto.

• Cuocere al dente gli spaghetti e saltarli in padella con il sugo.

• Impiattare cospargendo con prezzemolo tritato freschissimo

Le telline del litorale laziale

Le telline sono il nome comunemente usato nel Lazio e in altre località per indicare le arselle (Donax trunculus).

Molluschi dalle carni più tenere e dolci delle vongole, vivono praticamente sotto la sabbia, le cui caratteristiche nel tratto del litorale laziale che va da Passoscuro a Anzio ha sempre permesso una abbondante pesca.

Le telline vengono pescate a con appositi rastrelli, chiamati “tellinare” che possono essere attaccati a natanti oppure utilizzate a mano. Molto spesso i pescatori costruiscono da sé le loro “tellinare”.

La pesca avviene generalmente nelle prime ore del mattino e quando il mare è calmo, durante tutto l’anno, ad eccezione di aprile, il periodo di riproduzione, nel quale ne è vietata la pesca.

Esiste anche un presidio “slow fish” riguardo la tellina…

Vi riporto direttamente dal sito Slowfood.com una iniziativa molto importante per salvaguardare l’habitat naturale di questo prezioso mollusco:

Il Presidio riunisce una cinquantina di “tuninolari” (da “tuniola”, nome dialettale della tellina) detti anche “tellinari” i quali stanno realizzando un disciplinare che mira a tutelare questo tratto di costa, caratterizzato ancora da un’alta qualità delle acque, e che preserva una metodologia di pesca antica e sostenibile. Il progetto vuole riuscire a salvaguardare questo territorio contro l’inquinamento dei corsi d’acqua dovuto all’attività agricola, vuole proteggerlo da una urbanizzazione eccessiva e dallo sfruttamento delle coste, prevenendo la costruzione di barriere artificiali anti-erosione e l’utilizzo indiscriminato della tecnica del ripascimento delle spiagge, che aggiunge sabbia proveniente da altre zone per sostituire quella persa con l’erosione, tutte attività che metterebbero in crisi l’habitat naturale della tellina determinandone la scomparsa per intere stagioni di pesca.

55 SPAGHETTI CON LE TELLINE

Torniamo con i piedi per terra...

LA PREPARAZIONE TRASCRITTA DA ADA BONI

1. “Dopo aver nettato e fiammeggiato il pollo si taglia in pezzi, che si risciacquano e si asciugano.

2. Si mettono in una padella una cucchiaiata di strutto e un paio di fette di prosciutto ritagliate in pezzettini. Appena lo strutto incomincerà a soffriggere si aggiunge il pollo.

3. Si lascia rosolare, si condisce con sale e pepe e quando i pezzi avranno preso una bella tinta color d’oro si aggiunge nella padella uno spicchio d’aglio tritato e un pizzico di foglie di maggiorana, bagnando con mezzo bicchiere abbondante di vino secco.

pollo alla romana

È una preparazione tipica della cucina romana. Anche se Ada Boni riconosce che si tratta di una gustosa specialità romana, nella sua raccolta lo chiama semplicemente “pollo in padella”, mentre l’appellativo “alla romana” gli è riconosciuto da Giaquinta e Carnacina.

Si tratta di uno spezzato di pollo al pomodoro. Vi riporto la ricetta tipica.

INGREDIENTI PER 4 /6 PERSONE

• 1 pollo novello (circa 1 kg)

• 50 g di prosciutto grasso e magro tagliato a listarelle

• 1 cucchiaio di strutto (o olio extravergine di oliva)

• 1 spicchio di aglio tritato foglie di maggiorana

• mezzo bicchiere di vino bianco secco

• 1/2 kg di pelati

• sale e pepe q.b.

4. Dopo aver che il vino si sarà asciugato si aggiungono ancora quattro o cinque pomodori di media grandezza spellati, fatti a pezzi, e privati dei semi e, se il pollo cuocesse troppo in ristretto, qualche cucchiaiata di acqua.

5. Si porta la cottura sempre con fuoco gaio. Il pollo sarà pronto in una ventina di minuti. Bisogna fare attenzione a non farlo scuocere e procurare che, a cottura completa, il sugo sia denso, scuro e non troppo abbondante, caratteristica fondamentale del velo pollo alla romana.

Il pollo alla romana in padella è la base per preparare il pollo coi peperoni alla romana che è l’unione di questa ricetta con i peperoni

tra poesia e curiosità

Sembra che il poeta romanesco Trilussa si riferisse a questo piatto quando scrisse…

La speculazzione de le parole

Una Gallina disse a un Gatto nero: — So’ tre giorni che cerco mi’ marito… Chissà com’è finito! Pe’ di’ la verità ce sto in pensiero… — Er Gatto corse subbito in cucina, e, ner sentì ch’er pollo era già stato bello che cucinato, ritornò addietro e disse a la Gallina: — Vostro marito passerà a la Storia: perché fece una morte propio bella, arabbiato in padella, framezzo ar pomidoro de la gloria! J’hanno tirato er collo, questo è vero, ma lui rimane sempre tale e quale un martire der Libbero Pensiero che se sacrificò per l’Ideale… Anzi, lo stesso coco che l’ha tenuto ar foco, m’ha ridettoche, fra l’antre onoranze, tra un par d’ore sarà commemorato in un banchetto con un discorso de l’Ambasciatore…

2 RICETTE CON IL POLLO
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pollo coi peperoni

Da notare come venga sottolineato l’uso dei peperoni verdi che una volta si volevano dolci e proveniente dagli orti romani! La ricetta è riportata anche con la denominazione di «Spezzatino di pollo con i peperoni» in “Roma in cucina” di Carnacina e Buonassisi.

Le mie variazioni secondo la ricetta originale riportata da Ada Boni consiste nell’uso dei peperoni di vari colori, e dell’olio extravergine di oliva al posto dello strutto.

peperoni in padella

di Elena Castiglione di Elena Castiglione

Per gli ingredienti di questa ricetta fate riferimento alla ricetta del pollo inpadella alla romana (pagina precedente) e a quella dei peperoni in padella (qui a lato). La preparazione è quella di Ada Boni.

1. “E’ una variante del pollo in padella, al quale si aggiungono dei peperoni verdi degli orti romani.

2. Si prepara un pollo in padella nel modo esposto precedentemente e, a parte, si preparano dei peperoni seguendo il procedimento indicato per i «peperoni in padella».

3. Quando il pollo è quasi cotto ci si uniscono i peperoni e si lascia insaporire tutto insieme.

4. È questo il miglior sistema per avere una giusta cottura tanto del pollo che dei peperoni”.

I peperoni in padella alla romana fanno parte della cucina tradizionale del Lazio che ha sempre accolto con grande entusiasmo i peperoni, in quella romana soprattutto i verdi, ma da tanto tempo oramai i nostri mercati e le nostre coltivazioni si sono arricchite di tante varietà e colori: gialli rossi, a cornetto, friggitelli, corno di toro… Io ho optato per i peperoni grandi, polposi. Ada Boni ci consiglia solo quelli verdi, io ho optato per un piatto più colorato!

“A me er pollo me piace fatto alla romana! Fatto co’ li peperoni! E se Napoleone veniva a Roma, Napoleone magnava er pollo che je facevo io, sta tranquillo!” (Sora Lella)

INGREDIENTI PER 4 /6 PERSONE

• 4 peperoni grandi rossi gialli e verdi

• 1 piccola cipolla affettata sottilmente

• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva

• 3 pomodori maturi a pezzi (o 3 pelati)

• sale q.b.

Per prima cosa bisogna fiammeggiare i peperoni. Se potete, arrostiteli alla brace, altrimenti anche in forno o sulla fiamma del gas andrà bene. Una volta arrostiti metterli in una bacinella con l’acqua per togliere la pellicina nera. Io li metto prima chiusi in una busta del pane e dopo un po’ si spellano benissimo, e mantengono di più il loro sapore. Eliminare tutti i semi.

PREPARAZIONE...

1. “Per sei persone si possono calcolare sei peperoni verdi.

2. Si arrostiscono sulla brace, si passano in una catinella con acqua fresca per togliere loro la pellicola carbonizzata, si aprono si liberano dei semi, si fanno in pezzi e si risciacquano

3. Si mettono in una padella una cucchiaiata di strutto e una cipolla affettata sottilmente Quando la cipolla sarà cotta e avrà preso una leggera tinta biondastra si aggiungono tre o quattro pomodori a pezzi, senza pelli né semi.

4. Si fa cuocere per qualche minuto e poi si versano nella padella i peperoni che si condiscono con un po’ di sale

5. Si copre la padella e si continua la cottura su fuoco moderato per una ventina di minuti ancora, fino a che i peperoni siano teneri e saporiti. Se il sugo fosse troppo ristretto e i peperoni minacciassero di attaccarsi, si bagneranno con qualche cucchiaiata di acqua”.

57 2 RICETTE CON IL POLLO
LA PAROLA A ADA BONI PER LA
DULCIS IN FUNDO

LA CILIEGIA RAVENNA DELLA SABINA

In provincia di Roma, Montelibretti, Moricone, Nerola, Montorio Romano, Palombara Sabina, ospitano alberi secolari di ciliegio Ravenna della sabina derivanti dalle cultivar Ravenna precoce e Ravenna tardiva.

Una polpa dall’ottimo sapore dolce e persistente racchiusa in un frutto dalla forma rotonda di 15-20 mm di diametro. Il colore va dal rosa al rosso vinoso. nella conservazione delle ciliegie sotto spirito e nella prepara-

zione di marmellata, sciroppi, succhi e distillati.

Anche nella Tuscia viterbese, soprattutto el territorio del Comune di Celleno c’è una antica produzione di ciliegie.

Il raccolto delle ciliegie inaugura l’arrivo dell’estate. A lei sono dedicate molte feste e sagre: a Palombara Sabina la sagra delle cerase è la festa più importante del comune. Si celebra la seconda domenica di giugno, ma

in realtà i festeggiamenti durano una settimana, con mostre di pittura, artigianato, prodotti tipici e giochi popolari. Danze in costume locale e filate dei carri allegorici con tema libero, ma sempre in riferimento alle cerase.

Oltre a gustarle fresche – una tira l’altra... non se ne può fare a meno! – le ciliegie vengono conservate sotto spirito, e nella preparazione di marmellate, canditi, sciroppi e succhi, composte e mostarde, sorbettie liquori.

gelato di ricotta composta di ciliegie

di Elena Castiglione e composta di ciliegie

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

• 500 g di ricotta romana dop

• 100 g di zucchero a velo

• 4 uova freschissime

• 1 bicchierino di rum

• qualche cucchiaio di composta di ciliegie di Montelibretti (o altrettante di ottima qualità)

1. Montare le uova con lo zucchero a velo, fin quando diventano spumose (alcuni utilizzano solo i tuorli). Passare al setaccio la ricotta e insaporirla con il rum. Poco alla volta unire le uova montate fino a ottenere una consistenza cremosa. Riempire 4 stampini, coprire con la carta stagnola e mettere in freezer almeno 5 ore prima di servirla. L’antica preparazione prevedeva di foderare uno stampo con la garza bagnata e strizza-

Due prodotti d’eccellenza del nostro territorio per preparare questo gelato di ricotta con composta di ciliegie di Montelibretti: la rinomata ricotta romana D.O.P. e le le ciliegie Ravenna di Montelibretti. Non poteva che uscirne fuori un dolce dal sapore gustosissimo, inimitabile. Nella nostra tradizione non abbondiamo di dolci, ma sono tutti preparati con prodotti semplici e di qualità. E anche questa ricetta va conservata, custodita, protetta…

ta, e ricoprire il composto nella stessa maniera. Se si vuole fare uno stampo unico si può ovviare anche utilizzando la carta da forno bagnata e ben strizzata al posto della garza.

2. Togliere dal freezer il gelato un po’ prima di servirlo in tavola. A me personalmente piace un po’ morbido, come se fosse un semifreddo.

3. Insaporire con il succo della composta di ciliegie e guarnire con qualche ciliegina.

PER 2 VASETTI

• 350 g di ciliegie qualità Ravenna di Montelibretti (peso al netto di peduncolo e nocciolo)

• 100 g di zucchero

• 1 cucchiaino raso di cannella (o mezza stecca che poi si dovrà rimuovere)

• 1/2 bicchierino di rum (o più, secondo i gusti)

1. Lavare, asciugare, denocciolare le ciliegie e privarle del peduncolo. Tagliarle a metà e cospargerle di zucchero lasciandole a macerare per un paio d’ore, avendo l’accortezza di mescolarle ogni tanto.

2. Porre le ciliegie con un filo d’acqua in un tegame a fiamma vivace e farle cuocere per una decina di minuti. Con una paletta forata scolarle e metterle nei vasetti. Aggiungere al liquido di cottura il rum, alzare la fiamma per qualche attimo fino a che si forma uno sciroppo che poi andrà versato sulle ciliegie. Mettere e conservare in frigorifero.

INGREDIENTI
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confettura di ciliegie di Sezze

Questi frutti sono deliziosi, peccato che si trovino per un periodo piuttosto breve, come fare per poterli assaporare più a lungo?

Trasformarli…. ecco allora la confettura di ciliegie di Sezze, il semifreddo, le ciliegie sotto spirito e il ciliegino, un liquore buonissimo!

Per fare la confettura di ciliege, l’ideale è lavorare la frutta poche ore dopo la raccolta, cosa non sempre possibile, una volta comprata però è meglio utilizzarla il prima possibile. L’aggiunta della mela, io ho usato la Granny Smith, serve a compensare la scarsità di pectina della ciliegia. L’aggiunta del limone serve ad attivare la pectina e quindi a consentire la gelificazione.

INGREDIENTI

Per la confettura

• 1000 g di ciliegie

• 600 g di zucchero

• 250 g di succo di mela

• 30 g di succo di limone

Per il succo di mela

• 500 g di mele Granny Smith (circa 2)

• 500 g di acqua

Succo di mela

Lavare le mele, tagliarle in quarti senza sbucciarle e metterle in una pentola con l’acqua.

Far bollire a fuoco moderato per 30 minuti.

A fine cottura passare al chinoise (è un

passino conico) premendo bene con il dorso di un cucchiaio, se si vuole un succo più chiaro si può filtrare nuovamente lasciando colare il liquido liberamente.

Si può conservare in freezer e utilizzare, quando serve, cuocendolo insieme alla frutta dopo averlo fatto scongelare.

Confettura

1. Dopo aver lavato e asciugato le ciliegie, snocciolarle e metterle in una pentola insieme allo zucchero, mescolare bene, coprire e mettere in frigorifero.

2. Dopo un’ora circa portare a leggera ebollizione e poi far raffreddare per tutta la notte.

3. Il mattino successivo mescolare le ciliegie con la mela già cotta e cuocere, mescolando spesso, fino a raggiungere la consistenza desiderata e unire il succo di limone.

4. Per controllare la consistenza basterà mettere un cucchiaino di confettura su un piattino freddo, se scorre molto lentamente è pronta. Mettere subito nei barattoli di vetro sterilizzati ed asciutti , chiudere immediatamente con il coperchio, capovolgerle e lasciare raffreddare per creare il sottovuoto.

5. È importante che i barattoli vengano chiusi prima che la temperatura della confettura si abbassi sotto agli 85°. Nel caso in cui la confettura si raffreddasse durante l’invasamento è meglio mettere i barattoli chiusi, per cinque minuti, nel forno a 100°.

La sterilizzazione

Per sterilizzare i barattoli ci sono vari metodi, ne riporto due.

Sterilizzazione in pentola

Lavare bene i barattoli, metterli in una pentola larga insieme ai coperchi e versare acqua fino a coprirli di almeno 2-3 cm. Portare a ebollizione e far bollire per circa 30 minuti. Estrarre i barattoli dalla pentola usando una pinza e metterli capovolti su un panno pulito, dopo capovolgerli in modo che evapori l’umidità residua.

Sterilizzazione nel forno a microonde

Mettere i barattoli, senza tappo, con all’interno acqua per circa un terzo, nel forno a microonde. Avviare alla massima potenza per un paio di minuti, fino a ebollizione e poi procedere come per la sterilizzazione in pentola.

CILIEGIE A GO GO
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INGREDIENTI PER 8-10 BICCHIERI

Per la mousse ghiacciata alla ciliegia

• 200 g di meringa italiana

• 200 g di purea di ciliegie

• 200 g di panna semimontata

• Per il semifreddo al pistacchio

• 160 g di crema pasticcera

• 80 g di pasta di pistacchio

• 160 g di meringa italiana

• 260 g di panna semimontata

Per la crema pasticcera

• 150 g di latte intero

• 3 g di panna

• una puntina di bacca di vaniglia

• buccia di limone grattugiata fine

• 45 g di zucchero

• 45 g di tuorli

• 14 g di amido di riso

Per la meringa italiana:

• 70 g acqua

• 225 g zucchero

• 60 g destrosio (o zucchero)

• 120 g albumi

Per il croccantino alla mandorla

• 75 g di zucchero

• 75 g di mandorle in polvere

• 75 g di burro

• 75 g di farina

PREPARAZIONI

Crema pasticcera

mousse ghiacciata alla ciliegia

semifreddo al pistacchio e croccantino alla mandorla

di Candida De Amicis

1. Mettere a scaldare in un pentolino il latte, la panna, i semini della vaniglia, la buccia di limone e metà dello zucchero.

2. Nel frattempo fare una pastella con l’amido, lo zucchero, i tuorli e mescolare fino ad avere un composto liscio. Quando il latte arriva a bollore stemperare il composto con un po’ di latte, unire al resto del latte e cuocere sul fuoco dolce, mescolando con una frusta a fili sottili, fino a 85°C. In mancanza di termometro fare la prova cucchiaio, quando la crema lo velerà sarà pronta.

3. È importante non superare gli 85°C per evitare il retogusto di uovo troppo cotto.

4. Versare la crema in un contenitore ben freddo, coprire con la pellicola a contatto e freddare.

Meringa italiana

1. Cuocere sul fuoco a 121°C l’acqua con la prima parte di zucchero, quando arriva a 115°C iniziare a montare gli albumi con il restante zucchero.

2. Unire a filo lo zucchero cotto a 121°C e montare fino a raffreddamento. Èopportuno utilizzarla subito per evitare che perda volume e struttura.

Mousse ghiacciata alla ciliegia

1. Mescolare delicatamente la meringa con la purea di ciliegie, aggiungere la panna semimontata continuando a mescolare sempre delicatamente dal basso verso l’alto.

2. Versare nei bicchieri mettere subito in freezer.

Semifreddo al pistacchio

1. In una ciotola amalgamare bene la crema pasticcera fredda e la pasta di pistacchio, unire poi la meringa italiana

mescolando delicatamente dal basso verso l’alto.

2. Aggiungere infine la panna semimontata continuando a mescolare sempre delicatamente dal basso verso l’alto.

3. Riempire gli stampi a semisfere e mettere subito in freezer.

4. Una volta congelate unirle a due a due per formare una sfera e metterle nei bicchieri sopra la mousse ghiacciata di ciliegia.

Croccantino alla mandorla

1. In una ciotola mescolare bene la farina, le mandorle in polvere e lo zucchero.

2. Unire il burro e impastare come per una frolla. Stendere il composto tra due fogli di carta forno ad uno spessore di 3 mm.

3. Cuocere in forno a 150°C, fino a raggiungere una coloritura nocciola (nel mio forno circa 20 min.).

4. Far raffreddare e tritare. In alternativa si può sbriciolare l’impasto sulla carta da forno e cuocere a 160° per circa 15 minuti. Si conserva in un contenitore ermetico al fresco.

Montaggio

Togliere i bicchieri dal freezer, decorare con il croccantino alle mandorle, qualche pistacchio e un cucchiaio di ciliegie snocciolate, tagliate a metà e spadellate con un cucchiaio di zucchero.

l tempo della decorazione permetterà di raggiungere la temperatura ideale di servizio -10/-15°C.

N.B. Senza fare la semisfera si possono semplicemente stratificare le due preparazioni nei bicchieri o metterle vicine

CILIEGIE A GO GO 62

coco mero o an guria?

Frutto famoso, fresco e simbolo dell’estate da noi a Roma in realtà si chiama “cocommero”, con due emme. Ebbene sì, a noi a volte ci piace essere generosi e raddoppiare, altre volte siamo pigri... e dimezziamo... Il termine più conosciuto in Italia Centrale, è cocomero, dal latino Cucumis citrullus. Anguria dal greco Angurion è un termine più usuale nel Settentrione. Naturalmente sia cocomero che anguria hanno anche tanti e coloriti derivati dialettali. In Campania lo chiamano mellone d’acqua, in Toscana popone. A ciascuno il suo nome!

Appartiene alla famiglia delle Cucurbitacee ed è originario dell’Africa tropicale. È un frutto conosciuto fin dall’anichità. Pensate che un raccolto di cocomeri è documentato anche su alcuni geroglifici egizi

Taja ch’è rosso! Mario dell’Arco (1946)

Piazza Colonna, e un celo paro paro come un coperchio messo sur callaro. Appena sente un soffio da ponente, esce er cocommeraro; e in fila, a fianco a fianco, sopra ar banco tante lune scarlatte, a spicchi o tonne, in un letto de fronne.

«Taja, ch’è rosso!». Piomba er ganimede in bomba, er greve e la minente: lui in fongo e faraiolo, lei in polacca e scioccaje cor pennente; e in coda er pretazzolo. E tutti a cianche larghe e a testa bassa giostreno de ganassa. «Taja, ch’è rosso!». In cima a la colonna, coll’occhio a la cortella che s’affonna ne la porpa croccante, zitto e muto, san Paolo ignotte sputo; finché slonga er palosso e se frega er cocommero più grosso.

«Taja, ch’è rosso!». E intanto che séguita la lagna, taja er cocommeraro e taja er santo; però san Paolo è jotto: taja e magna e sputa semi in testa a quelli sotto.

di 5000 anni fa ed era usanza di lasciarne uno nella tomba dei faraoni come mezzo di sostentamento per l’aldilà! Un po’ di fresco non si nega a nessuno!

Nella tradizione romana non c’è chiusura di un pranzo di ferragosto senza il “cocommero”.

Ancora oggi durante l ’estate romana ci imbattiamo nei “cocommerari” che al grido di “taja ch’è rosso”, invitano i passanti a degustarlo durante una passeggiata!

Nel Lazio sono rinomati quelli coltivati nell’Agro romano, come a Maccarese e Torre in Pietra, ottimi per le caratteristiche organolettiche del terreno.

Vuoi sapere se il cocomero è a giusta maturazione? Batti sopra con le nocche e se il suono è come quello di un ... tamburello significa che è maturo!

Mario dell’Arco è stato un architetto e poeta romanesco, riconosciuto da Pier Paolo Pasolini «l’innovatore della letteratura romanesca». Promotore delle riviste «Er Ghinardo», «Orazio», «il Belli», dell’Arco è una figura chiave della poesia dialettale novecentesca e molto attivo nel panorama culturale romano degli anni Cinquanta. Collabora con l’amico Sciascia alla rivista da lui diretta «Galleria», il quale scrive per le riviste dell’amico e firma la postilla alla raccolta Er gusto mio del 1953. Sciascia, dell’Arco e Pasolini pubblicano insieme l’antologia Il fiore della poesia romanesca del 1952, curata da Sciascia con la premessa di Pasolini, nella quale sono antologizzati Belli, Pascarella, Trilussa e lo stesso dell’Arco. (Fonte Biblioteca Nazionale Centrale di Roma)

COCOMERO
63
Il cocomero a Piazza Navona - Achille Pinelli 1833

Roma, patria di illustri fantasmi. Ce ne sono di tutte le epoche. Non è difficile incontrarli “di persona”... Molti di loro sono abitudinari, aleggiano da secoli negli stessi luoghi che li hanno visti protagonisti dei drammatici trapassi. In questa rubrica ne “incontreremo” alcuni tra i più noti. La giornalista Sabrina Turco inizia con la drammatica intervista a uno dei fantasmi più amati della capitale: Beatrice Cenci. Beatrice nacque nel febbraio del 1577 dal nobile Francesco Cenci. La bellissima ragazza ben presto conobbe le sventure che l’accompagnarono per il resto della sua breve vita: rinchiusa nel castello di famiglia, nel regno di Napoli, subì abusi e torture dal padre. I fatti erano noti a tutti, ma la potenza e la cattiveria dell’uomo scoraggiarono coloro che avrebbero potuto aiutarla. Anche la sua richiesta di aiuto al papa non giunse mai a destinazione perché intercettata dalle persone vicino al padre. Così per mettere fine alle angherie di Francesco Cenci con l’aiuto dei fratelli Bernardo e Giacomo, del castellano, della matrigna e di un maniscalco, Beatrice organizzò l’assassinio del padre. Stordito con una bevanda drogata fu ucciso simulando un incidente. Il corpo fu gettato dalla torre del palazzo e seppellito in fretta e furia. Purtroppo, alcuni sospetti non vennero sopiti e riesumato il cadavere l’autopsia rivelò l’incompatibilità delle ferite con l’incidente, portando alla luce l’assassinio. Beatrice ricevette il patrocinato gratuido di uno dei più grandi avvocati dell’epoca, Prospero Farinacci, che raccontò le terribili torture subite dalla giovinetta.Anche il popolo di Roma si schierò dalla sua parte, ma fu tutto inutile. Beatrice fu condannata a morte e decapitata davanti a Castel Sant’Angelo, la mattina dell’11 settembre 1599, insieme ai complici. Dopo l’esecuzione, fu sepolta in san Pietro in Montorio. Neanche da morta Beatrice trovò pace. Nel 1798, la sua tomba fu violata.Per evitare altre profanazioni, la tomba fu coperta dalla pavimentazione della chiesa.

Nell’ultimo interrogatorio, Beatrice affermò che la sua unica colpa era quella di essere nata e la sua anima non avrebbe mai trovato pace. Secondo la leggenda la notte tra il 10 e l’11 settembre di ogni anno, il fantasma di Beatrice Cenci percorre il ponte Sant’Angelo. Sotto il braccio...la propria testa.

Intervista a Beatrice Cenci

TRA STORIA E LEGGENDA
64

L’emozione è grande quando mi ha confermato l’intervista. La rincorrevo da anni.

L’appuntamento è a Castel Sant’Angelo. Resto incantata nel vederla arrivare col suo passo leggero, con la luce del tramonto che le sfiora le spalle. Il suo viso è semplicemente bellissimo, i suoi occhi racchiudono energia e gentilezza.

La sua storia è un po’ la storia di tutte quelle donne che subiscono abusi e restano in silenzio per molto

i fantasmi di Roma

tempo, troppo. Chiuse nel proprio dolore, nella propria sofferenza, nella paura. Ma ha avuto la forza di dire basta, di spezzare la spirale di terrore in cui lei e la sua famiglia erano stati intrappolati. Pagando un prezzo altissimo. La vita.

Mentre si avvicina volgo lo sguardo dietro di me e ammiro incantata il riflesso tremolante delle acque del Tevere che attraversa lentamente una Roma quasi addormentata,

quando la incontro è ormai il tramonto...

È settembre, e l’aria frizzante di fine estate accarezza il viso di entrambe. Ha voluto incontrarmi proprio nel luogo dove lei, i suoi fratelli e la sua matrigna sono stati giustiziati. Il suo processo fu una farsa e la sua una barbara esecuzione.

Prima di iniziare l’intervista restiamo a lungo in silenzio. Due donne di epoche diverse che si confrontano.

di Sabrina Turco

«Beatrice, sei stata decapitata per aver organizzato l’omicidio di tuo padre, te la senti di dirmi com’è andata davvero?...»

Con una voce flautata inizia il suo racconto:

«Sono stata una vittima, fin dalla nascita. Mia madre Ersilia, morì di parto quando io avevo soltanto sette anni. Spesso mi sono chiesta se fosse stato meglio così per lei . La sua morte precoce la rese libera da una realtà fatta di abusi e maltrattamenti».

«Così sei rimasta orfana da piccola e che ne è stato di te?». Prima di rispondermi abbassa gli occhi, e poi rivolgendomi uno sguardo pieno di una infinita malinconia continua la sua storia.

«Io e mia sorella maggiore, Antonina, fummo mandate nel Monastero di Santa Croce a Montecitorio, mentre i miei fratelli spediti a studiare in Spagna. L’educandato era piuttosto modesto e accoglieva anche ragazze del popolo. Il resto delle nostre coetanee di nobile famiglia come noi studiavano, in ricchi conventi, il greco e il latino, la letteratura e l’arte, imparavano a suonare vari strumenti e ad apprezzare la musica di autori come Arthur Chamberlain o William Shalby, noi imparavamo a servire e obbedire».

Ascolto in un silenzio religioso quello che ha da dirmi, e che le sgorga fuori come un fiume in piena e allora chiedo ancora:

«E i tuoi fratelli?».

«Oh, loro poveretti per continuare a studiare contraevano debiti di continuo, mancavano di tutto e alla fine furono costretti a tornare a Roma».

«Com’è possibile? Appartenevate ad una delle famiglie dello Stato Pontificio più ricche dell’epoca, vostro padre possedeva terre e da secoli eravate dediti al commercio e alle attività bancarie».

«Già ma nostro padre era un vero aguzzino e un uomo avaro e pur avendo ereditato un patrimonio ingente, a causa delle sue azioni violente e della vita intrisa dal vizio che amava condurre, spendeva molti dei suoi soldi in multe per evitare il carcere».

Francesco Cenci, ultimo esponente di una nobile e influente casata

che acquistò i titoli del medioevo, era arrogante, brutale e perverso, coinvolto in risse e diversi fatti di sangue, finito più volte a processo per violenze sessuali e pedofilia, le cronache dell’epoca, raccontano che aveva violentato un ragazzino di appena dodici anni figlio di un popolano. Era il 1594 e in quell’occasione aveva rischiato il rogo, se la cavò pagando centomila scudi. Era sempre riuscito a comprarsi un’assoluzione, sfruttando la sua posizione e le sue ricchezze. Ma era con le donne della sua famiglia che riusciva a esprimere al meglio la sua crudeltà...

Le mani della giovane Beatrice, affusolate e bianchissime, tremano mentre prosegue con la sua storia, resto incredula per quanto mi ha appena raccontato fin qui e allora mi spingo oltre e le dico che le sono vicina e immagino quanto deve essere stato difficile per lei tutto questo.

«Beatrice – le chiedo –, a quindici anni sei tornata a casa e nonostante riesca a comprenderne la difficoltà, prova a raccontare cosa è accaduto da allora». Il suo supplizio è ancora vivo dentro di lei e lo leggo sulle sue labbra che ne tradiscono l’emozione di quanto sta per rivelarmi.

«In realtà non fui contenta di tornare, gli anni in convento furono i migliori della mia sventurata vita, mi dispiacque lasciare le suore con cui avevo vissuto ma speravo in una vita familiare e in un futuro matrimonio così come si addice alle fanciulle di buona famiglia. Invece, la situazione in cui mi ritrovai fu di completo degrado. Mio padre, sempre più violento, non risparmiava umiliazioni e maltrattamenti a nessuno di noi facendoci mancare anche il necessario per vivere».

«Spesso Beatrice, è proprio tra le mura di casa che si consumano i veri drammi, anche al giorno d’oggi. Sai, sono molte le donne aggredite, maltrattate, abusate e spesso i loro aguzzini sono anche in questo caso, familiari».

«Mi sanguina il cuore ad ascoltare questi tuoi racconti perché vuol dire

che la storia, purtroppo, è destinata a ripetersi e che il mio sacrificio è stato vano».

«Non del tutto. Oggi abbiamo leggi che proteggono le donne da questi abusi. Forse non saresti stata decapitata ingiustamente. Sei una vittima non un carnefice, ricordalo...».

Il riflesso della luna si specchia ora sul suo viso dal candore ancora disarmante nonostante i secoli trascorsi mentre prosegue con la sua storia.

«La mia casa era diventata la mia prigione, mio padre aveva scatti d’ira sempre più frequenti e, nei miei confronti erano sempre più continue le sevizie, ma anche verso mia sorella e la donna che aveva sposato, Lucrezia. Una vedova di cui si era invaghito. Lei non avrebbe voluto sposarlo, ma alla fine le fu difficile imporsi e opporsi ai desideri di un nobile, se sei donna e sola. Restammo noi perché mia sorella Antonina riuscì con le sue suppliche al pontefice a contrarre matrimonio».

Ma l’inferno quotidiano suo e della sua matrigna era solo all’inizio.

Le chiedo: «Tu e la tua matrigna come avete fatto ad andare avanti?».

«Dopo il fortunoso matrimonio della mia sorella maggiore, mio padre divenne sempre più violento arrivando a rinchiudermi nella Rocca di Petrella Salto. Lucrezia che aveva imparato a temere e gestire i suoi scatti d’ira e i suoi abusi, decise che era giunto il momento anche per me, ormai una fanciulla di diciotto anni, di contrarre matrimonio. Sperava di potermi allontanare da quella casa inghiottita ormai dall’inferno, ma mio padre non aveva intenzione di rinunciare ad altri soldi per la mia dote, perciò con l’inganno ci condusse in un piccolo paese dell’Appennino dove ci costrinse a vivere come recluse».

Mentre la giovane e sventurata baronessa prosegue con gli orrori subiti, scorgo una lacrima disegnarle il viso e penso a quanto sia stato orribile vivere ogni giorno con la paura e nel terrore della violenza, ma anche quanta forza deve aver

66 TRA STORIA E LEGGENDA

avuto questa giovane donna di altri tempi per arrivare a non togliersi la vita per liberarsi dal suo aguzzino e il mio pensiero va a tutte quelle donne che si sentono in gabbia e non vedono una via di uscita da una vita costretta nella morsa della ferocia.

Mentre faccio le mie riflessioni le foglie degli alberi che fasciano Castel Sant’Angelo giocano a rincorrersi con la leggera brezza settembrina che fa da cornice a questo incontro che non ha prezzo. Per l’occasione Beatrice ha scelto di non girare con la sua testa in mano così come fa ormai da secoli l’11 settembre, ma ha deciso di mostrarsi, seppur eterea, in tutta la sua immacolata leggiadria...

«Ad un certo punto la situazione si fece ancora più difficile. Mio padre era vessato dai creditori e divenne sempre più violento e noi sventurate ci avviavamo verso il precipizio di un calvario a cui non potevamo sfuggire: le minacce erano all’ordine del giorno così come le sevizie e le percosse ed è allora che pensammo che soltanto la sua morte ci avrebbe resi liberi».

«È allora che avete pensato di ucciderlo e in che modo?».

«Pensammo di ingaggiare qualcuno, ma si rivelarono del tutto incompetenti quindi cercammo di arrangiarci da soli pensando di inscenare un incidente, confidando nel fatto che non ci sarebbero state indagini. All’inizio fu così che andò ed io, per la prima volta, assaporai, anche se per poco, la libertà. Niente più paura di restare sola in camera di notte, percossa o altro. Ma la

fortuna non fu dalla mia parte perché dopo alcune voci insistenti riesumarono il corpo del mio aguzzino e i medici dichiararono incompatibili le ferite con una caduta accidentale».

Il resto è storia...

Erano le nove e trenta del mattino di quell’11 settembre del 1599 quando il carro che porta i Cenci al patibolo si fa largo tra grappoli di folla; grida e singhiozzi provengono dai marciapiedi, dalle carrozze, dai balconi dei palazzi, in un misto di compassione e ferocia, di eccitazione e paura, nobiltà e popolino a formare un unico, delirante branco. Roma è stretta in un’asfissiante morsa del caldo, l’estate sembra non voler andarsene. Nel momento in cui Beatrice, i suoi fratelli e Lucrezia arrivano nei pressi del patibolo, il tempo sembra essersi fermato. Beatrice arriva sul ciglio di San Celso che sembra già il fantasma di se stessa. Gli occhi rivolti a ponte Sant’Angelo dove tra poco la morte le verrà incontro. Il ceppo e la mannaia sono pronti. L’ombra del “Mastro Titta”, il boia pontificio, si allunga verso di lei. La prima ad essere giustiziata è Lucrezia. Poi è la volta di Beatrice che ha soltanto ventidue anni, ed è di una rara bellezza e la cui sola colpa è stata quella di cercare di liberarsi dal giogo di un padre perverso e malvagio. L’unico che riuscirà a sottrarsi al triste destino sarà il fratello Bernardo, che ha soltanto quindici anni, al quale viene risparmiato il patibolo, ma non lo strazio di assistere alla morte dei suoi cari. Le cronache dell’epoca raccontano di una preghiera sussurrata, di un bacio lieve

al crocifisso e, anche qui, di un istante di esitazione da parte del carnefice prima che vibrasse il colpo fatale a Beatrice. La testa di Beatrice fu avvolta in un velo come quella della matrigna, e posta in lato del palco.

Mentre il nostro incontro sta per concludersi Beatrice mi accenna un sorriso lieve, i suoi occhi in cui un’inedita luna si riflette, sono ancora intrisi del dolore che il destino le ha riservato, ma mi saluta con un cenno del capo prima di prenderselo tra le mani e iniziare a vagare per le vie di una Roma splendida e silenziosa... È l’11 Settembre e io le dico addio tra le lacrime che hanno accompagnato questa intervista, questo viaggio intrigante, che mi ha riportata indietro nel tempo. In un grande passato, dove la vita di una giovane donna è molto simile a quella di tante altre giovani donne di oggi: maltrattate, abusate, date alle fiamme o sfregiate. Un passato e un presente che si rincorrono. Dove paura e terrore non hanno tempo. Dove la nostra casa, che dovrebbe farci sentire al sicuro, può trasformarsi in una prigione.

i fantasmi di Romaa
Ciao Beatrice! È stato bello incontrarti e conoscere la tua forza!

Lazio Gourmand magazine vi dà appuntamento in autunno...

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Articles inside

Intervista a Beatrice Cenci

12min
pages 64-67

Cocomero o anguria?

3min
page 63

Mousse ghiacciata alla ciliegia

4min
page 62

Confettura di ciliegie di Sezze

3min
pages 60-61

LA CILIEGIA RAVENNA DELLA SABINA

4min
pages 58-59

Peperoni in padella

2min
page 57

Pollo coi peperoni

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page 57

Pollo alla romana

3min
page 56

Spaghetti con le telline

3min
pages 54-55

Vermicelli al sugo di gallinella di mare

4min
pages 53-54

Spaghettoni con la colaura di alici di anzio

4min
pages 51-52

Zuppa di pesce portodanzese

4min
pages 48-50

Porto di Anzio

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page 47

Lago del Turano

6min
pages 44-46

Melanzane ripiene alla giudia

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page 43

Le melanzane “de noantri” LE “MARIGNANE”!

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page 42

Fagiolini a corallo cotti a crudo

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page 41

Ada Boni: una piccola grande percorritrice dell’arte culinaria

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pomodori ripieni col riso

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pages 38-39

Altri pomodori del Lazio

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pages 36-37

Pomodoro casalino e i pomodori a mezzo

3min
pages 34-35

Zucchine ripiene alla romana

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pages 32-33

Fiori di zucca con mozzarella e acciughe

3min
pages 30-31

PIZZA di pastella e fiori di zucca

1min
page 29

Concia di zucchine

2min
page 28

LA ZUCCHINA ROMANESCA

3min
pages 26-27

Est! Est!! Est!!! di Montefiascone

1min
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LE STRADE DEL VINO NEL LAZIO

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pages 23-24

Alteterre tour

6min
pages 21-22

A tutta... amatriciana!

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pages 18-20

AMATRICE E IL LAGO DI SCANDARELLO

5min
pages 15-17

Lattuga stufata

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FRITTATA ALLA BURINA

2min
page 14

LA LATTUGA ROMANA

3min
pages 12-13

Saltimbocca alla romana

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pages 10-11

PISELLI DA SGRANARE… A ROMA DA SCAFÀ

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page 9

Benvenuto “Lazio Gourmand magazine!”

3min
pages 1-3
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