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altri posti per le uova erano nel fienile e dentro il pagliaio, ma si cercavano e trovavano anche altrove. Sull’angolo sud-est del portico, poggiata all’interno del muro c’era la pompa dal lungo manico e abbondante getto con sotto un grande contenitore (el seciòn): a volte dovevamo, più spesso ci divertivamo a pompare l’acqua, lì per le bestie o nei secchi per gli usi domestici; all’esterno del muro c’era el labio (l'albio); la latrina era un casotto di legno sopra il letamaio, laggiù oltre la casetta col porcile sotto al pollaio e poco lontana dal pagliaio conico, ai confini con l’orto del vicino. In quella zona, ma vicino alla strada, cresceva un moraro, un gelso dalle tenere foglie che servivano anche a sfamare i voraci rumorosi vermetti sulle arelle stese sopra cavalletti nel granaio, fino a quando, silenziosi, si rinchiudevano nei loro bozzoli dorati: calava il silenzio in granaio e cominciava il ciacoℓare delle zie in cucina, intente a bollire i bozzoli e a trarne la seta. Qualcuno ci veniva lasciato, ne usciva la farfalla. Le arelle tornavano sul soppalco. Altri ricordi mi fanno dubitare d’avere sempre dormito nella stanza al pianterreno. Oltre la porta del granaio c’era il sacco con le ciope de pan biscoto, il pane biscottato a lunga conservazione: ricordo che ne prendevo e, scendendo al mattino, con quello rubavo un po’ della panna formatasi sopra il latte nel bacile (piana) che la nonna metteva alla sera sul davanzale della finestra a tramontana, a metà scala, per fare burro. La finestra a tramontana era il frigo di mia nonna e il burro lo faceva sbattendo la panna in un fiasco