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Ovest lo chiudeva la cucina e a Est il muro perimetrale. In cucina si entrava dal portico. Seci e ca§a (secchi e mestolo) del seciaro erano di rame: l’acqua presa e bevuta direttamente con la ca§a era fresca e di sapore speciale. Di rame era anche il caliero (paiolo) appeso alla catena sul focolare. Vi si cuoceva la polenta, rimestandola per lungo tempo con la mescola di legno, badando che non facesse i munari (grumi) e non prendesse el brustolin (sapore di bruciato). Una volta cotta veniva subito versata sul panaro, il grande tagliere circolare con annodato un tratto di gaveta (spago sottile) per affettarla. Di ottone erano invece i bossoli di proiettili d’artiglieria , decorati e non, usati a ornamento del focolare o come soprammobili, vasi da fiori, fermaporte e altro. Ne avevano in tutte le case, ricordo della Grande Guerra. Tutto quello che era di rame o di ottone veniva lucidato col soldame (pomice); i pavimenti (portico compreso) lavati con acqua, varechina, segatura. Nel seciaro si broava su (si lavavano le stoviglie); per la biancheria si faceva la li§ia o broa con acqua bollente e cenere; per certe pulizie si adoperava con grande attenzione anche l’ oio fumante (vetriolo?). Spesso d’inverno ci si rifugiava nella stalla, odorosa ma calda senza consumare legna: il nonno faceva ceste, le donne lavoravano faxendo filò (chiacchierando), noi guardavamo, ascoltavamo, se capaci aiutavamo. Filavano la lana (di pecora o di coniglio d'Angora?); lavorando a feri facevano maglie, berretti, sciarpe, guanti, manopole,