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solo dopo il parto, a quel tempo non c’erano pannolini usae-getta ma anche a quel tempo i neonati facevano tanta pipì e popò come oggi e le brave mamme si preparavano un corredo di fasce (a quei tempi i bimbi venivano fasciati interamente, testa esclusa) e pannolini (panexèi) da usare, lavare, asciugare, stirare e riusare. E così fece mia madre: una grande quantità di quadrati di stoffa sui quali – per una mania tutta femminile o per passare il tempo dell’attesa – aveva ricamato la lettera “S”, perché la figlia si sarebbe chiamata “Silvana” e non magari Maurilia per via della santa del giorno. Solo che quando nacque non era una figlia ma un figlio. Per non rifare tutti i ricami doveva comunque avere un nome che cominciava per “S”: fui io a suggerire il nome di un ragazzino che abitava nella casa accanto e quel figlio si chiamò Sergio. Due anni dopo nacque l’ultimo figlio (a quei tempi i figli abbondavano). Nacque in casa, di mattino presto. Quando mi svegliai per andare a scuola vidi con sorpresa mia madre ancora a letto e una signora (la levatrice) che teneva in braccio un bimbo. Mia madre stava bene, ma per qualche motivo il bimbo aveva avuto qualche difficoltà e s’era rotto (o comunque danneggiato) un braccino che ora aveva fasciato. Vistolo in pericolo di vita, la levatrice aveva provveduto a battezzare il bimbo col nome di Mario, essendo figlio di Maria. Ma poi stava bene e gli fu dato il nome che doveva essere del terzo figlio: Pierangelo. Non so se fu ribattezzato con quel nome, ma così lo chiamavamo e così pensavo fosse registrato in Comune: dopo una sessantina d’anni vengo a sapere che sui documenti ufficiali