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fioretti di maggio e non ci fermavamo altrettanto a lungo. Ma il tempo di far quattro chiacchiere con gli amici si trovava, finché si poteva resistere al freddo là, sul sagrato rialzato davanti all’Oratorio dei Boccalotti o all’ampio piazzale sterrato. L’antica chiesa di San Pietro, con la grande grata sul lato del convento, non aveva impianto di riscaldamento, ma mi par di ricordare vi fossero delle stufe a gas. A distanza di tanti anni i ricordi si confondono, si mescolano quelli di tanti Natali, di quando ero bimbo e di quando ero grandicello e mi capita di confondere il prima col dopo. Iniziate le vacanze si pensava al presepio: l’albero di Natale da noi non era ancora stato scoperto. C’erano le statuine di gesso (intere, rotte o riparate), le casette, la capanna e altri accessori dei presepi precedenti con qualche nuovo acquisto, riparazione o costruzione. Anche il vecchio muschio magari c’era, ma andavamo a cercarne di nuovo su a Monte Berico: tutto Viale Margherita, tutte le scalette e poi giù nel prato sotto il muretto del tratto piano prima della curva del Cristo, quasi mai con grande risultato. C’era un’altro dovere da compiere: la letterina di Natale. Non ricordo bene se ce la facevano preparare a scuola o se era un compito lasciato alla nostra iniziativa personale. Si andava in cartoleria, si comprava carta da lettera elegantemente decorata, vi si scriveva che ci dispiaceva di essere stati cattivi e che in futuro saremo stati più buoni e altre cose natalizie. La lettera, nel giorno di Natale, veniva messa tra i piatti fondo e li§io del papà. Solo dopo avere mangiato la minestra lui la “vedeva”, la leggeva, ci faceva i