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alla gialla luce del crocevia. E li ci si fermava per gli ultimi commenti, gli ultimi accordi, gli ultimi saluti. E si gelava, ma abitavamo tutti lì vicino e prima di gelarci completamente eravamo tutti a casa. Meno spesso m’è toccato di trovarmi in bicicletta nella nebbia notturna sulla strada che da Porta San Bortolo va e andava a un paese lontano una quindicina di chilometri: nebbia più o meno fitta, per tratti più o meno lunghi, dinamo in funzione, luci accese, preghiere alla Madonna di Monte Berico che mi facesse giungere sano e salvo prima al prossimo centro abitato (dove solitamente la nebbia era meno densa) e poi a destinazione. Se la sera prima era stata nebbia e freddo, quasi sicuramente il mattino dopo avrei trovato i vetri delle finestre arabescati di ghiaccio e la broxema, la galaverna (questa parola l’ho imparata molto più tardi). Gli alberi ricoperti di ghiaccio mettevano freddo solo a vederli nella bruma ma brillavano bellissimi nel sole se e quando la nebbia si alzava ed era il sereno. A Vicenza la nebbia capitava spesso e spesso era spessa, se i miei ricordi di allora non sono annebbiati. Poi sono andato ad abitare a Valdagno: 260 m s.l.m.. Forse qualche sera c’era la nebbia al Ponte dei Nori, nella parte più a valle del paese, ma io abitavo su a Novale e lì non ricordo nebbia. Magari c’è anche stata, rare volte per breve tempo. E così in splendidi sabati (o domeniche) di sole decidevamo – mia moglie ed io – di andare a trovare i parenti a Vicenza. Non avevamo telefono né meteo TV. Salivamo in “500”, scendevamo la valle e si arrivava dopo