Niccolò di Segna e suo fratello Francesco
17. Niccolò di Segna
Profeta Isaia Esztergom, Keresztény Múzeum (inv. 55.135) 1340 ca. Tempera e oro su tavola Cm 21,2 x 21 Provenienza: Siena; Colonia, Johann Anton Ramboux (1832/1842-1866); Eger(?), Pest, Besztercebánya, Nagyvárad, Arnold Ipolyi (1867-1886); Nagyvárad, lascito Ipolyi (1886-1920). Iscrizioni: “[IS]AYA|S CO|RPUS | MEU|M DE|DI PE|RCU|TIEN|T(IBUS)” (Isaia 50,6), sul cartiglio.
La tavola, pur frammentaria, permette di apprezzare nella quasi totale interezza la figura di questo profeta barbuto, che il cartiglio identifica con Isaia. La testa inclinata in avanti è cinta da un’aureola punzonata, con la fascia principale decorata con motivi fogliacei a risparmio su fondo granito, contenuta in due giri di punzoni a fiore a cinque petali. Lo scarso oro superstite è molto rovinato, tuttavia a destra si può individuare un tratto rettilineo obliquo, decorato da una serie di punzoni di cui si intuisce la forma a foglia e rifinito almeno sul margine interno da ulteriori stampi floreali. Tale residuo smentisce l’affermazione di Mária Prokopp che la tavola fosse in origine coronata a tutto sesto1, laddove con maggior probabilità aveva una terminazione a cuspide, tipica di un elemento che, in accordo col soggetto, doveva costituire il pinnacolo di un polittico. La proiezione della linea e la sua replica speculare a sinistra rendono poco probabile un’originaria forma triangolare – che avrebbe avuto una base troppo larga (circa 35 cm) – mentre è plausibile che la tavola fosse simile agli elementi sommitali del polittico n. 47 di Duccio (Pinacoteca Nazionale di Siena; fig. 18) e di quello smembrato di Santa Croce a Firenze di Ugolino2, per limitarsi ad esempi notori. La base della tavola risulterebbe così compresa tra i 20 e i 25 cm (fig. 100). Il dipinto con Isaia, giunto al museo di Esztergom attraverso la donazione Ipolyi, come il trittichino di Niccolò di Segna con la Crocifissione, San Giovanni Battista, Stigmate di san Francesco, rispetto al quale dovrebbe aver percorso le medesime tappe3, si trovava come quello nella collezione di Johann Anton Ramboux alla metà dell’Ottocento4. Nel catalogo d’asta del 1867, quando passò nella raccolta del vescovo ungherese, era segnalato come opera di “Bartoli” (ovvero Bartolo di Fredi)5, mentre Arduino Colasanti, sorprendentemente seguito da Berenson, faceva il nome di Lorenzo Veneziano6. Un accostamento alla scuola duccesca e al Maestro di Città di Castello verso il 1310 fu proposto da Coor e poi da Boskovits7. Prokopp, che condivide questa cronologia, pur ritenendo di scorgere nell’Isaia elementi propri di quell’anonimo e di Segna di Bonaventura, ha preferito lasciare indefinito il riferimento all’ambito di Duccio8, senza accogliere il riferimento a Ugolino di Nerio suggerito da Mucsi9. L’opera mostra in realtà caratteri più tardi, che richiamano chiaramente la produzione matura di Niccolò di Segna nella fisionomia del profeta e nella tecnica impiegata nelle parti pittoriche – dove un sensibile chiaroscuro si accom-
Prokopp, in Christian Museum 1993, p. 215. All’intervento di restauro del 1984 a cura di Mária Laurentzy e Szilvia Hernády si deve probabilmente la redazione attuale con integrazione del supporto. 2 Cfr. Loyrette 1978, fig. 21. 3 Cfr. cat. 2 per la genesi della collezione Ramboux e le vicende di quella Ipolyi. 4 Katalog 1862, p. 15, cat. 106. Nel catalogo dei dipinti senesi del Museo di Esztergom (Gerevich 1948. pp. 66, 68) l’opera viene indicata col numero 73 in collezione Ramboux, dando adito a un fraintendimento sanato nel catalogo Lust und Verlust II (1998, p. 558, n. 106), come mi segnala Dóra Sallay. 5 Heberle 1867, lotto 106. 6 Colasanti 1910, pp. 407-408. Berenson 1932, p. 306; Idem 1936, p. 263; Idem 1957, I, p. 99. 7 Coor Achenbach 1956, p. 112. Boskovits, in Boskovits-Mojzer-Mucsi 1964, pp. 36-38. 8 Prokopp, in Christian Museum 1993, pp. 215-216. 9 Mucsi 1975, p. 34. 1
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