Inoltre Etiopia “Si rievocano vecchi nemici per far dimenticare i problemi interni del Paese”.
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La carestia che flagella la sua popolazione delle Regioni meridionali, nell’Ogaden somalo; la dura opposizione – politica e armata – delle popolazioni di etnia oromo; l’arretratezza di ampie aree del Paese che lo confinano al 171° posto su 182 nella classifica sull’indice di sviluppo umano: i problemi che assillano il primo Ministro etiopico Meles Zenawi non sono pochi né da poco. Così, quando le questioni interne rischiano di far alzare troppo la tensione politica e dare troppo spazio alle opposizioni politiche, lui ricorre al vecchio sistema: rievoca il vecchio «nemico eritreo» e comincia l’ennesima “guerre delle parole” che ormai i due Paesi combattono da un decennio, da quando si è chiusa con il trattato di Algeri la guerra vera, combattuta tra il 1998 e il 2000 con un bilancio stimato di 80-100mila morti. Anche nel 2011 il copione si è ripetuto. All’inizio di aprile, in un intervento davanti al Parlamento, Zenawi ha dichiarato: «Noi dobbiamo aiutare il popolo eritreo a rovesciare il regime dittatoriale», ossia il Governo guidato fin dall’indipendenza del Paese (1993) da Isaias Afewerki. Il primo Ministro etiopico ha rovesciato sul vicino eritreo la responsabilità di quasi tutti i guai del suo Paese: l’ha accusato di voler destabilizzare l’Etiopia armando la mano dei terroristi che negli ultimi anni hanno più volte colpito con attentati la capitale Addis Abeba; di sostenere i gruppi ribelli del Fronte di Liberazione Oromo (Olf), quelli del Fronte Nazionale di Liberazione dell’Ogaden (Onlf), e anche i movimenti degli estremisti islamici somali, notoriamente antietiopici. La risposta eritrea è arrivata qualche settimaUNHCR/N.Behring
UNHCR/P. Wiggers
na dopo, nell’ambito di un incontro dell’Unione Africana (Ua). L’ambasciatore eritreo presso l’Ua ha respinto le minacce di Meles Zenawi, e ha colto l’occasione per denunciare ancora una volta l’occupazione illegale da parte dell’Etiopia della città di Badme, la città contesa che fu all’origine della disputa sui confini e della guerra tra i due Paesi. Città che il successivo arbitrato internazionale aveva in effetti assegnato all’Eritrea, ma che l’Etiopia non ha smesso di occupare illegalmente. D’altro canto il “nemico esterno” fa bene a entrambi i Governi, sia etiopico che eritreo: all’occorrenza la “guerra delle parole” distrae le rispettive opinioni pubbliche dalle spinose questioni interne e ricompatta la coesione nazionale di fronte all’odiato nemico-ex amico. Serve al Presidente eritreo Afewerki per far dimenticare alla popolazione la privazione della libertà e la fame che vaste fasce di popolazione soffrono; serve al primo Ministro etiopico Zenawi per mantenere il controllo poliziesco sull’opposizione politica, la censura sulla libertà di stampa, la scarsa libertà di accesso a internet. Il Paese, tuttavia, non risolve i propri problemi di arretratezza. Anzi, i forti aumenti dei prezzi dei generi alimentari hanno reso più difficile la situazione dei più poveri e il massiccio ricorso all’affitto di terreni agricoli a società e investitori stranieri non aiuta certo gli etiopi a superare il problema della fame. Infine, l’alta inflazione, intorno al 25%, riduce il potere d’acquisto. Una realtà di povertà che è diventata drammatica per la gente del Sud, nelle Regioni dell’Ogaden somalo, colpite da siccità e carestia. Ne sono coinvolti circa 4,8milioni di etiopi. Nonostante questa folla di problemi, Zenawi non rinuncia alle grandi opere: dopo la diga Gibe III, contestatissima dentro e fuori dall’Etiopia per l’impatto sull’ambiente e sulle popolazioni della valle dell’Omo, a fine marzo 2011 Zenawi ha annunciato la costruzione della “Diga del Millennio” sul Nilo Azzurro, affidata anche questa come la Gibe III all’impresa italiana Salini.