L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T2
I poetae novi
Furio Bibaculo, fr. 2 Traglia; Varrone Atacino, fr. 21 Traglia; Elvio Cinna, frr. 12-13 Traglia; fr. 3 Traglia; Licinio Calvo, fr. 4 Traglia; fr. 8 Traglia; fr. 14 Traglia; Callimaco, Aitia, fr. 1 Pfeiffer; Inno ad Apollo, vv. 103-113; Anthologia Palatina XII, 43
ONLINE
T 3 La dedica del libellus Il Liber di Catullo si apre con una dedica all’amico e conterraneo Cornelio Nepote, lo storico, al quale tributa inoltre un altissimo elogio (vv. 5-7). Il poeta indica la raccolta delle sue liriche con il diminutivo libellus: si ritiene improbabile che il termine possa riferirsi all’intero Liber quale noi lo conosciamo (circa 2300 versi). È verosimile invece che qui Catullo dedichi a Cornelio un numero ben più ristretto di componimenti, forse proprio le cosiddette nugae (v. 4), cioè i carmi polimetri (nella numerazione attuale i carmi 1-60). Nel carme proemiale si riconosce l’influsso della tradizione ellenistica, inaugurata da Callimaco con il prologo degli Aitia [ Il prologo degli Aitia di Callimaco, T2 ONLINE]: si tratta infatti di una dichiarazione di poetica, formulata tuttavia in modo insolito, da decifrare allusivamente attraverso la descrizione del libro-oggetto, del rotolo di papiro nuovo ed elegante. Il tono dominante è scherzoso e colloquiale; nondimeno l’esordio lascia trasparire il dotto richiamo a un modello letterario greco tra i prediletti da Catullo, Meleagro di Gadara [ Dialogo con i modelli, p. 287].
carme 1
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Cui dono lepidum novum libellum arida modo pumice expolitum? Corneli, tibi: namque tu solebas
1-7 A chi dono questo grazioso libretto nuovo, or ora lisciato con la ruvida pomice? A te, Cornelio: infatti tu solevi pensare che valessero qualcosa que-
LEPOS, LEPIDUS
Nel carme d’esordio del Liber Catullo definisce lepidus il nuovo libellus (v. 1: lepidum novum libellum), ad indicare il lepos, la grazia lieve e raffinata della raccolta, ispirata ai canoni della poetica callimachea. Grazia e finezza L’aggettivo lepidus, a, um deriva dal sostantivo lepos, lepōris, che denota «grazia», «amabilità», «finezza», «piacevolezza», anche «spirito», «arguzia», nelle maniere e nel conversare. Questo è il significato che assume in un celebre passo sallustiano (Bellum Catilinae 25, 5 [ T8, cap. 14]), noto come “ritratto 284
ste mie inezie, già fin da allora, quando unico fra gli Italici osasti svolgere la storia d’ogni tempo in tre libri, dotti, per Giove, e laboriosi.
Cui: dativo singolare del pronome interrogativo quis, introduce un’interrogativa diretta nel modo indicativo (dono), in quanto il poeta «non dubita se donare,
di Sempronia”, a esprimere il fascino che si irradia dall’ambiguo personaggio, così come in un arguto scherzo poetico catulliano (12, 8 [ T12 ONLINE]).
Lucrezio: da dictis, diva, leporem Analogamente, sebbene
Una parola-chiave della nuova poesia Nell’ambito dell’esclusiva
cerchia neoterica, il termine non si riferisce soltanto al comportamento e allo stile di vita dei sodales, ma anche, inscindibilmente, ai codici espressivi della loro produzione letteraria, assumendo il valore di una vera e propria parola-chiave, quasi un termine tecnico, della nuova poesia (e della nuova poetica).
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in accezione e con intenti diversi, nello splendido inno proemiale di Lucrezio [ T1, cap. 11] lepos denota il «fascino», l’irresistibile attrattiva sensuale e voluttuosa di Venere (v. 15), quello stesso potere di seduzione che il poeta chiede alla dea di concedere ai suoi versi (dictis, v. 28), per guidare i suoi lettori sul cammino della verità. Non è un caso che il termine ritorni ancora nella più ampia e impegnativa dichiarazione lucreziana di poetica (obscura de re tam lucida pango/ carmina, musaeo contingens cuncta lepore; I, 933-934 [ T5, cap. 11]).