L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Leggere un TESTO CRITICO
presenza di parole volgari e oscene. L’epigramma di Marziale segna il trionfo del genere poetico più tipicamente «minore» nella dimensione che la poetica antica identificava come più propriamente «minore»: quella della vita quotidiana rappresentata in chiave comica. Marziale, come a suo tempo Lucilio, accetta questa dimensione «minore», ne fa l’impegno unico della sua vita di poeta e crea, entro questa dimensione, un’opera di grande mole e di grande respiro che egli, come Lucilio, contrappone orgogliosamente, in nome dell’autenticità e dell’aderenza alla realtà, ai generi maggiori con i loro temi mitologici lontani dalla vita (monstra in Marziale X, 4, 2; portenta in Lucilio, 587 Marx) e col loro linguaggio gonfio e artefatto. (M. Citroni, Musa pedestre, in Lo spazio letterario di Roma antica, I, La produzione del testo, Salerno editrice, Roma 1989, pp. 339-340)
T 10 Quadri di vita romana: lo sfratto di Vacerra Epigrammata XII, 32
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO ITALIANO
Nota metrica: trimetri giambici scazonti.
Marziale è anche il poeta di una Roma miserabile e degradata, descritta con sguardo crudo e distaccato, realistico e insieme caricaturale. Vacerra è stato da poco sfrattato con tutta la sua famiglia: Marziale si sofferma sui poveri oggetti maleodoranti e sgangherati che ancora gli appartengono, insistendo impietosamente sugli aspetti più sordidi e ripugnanti. In assenza di una prospettiva morale o civile, il poeta sembra tutto preso dal suo tour de force sperimentale: si osservino i riferimenti mitologici (le Furie, Iro) in funzione grottesca e deformante, l’implacabile tecnica enumerativa e la necessaria battuta finale, strumenti adibiti non tanto a interpretare la realtà quanto a creare, presso il lettore, effetti di compiacimento e di «maraviglia».
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O Iuliarum dedecus Kalendarum, vidi, Vacerra, sarcinas tuas, vidi; quas non retentas pensione pro bima portabat uxor rufa crinibus septem et cum sorore cana mater ingenti. Furias putavi nocte Ditis emersas. Has tu priores frigore et fame siccus et non recenti pallidus magis buxo Irus tuorum temporum sequebaris.
O Vacerra, vergogna delle calende di luglio!, ho visto, sì, ho visto le tue masserizie che, non essendo state accettate in cambio dell’affitto di due anni, portavano tua moglie coi suoi sette capelli rossi e la tua canuta madre insieme alla tua gigantesca sorella. Ho creduto che le Furie fossero emerse dal buio dell’Inferno. Tu, Iro dei tuoi tempi, insecchito dal freddo e dalla fame e più pallido d’un ramo secco di bosso, le seguivi. 1. Iuliarum... Kalendarum: giorno in cui a Roma scadevano i contratti di lo cazione.
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9. Irus: il mendico di Odissea XVIII, 1 ss.
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