L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
25 ausa et iacentem visere regiam voltu sereno, fortis et asperas tractare serpentes, ut atrum corpore conbiberet venenum,
deliberata morte ferocior: saevis Liburnis scilicet invidens privata deduci superbo non humilis mulier triumpho.
PERCORSO ANTOLOGICO
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[25-28] anzi, ebbe anche il coraggio di guardare con volto sereno la sua reggia abbattuta, e di maneggiare da forte i serpenti irti di squame, per berne con [tutto] il corpo il nero veleno, ausa: sott. est; lett. «osò», perfetto indicativo di audeo, ausus sum, ˉere, semideponente; oppure participio perfetto con valore di presente («osando»). – et ... visere: et = etiam («anche», «persino»); è possibile che et sia invece correlativo dell’altro et al verso seguente (fortis et ... tractare, v. 26). L’infinito presente visĕre (viso, intensivo di video) è retto da ausa. – iacentem ... regiam: oggetto di visere. Il participio presente in accusativo (da iaceo, ˉere) significa che Cleopatra ebbe la forza di contemplare impassibile la sua «reggia», per metonimia la sua corte, umiliata e sconfitta, «prostrata»; ossia l’annientamento del suo potere regale. Il poeta rende qui omaggio alla regina attribuendole una stoica fermezza, qualità notoriamente ammirata dai Romani. – fortis et ... serpentes: la struttura sintattica qui è ambigua; nella traduzione proposta si interpreta come una proposizione coordinata mediante la congiunzione et posposta in anastrofe a fortis predicativo, per cui tractare dipende da ausa (est). Discussa anche l’interpretazione di asperas, aggettivo in caso accusativo riferito a serpentes (femminile), oggetto di tractare: può valere «ruvidi», «squamosi» al tatto, come sembrerebbero confermare il verbo e l’insistita allitterazione in s; oppure «terribili», «feroci»; o ancora, forse meglio, «inferociti», aizzati dalla regina stessa che, secondo una delle varie versioni della sua fine, riferita da Plutarco, irritò l’aspide nascosto in un
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orcio pungendolo con un fuso d’oro. – ut ... conbiberet: proposizione finale; conbiberet, più intenso ed espressivo del verbo semplice (cum + bibo, ĕre) vale qui «assorbire». – corpore: ablativo strumentale. L’allitterazione in c lega i due termini contigui dando impressionante rilievo al deciso gesto di morte della regina, che non indietreggia e non trema di fronte all’orrore. – atrum: «nero», «fosco» è detto il veleno degli aspidi per gli effetti che provoca (annerimento e gonfiore della pelle), ma soprattutto perché il nero è il colore della morte. Per traslato, in ogni caso, atrum è ampiamente attestato nel significato di «atroce», «terribile», «funesto». [29-32] più fiera dopo aver deciso la morte, vietando – s’intende – alle spietate Liburne di condurla in qualità di privata, lei donna regale, nel superbo trionfo. deliberata morte: ablativo assoluto con valore causale-temporale, oppure ablativo di causa retto dal comparativo ferocior («più fiera per la morte [da lei] decisa»). – saevis ... triumpho: costruisci scilicet invidens saevis Liburnis deduci superbo triumpho, privata, non humilis mulier. La costruzione sintattica è discussa: in quella da noi accolta saevis Liburnis è dativo retto da invidens, mentre superbo triumpho è ablativo strumentale retto da deduci. Secondo altri saevis Liburnis sarebbe ablativo strumentale retto da deduci e superbo triumpho dativo di scopo: «rifiutando di essere condotta sulle spietate Liburne... per il superbo trionfo». – saevis Liburnis: le Liburnae, così chiamate dai Liburni, una popolazione marinara dell’Illiria, erano navi velocissi-
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me e leggere particolarmente adatte agli spazi ristretti per la loro agilità di manovra, usate da Ottaviano; al contrario le navi di Antonio erano più grandi, lente e pesanti, fattore non secondario nell’esito della battaglia aziaca. Mediante l’aggettivo saevae («spietate», «crudeli»), alle navi Liburne personificate viene attribuita l’implacabilità del vincitore, ovviamente deciso a infliggere un’offesa e una degradazione intollerabili per la dignità regale di Cleopatra. – scilicet: avverbio (= scire licet, lett. «è lecito sapere»); «evidentemente», «naturalmente». – invidens: participio presente di invideo, ˉere («rifiutare», «togliere la possibilità»). – privata: «da donna privata», «come una donna qualunque», non più regina; predicativo del soggetto connesso a deduci. In latino privatus (da privo, aˉre), aggettivo e sostantivo, si contrappone a publicus; il «privato» etimologicamente designa colui che è «privo» di cariche. – deduci: infinito presente passivo di deduco, ĕre, lett. «essere condotta», retto da invidens. – non humilis mulier: litote; lett. «donna di non umile condizione». Nelle tre ultime strofe (dal v. 21, quae generosius) si registra una graduale espansione dei cola sintattici, fino al più ampio (vv. 3032) che «chiude con energica grandiosità tutta l’ode» (A. La Penna). E si noti, nei due versi conclusivi, la ricercata e complessa disposizione dei vocaboli: non humilis si colloca in antitesi con privata (v. 31), simmetricamente entrambi in principio di verso, mentre superbo corrisponde a triumpho in fin di verso; nel v. 31 privata forma un’ulteriore antitesi con superbo ai due estremi del verso, come non humilis nel v. 32 con triumpho.