L’ETÀ GIULIO-CLAUDIA
2. Poesia nell’età giulio-claudia
T 9 Elogio del maestro Anneo Cornuto Saturae V, 1-51 ITALIANO
La satira quinta è dedicata all’esposizione della dottrina stoica e alla definizione del concetto di libertas, interpretato come libertà dai vizi e dalle passioni. Persio giunge tuttavia all’argomento solo dopo un lungo proemio dialogico, nel quale compare la figura autorevole e rassicurante di Anneo Cornuto, che lo aveva avviato giovanissimo alla filosofia. Inizialmente (vv. 1-4), l’autore ricorda che è costume dei vati invocare lo stile sublime della tragedia (v. 3) e dell’epica (v. 4). Un interlocutore (probabilmente lo stesso Cornuto) lo ammonisce tuttavia, in versi che assumono il valore di un’esplicita dichiarazione di poetica, a usare un linguaggio semplice, parole comuni (verba togae) atte a colpire il vizio e la corruzione (vv. 5-18). Persio si dice pienamente d’accordo, ma ribadisce la sua aspirazione a uno stile più alto, capace di esprimere tutta la riconoscenza che prova per il maestro (vv. 19-29). Infine (vv. 30-51), rievoca in versi affettuosi e ispirati la propria adolescenza, illuminata dalla guida filosofica di Cornuto, al quale il poeta si sente legato da uno stesso destino.
PERCORSO ANTOLOGICO
È abitudine dei poeti di invocare per sé cento voci, di augurarsi per i loro carmi cento bocche e cento lingue, sia che si tratti di una tragedia che l’attore sonoramente declamerà con faccia lugubre, sia che si debbano cantare le ferite del Parto che si strappa il ferro dall’inguine. «Dove vuoi arrivare?1 o che bocconi di così robusta poesia vuoi tu ingoiare per aver bisogno di cento gole? Chi mira al grandioso raccolga nuvole sull’Elicona2, colui per il quale bollono ancora le pentole di Progne e di Tieste, di cui dovrà spesso cenare l’inetto Glicone3. Ma tu non sospingi i venti col mantice anelante, mentre nella fornace cuoce il metallo, né gracchi rauco, fra te e te, con misterioso brontolio, non so che solenni sciocchezze, e neppure ti gonfi le guance per poi svuotarle di colpo con uno scoppio4. Tu cerchi parole comuni, abile nell’unirle con vivezza tra loro, arrotondando la bocca nella giusta misura, valente nel pungere i costumi viziosi e nel colpire, con scherzo non volgare, le manchevolezze umane. Trai di qui argomento al tuo dire e lascia le mense di Micene5 con le teste e i piedi, né cerca di conoscere altro che i nostri pranzi comuni». Ma certo: io non miro affatto a che la mia pagina sia gonfia di lugubri sciocchezze e tale da dare un peso al fumo. Noi parliamo in disparte, fra noi. Ed ora a te, o Cornuto, spinto dalla Musa, io offro il mio cuore perché tu lo scruti e vegga, o dolce amico, quanta parte della mia anima è tua. Batti, tu che sai distinguere ciò che dà suono pieno dallo stucco di una lingua ipocrita. Per questo io oserei davvero
1. Dove vuoi arrivare?: l’ignoto interlocutore è con molta probabilità Anneo Cornuto, a cui il poeta si rivolgerà fra poco. 2. Elicona: monte delle Muse. «Raccogliere nuvole sull’Elicona» significa scrivere versi vuoti e retorici.
3. Glicone: un attore contemporaneo di Persio, che evidentemente era solito recitare tragedie di genere orrido e truculento. 4. Ma tu… scoppio: immagini di tono grottesco per indicare un genere di poesia roboante ed enfatica.
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5. Micene: ancora un’allusione al mito di Atreo e di Tieste, al quale, concluso il fiero pasto, furono mostrati teste e piedi dei figli cucinati.