6. Società e cultura nell’età dei Flavi e di Traiano
Sintesi
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Società e cultura nell’età dei Flavi e di Traiano Con la morte di Nerone (68 d.C.) si concludeva la dinastia giulio-claudia, e si apriva un nuovo periodo di guerre civili. Nel giro di un anno si contesero la successione quattro imperatori, Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano, che dopo cruenti scontri fu riconosciuto princeps. Con Vespasiano si inaugura la dinastia dei Flavi. Il principato di Vespasiano (69-79 d.C.) fu caratterizzato da opere di pacificazione, restaurazione dell’ordine e riorganizzazione amministrativa, economica e militare dello Stato. La lex de imperio Vespasiani conferiva all’istituto imperiale stabilità e legittimazione giuridica, inaugurando un clima di coesistenza pacifica con l’ordine senatorio. A Vespasiano successe il figlio Tito (79-81 d.C.), che proseguì sulla strada segnata dal padre. Il secondogenito Domiziano (81-96 d.C.) ripropose invece il modello autocratico e assolutistico di Caligola e di Nerone: si infransero gli equilibri raggiunti dai predecessori flavi nelle relazioni con il senato; si innestò nuovamente il perverso sistema di sospetti, delazioni, processi ed esecuzioni dell’epoca giulio-claudia, finché Domiziano cadde vittima di una congiura senatoria. Nel suo brevissimo principato (settembre 96-gennaio 98 d.C.) Cocceio Nerva, un anziano esponente della nobilitas italica, seppe riannodare il legame tra l’istituzione imperiale e il senato. Al principio dinastico fu sostituito quello dell’adozione, che avrebbe dovuto garantire la “scelta del migliore” nel segno della stabilità e della continuità. Alla dinastia dei Flavi faceva seguito l’epoca degli imperatori adottivi. Fallito il tentativo di una restaurazione senatoria per l’ostilità delle forze militari, Nerva fu costretto ad adottare M. Ulpio Traiano (98-117 d.C.), un ufficiale di carriera di origine spagnola. Traiano continuò la politica di Nerva nel segno di una rinnovata concordia con il senato; realizzò un vasto programma di lavori pubblici e riforme di ampio respiro, assicurando il prospero sviluppo delle province; condusse fortunate campagne militari che portarono l’impero alla sua massima espansione. Il principato di Nerone era stato un periodo di straordinaria vitalità artistica, nel segno di uno stile “barocco” e anticlassico. Nell’età dei Flavi, alla restaurazione dei costumi e alle nuove richieste di sobrietà, misura e disciplina corrisponde sul piano del gusto letterario il ritorno al classicismo del secolo precedente. I supremi modelli saranno dunque Cicerone e Virgilio. Quintiliano bandisce
lo stile irregolare di Seneca a favore del modello ciceroniano; l’epica storica e drammatica di Lucano lascia il posto a quella mitologica di Stazio e Valerio Flacco; Silio Italico ricongiunge il racconto storico all’apparato mitologico dell’epos tradizionale. Eppure, le opere poetiche di quest’epoca presentano uno scenario più complesso: le scelte espressive degli autori, smarrite le tensioni ideali, si risolvono in un raffinato riuso tecnico e virtuosistico della tradizione; nello stesso tempo, sono profondamente influenzate dalla rivoluzione poetica apertasi con Ovidio e culminata con Lucano e Seneca tragico. Si può dunque applicare alla letteratura di età flavia, accanto alla conclamata etichetta di “neoclassicismo”, quella, forse più persuasiva, di manierismo. Se l’età di Nerone aveva assistito a una ripresa del mecenatismo, gli imperatori Flavi mostrano una sostanziale indifferenza alla questione. Manca uno stabile rapporto fra principato e cultura, così come fra privati committenti e scrittori. Ossequiare il principe diventa una necessità: non può dunque stupire il tono encomiastico e panegiristico che si riscontra in pressoché tutte le opere di età flavia. Accanto all’imponente messe di letteratura ossequiosa al regime non mancò tuttavia una coraggiosa letteratura di resistenza: le perdute praetextae di Curiazio Materno e l’Octavia (pervenuta nel corpus tragico senecano) ne sono notevoli esempi. Non si registra un rilancio del mecenatismo neppure con Traiano, che si disinteressa della cultura. Le opere degli autori più prestigiosi dell’epoca (Plinio il Giovane, Tacito, Giovenale) dimostrano che non vi fu, al di là degli entusiasmi iniziali, una vera e propria rinascita, e che la libertas repubblicana era tramontata per sempre. La figura più prestigiosa dell’epoca flavia è quella di un retore, M. Fabio Quintiliano, autore di un’opera di straordinaria fortuna in 12 libri, l’Institutio oratoria («La formazione dell’oratore») pubblicata poco prima del 96 e integralmente pervenuta, grazie alla riscoperta umanistica del 1416. Uno degli aspetti più interessanti e originali del trattato è l’interesse pedagogico: Quintiliano ritiene che la formazione del perfetto oratore debba iniziare fin dall’infanzia. Il libro a tutt’oggi più famoso e citato è il X, che contiene una serie di giudizi sugli scrittori greci e latini. Il modello di Quintiliano, sul piano dello stile così come delle concezioni, è il Cicerone dei trattati retorici; tuttavia, nella nuova realtà del principato, il perfetto oratore ciceroniano appare inevitabilmente una figura anacronistica.
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